N. 351 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 aprile 2005
Ordinanza emessa il 13 aprile 2005 dal tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Moise Anna Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Delitto di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro anni - Irragionevolezza sotto diversi profili. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, prima parte, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, della legge 12 novembre 2004, n. 271 [rectius: decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271]. - Costituzione, art. 3. Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Delitto di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore - Arresto obbligatorio - Irragionevolezza - Lesione della liberta' personale dell'imputato. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, seconda parte, come sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge 12 novembre 2004, n. 271 [rectius: decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271]. - Costituzione, artt. 3 e 13.(GU n.29 del 20-7-2005 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza, nella causa penale contro Moise Anna, nata il 15 agosto 1980 a Chisinau (Moldavia), attualmente detenuta per questa causa presso la Casa circondariale di Torino, difesa di fiducia dall'avv. Gabriele Musso del Foro di Torino, detenuta presente, sottoposta ad indagini per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, d.lgs. n. 286/1998 perche', quale cittadina straniera, senza giustificato motivo si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine del Questore della Provincia di Torino di lasciare il territorio dello stato, ai sensi del comma 5-bis della citata disposizione normativa, entro cinque giorni dal provvedimento stesso, notificatole in data 3 aprile 2005, essendo stata l'espulsione disposta per non avere richiesto il permesso di soggiorno entro il termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore (art. 13, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 286/1998). Accertato in Torino l'11 aprile 2005. Alle ore 12.00 dell'11 aprile 2005 la cittadina straniera sopra generalizzata veniva tratta in arresto nella flagranza del reato sopra rubricato perche' sorpresa in territorio nazionale dopo la scadenza del termine di giorni cinque entro cui le era stato imposto dal Questore di Torino, con provvedimento emesso a norma dell'art. 14, comma 5-bis del citato t.u., di lasciare l'Italia. La predetta straniera e' stata presentata a questo giudice, nei termini di legge, per la convalida dell'arresto ed il successivo giudizio direttissimo, a norma del comma 5-quinquies del citato art. 14. Questo giudice dubita tuttavia di poter convalidare l'arresto, non perche' l'operato della polizia giudiziaria presti il fianco a censure (risultando anzi conforme alle norme attualmente vigenti), ma perche' il disposto dell'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies d.P.R. n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 271/2004 pare confliggere con alcune disposizioni costituzionali. Piu' in particolare, la recente drastica elevazione dei livelli edittali di pena previsti per il reato in esame urta, ad avviso del remittente, contro il canone della ragionevolezza e contro il principio di uguaglianza nel trattamento giuridico di situazioni fattuali omologhe. Pare indispensabile riepilogare brevemente le vicende della norma incriminatrice in esame. 1) Nella sua formulazione originaria il d.lgs. n. 286/1998 (c.d. legge «Turco-Napolitano») non prevedeva alcuna sanzione penale per lo straniero che, dopo l'emissione del decreto prefettizio di espulsione, fosse risultato inottemperante alla susseguente intimazione del Questore a lasciare il territorio nazionale; era semplicemente previsto che si procedesse con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (cfr. art. 13, comma 6 e comma 4 lett. a) decr. cit.); 2) era poi intervenuta la legge n. 189/2002 (c.d. legge «Bossi-Fini»), la quale, nel quadro di un generale inasprimento del trattamento amministrativo e penale dello straniero clandestino, aveva novellato l'art. 14 del d.lgs. n. 286/1998 prevedendo al comma 5-ter la pena dell'arresto da sei mesi a un anno per «lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis» (trattasi per l'appunto dell'ordine, impartito allo straniero colpito da decreto di espulsione, di lasciare il territorio italiano entro cinque giorni); il comma 5-quinquies dello stesso articolo, esso pure introdotto con legge n. 189/2002, prevedeva poi l'arresto obbligatorio dell'autore del fatto; 3) con sentenza n. 223 del 15 luglio 2004, la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimita' costituzionale del citato comma 5-quinquies, nella parte in cui prevedeva l'arresto obbligatorio del colpevole della contravvenzione di cui al comma 5-ter. Osservava la Corte che la previsione dell'arresto obbligatorio era manifestamente irragionevole perche', considerati i limiti edittali di pena previsti per il reato per cui veniva eseguito l'arresto, non era possibile l'applicazione di alcuna misura cautelare, onde lo straniero doveva essere inevitabilmente rilasciato dopo il giudizio di convalida; 4) con decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, il Governo emanava norme volte a ridefinire il tessuto normativo su cui aveva inciso la sopraindicata sentenza della Corte costituzionale, senza tuttavia modificare sostanzialmente il trattamento penale -- come risultante dopo l'intervento della Consulta - dello straniero inottemperante all'ordine questorile di allontanamento dal territorio nazionale; 5) In sede di conversione del predetto decreto, e precisamente con la legge 271, del 12 novembre 2004, il legislatore e' intervenuto pesantemente, riscrivendola completamente, sulla norma incriminatrice dell'art. 14, comma 5-ter, differenziando la posizione dello straniero espulso - e inottemperante all'ordine questorile di allontanamento dal territorio nazionale - a seconda delle cause determinanti l'espulsione: e' stata cosi' conservata la pena originaria dell'arresto da sei mesi ad un anno soltanto per l'ipotesi dello straniero espulso per non aver chiesto tempestivamente il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto; per le restanti, e piu' frequenti, ipotesi di espulsione (vale a dire quelle riferibili a stranieri che sono entrati clandestinamente in Italia, o che non hanno richiesto il permesso nei termini di legge, o che sono titolari di permesso revocato o annullato, o appartengono ad alcuna delle categorie contemplate dalle leggi sulle misure di prevenzione) l'originario reato contravvenzionale e' stato sostituito con una figura delittuosa punita con la pena della reclusione da uno a quattro anni. Una volta elevati, in maniera cosi' drastica, i limiti edittali di pena, e' stata reintrodotta al comma 5-quinquies la previsione dell'arresto obbligatorio dell'autore del fatto (ora connessa alla susseguente applicabilita' di una misura cautelare). E' proprio quest'ultimo intervento del legislatore a suscitare perplessita' sotto il profilo della compatibilita' con i principi costituzionali, in primo luogo con il principio di uguaglianza nella sua particolare specificazione consistente nella ragionevolezza nell'esercizio del potere legislativo. Va preliminarmente approfondita la natura del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998 e succ. modd. Cio' consentira' di fare un piu' corretto raffronto con figure di reato affini. Al riguardo va messo nella massima evidenza come il delitto in esame sia un reato di mera disobbedienza: esso consiste nella formale violazione di un ordine amministrativo, e nulla piu'. E' noto che una parte dell'opinione pubblica - quella meno sensibile ai valori solidaristici pur cosi' fulgidamente espressi nell'art. 2 della nostra Carta costituzionale - considera la condizione di clandestinita' dello straniero una situazione di per se' criminosa; secondo questo modo di pensare lo straniero clandestino in Italia dovrebbe essere trattato per cio' solo come un delinquente (dimenticandosi cosi' che molti stranieri irregolari sono invece dediti, per esempio, al lavoro nero o alla prostituzione, tutte attivita' in se' penalmente indifferenti, e che anzi fanno spesso dello straniero una vittima di condotte illecite altrui). Tale «visione del mondo», tuttavia, non e' mai stata recepita dal d.lgs. 286/1998 ne' dalle sue successive modificazioni. Il legislatore si e' sempre rifiutato di considerare la condizione di clandestinita' come un illecito penale: se cosi' non fosse, la tecnica normativa piu' ovvia e ragionevole sarebbe stata quella di considerare reato l'ingresso clandestino in Italia ovvero l'omessa richiesta del permesso di soggiorno dopo un ingresso regolare, vale a dire tutte quelle condotte che ex art. 13, comma 2, decreto cit. determinano invece soltanto l'adozione del provvedimento prefettizio di espulsione. Questa premessa e' importante perche' colloca nella giusta luce il delitto di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 nel testo vigente: lo straniero inottemperante all'ordine questorile di allontanamento dal territorio nazionale viene punito in forza della disposizione in esame non perche' e' un clandestino, ma per il solo fatto di aver disatteso un provvedimento amministrativo dettato da genericissime motivazioni di ordine pubblico. In maniera coerente con questa impostazione, le condizioni soggettive di maggiore o minore pericolosita' sociale dell'agente non hanno alcuna influenza: che lo straniero espulso sia un onesto lavoratore «in nero», sfruttato in Italia da un imprenditore senza scrupoli, ovvero sia un pregiudicato espulso a norma dell'art. 13, comma 2, lett. c) del citato decreto, e' per la legge del tutto indifferente: cio' che rileva e' solo ed esclusivamente l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di allontanamento. Tenendo presenti queste considerazioni ricostruttive, la previsione della pena della reclusione da uno a quattro anni, introdotta per la maggior parte delle ipotesi dal nuovo art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998, manifesta, ad avviso di questo giudice, un'evidente irragionevolezza. A) Essa emerge, in primo luogo, da un raffronto per cosi' dire «interno» tra le varie ipotesi previste dall'attuale comma 5-ter del citato art. 14. Si consideri il caso dello straniero che, entrato in Italia con un visto turistico e dopo aver ottenuto un corrispondente permesso di soggiorno breve, ometta di rinnovarlo alla scadenza e venga espulso con intimazione a lasciare l'Italia (e' una modalita' seguita sovente dalle giovani donne dell'est europeo che intendano praticare il meretricio nel nostro paese). In caso di inottemperanza egli verra' sanzionato con l'arresto da sei mesi ad un anno, senza che siano possibili provvedimenti coercitivi o cautelari di sorta. Ove il medesimo straniero sia entrato in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera ovvero abbia omesso, dopo un ingresso regolare, di chiedere il permesso di soggiorno (e' il caso oggetto del presente processo), qualora sia espulso e non ottemperi all'intimazione del questore andra' incontro all'arresto, alla possibile applicazione della custodia cautelare e alla reclusione fino a quattro anni. Posto che -- come si e' cercato di mettere in evidenza poco sopra - il reato consiste in entrambi i casi nella mera inottemperanza ad un ordine di allontanamento, risulta incomprensibile la scelta legislativa di divarieare cosi' drasticamente il trattamento penale e cautelare solo in dipendenza delle vicende anteriori all'emissione dell'ordine del questore. Non si comprende quale elemento concreto differenzi cosi' marcatamente la gravita' dell'una violazione rispetto all'altra. Si dira' che nel primo caso lo straniero aveva inizialmente osservato le norme disciplinanti l'ingresso ed il soggiorno degli stranieri in Italia, e nel secondo no. Ma cosi' ragionando si finisce per conferire una vistosa rilevanza penale al fatto che lo straniero si sia trovato o no in una iniziale situazione di clandestinita', proprio quello che il legislatore ha sempre mostrato di voler evitare (cosi', espressamente, anche il relatore della legge n. 271/2004, sen. Boscetto: «Non si e' addivenuti alla previsione del reato di immigrazione clandestina del quale pure, in commissione, si e' discusso»). La differenza di trattamento rimane pertanto priva di ragionevole giustificazione. B) La medesima valutazione si impone poi in esito al raffronto con fattispecie analoghe previste da norme diverse, e che sono sanzionate con pene incommensurabilmente piu' lievi: 1) viene in rilievo, in primo luogo, l'art. 650 c.p., che sanziona con la pena alternativa dell'arresto fino a tre mesi o dell'ammenda fino ad euro 206,00 «chiunque (e dunque anche lo straniero) non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorita' per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico ...»; 2) ove si volesse far leva sulla natura meramente sussidiaria della previsione incriminatrice di cui all'art. 650 c.p., occorrerebbe comunque considerare il reato previsto dall'art. 2, legge n. 1423/1956, che punisce con l'arresto da uno a sei mesi le persone raggiunte da foglio di via obbligatorio che si rendano inottemperanti a quanto in esso disposto. Non si puo' non rilevare (oltre alla notevolissima analogia tra le due previsioni incriminatrici) che in questo caso la lieve pena edittale si applica a persone che - contrariamente allo straniero colpito da decreto di espulsione - sono comprovatamente dedite a traffici delittuosi, ovvero vivono abitualmente dei proventi di attivita' delittuose o sono dedite alla commissione di altri reati (art. 1, legge citata). C) Altri profili di irragionevolezza emergono ove la norma in esame venga considerata in prospettiva diacronica: appena due anni prima, nell'agosto 2002, il legislatore aveva stimato che l'arresto da sei mesi ad un anno fosse pena congrua per la violazione in disamina (con atteggiamento che era gia' di particolare rigore se raffrontato con le altre norme incriminatirci teste' richiamate); solo due anni dopo si e' ritenuto di quadruplicare la pena massima. Occorre allora chiedersi se l'inasprimento della pena si ricolleghi ad un mutamento della valutazione data dall'opinione pubblica al fenomeno dell'inottemperanza agli ordini questorili di allontanamento (si badi, non al fenomeno dell'immigrazione clandestina, che non e' previsto dalla legge come reato), o non si atteggi piuttosto come una mera «reazione» alla decisione n. 223, del 2004 della Corte costituzionale. Sia consentito dire che la contemporanea reintroduzione dell'arresto dell'autore del fatto, caducato solo quattro mesi prima dal ricordato intervento della Corte, induce a ritenere che l'intento del legislatore sia stato esclusivamente quello di giustificare (con la previsione di una pena non inferiore a quattro anni di reclusione, come richiesto dall'art. 280, comma 2, c.p.p.) il mantenimento della custodia cautelare dopo l'arresto (obbligatorio) ad iniziativa della polizia giudiziaria. Il tutto in ossequio ad una impostazione che vede nel carcere (e nel carcere immediato) l'unica risposta possibile dell'ordinamento al fenomeno dell'immigrazione. La lettura dei lavori preparatori della legge n. 271/2004 conferma appieno tale conclusione. Quanto alla discussione al Senato, nella seduta in aula del 6 ottobre 2004 il relatore sen. Boscetto cosi' si espresse (cfr. resoconto stenografico): «... l'altro punto importante, riguardante un'altra sentenza della Corte costituzionale, si riferisce al fatto dell'intimazione del questore dopo la permanenza dello straniero negli appositi centri ai fini dell'identificazione. Lo straniero, infatti, decorso un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge in detti centri, subisce l'intimazione ad allontanarsi dal Paese e qualora questa intimazione non venga rispettata scattano determinate sanzioni. Si pensava che il collegare a queste sanzioni l'arresto fosse una misura congrua. La Corte costituzionale ... ha osservato che, siccome il limite di pena previsto dalla normativa di sistema e dalla normativa del codice di procedura penale non permette l'imposizione di misure coercitive, l'arresto finiva per diventare un qualcosa di ultroneo e fine a se stesso... . ....Ci sono degli emendamenti che, invece, hanno aumentato la pena mutando l'arresto in reclusione fino a quattro anni e quindi prevedendo la possibilita' di imporre da parte del magistrato misure coercitive. Questi sono gli elementi fondamentali del decreto-legge». Come si vede, manca il benche' minimo accenno ad una qualche valutazione del legislatore in ordine alla intrinseca gravita' del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, e l'attenzione appare concentrata esclusivamente sul metodo per reintrodurre la possibilita' dell'arresto in flagranza appena cancellata dalla Corte. Non diverso e' stato l'atteggiamento della Camera dei deputati. Nella seduta della Prima commissione del 26 ottobre 2004 la relatrice on. Bertolini fece presente che «E' stato complessivamente riscritto il quadro delle sanzioni previste a carico degli stranieri che non osservino l'intimazione del questore di allontanarsi dal territorio nazionale e vi permangano illegalmente, stabilendosi un aggravamento della pena ed una modifica della natura del reato, da contravvenzione a delitto, e consente, quindi, l'imposizione di quelle misure coercitive considerate dalla Corte costituzionale, vigente la precedente formulazione, irragionevoli». Si assiste qui al capovolgimento di quello che e' il fisiologico rapporto tra norme penali sostanziali e processuali: come e' noto, infatti, il punto di partenza e' rappresentato dalla gravita' della condotta illecita oggetto di repressione penale. Una volta stabiliti - con stretta corrispondenza al grado di disvalore del fatto - i livelli edittali di pena per tale condotta, l'eventuale possibilita' di provvedimenti coercitivi come l'arresto ad opera della P.G. e la successiva applicazione di misure cautelari (e cioe' strumentali alla soddisfazione delle esigenze di cui all'art. 274 c.p.p.), discendono come conseguenze automatiche in base alle norme processuali. Nella presente vicenda normativa, invece, il legislatore si e' posto come obiettivo esclusivo quello di ripristinare l'arresto ad opera della Polizia giudiziaria dello straniero inottemperante al provvedimento questorile di allontanamento, appena caducato dalla Corte costituzionale, e in vista di questo risultato ha modificato, quadruplicandola (!), la pena edittale prevista per la violazione. Non a caso nello stesso ambito parlamentare sono stati espressi orientamenti assai critici nei confronti del provvedimento di esame, dal momento che la Commissione Giustizia della Camera ha licenziato un parere (in Atti Parlamentari XIV legislatura, n. 5369-A) in cui, senza mezzi termini, si afferma che «il provvedimento, piu' che ottemperare alle esigenze richiamate dalla Corte costituzionale, sembra volerne eludere le pronunce». Occorre a questo punto aggiungere poche considerazioni (permettendocisi di rinviare, per il resto, all'ampia e condivisibile disamina contenuta nelle ordinanze, aventi lo stesso oggetto della presente, del Tribunale di Genova in data 10 dicembre 2004 e del Tribunale di Torino in data 24 febbraio 2005) circa i limiti del sindacato che alla Corte costituzionale compete sulle modalita' di esercizio del potere legislativo, limiti che la stessa Corte ha ormai piu' volte indicato, riconoscendo a se' stessa il potere di valutare se «l'opzione normativa contrasti con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell'assoluta arbitrarieta' o della manifesta irragionevolezza» (sent. n. 287, del 2001 ed altre). Ed e' proprio del fondamentale canone della ragionevolezza che la Corte costituzionale ha fatto applicazione quando, con la recentissima sentenza n. 78 del 10-18 febbraio 2005, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 33, della legge «Bossi-Fini» e dell'art. 1, comma 8, lett. c) del d.l. 195/2002 in tema di immigrazione ribadendo che «A prescindere dal rispetto di altri parametri, per essere in armonia con l'art. 3 della Costituzione la normativa deve anzitutto essere conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza». Una volta riconosciuta l'irragionevolezza dell'elevazione a quattro anni della pena detentiva per i reati di cui all'art. 14, comma 5-ter, prima parte, d.lgs. n. 286/2004 nell'attuale testo, consegue inevitabilmente l'illegittimita' della previsione dell'arresto obbligatorio (contenuta nell'attuale art. 14, comma 5-quinquies) per i medesimi reati. Cio' per le stesse argomentazioni poste dalla Corte costituzionale a fondamento della sentenza n. 223, del 2004, sintetizzabili nell'irragionevolezza di una previsione di arresto obbligatorio per una condotta che (una volta venuto meno l'inasprimento della sanzione penale) non consente l'applicazione di alcuna misura cautelare e comporta un inutile sacrificio per la liberta' personale dell'imputato (violazione degli artt. 3 e 13 Cost.).
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost., 23 e seguenti legge 11 marzo 1953, n. 87, A) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 14, comma 5-ter, prima parte, del d.lgs. n. 286/1998, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis legge n. 271/2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis; B) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., dell'art. 14, comma 5-quinquies, seconda parte, del d.lgs. n. 286/1998, come sostituito dall'art. 1, comma 6, legge 271/2004, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dello straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio di convalida sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Ordina l'immediata liberazione di Moise Anna se non detenuta per altra causa; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Torino, addi' 13 aprile 2005 Il giudice: Gallo 05c0766