N. 282 SENTENZA 7 - 15 luglio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Giudizio  di  legittimita'  costituzionale in via incidentale - Thema
  decidendum - Individuazione.
Consiglio  di Stato - Consiglieri vincitori di concorso - Trattamento
  economico  -  Attribuzione  di  benefici (art. 4, nono comma, della
  legge   n. 425/1984)   -  Previsione  con  norma  d'interpretazione
  autentica  dell'abrogazione  di  detta  disposizione  dalla data di
  entrata  in  vigore  del  D.L.  n. 333/1992,  convertito  in  legge
  n. 350/1992  -  Perdita  di  efficacia  dei  provvedimenti  e delle
  decisioni  di  autorita'  giurisdizionali  adottati  in difformita'
  dalla  predetta interpretazione - Dedotta violazione del diritto di
  difesa e del principio di tutela giurisdizionale - Asserita lesione
  della funzione del Consiglio di Stato di assicurare la tutela della
  giustizia  nell'amministrazione - Lamentata incidenza sul giudicato
  formatosi sui ricorsi straordinari al Capo dello Stato - Esclusione
  della  natura  giurisdizionale  della  decisione  su tali ricorsi -
  Qualificazione  della  stessa  come  provvedimento amministrativo -
  Perdita di efficacia di detti provvedimenti adottati in difformita'
  dalla   disposizione   come   autenticamente   interpretata  -  Non
  fondatezza della questione.
- Legge  23 dicembre  2000,  n. 388,  art. 50,  comma 4,  penultimo e
  ultimo periodo.
- Costituzione, artt. 3, 24, 100, 103 e 113.
(GU n.29 del 20-7-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 50, comma 4,
penultimo  ed  ultimo  periodo,  della legge 23 dicembre 2000, n. 388
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  -  legge  finanziaria 2001), promosso con ordinanza del
14 luglio  2004  dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul
ricorso  proposto  da Giuseppe Severini ed altri contro la Presidenza
del Consiglio dei ministri, iscritta al n. 886 del registro ordinanze
2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, 1ª
serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto l'atto di costituzione di Giuseppe Severini ed altri;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 maggio 2005 il giudice relatore
Paolo Maddalena;
    Udito  l'avvocato  Celestino  Biagini  per  Giuseppe  Severini ed
altri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  14 luglio 2004 nel corso di un
procedimento promosso da nove consiglieri di Stato per l'annullamento
della nota della Presidenza del Consiglio dei ministri del 3 febbraio
2003  che  aveva  respinto,  previo riesame, le istanze di esecuzione
delle  decisioni  del  Presidente  della  Repubblica  emesse  in data
27 settembre  1999  a seguito del ricorso straordinario, il Tribunale
amministrativo  regionale del Lazio ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3,  24,  100,  103  e  113  della Costituzione, questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 50,  comma 4,  penultimo  ed
ultimo  periodo,  della  legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni
per  la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -
legge finanziaria 2001).
    La  norma  denunciata prevede che il nono comma dell'art. 4 della
legge  6 agosto 1984, n. 425 (ai sensi del quale per il personale che
ha  conseguito  la  nomina  a  magistrato  di  Corte  d'appello  o  a
magistrato  di  corte  di cassazione a seguito del concorso per esami
previsto dalla legge 4 gennaio 1963, n. 1, e successive modificazioni
e  integrazioni,  l'anzianita'  viene  determinata  in  misura pari a
quella  riconosciuta  al  magistrato  di  pari qualifica con maggiore
anzianita'  effettiva  che  lo  segue  nel ruolo) si intende abrogato
dalla  data  di  entrata  in vigore del decreto-legge 11 luglio 1992,
n. 333,  convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 8 agosto 1992,
n. 359,  e  che perdono ogni efficacia i provvedimenti e le decisioni
di  autorita'  giurisdizionali  comunque adottati difformemente dalla
predetta  interpretazione  dopo  la  data  suindicata. In ogni caso -
prosegue  la  norma  -  non sono dovuti e non possono essere eseguiti
pagamenti sulla base dei predetti decisioni o provvedimenti.
    Riferisce  il  Tribunale  amministrativo regionale remittente che
l'oggetto  sostanziale della controversia dinanzi ad esso pendente si
identifica  nella  richiesta  degli interessati di ottenere, da parte
della  Presidenza del Consiglio dei ministri, la piena esecuzione dei
decreti del Presidente della Repubblica del 27 settembre 1999 che, in
accoglimento   dei   loro   pregressi   ricorsi  straordinari,  hanno
dichiarato    l'obbligo   dell'Amministrazione   di   determinare   i
trattamenti  economici  di  loro pertinenza alla stregua dell'art. 4,
nono  comma, della legge n. 425 del 1984, tenendo conto del superiore
trattamento  spettante  ai  colleghi  che  li seguivano nel ruolo dei
consiglieri di Stato.
    Allo   stesso  fine  dell'esecuzione  dei  predetti  decreti  del
Presidente  della  Repubblica,  gli interessati avevano in precedenza
esperito un ricorso per l'esecuzione del giudicato. Questo, peraltro,
pur avendo trovato accoglimento da parte del Consiglio di Stato (sez.
IV,  sentenza 15 dicembre 2000, n. 6695), aveva poi dato adito ad una
sentenza  di  annullamento  della  relativa  pronuncia ad opera delle
Sezioni  Unite della Corte di cassazione per difetto di giurisdizione
(sentenza 18 dicembre 2001, n. 15978).
    Circa  l'interpretazione  della  norma  denunciata,  il Tribunale
amministrativo  remittente  esclude  che  essa possa essere letta nel
senso  di  fare  comunque salvi gli effetti prodotti da decisioni del
Capo dello  Stato  ormai  immutabili. L'art. 50, comma 4, della legge
n. 388  del  2000  avrebbe  infatti una portata tale da vanificare le
decisioni giustiziali rese a suo tempo in favore dei ricorrenti.
    Secondo   il   Tribunale   amministrativo  regionale  del  Lazio,
tuttavia,   questa   norma   presterebbe   il   fianco   a  dubbi  di
costituzionalita'  in riferimento agli articoli 3, 24, 100, 103 e 113
della  Costituzione,  nella  parte  in  cui,  esplicitando la portata
retroattiva  dell'abrogazione da essa contemplata, prevede che questa
possa   travolgere  anche  posizioni  individuali  gia'  riconosciute
mediante sentenze o decisioni di ricorsi straordinari che erano ormai
divenute definitive.
    Il giudice a quo, richiamando, in particolare, la sentenza n. 525
del  2000  di  questa  Corte, ricorda che le norme di interpretazione
autentica non possono travolgere situazioni regolate da giudicato.
    La condizione giuridica del provvedimento decisorio di un ricorso
straordinario,  pur non presentandosi identica a quella propria della
sentenza,  sarebbe comunque ampiamente suscettibile di essere ad essa
raffrontata:  il  Capo dello Stato, allorche' con la decisione di sua
competenza  aderisca al parere reso nel procedimento dal Consiglio di
Stato,  coopererebbe  all'esplicazione di una funzione essenzialmente
giurisdizionale.
    Ad  avviso  del Tribunale amministrativo regionale remittente, la
decisione  del  ricorso straordinario avrebbe la funzione di definire
immutabilmente  la  lite  in regime di alternativita' nel segno della
difesa delle posizioni soggettive individuali meritevoli di tutela ai
sensi  degli  articoli 24 e 113 Cost. La tutela delle posizioni degli
amministrati  sarebbe  perseguita  nel  diritto vivente, ed assegnata
dall'ordinamento  positivo,  oltre  che  al  ricorso  giurisdizionale
amministrativo,   anche   al   ricorso   straordinario:   sicche'  le
limitazioni   che  pregiudicano  l'effettivita'  di  quest'ultimo  si
tradurrebbero nello stesso tempo in lesioni del valore costituzionale
di  cui  agli  articoli 24  e 113 Cost. (oltre a presentarsi prive di
giustificazione  razionale  anche  sotto  il profilo della parita' di
trattamento).
    Ed   anche   a  prescindere  da  ogni  parallelismo  tra  ricorsi
straordinari  e  ricorsi  giurisdizionali,  l'incisione  retroattiva,
attraverso  una  nuova  norma  di legge, di una decisione giustiziale
definitiva  presenterebbe comunque, ad avviso del remittente, profili
di  incompatibilita'  anche rispetto alla funzione costituzionale del
Consiglio   di   Stato  di  assicurare  «la  tutela  della  giustizia
nell'amministrazione» (art. 100 Cost.).
    2.  -  Nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  non e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri.
    3.  -  Si  sono  costituiti  i  ricorrenti  nel  giudizio  a quo,
concludendo,  in  via principale, per il rigetto della questione, sul
rilievo  che  l'art. 50,  comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della
legge  n. 388  del 2000 dovrebbe essere interpretato, diversamente da
quanto  prospettato  dal  remittente,  nel  senso  di  non precludere
l'esecuzione   delle   decisioni   irrevocabili,   rese   nel  regime
dell'alternativita'  dal Presidente della Repubblica, prima della sua
entrata in vigore; in subordine, per l'accoglimento della questione -
anche  con  riferimento agli articoli 28 e 97 della Costituzione - e,
dunque, per l'incostituzionalita' della norma denunciata, nella parte
in cui dispone la perdita degli effetti delle decisioni irrevocabili,
rese nel regime della alternativita' dal Presidente della Repubblica,
prima della sua entrata in vigore.
    La difesa delle parti private esclude innanzitutto che la portata
della disposizione denunciata sia nel senso di incidere sugli effetti
delle  pregresse  decisioni del Presidente della Repubblica. Una tale
interpretazione emergerebbe dai lavori preparatori, ed in particolare
dall'ordine  del  giorno approvato nella seduta del 22 dicembre 2000,
con  cui  la  Camera  -  sul  presupposto  che  «secondo  consolidata
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale sono incostituzionali le
norme  che incidano direttamente sui giudicati, anche della giustizia
amministrativa»  -  ha  impegnato  il  Governo  «a  dare applicazione
all'art. 50, comma 4, della legge finanziaria 2001 nel senso che esso
non  si  riferisce  alle  decisioni  irrevocabili  insuscettibili  di
impugnazione».
    A tale riguardo nella memoria si osserva che il testo della norma
denunciata   non  e'  cosi'  univoco  come  affermato  dal  Tribunale
amministrativo  regionale remittente, perche' esso ha tolto efficacia
alle   decisioni,   ma   non   ai   «giudicati»   o  alle  «decisioni
irrevocabili»,  sicche'  solo  qualora  vi  fosse  stato  un espresso
richiamo alla perdita di efficacia dei «giudicati» o delle «decisioni
irrevocabili»    sarebbe    stata   necessaria   una   pronuncia   di
incostituzionalita'. E tra due possibili interpretazioni della norma,
sarebbe corretta quella piu' conforme alla Costituzione e all'art. 13
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
    In  subordine,  la difesa delle parti private condivide il dubbio
di legittimita' costituzionale sollevato dal Tribunale amministrativo
regionale  del  Lazio  e  sollecita  il confronto anche con ulteriori
parametri costituzionali (gli articoli 28 e 97 della Costituzione).
    Nella memoria ci si diffonde ampiamente sull'istituto del ricorso
straordinario  e  si  afferma  che  gli  effetti  delle decisioni del
Capo dello   Stato   rese   nel   regime  della  alternativita'  sono
equiparabili a quelli delle sentenze non impugnabili. Infatti, non si
puo'  riesaminare in sede giurisdizionale la controversia gia' chiusa
e  decisa  in  sede  straordinaria.  In particolare, la decisione del
Capo dello  Stato  comporta  l'obbligo  dell'Amministrazione di darvi
«puntuale  esecuzione»;  non  puo' essere modificata o revocata dalla
stessa  autorita'  che  l'ha  emessa,  ne'  ad  istanza  di parte ne'
d'ufficio,  ed e' irretrattabile in ogni sede, anche se contrasta con
una  norma  di  interpretazione autentica, perfino antecedente, o con
una  sentenza  di  incostituzionalita'  della  normativa posta a base
della  decisione;  vincola  l'Amministrazione  allo  stesso  modo del
giudicato;  si  pone  su un piano corrispondente e parallelo a quello
della  decisione  giurisdizionale,  proprio  per la forza che ad essa
deriva dal principio di alternativita'.
    Peraltro,   al   fine   di   giungere  ad  una  dichiarazione  di
incostituzionalita',  non sarebbe necessario attribuire espressamente
natura  anche  giurisdizionale  alla  decisione del Capo dello Stato.
Basterebbe infatti rilevare come - nel regime della alternativita' ed
in base al diritto vivente - la decisione del Capo dello Stato assume
l'efficacia  del  giudicato  (art. 15  del  d.P.R.  24 novembre 1971,
n. 1199) o almeno una efficacia analoga.
    La norma denunciata, ove interpretabile nel senso prospettato dal
remittente, sarebbe viziata da eccesso di potere legislativo, perche'
avrebbe  regolato  situazioni  concrete  e  inciso  sugli  effetti di
decisioni irrevocabili.
    4. - In prossimita' dell'udienza la difesa delle parti private ha
depositato una memoria integrativa.
    In essa si precisa che gli incrementi retributivi derivanti dalle
decisioni del Capo dello Stato si fondano su una norma - abrogata con
effetto  retroattivo dalla disposizione denunciata - che dava rilievo
meritocratico  al  superamento  del  concorso,  sicche'  non dovrebbe
esservi un trattamento deteriore rispetto a coloro che hanno ottenuto
e mantengono incrementi retributivi in base al «casuale» allineamento
stipendiale   (ed   i   cui  giudicati  non  sono  stati  incisi  dal
decreto-legge    19 settembre    1992,    n. 384,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438).
    In  via  ulteriormente  subordinata  rispetto alle gia' formulate
conclusioni,   le  parti  private  chiedono  che  la  Corte  dichiari
l'illegittimita'  dell'art. 50, comma 4, della legge n. 388 del 2000,
nella  parte  in  cui  ha  disposto  la  perdita  degli effetti delle
decisioni  irrevocabili,  rese  nel  regime  della alternativita' dal
Presidente  della  Repubblica,  prima  della  sua  entrata in vigore,
anziche'  disporre che per i relativi incrementi economici si applica
il  meccanismo  del  riassorbimento  degli  scatti,  nel  corso della
progressione economica.
    5.  -  In  successive  memorie,  la  difesa  delle  parti private
sottolinea  che  la  norma denunciata avrebbe inciso sugli effetti di
decisioni irrevocabili, che hanno dato l'assetto definitivo alle liti
nell'esercizio   di  funzione  giustiziale,  ben  diversa  da  quella
dell'amministrazione     attiva;    avrebbe    soppresso    posizioni
(qualificate)   di   diritto  soggettivo  nei  confronti  di  persone
determinate;  avrebbe  alterato  l'assetto  degli  interessi,  che un
provvedimento  amministrativo  mai  avrebbe  potuto alterare; avrebbe
alterato  l'assetto definitivo della lite, ribaltando una soccombenza
affermata  in  una  sede  di  giustizia nell'amministrazione prevista
dall'art. 100 Cost.
    La  discrezionalita'  del  legislatore di vanificare le decisioni
del Capo dello Stato toglierebbe giustificazione all'alternativita' e
all'irrevocabilita',   rendendo  del  tutto  inutile  l'istituto  del
ricorso  straordinario,  mortificandone  la  funzione giustiziale. Il
primato   della  legge  non  significa  che  -  quanto  meno  per  le
determinazioni  assunte  nella sede giustiziale - possa continuamente
irrompere  una  posteriore  norma  primaria, destinata a regolare gli
stessi casi concreti.
    La  violazione dell'art. 3 della Costituzione sussisterebbe anche
perche'  l'impugnata  norma-provvedimento avrebbe turbato la certezza
del diritto e inciso sull'affidamento. Il legislatore - si sostiene -
non  potrebbe  ex  post  annientare  l'effettivita'  di un rimedio di
giustizia, le cui conseguenze giuridiche si siano gia' prodotte.
    La  norma  provvedimento  in  questione  non  sarebbe sorretta da
alcuna  apprezzabile  giustificazione  e  -  si sostiene - avrebbe un
carattere palesemente arbitrario.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La questione di legittimita' costituzionale, sollevata dal
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio  in riferimento agli
articoli 3, 24, 100, 103 e 113 della Costituzione, investe l'art. 50,
comma 4,  penultimo  ed ultimo periodo, della legge 23 dicembre 2000,
n. 388  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001).
    La  disposizione  censurata, in tema di trattamento economico dei
magistrati,  disciplina,  con una norma di interpretazione autentica,
la   portata   e   la  decorrenza  dell'abrogazione  del  nono  comma
dell'art. 4  della  legge 6 agosto 1984, n. 425, norma, quest'ultima,
ai sensi della quale per il personale che avesse conseguito la nomina
a magistrato di Corte d'appello o a magistrato di Corte di cassazione
a seguito del concorso per esami previsto dalla legge 4 gennaio 1963,
n. 1,  e successive modificazioni e integrazioni, l'anzianita' veniva
determinata  in  misura  pari  a quella riconosciuta al magistrato di
pari  qualifica  con maggiore anzianita' effettiva che lo seguiva nel
ruolo.
    La disposizione oggetto del dubbio di legittimita' costituzionale
precisa,  in  primo  luogo,  che  il citato nono comma dell'art. 4 si
intende  abrogato  dalla  data di entrata in vigore del decreto-legge
11 luglio  1992,  n. 333,  convertito, con modificazioni, dalla legge
8 agosto  1992,  n. 359,  il  quale,  con  l'art. 2,  comma 4,  aveva
soppresso  l'istituto  dell'allineamento stipendiale; prevede inoltre
che,  per  effetto  di  detta  abrogazione  con  effetto retroattivo,
perdono  ogni  efficacia  i provvedimenti e le decisioni di autorita'
giurisdizionali   comunque   adottati,   dopo   la  data  suindicata,
difformemente  dalla  predetta  interpretazione, e che, in ogni caso,
non sono dovuti e non possono essere eseguiti pagamenti sulla base di
tali decisioni o provvedimenti.
    Il  giudice  a  quo  denuncia  questa  norma  nella parte in cui,
esplicitando   la   portata   retroattiva  dell'abrogazione  da  essa
contemplata,   dispone  la  perdita  degli  effetti  delle  decisioni
irrevocabili rese nel regime dell'alternativita' dal Presidente della
Repubblica adito con ricorso straordinario ed intervenute prima della
sua entrata in vigore.
    Ad  avviso  del  Tribunale  amministrativo  regionale remittente,
l'art. 50,  comma 4,  penultimo ed ultimo periodo, della legge n. 388
del  2000,  cosi'  disponendo,  si  porrebbe  in  contrasto  con  gli
articoli 3,  24,  100,  103 e 113 della Costituzione. Premesso che le
norme  di interpretazione autentica non possono travolgere situazioni
regolate da giudicato e che la decisione del ricorso straordinario ha
la funzione di definire immutabilmente la lite nel segno della difesa
delle  posizioni  soggettive  individuali, la disposizione denunciata
pregiudicherebbe  l'effettivita' del ricorso straordinario, svuotando
la  tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi che gli
amministrati  hanno ottenuto esperendo questo rimedio giustiziale, si
presenterebbe  priva  di  giustificazione  razionale  anche  sotto il
profilo  della  parita'  di  trattamento,  ed  inoltre menomerebbe la
funzione  costituzionale  del  Consiglio  di  Stato  di assicurare la
tutela della giustizia nell'amministrazione.
    2.  -  Preliminarmente,  si  deve  precisare  che la questione va
esaminata   entro   i   limiti   del   thema  decidendum  individuati
dall'ordinanza  di  remissione.  Rimane  percio' estraneo al presente
giudizio  l'esame  della questione di legittimita' costituzionale con
riferimento  anche  agli  ulteriori  parametri  e profili prospettati
dalla  difesa  delle  parti  private costituite, in quanto, con essi,
viene  introdotto  un tema del tutto nuovo rispetto a quello devoluto
dal giudice a quo (cfr., da ultimo, sentenza n. 168 del 2005).
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    3.1.  -  L'art. 50, comma 4, della legge finanziaria per il 2001,
nei  periodi  penultimo  e ultimo, oggetto del dubbio di legittimita'
costituzionale, introduce una norma di interpretazione autentica, con
un  corollario.  La  norma  di interpretazione autentica consiste nel
riconoscimento  di un'incompatibilita' sistematica gia' realizzatasi:
il  venir  meno,  a  partire  dalla  data  di  entrata  in vigore del
decreto-legge  n. 333  del  1992,  dell'istituto  del  riallineamento
stipendiale,  riguarda  anche la norma dell'art. 4, nono comma, della
legge  n. 425  del  1984,  che  prevedeva  una  particolare  forma di
allineamento   stipendiale   per  i  magistrati  (di  appello  e)  di
cassazione   vincitori   di   concorso   per  esami,  stabilendo  che
l'anzianita'  di  questi  ultimi  fosse determinata «in misura pari a
quella  riconosciuta  al  magistrato  di  pari qualifica con maggiore
anzianita'  effettiva  che  lo  segue nel ruolo». Il corollario e' il
seguente: per effetto del riconoscimento dell'intervenuta abrogazione
ex  tunc  «perdono  ogni  efficacia i provvedimenti e le decisioni di
autorita'  giurisdizionali»  comunque  adottati  difformemente  dalla
predetta  interpretazione  dopo  la  data  di  entrata  in vigore del
decreto-legge  n. 333  del 1992, e non sono dovuti ne' possono essere
eseguiti   pagamenti   «sulla   base   dei   predetti   decisioni   o
provvedimenti».
    3.2.  -  La  riconosciuta natura effettivamente interpretativa di
una  legge  non  esclude  che  da  essa  possano  derivare violazioni
costituzionali.  Invero,  al  di  fuori della materia penale (dove il
divieto  di  retroattivita'  della  legge e' stato elevato a dignita'
costituzionale   dall'art. 25   Cost.),  l'emanazione  di  leggi  con
efficacia  retroattiva da parte del legislatore incontra una serie di
limiti che questa Corte ha da tempo individuato, e che attengono alla
salvaguardia,   tra  l'altro,  di  fondamentali  valori  di  civilta'
giuridica  posti  a tutela dei destinatari della norma e dello stesso
ordinamento,  tra  i quali vanno ricompresi il rispetto del principio
generale    di   ragionevolezza   e   di   eguaglianza,   la   tutela
dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei soggetti quale principio
connaturato  allo  Stato  di  diritto  e  il  rispetto delle funzioni
costituzionalmente   riservate  al  potere  giudiziario  (da  ultimo,
sentenze  n. 376  del  2004,  n. 291  del 2003 e n. 446 del 2002). In
particolare, al legislatore e' precluso intervenire, con norme aventi
portata  retroattiva,  «per  annullare  gli  effetti  del  giudicato»
(sentenza  n. 525  del 2000): se vi fosse un'incidenza sul giudicato,
la  legge  di interpretazione autentica non si limiterebbe a muovere,
come  ad  essa  e'  consentito,  sul  piano  delle  fonti  normative,
attraverso  la  precisazione  della regola e del modello di decisione
cui  l'esercizio  della  potesta'  di  giudicare  deve  attenersi, ma
lederebbe  i  principi  relativi ai rapporti tra potere legislativo e
potere   giurisdizionale  e  le  disposizioni  relative  alla  tutela
giurisdizionale   dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi  (cfr.
sentenze n. 374 del 2000 e n. 15 del 1995).
    Diversamente  da  quanto  ritenuto  dal  giudice remittente, deve
tuttavia   escludersi  che  la  portata  retroattiva  del  denunciato
art. 50,  comma 4, della legge n. 388 del 2000 sia tale da riguardare
e  da  porre  nel  nulla  anche  gli  effetti  di sentenze passate in
giudicato  basate  su  un'interpretazione  in ordine alla vigenza del
nono comma dell'art. 4 della legge n. 425 del 1984 difforme da quella
ora  imposta dal legislatore. La norma censurata contempla infatti la
perdita  di efficacia delle «decisioni di autorita' giurisdizionali»,
quindi  delle  decisioni  impugnate  o  impugnabili,  non  gia' delle
decisioni  irrevocabili  o  passate  in  giudicato.  Il  silenzio del
legislatore deve ritenersi significativo di un'implicita salvezza del
giudicato;   ed   in   questa   direzione  orientano  sia  il  canone
interpretativo  per cui, tra due possibili interpretazioni consentite
dalla  lettera  di una disposizione, e' corretta quella conforme alla
(o  non  contrastante  con la) Costituzione, sia i lavori preparatori
della  legge, dai quali emerge che, in sede di dibattito parlamentare
(Atti  parlamentari  -  Camera  dei  deputati, seduta del 22 dicembre
2000),  fu  escluso che la norma in corso di approvazione riguardasse
anche le sentenze coperte dal giudicato.
    3.3.  -  La  salvezza  del giudicato formatosi anteriormente alla
data  di  entrata  in vigore della legge di interpretazione autentica
non  e'  anche  la  salvezza  delle  decisioni  adottate,  nel regime
dell'alternativita',  con  decreto del Presidente della Repubblica in
sede del ricorso straordinario.
    Essendo  il  ricorso straordinario al Capo dello Stato un rimedio
per assicurare la risoluzione non giurisdizionale di una controversia
in sede amministrativa, deve escludersi che la decisione che conclude
questo procedimento amministrativo di secondo grado abbia la natura o
gli  effetti degli atti di tipo giurisdizionale. Questa Corte ha piu'
volte affermato la natura amministrativa del ricorso straordinario al
Presidente  della  Repubblica: giudicando manifestamente infondata la
questione  di  costituzionalita'  della  normativa  di  cui al d.P.R.
24 novembre  1971,  n. 1199,  concernente il ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica, prospettata per violazione, tra l'altro,
degli  articoli 76  e 77 della Costituzione, proprio sul rilievo che,
nonostante  la  peculiarita'  del  suindicato ricorso, esso rientrava
indubbiamente  tra  quelli amministrativi cui la legge di delegazione
si  riferiva  (ordinanze  n. 301  e  n. 56  del  2001;  v., altresi',
sentenza  n. 298  del  1986); ritenendo che il Consiglio di Stato, in
sede   di  parere  sul  ricorso  straordinario  al  Presidente  della
Repubblica,  opera  come  organo  non  giurisdizionale ed e' pertanto
privo   di  legittimazione  a  sollevare  questioni  di  legittimita'
costituzionale (sentenza n. 254 del 2004; ordinanza n. 357 del 2004).
    3.4.  -  La disposta perdita di efficacia dei provvedimenti (tali
dovendosi  considerare  i decreti del Presidente della Repubblica con
cui   vengono   decisi  i  ricorsi  straordinari)  comunque  adottati
difformemente  dalla interpretazione che vuole abrogato il nono comma
dell'art. 4  della legge n. 425 del 1984 sin dalla data di entrata in
vigore  del  decreto-legge  n. 333  del  1992,  non  lede i parametri
costituzionali evocati dal giudice remittente.
    Non risultano vulnerati gli articoli 24 e 113 della Costituzione,
perche'  la  garanzia costituzionale da essi prevista si riferisce al
diritto  di  agire  nella  sede  giurisdizionale  e  non  nella  sede
amministrativa   del   ricorso   straordinario  al  Presidente  della
Repubblica.
    Non  e'  violato l'art. 100 della Costituzione, che individua nel
Consiglio  di Stato l'organo di consulenza giuridico-amministrativa e
di  tutela  della  giustizia  nell'amministrazione, essendo l'atto in
esame  del  Consiglio di Stato espressione di una funzione consultiva
su cui peraltro la norma non incide.
    Non  e'  pertinente  il richiamo all'art. 103 della Costituzione,
giacche' nella presente questione di costituzionalita' non vengono in
considerazione   profili   concernenti   l'attivita'  giurisdizionale
affidata al Consiglio di Stato.
    Quanto  alla  prospettata lesione dell'art. 3 della Costituzione,
la  norma denunciata, infine, non viola l'affidamento nella sicurezza
giuridica,   perche'  il  legislatore,  in  sede  di  interpretazione
autentica,    puo'   modificare   sfavorevolmente,   in   vista   del
raggiungimento di finalita' perequative, la disciplina di determinati
trattamenti  economici con esiti privilegiati (cfr. sentenza n. 6 del
1994).
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 50,  comma 4,  penultimo  ed  ultimo  periodo,  della legge
23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale   e  pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria  2001),
sollevata,  in  riferimento agli articoli 3, 24, 100, 103 e 113 della
Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo regionale del Lazio con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                       Il redattore: Maddalena
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 15 luglio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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