N. 284 SENTENZA 7 - 15 luglio 2005

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Magistratura   -   Magistrato   volontariamente  cessato  dall'ordine
  giudiziario  a  causa  della  pendenza  di un procedimento penale -
  Successivo   proscioglimento   con  formula  piena  -  Disposizioni
  legislative  in  base  alle  quali  il  Consiglio  superiore  della
  magistratura  deve  riammettere in servizio il magistrato - Ricorso
  per  conflitto  di  attribuzione  proposto  dal Consiglio superiore
  della  magistratura  nei  confronti  del  Governo della Repubblica,
  della   Camera  dei  deputati  e  del  Senato  della  Repubblica  -
  Sollevabilita'  del conflitto avverso atto legislativo solo in caso
  di   impossibile   proposizione  della  questione  di  legittimita'
  costituzionale  nell'ambito  di un giudizio comune Possibilita' che
  le  disposizioni  nella  specie  contestate siano scrutinate in via
  incidentale - Inammissibilita' del ricorso.
- Legge  24 dicembre  2003,  n. 350,  art. 3, comma 57; d.l. 16 marzo
  2004, n. 66, convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge
  11 maggio 2004, n. 126, art. 2, comma 3.
- Costituzione, artt. 77, 97 e 105.
(GU n.29 del 20-7-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito delle disposizioni di cui all'articolo 3, comma 57,
della  legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2004),  e  all'articolo 2,  comma 3, del decreto-legge 16 marzo 2004,
n. 66  (Interventi  urgenti  per  i  pubblici  dipendenti  sospesi  o
dimessisi    dall'impiego    a    causa   di   procedimento   penale,
successivamente   conclusosi  con  proscioglimento),  convertito  con
modificazioni  dall'articolo 1  della  legge  11 maggio 2004, n. 126,
promosso  con  ricorso  del  Consiglio  superiore della magistratura,
notificato   il  23 marzo  2005,  depositato  in  cancelleria  il  31
successivo ed iscritto al n. 16 del registro conflitti 2005.
    Visti  gli  atti  di  costituzione della Camera dei deputati, del
Senato  della  Repubblica, del Presidente del consiglio dei ministri,
nonche' l'atto di intervento di Carnevale Corrado;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2005 il giudice relatore
Ugo De Siervo;
    Uditi gli avvocati Federico Sorrentino per il Consiglio superiore
della  magistratura,  Massimo  Luciani  per  la  Camera dei deputati,
Nicolo' Zanon per il Senato della Repubblica e l'avvocato dello Stato
Ignazio  Francesco  Caramazza  per  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  depositato il 13 dicembre 2004, il Consiglio
superiore  della  magistratura  -  in persona del Vice Presidente pro
tempore  - ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della
Camera  dei  deputati  e del Senato della Repubblica e, «ove occorra»
del  Governo,  in  relazione  alle  disposizioni  di  cui all'art. 3,
comma 57,  della  legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2004), e all'art. 2, comma 3, del decreto-legge 16 marzo
2004,  n. 66  (Interventi urgenti per i pubblici dipendenti sospesi o
dimessisi    dall'impiego    a    causa   di   procedimento   penale,
successivamente conclusosi con proscioglimento), convertito in legge,
con modificazioni, dall'art. 1 della legge 11 maggio 2004, n. 126.
    2.  - Secondo la ricostruzione del ricorrente, il Governo sarebbe
intervenuto in via d'urgenza sulla disciplina introdotta dall'art. 3,
comma 57,  della legge n. 350 del 2003, la quale aveva introdotto una
peculiare  tutela  risarcitoria  in forma specifica per quei pubblici
dipendenti  che  «abbiano  subito un'ingiusta sospensione o che siano
stati  indotti  ad  abbandonare  il pubblico impiego in ragione di un
procedimento   penale»   successivamente   conclusosi   con  la  loro
assoluzione.  Tuttavia,  si  osserva  nel  ricorso,  mentre la citata
disposizione  legislativa - nella formulazione originaria - demandava
la  sua  attuazione ad un regolamento, il Governo avrebbe ritenuto di
provvedere mediante il decreto-legge n. 66 del 2004.
    La  disciplina  risultante  dai  due  atti  normativi  richiamati
individuerebbe   quale   beneficiario   dell'intervento  il  pubblico
dipendente che, essendo stato sospeso dal servizio o dalla funzione e
comunque   dall'impiego,   o   avendo  chiesto  di  essere  collocato
anticipatamente  in  quiescenza  a seguito di un procedimento penale,
sia  stato  successivamente  prosciolto.  Risulterebbe,  inoltre, una
netta   diversificazione   a   seconda   che   il   provvedimento  di
proscioglimento  sia  stato  adottato  con formula assolutoria piena,
ovvero  con formule assolutorie diverse; nel primo caso il dipendente
vanterebbe   un   vero  e  proprio  diritto  soggettivo  perfetto  al
ripristino o prolungamento del rapporto d'impiego, a fronte del quale
all'amministrazione  non  residuerebbe  alcuno spazio per valutazioni
discrezionali  (art. 3,  comma 57,  della legge n. 350 del 2003); nel
secondo   caso,   sulla  domanda  dell'interessato  l'amministrazione
avrebbe  la  facolta'  di  disporre il reintegro, previo accertamento
negativo   dei   profili  di  responsabilita'  disciplinare  (art. 3,
comma 57-bis, della legge n. 350 del 2003).
    Sempre   secondo   quanto   si   riferisce  nel  ricorso,  alcuni
magistrati,  collocati  anticipatamente  in  quiescenza  a seguito di
procedimenti  penali dai quali sono poi risultati assolti con formula
piena, avrebbero presentato istanza per essere riammessi in servizio.
L'Assemblea  plenaria  del  C.S.M., nella seduta del 3 novembre 2004,
ritenendo  la  disciplina  dettata dall'art. 3, comma 57, della legge
n. 350  del  2003  e  dall'art. 2,  comma 3,  del d.l. n. 66 del 2004
lesiva  della  sfera  di  attribuzioni  garantita dall'art. 105 della
Costituzione,  ha ritenuto di sollevare conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato dinanzi a questa Corte.
    3.  -  Il  C.S.M.  lamenta  anzitutto  la  lesione  delle proprie
prerogative  di  cui  all'art. 10  della  legge 24 marzo 1958, n. 195
(Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore
della  magistratura),  in  quanto  il  Governo,  intervenendo  con un
decreto-legge  su norme concernenti l'amministrazione della giustizia
e  l'ordinamento  giudiziario,  avrebbe  impedito  che, a causa della
ristrettezza  dei  termini  per  l'emanazione  e  la  conversione del
decreto-legge,  venisse chiesto il parere del C.S.M., reso necessario
dal principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato.
    Inoltre,  il Consiglio risulterebbe esautorato delle sue funzioni
piu'   tipiche  dall'introduzione  di  un  automatico  meccanismo  di
reintegrazione   o  di  prolungamento  del  rapporto  di  lavoro  dei
magistrati, come si verificherebbe nell'ipotesi di istanza presentata
a  seguito  di  proscioglimento  con  formula  piena, dal momento che
l'organo  dovrebbe «totalmente prescindere dalla valutazione circa la
rilevanza  disciplinare  dei  fatti  che  hanno  formato  oggetto  di
procedimento   penale,  ai  fini  dell'accertamento,  in  termini  di
attualita',  della  idoneita'  e  delle attitudini del richiedente ad
esercitare nuovamente le funzioni».
    Ulteriore  lesione  delle  competenze  attribuite  al  C.S.M.  si
riscontrerebbe  nell'art. 2,  comma 3,  del  decreto-legge  n. 66 del
2004,  cosi'  come  convertito  nella  legge n. 126 del 2004, laddove
stabilisce  che  al magistrato riammesso in servizio venga conferita,
in  caso  di  anzianita'  non  inferiore  a  dodici  anni nell'ultima
funzione   esercitata,   una   funzione   di  livello  immediatamente
superiore,  anche  in  soprannumero,  previa  valutazione  della sola
anzianita'  di ruolo e delle attitudini desunte dalle ultime funzioni
esercitate  e,  nel caso di anzianita' inferiore, una funzione, anche
in soprannumero, dello stesso livello. Si osserva, al riguardo, che -
nel  caso  di domanda dell'interessato di conferimento di funzioni di
livello  superiore  -  rimarrebbe  al  C.S.M. la sola possibilita' di
assumere il provvedimento, valutando unicamente l'anzianita' di ruolo
del magistrato al momento della cessazione dal servizio, rimanendo ad
esso sottratta la valutazione discrezionale in ordine alla «idoneita'
specifica, in concreto, del magistrato a rivestire quelle determinate
funzioni in relazione al posto richiesto».
    4.  -  Quanto  all'ammissibilita'  del  conflitto di attribuzione
determinato   da   atti   legislativi,   il  ricorrente  richiama  la
giurisprudenza  di  questa Corte ed in particolare la sentenza n. 457
del  1999,  secondo la quale qualora l'atto lesivo delle attribuzioni
costituzionali  sia  un  atto legislativo, lo strumento del conflitto
sarebbe  utilizzabile  in  via  residuale  rispetto alla questione di
legittimita' costituzionale in via incidentale.
    A  quanto  si  osserva  nel ricorso, nel caso in questione non vi
sarebbe  «altro rimedio che l'elevazione del conflitto tra poteri per
tutelare  le attribuzioni», dal momento che il Consiglio non potrebbe
dare  attuazione  parziale  al  disposto  normativo provvedendo sulla
domanda di riammissione ai fini della ricostruzione del solo rapporto
di  servizio  senza  procedere  anche all'assegnazione delle funzioni
giudiziarie.   L'alternativa   possibile  consisterebbe,  secondo  il
ricorrente,  nel negare ai magistrati istanti il diritto che la legge
ha   voluto   assicurare,   attendendo   eventuali  ricorsi  in  sede
amministrativa  allo  scopo  di  sollevare  in  via  di  eccezione la
relativa  questione  di  legittimita' costituzionale; tale soluzione,
tuttavia,  sarebbe  preclusa  dal  divieto, per l'amministrazione, di
disapplicare  leggi  della cui costituzionalita' si dubita. Comunque,
la considerazione dell'astratta praticabilita' del giudizio comune al
fine  di sollevare la questione di legittimita' costituzionale in via
incidentale   farebbe   dipendere   la   tutela   delle  attribuzioni
costituzionali    del    C.S.M.    dall'eventuale   impugnativa   dei
provvedimenti  contra  legem  da  parte  degli  interessati  e  dalla
valutazione del giudice adito.
    5.  - Il ricorrente chiede, pertanto, a questa Corte di accertare
se  le attribuzioni costituzionali del C.S.M. siano lese in relazione
agli   artt. 77,  97,  105  Cost.,  nonche'  al  principio  di  leale
collaborazione,  dall'art. 3,  comma 57, della legge n. 350 del 2003,
nonche'  dall'art. 2,  comma 3,  del  decreto-legge  n. 66  del 2004,
convertito  in  legge,  con  modificazioni,  dall'art. 1  della legge
n. 126  del  2004, «nella parte in cui prevedono che il C.S.M. debba,
senza  procedere  ad  alcuna  valutazione, riammettere in servizio il
magistrato  prosciolto  in sede penale con una formula piena dopo che
questi  sia  volontariamente  cessato,  a  causa  di  tale  pendenza,
dall'ordine  giudiziario,  e  laddove stabiliscono che a questi venga
conferita,  in  casi  di  anzianita'  non  inferiore  a  dodici  anni
nell'ultima    funzione   esercitata,   una   funzione   di   livello
immediatamente superiore, previa valutazione della sola anzianita' di
ruolo e delle attitudini desunte dalle ultime funzioni esercitate, e,
nel   caso   di   anzianita'   inferiore,   una  funzione,  anche  in
soprannumero, dello stesso livello».
    Conseguentemente, il ricorrente chiede che la Corte dichiari:
        che  non  spetta  al  Parlamento, in violazione dell'art. 105
Cost.   e  del  principio  di  leale  collaborazione,  convertire  il
decreto-legge  n. 66 del 2004, contrastante a sua volta con l'art. 77
Cost., senza avere previamente assunto il parere del C.S.M., ai sensi
dell'art. 10 della legge n. 195 del 1958;
        che  non  spetta  al  Parlamento  (ne'  al Governo in sede di
approvazione   del   decreto-legge  n. 66  del  2004)  stabilire,  in
violazione  dell'art. 105  Cost., che la riammissione in servizio dei
magistrati  ordinari  prosciolti  avvenga  senza  che il C.S.M. possa
valutare  la  rilevanza  disciplinare  dei  fatti  che  hanno formato
oggetto  di  procedimento  penale  e che l'attribuzione ad essi delle
funzioni  avvenga  senza  che  il  C.S.M.  possa valutare l'idoneita'
specifica,  in  concreto, del magistrato a rivestirle in relazione al
posto richiesto;
        che  spetta invece al C.S.M., in base all'art. 105 Cost. e al
principio di leale collaborazione, fornire al Governo e al Parlamento
il  proprio  parere  in  ordine  ai  progetti  di legge in materia di
ordinamento giudiziario;
        che  spetta  al  C.S.M., ai sensi dell'art. 105 Cost., quando
disponga   la   riammissione   in  servizio  di  magistrati  ordinari
prosciolti,  valutare  la  rilevanza disciplinare dei fatti che hanno
formato  oggetto  di  procedimento penale e l'idoneita' specifica, in
concreto,  del  magistrato a rivestire quelle determinate funzioni in
relazione al posto richiesto.
    Per  gli  effetti, il C.S.M. chiede, infine, che la Corte annulli
l'art. 3,  comma 57,  della legge n. 350 del 2003, nella parte in cui
non  prevede  che  il C.S.M. abbia il potere di valutare la rilevanza
disciplinare  dei  fatti  che  hanno  formato oggetto di procedimento
penale  e  l'art. 2,  comma 3,  del  decreto-legge  n. 66  del  2004,
convertito  nella  legge  n. 126  del  2004,  nella  parte in cui non
prevede  che  il  C.S.M.  abbia  il  potere  di  valutare l'idoneita'
specifica, in concreto, del magistrato a rivestire quelle determinate
funzioni in relazione al posto richiesto.
    6.  -  Questa Corte, con ordinanza n. 116 del 2005, ha dichiarato
ammissibile  il conflitto, disponendo la notifica del ricorso e della
stessa  ordinanza  al  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, alla
Camera  dei  deputati  e  al  Senato  della  Repubblica. Il ricorso e
l'ordinanza di ammissibilita' sono stati notificati al Presidente del
Consiglio dei ministri e al Senato della Repubblica il 22 marzo 2005,
alla  Camera  dei  deputati  il 23 marzo 2005 e sono stati depositati
presso  la  cancelleria  della  Corte,  con  la  prova delle avvenute
notifiche, il 31 marzo 2005.
    7.  -  La  Camera  dei  deputati  si  e'  costituita  in giudizio
eccependo,  preliminarmente,  l'inammissibilita'  del  conflitto,  in
quanto  sollevato  in  relazione  ad  atti  legislativi asseritamente
lesivi delle attribuzioni costituzionalmente garantite.
    Poiche'  la  disciplina  delle  funzioni del C.S.M. e' coperta da
riserve  di  legge  (artt. 102,  105, 106, 107 e 108 Cost.), ritenere
ammissibile il conflitto proposto avverso la fonte costituzionalmente
necessaria  equivarrebbe  a  stravolgere  il sistema della riserva di
legge,  finendo  per  consentire  a  tutti gli organi le cui funzioni
siano  regolate  con  legge  di  dolersi del contenuto della medesima
attraverso lo strumento del conflitto.
    Verrebbe,   altresi',   alterato   il   sistema  della  giustizia
costituzionale  delineato  dalla  Carta  fondamentale, incentrato sul
giudizio  in via incidentale e nel quale la possibilita' di censurare
le leggi con strumenti diversi sarebbe circoscritta a casi limite.
    E'  ben  vero,  riconosce  la  difesa  della Camera, che la Corte
costituzionale,  nelle  sentenze n. 457 del 1999 e n. 221 del 2002 ha
ammesso  il  conflitto  di  attribuzione  avente  ad  oggetto un atto
legislativo;  tuttavia  la fattispecie oggetto del presente conflitto
sarebbe  del  tutto  diversa  da quelle considerate in tali sentenze.
Mentre  nelle  pronunce  richiamate  la  ricorrente  Corte  dei conti
lamentava la sottrazione di alcune delle proprie competenze, nel caso
in  esame,  invece,  si  avrebbe  una  «semplice  regolazione  di una
competenza  comunque  appartenente  al C.S.M.». Pertanto, nelle prime
due  fattispecie  l'instaurazione  di un giudizio incidentale sarebbe
stata   difficile  o  impossibile  mancando  una  competenza  il  cui
esercizio   fosse   contestabile   in   sede  giurisdizionale;  nella
fattispecie  in  esame,  invece, la competenza ci sarebbe e dunque il
suo    esercizio   ben   potrebbe   essere   oggetto   di   sindacato
giurisdizionale  nel  quale  sarebbe possibile sollevare la questione
incidentale di legittimita' costituzionale.
    Fuori  delle  ipotesi  individuate  nelle pronunce richiamate, il
conflitto di attribuzione non potrebbe essere prospettato contro atti
legislativi,   se   non  nei  casi  puntualmente  identificati  dalla
giurisprudenza,   e   cioe'   contro   atti  che  comprimano  diritti
fondamentali   e   ne  determinino  un  pregiudizio  irreversibile  e
insanabile,  cosi'  come  chiarito  nella  sentenza n. 161 del 1995 e
nell'ordinanza  n. 73  del  1997  di  questa Corte; e a cio' dovrebbe
aggiungersi  che,  per  quanto  attiene  al  C.S.M.,  vi  sarebbe una
precedente  pronuncia  in  termini  con  cui  la  Corte ha dichiarato
l'inammissibilita'  di  un  conflitto  identico  a  quello  in  esame
(ordinanza n. 480 del 1995).
    In   ogni   caso,   secondo   la  difesa  della  Camera,  sarebbe
inammissibile   la   censura   relativa   alla   pretesa   violazione
dell'art. 97   Cost.,  dal  momento  che  in  sede  di  conflitto  di
attribuzione  non  potrebbe  essere  lamentata la violazione di norme
diverse   da  quelle  che  definiscono  l'ambito  delle  attribuzioni
riconosciute dalla Costituzione al ricorrente.
    Infondate  sarebbero  poi le censure con cui il C.S.M. lamenta la
violazione  dell'art. 10  della legge n. 195 del 1958, in conseguenza
della  mancata acquisizione del parere del Consiglio medesimo ai fini
della adozione della legge di conversione del decreto-legge n. 66 del
2004. Innanzitutto, osserva la Camera, detto parere sarebbe meramente
facoltativo  e  non gia' obbligatorio, come sostenuto dal ricorrente.
Inoltre,  esso non sarebbe previsto dalla Costituzione, bensi' da una
legge  ordinaria,  e questa non potrebbe condizionare il procedimento
di  formazione  delle  leggi  disciplinato dagli artt. 70 e ss. della
Costituzione e dai regolamenti parlamentari.
    Ne'   la  necessita'  dell'acquisizione  del  parere  del  C.S.M.
potrebbe  desumersi  dal  principio di leale collaborazione, il quale
non  sarebbe invocabile in relazione alla funzione legislativa, anche
tenuto  conto  del fatto che tale principio opera solo rispetto ad un
procedimento nel quale partecipino soggetti diversi, mentre il C.S.M.
non parteciperebbe in alcun modo al procedimento legislativo.
    Peraltro,  anche  con  riguardo al C.N.E.L. che, a differenza del
C.S.M.,  e'  espressamente qualificato dall'art. 99 Cost. come organo
di  consulenza  delle  Camere  e del Governo, la Corte avrebbe negato
l'obbligatorieta'  dei suoi pareri ai fini della adozione di leggi in
materie di rilevanza economica e sociale (sentenza n. 44 del 1966).
    Infondata  sarebbe altresi' la censura secondo cui la adozione di
un  decreto-legge avrebbe leso le prerogative del C.S.M. impedendogli
di  rendere il parere di cui all'art. 10 della legge n. 195 del 1958;
infatti,  l'art. 14  del  regolamento  del  C.S.M.  prevederebbe  una
procedura  d'urgenza  e,  in concreto, il Consiglio in piu' occasioni
avrebbe espresso il proprio parere su decreti legge.
    Inoltre,  la  disciplina  di  profili  attinenti  all'ordinamento
giudiziario  mediante  la  decretazione d'urgenza non solo sarebbe da
ritenere  pienamente  ammissibile  (sentenza  n. 184 del 1974), ma di
essa,  nella specie, sussistevano tutti i presupposti, dovendosi dare
sollecita  attuazione  alle  guarentigie  previste  dall'art. 3 della
legge n. 350 del 2003, attraverso le quali si sarebbe inteso tutelare
il  diritto  al lavoro assicurando una sorta di risarcimento in forma
specifica   per   i  dipendenti  che  avessero  subito  una  ingiusta
sospensione dal lavoro o una cessazione dal medesimo.
    Infondata  sarebbe,  inoltre,  la doglianza relativa alla lesione
delle prerogative del C.S.M. assicurate dall'art. 105 Cost. a seguito
della  limitazione  della discrezionalita' nel valutare la domanda di
riassunzione dei magistrati.
    Innanzitutto, la Costituzione rinvia alla legge la disciplina dei
poteri  del Consiglio e la riserva di legge costituirebbe la migliore
e   piu'   efficace  garanzia  dell'autonomia  e  indipendenza  della
magistratura.  Peraltro,  questa Corte avrebbe gia' chiarito che tale
riserva  deve  intendersi  rispettata allorche' il legislatore enunci
criteri   sufficientemente   precisi,   in   grado  di  orientare  la
discrezionalita'  dell'organo decidente (sentenza n. 72 del 1991). In
sostanza,  sarebbe la legge a definire i poteri del C.S.M., lasciando
un  margine di apprezzamento discrezionale, e sarebbe ancora la legge
a  definire  e  garantire  l'interesse  generale.  In  ogni  caso, la
limitazione,   ad  opera  delle  norme  denunciate,  dei  poteri  del
Consiglio  si  giustificherebbe in ragione della adozione di speciali
strumenti di tutela dei diritti fondamentali dei singoli.
    Quanto  alla lamentata lesione delle prerogative del ricorrente a
far  valere  eventuali  profili  di  responsabilita' disciplinare, la
difesa  della Camera ritiene tale censura innanzitutto inammissibile,
sia  in  quanto  le  prerogative  in  materia  di azione disciplinare
spetterebbero  a  soggetti  diversi  dal Consiglio, sia in quanto, in
tale  materia, la facolta' di promuovere il conflitto di attribuzione
spetterebbe  non  al  Consiglio  nella sua collegialita', ma alla sua
sezione disciplinare.
    La  censura sarebbe comunque infondata, dal momento che la scelta
legislativa  sarebbe  non solo ragionevole, ma anche doverosa, tenuto
conto  della  ingiustizia  che  il  magistrato avrebbe subito essendo
stato  sottoposto  a  procedimento  penale  dal  quale  e'  stato poi
assolto.  La previsione della riammissione in servizio avrebbe dunque
valore di risarcimento in forma specifica del danno subito.
    La lamentata lesione delle attribuzioni costituzionali del C.S.M.
in   forza   della  compressione  del  suo  potere  di  apprezzamento
discrezionale   nel   decidere   sulla   domanda  del  magistrato  di
riammissione  in  servizio  in una funzione immediatamente superiore,
sarebbe  inammissibile,  dal momento che, in tal modo, il Consiglio -
chiamato  ad  adottare provvedimenti amministrativi - censurerebbe la
legge  che  delimita la sua discrezionalita' nell'adozione degli atti
amministrativi   medesimi.  La  previsione  legislativa  non  sarebbe
comunque  irragionevole,  dal  momento  che  il C.S.M. manterrebbe il
potere  di  valutare  le  attitudini del magistrato desumendole dalle
funzioni  gia'  esercitate  e cio' si giustificherebbe in quanto solo
con  riferimento  a  tali  funzioni sarebbe possibile la valutazione,
essendosi il rapporto di lavoro successivamente interrotto.
    8.  -  Anche  il  Senato  della  Repubblica  si  e' costituito in
giudizio  eccependo  preliminarmente l'inammissibilita' del conflitto
in quanto proposto nei confronti di una legge.
    Rileva innanzitutto la difesa del Senato che una decisione di tal
genere   non   sarebbe  preclusa  dall'ordinanza  con  cui  e'  stato
dichiarato  ammissibile  il  conflitto,  trattandosi di una pronuncia
emessa in limine litis.
    In  particolare,  non ricorrerebbe nella fattispecie uno dei casi
particolari  in  cui la Corte ha ammesso il conflitto di attribuzione
in  relazione  ad atti legislativi e mancherebbe quel requisito della
residualita'  del  medesimo  in forza del quale il conflitto dovrebbe
escludersi  nei  casi  in cui la legge da cui deriva la lesione delle
competenze  sia  denunciabile  dal  soggetto interessato nel giudizio
incidentale.
    Nel   caso   di   specie  un  tale  giudizio  sarebbe  pienamente
configurabile.   Il   C.S.M.,   infatti,   non   si  sarebbe  trovato
nell'alternativa  indicata  nel ricorso tra applicare la legge ovvero
disapplicarla,  ma avrebbe potuto darne un'interpretazione conforme a
Costituzione  (secondo  la propria prospettazione) e, enfatizzando il
profilo  della  previa  valutazione  delle attitudini, avrebbe potuto
negare,  in  ipotesi,  il ripristino del rapporto di servizio. A cio'
sarebbe  seguito  un  giudizio  amministrativo nel quale il Consiglio
avrebbe  potuto  prospettare  la  propria  lettura  delle norme e, in
subordine, eccepirne l'incostituzionalita'.
    Il  Senato  rileva  inoltre l'anomalia di un conflitto con cui si
chiede  alla  Corte un controllo astratto di costituzionalita' di una
legge, nonche' la pronuncia di sentenze di annullamento additive.
    Nel  merito,  il  ricorso  sarebbe infondato. Le riserve di legge
previste  dalla  Costituzione  in  materia di ordinamento giudiziario
(art. 108)  e  in materia di poteri del C.S.M. (art. 105), siano esse
da  intendere  come assolute, ovvero come relative, farebbero si' che
sia  pur  sempre  la  legge  a  stabilire  i  criteri cui deve essere
ancorato l'esercizio della discrezionalita' del Consiglio.
    Invece,  ad  avviso  della  difesa  del  Senato,  il  ricorso  si
baserebbe  sulla  pretesa del C.S.M. di sovrapporre le proprie scelte
discrezionali a quelle legislative.
    Peraltro,   la   disciplina   legislativa   sarebbe   del   tutto
ragionevole.  Per  i  magistrati che siano stati assolti nel giudizio
penale  con  formula  «non  piena»,  il  Consiglio  avrebbe  solo una
facolta'   di   ripristinare  il  rapporto  di  impiego,  nonche'  la
possibilita'  di  verificare se risultino elementi di responsabilita'
disciplinare  o  contabile.  Nel  caso  di  assoluzione  con  formula
«piena»,   vi   sarebbe   invece  l'obbligo  della  riassunzione  del
magistrato  e  sarebbe esclusa l'autonoma valutazione della rilevanza
disciplinare dei fatti che hanno formato oggetto del giudizio penale.
In  sostanza,  il  legislatore  avrebbe differenziato le due ipotesi,
bilanciando  diversamente  i  valori  in gioco, da un lato, i diritti
soggettivi  e  gli  interessi  legittimi dell'istante, dall'altro, il
prestigio   e   la   considerazione   di  cui  deve  godere  l'ordine
giudiziario.
    Infondata  sarebbe,  comunque,  l'asserita  sottrazione di poteri
valutativi  circa  la  rilevanza  disciplinare  dei fatti oggetto del
processo penale, dal momento che dopo la riammissione in servizio, il
magistrato    ben   potrebbe   essere   sottoposto   a   procedimento
disciplinare, ricorrendone le condizioni.
    Inoltre,  a  differenza di quanto sostenuto nel ricorso, la legge
n. 350  del 2003 e il decreto-legge n. 66 del 2004 non escluderebbero
il  potere  del  Consiglio  di  valutare  l'idoneita' specifica ed in
concreto del magistrato a rivestire le funzioni in relazione al posto
richiesto,  essendo  anzi  espressamente  previsto che debbano essere
valutate   le   sue  attitudini  desunte  dalle  funzioni  da  ultimo
esercitate.
    Sostiene,  ancora,  il  Senato  che  non spetterebbe al C.S.M. un
potere  di consultazione preventiva su tutte le materie che attengono
all'ordinamento  giudiziario: esso contrasterebbe con il procedimento
costituzionalmente  previsto di approvazione delle leggi, nell'ambito
del   quale  neppure  sarebbe  ipotizzabile  un  principio  di  leale
collaborazione.    Inoltre,    destinatario   del   parere   previsto
dall'art. 10  della  legge  n. 195 del 1958 sarebbe il Ministro della
giustizia e non il Parlamento.
    9.  -  Anche  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri si e'
costituto   in   giudizio,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato, deducendo «l'inammissibilita' del ricorso per
conflitto contro il Governo per difetto di legittimazione passiva».
    Il  conflitto, infatti, sarebbe sorto a seguito della adozione di
normativa  primaria  da  parte  del Parlamento cui il Governo avrebbe
partecipato  solo  in  via  parziale  e  temporanea, cioe' attraverso
l'adozione  di  un  decreto-legge,  destinato  tuttavia, come tale, a
«tramutarsi» in legge. Pertanto, a seguito della conversione in legge
del  suddetto  decreto, la legittimazione passiva del Governo sarebbe
venuta meno retroattivamente.
    Comunque,   la   funzione   consultiva   del   C.S.M.,   prevista
dall'art. 10  della  legge  n. 195  del  1958  di  cui  si afferma la
lesione, sarebbe estranea all'esercizio dell'autogoverno.
    10.  -  In prossimita' della data fissata per l'udienza pubblica,
il  C.S.M.  ha  depositato  una  memoria  nella  quale  replica  alle
eccezioni sollevate dalla Camera e dal Senato.
    Con  riguardo  al  profilo della ammissibilita' del conflitto, il
ricorrente  osserva  che, in base alla giurisprudenza costituzionale,
mentre  il  conflitto  di  attribuzione  su  norma  di  legge sarebbe
strumento   di   difesa   delle   attribuzioni   del  ricorrente,  la
proposizione  della  questione di legittimita' costituzionale sarebbe
un  generale  e  oggettivo mezzo di controllo della costituzionalita'
delle  leggi, nel quale la norma sarebbe «scrutinata in base alla sua
conformita' a qualunque parametro costituzionale».
    Lo  strumento  del  conflitto  di  attribuzione  sarebbe  percio'
inutilizzabile  allorche'  il potere dello Stato, che si assume leso,
abbia  la  possibilita' di ricorrere davanti al giudice contro l'atto
applicativo   della   norma   che   ritiene  invasiva  delle  proprie
attribuzioni,  in quanto in tal caso otterrebbe uno scrutinio «ampio»
ed   «una   piu'   completa  soddisfazione  della  propria  pretesa».
Viceversa,  quando non vi sia un atto applicativo della norma lesiva,
o  quando  esso  non  sia  impugnabile da parte dello stesso organo o
soggetto  che  si  afferma  leso, non sarebbe configurabile un idoneo
giudizio.
    Nel  caso  in  esame, l'ammissibilita' del conflitto proposto dal
C.S.M. discenderebbe dall'obbligo imposto dalla legge di «riammettere
in  servizio,  assegnando  loro  le  relative funzioni» i magistrati,
obbligo    che   determinerebbe   la   lesione   delle   attribuzioni
costituzionali  del  ricorrente,  anche  indipendentemente  dalla sua
esecuzione.
    Inconsistente  sarebbe  poi  l'eccezione  di inammissibilita' del
ricorso  fondata sulla esistenza di una riserva di legge, posta dalla
Costituzione,  in  ordine  alla disciplina delle funzioni del C.S.M..
Tale  riserva,  infatti, non escluderebbe la sanzionabilita' da parte
della  Corte  in sede di conflitto della «esorbitanza della legge dai
propri limiti costituzionali».
    Infondata   sarebbe,   altresi',   l'eccezione   secondo  cui  la
legittimazione  a  sollevare  il  conflitto  spetterebbe alla sezione
disciplinare  del Consiglio e non gia' al plenum, dal momento che, se
e'  vero  che  la  Corte  ha  riconosciuto  che  tale  sezione  possa
promuovere  direttamente  il  conflitto  avverso  atti che ostacolano
l'esercizio  del  potere disciplinare ad essa attribuito dalla legge,
cio'  peraltro  non  escluderebbe  che  la  funzione disciplinare sia
attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio, che potrebbe
pertanto rivendicarne la titolarita'.
    Il   ricorrente,  inoltre,  precisa  che  oggetto  della  propria
contestazione  e'  che la legge escluda la possibilita' per il C.S.M.
di   «valutare   sotto   il   profilo  disciplinare,  ai  fini  della
assegnazione  delle  funzioni  ai  magistrati cessati dal servizio, i
medesimi   fatti   che   furono  oggetto  del  giudizio  penale»;  di
conseguenza, unico organo legittimato a proporre il conflitto sarebbe
il plenum.
    Nel  merito,  la difesa del C.S.M. ritiene che l'esistenza di una
riserva  di legge non escluda affatto la discrezionalita' dell'organo
di  autogoverno  della magistratura ma che semplicemente la delimiti.
Tale    conclusione    sarebbe   coerente   con   la   giurisprudenza
costituzionale,  secondo  la  quale  detta riserva non comporta che i
criteri  fissati  dal legislatore siano cosi' analitici e dettagliati
da  rendere  vincolate  le scelte del Consiglio. Viceversa, l'art. 3,
comma 57,  della  legge  n. 350  del  2003  avrebbe escluso qualsiasi
discrezionalita'  del  C.S.M.,  privandolo  di  ogni  possibilita' di
apprezzamento e di valutazione nelle scelte concernenti le competenze
attribuitegli dall'art. 105 Cost.
    Sostiene,   poi,  il  ricorrente  che,  a  differenza  di  quanto
prospettato   dalla   difesa   del  Senato,  non  sarebbe  esperibile
un'interpretazione  adeguatrice delle disposizioni in esame. Infatti,
la  diversa  disciplina  dettata  dall'art. 3,  comma 57, della legge
n. 350  del 2003 per i magistrati assolti con formula piena, rispetto
alla disciplina prevista dal comma 57-bis dello stesso articolo per i
magistrati  assolti  con  formule  diverse  -  per  i  quali  sarebbe
espressamente  consentito all'amministrazione di valutare elementi di
responsabilita'  disciplinare  e contabile - renderebbe evidente che,
nel  primo  caso,  la  responsabilita'  disciplinare  e contabile non
potrebbe essere valutata.
    Il  ricorrente  lamenta,  ancora,  che  la delimitazione, ai fini
della assegnazione delle funzioni, delle valutazioni che il Consiglio
potrebbe  effettuare  precluderebbe  l'accertamento  delle attitudini
effettive  ed  attuali  in  relazione allo svolgimento delle funzioni
richieste, in tal modo sottraendo al C.S.M. «il proprium delle scelte
in  materia di promozione dei magistrati, in contrasto con l'art. 105
Cost.».
    Per   quanto  attiene,  infine,  alla  lamentata  violazione  del
principio  di  leale  collaborazione,  in  riferimento  alla  mancata
acquisizione  del  parere  del  C.S.M.,  il  ricorrente  precisa che,
trattandosi  appunto  dell'invocazione di un «principio» e non di una
«regola»,  essa  ben  potrebbe coesistere con le norme concernenti il
procedimento di formazione delle leggi.
    11.  -  Nella  memoria  depositata in prossimita' dell'udienza il
Senato  ribadisce  l'inammissibilita'  del  conflitto  sollevato  dal
C.S.M., sostenendo che esso darebbe luogo ad una anomala impugnazione
diretta  della  legge,  pur essendo facilmente attivabile un giudizio
incidentale. Oltre all'ipotesi indicata nell'atto di costituzione, la
difesa  del Senato ritiene che un tale giudizio sarebbe configurabile
anche  nel  caso  in  cui  il  Consiglio  disattenda semplicemente la
domanda  del  magistrato che si trovi nelle condizioni previste dalla
legge,   ovvero  nel  caso  in  cui  un  magistrato  che  si  ritenga
«scavalcato»  impugni il provvedimento che attribuisce la funzione al
soggetto istante.
    Il conflitto sarebbe inammissibile in quanto sollevato avverso un
atto legislativo anche perche', diversamente opinando, si arriverebbe
alla  conseguenza  inaccettabile  di  istituzionalizzare  una  corsia
preferenziale  in favore del C.S.M. per impugnare le leggi sospettate
di incostituzionalita'.
    Seguendo  la prospettazione del ricorrente, secondo il Senato, si
determinerebbe,   altresi',   una  alterazione  del  procedimento  di
formazione  delle  leggi  in materia di giustizia, dal momento che si
renderebbe  partecipe  necessario il Consiglio, in tal modo alterando
anche  il  principio  di  separazione  dei  poteri dello Stato per lo
spazio  pervasivo che verrebbe riconosciuto ad un organo che dovrebbe
invece   occuparsi   degli   aspetti  amministrativi  della  gestione
dell'ordine giudiziario.
    Nella  memoria  si ribadisce, poi, l'inesistenza di un potere del
C.S.M.  di rendere pareri direttamente al Parlamento, dal momento che
destinatario  di  essi  sarebbe,  ai  sensi  dell'art. 10 della legge
n. 195  del  1958, il Ministro della giustizia. Da cio' discenderebbe
l'assenza  di  qualunque  rapporto  tra  Consiglio  e Parlamento e la
conseguente  impossibilita'  di  invocare  in materia il principio di
leale collaborazione.
    Un  rapporto  diretto  tra  Parlamento  e  Consiglio  non sarebbe
configurabile neppure con riguardo alla relazione al Parlamento sullo
stato  della giustizia, prevista dall'art. 28 del regolamento interno
del  C.S.M.,  in  quanto,  in  realta',  destinatario  della medesima
sarebbe  il  Ministro  della  giustizia  che  se  ne  servirebbe  per
«affinare  ed  integrare  la  propria relazione alle Camere». Neppure
darebbe  luogo  ad  un  rapporto  giuridico  la  previsione contenuta
nell'art. 13  del  medesimo regolamento in merito a eventuali udienze
conoscitive  del Parlamento o comunque in merito a richieste circa il
funzionamento  della giustizia, dal momento che si tratterebbe di una
norma   interna   che   non   troverebbe  riscontro  nei  regolamenti
parlamentari.
    Inammissibile   sarebbe,   poi,   la   lamentata   lesione  delle
prerogative  del  C.S.M.  conseguente alla scelta di non dare rilievo
disciplinare ai fatti oggetto del giudizio penale, dal momento che il
Consiglio   non   sarebbe   titolare   dell'iniziativa  disciplinare.
Comunque,  il legislatore, esercitando in modo ragionevole la propria
discrezionalita', avrebbe deciso che il procedimento disciplinare non
possa essere attivato ai fini della valutazione della riassunzione in
servizio.
    Anche  ove si interpretassero le disposizioni censurate nel senso
di  escludere una valutazione sulla rilevanza disciplinare dei fatti,
oggetto  del  procedimento  penale,  autonoma  ed  indipendente dalla
apertura  di un vero procedimento disciplinare, e dunque solo al fine
di valutare l'opportunita' della riassunzione in servizio, le censure
sarebbero infondate. In sostanza, infatti, il Consiglio pretenderebbe
di valutare la rilevanza disciplinare di un comportamento in presenza
di una legge che stabilisce che tale rilevanza non c'e', allorche' vi
sia  stata  assoluzione  con formula «piena». Inoltre, la pretesa del
ricorrente   porterebbe   a   configurare   una   sorta  di  sanzione
disciplinare  atipica e anomala, «consistente nel mancato reintegro»,
irrogata in assenza di un'iniziativa disciplinare vera e propria e al
di fuori delle regole del procedimento disciplinare.
    In   ogni   caso,   la  materia  disciplinare,  con  riguardo  ai
magistrati,  sarebbe  coperta  da  riserva  di  legge  e, nel caso di
specie,  la legge n. 350 del 2003 e il decreto-legge n. 66 del 2004 -
nell'escludere  che possa essere valutato il rilievo disciplinare dei
fatti  oggetto  del  giudizio  penale,  ai fini della riammissione in
servizio  -  avrebbero  effettuato una tipizzazione in negativo degli
illeciti disciplinari.
    Infine,  le disposizioni legislative in esame avrebbero apportato
solo  limitate  deroghe  alla  disciplina generale vigente in tema di
assegnazione  di  funzioni  e  progressione in carriera, deroghe che,
oltre  ad essere giustificate dallo scopo risarcitorio che ne sarebbe
alla base, non lederebbero le attribuzioni costituzionali del C.S.M.,
il  quale  dovrebbe  comunque  valutare  la  specifica  idoneita' del
magistrato  a  rivestire  le  funzioni  richieste, senza che la legge
imponga al Consiglio una scelta vincolata.
    12.  -  L'Avvocatura  dello  Stato,  nella  memoria presentata in
prossimita'  dell'udienza,  ribadisce  il  difetto  di legittimazione
passiva del Governo in ordine al conflitto proposto dal C.S.M.
    Cio'  impedirebbe, altresi', qualsiasi contestazione attinente al
procedimento  di  formazione  del  decreto  con riguardo alla mancata
assunzione  del  parere  del  C.S.M.  da  parte  del  Ministro  della
giustizia,  parere  che  -  peraltro  - sarebbe previsto dall'art. 10
della  legge  n. 195  del  1958  soltanto in relazione ai «disegni di
legge»  concernenti  l'ordinamento  giudiziario,  e  «non  anche  con
riguardo   ai  provvedimenti  aventi  forza  di  legge  adottati  dal
Governo».
    Peraltro,  secondo  la  difesa  del  Presidente del Consiglio dei
ministri,  sussistevano nella fattispecie i presupposti di necessita'
ed  urgenza  per  l'emanazione  del  decreto-legge  n. 66 del 2004, a
seguito   della   scadenza   del   termine  originariamente  previsto
dall'art. 3, comma 57, della legge n. 350 del 2003 per l'adozione del
regolamento   attuativo   volto   a   rendere   operativa  la  tutela
risarcitoria in forma specifica prevista da detta disposizione.
    Infine,  ad  avviso  dell'Avvocatura  dello  Stato,  la  funzione
consultiva   invocata  dal  ricorrente  avrebbe  carattere  meramente
facoltativo.
    13.  -  Anche la Camera dei deputati ha depositato una memoria in
prossimita'     dell'udienza,     riproponendo     l'eccezione     di
inammissibilita'   del   conflitto   in   quanto   concernente   atto
legislativo,  dal  momento  che  l'esperibilita'  di  tale  strumento
sarebbe  condizionata  alla impossibilita' di attivare il rimedio del
giudizio incidentale.
    Il  ricorso  sarebbe, altresi', inammissibile, in quanto con esso
si  chiede  alla  Corte  una  pronuncia  additiva,  mentre  una  tale
pronuncia  non  e' prevista nell'ambito del giudizio per conflitto di
attribuzione,   il   quale  e'  volto  a  dichiarare  l'ordine  delle
attribuzioni   ed  eventualmente  ad  annullare  l'atto  adottato  in
violazione di quell'ordine e non gia' a dichiararlo incostituzionale.
    In  ogni  caso, anche in relazione alle questioni incidentali, le
pronunce  additive sarebbero ammissibili solo nel caso in cui fossero
a  «rime  obbligate»,  mentre  nell'ipotesi  in esame esisterebbe una
pluralita' di opzioni alternative.
    Quanto  alla  censura  concernente la violazione del principio di
leale   collaborazione,   la   Camera   osserva   che   essa  sarebbe
inammissibile  in  quanto  priva del petitum, dal momento che ad essa
avrebbe   dovuto   fare   seguito  la  domanda  di  annullamento  del
decreto-legge  n. 66  del 2004 e della relativa legge di conversione.
Ulteriore profilo di inammissibilita' di tale censura deriverebbe dal
fatto  che  nella  delibera  del  C.S.M. relativa al promovimento del
conflitto non vi sarebbe alcun riferimento ad essa.
    In  relazione  al  merito  del  ricorso,  la  difesa della Camera
sostiene   che  la  normativa  in  questione  darebbe  «attuazione  a
fondamentali   esigenze   costituzionali  di  giustizia»  riguardando
soggetti  che  sarebbero  stati  lesi,  nel  diritto al lavoro e alla
onorabilita'  della  propria figura professionale, dal semplice fatto
dell'assoggettamento a procedimento penale.
    14.  -  In  data  24  giugno 2005,  e  pertanto fuori termine, ha
depositato   atto   d'intervento   ad  opponendum  il  dott.  Corrado
Carnevale,  concludendo per l'ammissibilita' del conflitto, ma per la
sua infondatezza nel merito.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Consiglio superiore della magistratura ha sollevato il
presente  conflitto  lamentando la lesione delle proprie attribuzioni
costituzionali, in relazione agli artt. 77, 97, 105 Cost., nonche' al
principio  di  leale  collaborazione, ad opera dell'art. 3, comma 57,
della  legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2004), nonche' dell'art. 2, comma 3, del decreto-legge 16 marzo 2004,
n. 66  (Interventi  urgenti  per  i  pubblici  dipendenti  sospesi  o
dimessisi    dall'impiego    a    causa   di   procedimento   penale,
successivamente conclusosi con proscioglimento), convertito in legge,
con  modificazioni,  dall'art. 1  della legge 11 maggio 2004, n. 126,
«nella parte in cui prevedono che il C.S.M. debba, senza procedere ad
alcuna  valutazione, riammettere in servizio il magistrato prosciolto
in   sede   penale   con  una  formula  piena  dopo  che  questi  sia
volontariamente  cessato,  a  causa  di  tale  pendenza,  dall'ordine
giudiziario,  e laddove stabiliscono che a questi venga conferita, in
casi  di  anzianita' non inferiore a dodici anni nell'ultima funzione
esercitata,  una funzione di livello immediatamente superiore, previa
valutazione della sola anzianita' di ruolo e delle attitudini desunte
dalle   ultime   funzioni  esercitate,  e,  nel  caso  di  anzianita'
inferiore,   una   funzione,  anche  in  soprannumero,  dello  stesso
livello».
    2. - Il ricorso per conflitto di attribuzione e' inammissibile.
    3.  -  Nell'ordinanza  n. 116  del 2005, a conclusione della fase
preliminare  di delibazione in punto di ammissibilita' del conflitto,
questa  Corte  ha  esplicitamente affermato che «solo in seguito alla
piena  esplicazione del contraddittorio», in particolare sul problema
dell'«idoneita'  di  atti  aventi  natura  legislativa  a determinare
conflitto», avrebbe potuto «adottarsi una decisione definitiva».
    A  seguito dell'instaurazione del giudizio a cognizione piena nel
contraddittorio  di  tutte  le  parti  coinvolte,  e'  ora  possibile
pronunciarsi definitivamente sul punto.
    Secondo  la piu' recente giurisprudenza di questa Corte (sentenza
n. 457  del  1999),  l'ammissibilita'  del conflitto tra poteri dello
Stato non puo' essere negata sulla sola base della natura legislativa
degli  atti ai quali venga ascritta, dal ricorrente, la lesione delle
attribuzioni  costituzionali  in  gioco. Deve, peraltro, «escludersi,
nella  normalita'  dei  casi,  l'esperibilita' del conflitto tutte le
volte  che la legge, dalla quale, in ipotesi, deriva la lesione delle
competenze,  sia  denunciabile  dal soggetto interessato nel giudizio
incidentale» (cfr., al riguardo, anche sent. n. 221 del 2002).
    Questi  principi  hanno trovato ulteriore conferma nell'ordinanza
n. 343  del  2003,  la'  dove  si e' riconosciuto che il conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  e'  configurabile  anche  in
relazione  ad atti di rango legislativo «ove da essi possano derivare
lesioni  dirette  all'ordine costituzionale delle competenze, ma solo
nel  caso  in  cui  non  esista  un giudizio nel quale questi debbano
trovare  applicazione e quindi possa essere sollevata la questione di
legittimita' costituzionale in via incidentale».
    Non  sussistendo  alcuna  valida  ragione per discostarsi da tale
orientamento,  ne' essendo emersi elementi in tal senso nel corso del
giudizio,   deve  essere  ribadito  che  il  conflitto  avverso  atto
legislativo e' sollevabile, di norma, da un potere dello Stato solo a
condizione  che  non sussista la possibilita', almeno in astratto, di
attivare   il   rimedio   della   proposizione   della  questione  di
legittimita' costituzionale nell'ambito di un giudizio comune.
    Nel caso di specie, e' determinante la circostanza che il C.S.M.,
nel corso di uno dei giudizi comuni che possono essere attivati dagli
interessati  a  seguito  dell'adozione, da parte dello stesso C.S.M.,
dei  provvedimenti  regolati  dalle  norme  de  quibus,  o comunque a
seguito  dell'inerzia  serbata su istanze tendenti alla emanazione di
tali  provvedimenti,  dispone  della possibilita' di eccepire, in via
incidentale,  l'illegittimita' costituzionale delle norme legislative
presentate  in  questa  sede  come asseritamente lesive delle proprie
attribuzioni.
    La  possibilita'  che le disposizioni contestate siano scrutinate
in  via  incidentale  nel  corso  di  simili  giudizi,  nei  quali il
Consiglio  superiore  puo'  far  valere le proprie ragioni, comporta,
pertanto,  la  dichiarazione  di  inammissibilita'  del  ricorso  per
conflitto di attribuzione.
    Restano  assorbite  le  ulteriori  eccezioni  di inammissibilita'
prospettate   dalle   parti,   nonche'  la  questione  dell'eventuale
ammissibilita' dell'intervento in giudizio della parte privata.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  inammissibile  il ricorso per conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato  proposto  dal  Consiglio  superiore  della
magistratura, indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                       Il redattore: De Siervo
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 15 luglio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
05C0785