N. 291 ORDINANZA 7 - 19 luglio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Esecuzione   penale   -   Liberazione  anticipata  -  Procedimento  a
  contraddittorio  eventuale e differito - Denunciato pregiudizio del
  condannato,  lesione del diritto di difesa - Manifesta infondatezza
  della questione.
- Legge  26 luglio  1975,  n. 354, art. 69-bis, aggiunto dall'art. 1,
  comma 2, della legge 19 dicembre 2002, n. 277.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 27.
(GU n.30 del 27-7-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 69-bis della
legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sull'esecuzione  delle  misure privative e limitative della liberta),
introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 19 dicembre 2002, n. 277
(Modifiche   alla   legge  26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di
liberazione  anticipata), promosso con ordinanza del 13 febbraio 2003
dal  Magistrato di sorveglianza di Napoli sull'istanza proposta da F.
A.,  iscritta al n. 68 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 9,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'8 giugno 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con  l'ordinanza  in  epigrafe  il  Magistrato  di
sorveglianza  di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24
e  27  della  Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 69-bis   della   legge   26 luglio   1975,   n. 354  (Norme
sull'ordinamento   penitenziario   e   sull'esecuzione  delle  misure
privative e limitative della liberta), aggiunto dall'art. 1, comma 2,
della  legge 19 dicembre 2002, n. 277 (Modifiche alla legge 26 luglio
1975,  n. 354,  in materia di liberazione anticipata), nella parte in
cui  stabilisce  che «il magistrato di sorveglianza provveda con rito
senza  formalita'  sulla  concessione della liberazione anticipata al
condannato detenuto in carcere o in misura alternativa»;
        che   il   giudice  a  quo  premette  di  essere  chiamato  a
pronunciarsi  sull'istanza con la quale un detenuto - condannato alla
pena  di quattro anni ed otto mesi di reclusione per rapina aggravata
ed  altri  reati  -  aveva chiesto la concessione del beneficio della
liberazione  anticipata,  in  relazione  ai  semestri  di  pena  gia'
espiati: istanza verosimilmente destinata ad essere respinta, essendo
l'istante incorso ripetutamente in sanzioni disciplinari di rilevante
gravita', che comprovavano la sua mancata partecipazione all'opera di
rieducazione;
        che,  cio'  premesso,  il  rimettente  rileva  come  in  base
all'art. 69-bis  della  legge  n. 354 del 1975, aggiunto dall'art. 1,
comma 2,  della  legge n. 277 del 2002, il magistrato di sorveglianza
debba provvedere sull'istanza di liberazione anticipata con procedura
c.d.  de  plano,  ossia con ordinanza adottata in camera di consiglio
senza   la   presenza   delle  parti,  cui  solo  successivamente  il
provvedimento  e'  comunicato o notificato ai sensi dell'art. 127 del
codice di procedura penale;
        che il comma 2 dello stesso art. 69-bis si limita a stabilire
che  la  decisione  non deve essere adottata prima di quindici giorni
dalla   richiesta  di  parere  del  pubblico  ministero,  consentendo
tuttavia al magistrato di sorveglianza di provvedere anche in assenza
di   esso;   mentre  il  successivo  comma 3  accorda  al  difensore,
all'interessato  ed  al pubblico ministero, la facolta' di proporre -
nel  termine  di  dieci  giorni  dalla notificazione dell'ordinanza -
reclamo  al  tribunale  di sorveglianza competente per territorio, il
quale  si  pronuncia  con il rito camerale previsto dagli artt. 666 e
678 cod. proc. pen;
        che il giudice a quo osserva, peraltro, come il rito de plano
sia  previsto,  nell'ambito  del  processo penale, solo in rapporto a
provvedimenti in tema di esecuzione che non implicano valutazioni sul
merito   dell'istanza,   in  quanto  attinenti  a  profili  puramente
procedurali; e come, nell'ambito dell'ordinamento penitenziario, esso
continui  ad  essere contemplato solo nei casi in cui l'attivita' del
magistrato di sorveglianza conserva un «carattere misto», a meta' tra
l'amministrativo ed il giurisdizionale;
        che  con  la  legge  n. 277  del  2002 il legislatore avrebbe
nondimeno  reintrodotto, in ambito penitenziario, un procedimento non
in  linea con le coordinate del sistema e contrastante, altresi', con
il  principio  della giurisdizionalizzazione della fase di esecuzione
della  pena,  enunciato  dai  numeri  96 e seguenti dell'art. 2 della
legge  10 febbraio  1987,  n. 81 (Delega legislativa al Governo della
Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale);
        che  sarebbe  evidente,  difatti, come il rito previsto dalla
norma  impugnata  non offra le medesime garanzie difensive assicurate
dal procedimento camerale «ordinario» di sorveglianza, regolato dagli
artt. 666 e 678 cod. proc. pen.: procedimento, quest'ultimo, che - in
ossequio  all'anzidetto principio - prevede la nomina di un difensore
di  ufficio,  ove  l'interessato  non  abbia nominato un difensore di
fiducia;  la  notificazione  dell'avviso  della  data dell'udienza in
camera  di  consiglio;  il  diritto  dell'interessato  di intervenire
personalmente alla stessa, con l'assistenza del difensore, nonche' di
presentare  documentazione  e  di  concorrere  all'acquisizione delle
prove;
        che  siffatta  diversita' di disciplina risulterebbe priva di
giustificazione,  poiche' anche il procedimento delineato dalla norma
denunziata  -  al  pari  di  quanto avviene, in linea di massima, per
quello   «generale»   di   sorveglianza   -  sarebbe  preordinato  al
«riacquisto  di  quote  di  liberta»  da  parte  dell'interessato; ma
quand'anche  si  concludesse  con  un  provvedimento  negativo  (come
potrebbe  accadere  nel  caso  di  specie),  la  pronuncia  - pur non
comportando  una  oggettiva  modifica  in  peius della situazione del
detenuto  - avrebbe comunque una diretta incidenza sulla quantita' di
pena  ancora  da  espiare: con possibili ricadute sull'applicabilita'
delle  misure  alternative  alla detenzione, se non addirittura sulla
scarcerazione  dell'interessato,  ove  la fine della pena fosse ormai
prossima;
        che  in  secondo  luogo,  poi,  il procedimento «generale» di
sorveglianza  si  configurerebbe come un «procedimento sul detenuto»;
mentre  quello relativo alla liberazione anticipata sarebbe anzitutto
un  «procedimento  sul  fatto»  -  cioe' sui comportamenti tenuti dal
soggetto  durante  la  detenzione  -  molto piu' prossimo, quindi, al
procedimento di cognizione;
        che  proprio in questo caso, tuttavia, il soggetto sottoposto
al  giudizio vedrebbe limitato l'esercizio del suo diritto di difesa,
tutelato dall'art. 24, secondo comma, Cost;
        che  ai fini della piena garanzia di tale diritto non sarebbe
sufficiente  il  meccanismo  del  «contraddittorio differito», insito
nella  possibilita'  di far valere le proprie ragioni successivamente
alla  decisione,  proponendo reclamo al tribunale di sorveglianza: la
mancata   previsione   della   partecipazione   dell'interessato   al
procedimento  davanti  al  magistrato  di  sorveglianza,  difatti, si
risolverebbe  pur  sempre  -  ove  il  soggetto  fosse  in  grado  di
dimostrare  in tale sede la fondatezza delle sue motivazioni - in una
«denegata  giustizia»;  e  cio'  tanto  piu'  nell'ipotesi  in cui la
concessione   della  liberazione  anticipata  implicasse  l'immediata
conclusione dell'espiazione della pena;
        che  sarebbe significativa, in tale direzione, anche l'omessa
previsione  della  facolta' dell'interessato di presentare «memorie»:
facolta'  nella  quale  la  sentenza  n. 188 del 1990 di questa Corte
aveva  ravvisato un argomento per dichiarare non fondata la questione
di costituzionalita' dell'art. 14-ter della legge n. 354 del 1975;
        che,   a   quest'ultimo  proposito,  il  rimettente  ricorda,
peraltro,  come  la Corte, con la successiva sentenza n. 53 del 1993,
abbia  dichiarato costituzionalmente illegittimi l'art. 236, comma 2,
disp. att. cod. proc. pen. e gli artt. 14-ter, primo, secondo e terzo
comma,  e  30-bis della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non
consentivano l'applicazione degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. nel
procedimento  di  reclamo  avverso il provvedimento del magistrato di
sorveglianza  che  esclude  dal  computo  della detenzione il periodo
trascorso  in  permessi premio: rilevandone segnatamente il contrasto
con  il  citato  criterio  direttivo  di cui al numero 96 della legge
delega  n. 81  del  1987, che imponeva garanzie di giurisdizionalita'
nella   fase   di   esecuzione,   consistenti  nella  necessita'  del
contraddittorio e nell'impugnabilita' dei provvedimenti;
        che  l'ordinanza di rimessione pone da ultimo l'accento sulla
complessiva  evoluzione della giurisprudenza costituzionale, la quale
-   abbandonato   l'originario   indirizzo   che   attribuiva  natura
amministrativa  alle  misure  adottate  nell'ambito  del  trattamento
penale  -  avrebbe  dapprima  accolto la distinzione, elaborata dalla
giurisprudenza  di  legittimita',  tra  provvedimenti  relativi  alle
modalita'  dell'esecuzione della pena negli istituti a cio' destinati
(attratti  nell'area  dei  soli  rimedi  di indole amministrativa), e
provvedimenti   riguardanti  la  misura  e  la  qualita'  della  pena
(attratti  invece  nell'area  della  giurisdizione);  per  pervenire,
infine,    all'affermazione    dell'esigenza    costituzionale    del
riconoscimento   di  un  diritto  di  azione  dei  detenuti  e  degli
internati,  in  un  procedimento  avente  caratteri  giurisdizionali,
indipendentemente dalla natura dell'atto produttivo della lesione;
        che  e'  intervenuto  nel  giudizio  di  costituzionalita' il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata infondata.
    Considerato  che  questa  Corte, scrutinando analoga questione di
legittimita' costituzionale, sollevata in riferimento al solo art. 24
Cost.,  ha  gia' avuto modo di osservare come la nuova disciplina del
procedimento  in  materia  di  liberazione anticipata - disciplina in
forza  della  quale il magistrato di sorveglianza decide sull'istanza
dell'interessato  de  plano,  salva una fase successiva di reclamo, a
contraddittorio  pieno,  davanti  al  tribunale di sorveglianza - sia
stata  introdotta dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277 in risposta ad
esigenze  di snellimento procedurale fortemente sentite nella prassi,
tenuto  conto  anche  dell'elevato  numero  delle  istanze  di cui si
discute (cfr. ordinanza n. 352 del 2003);
        che,   in   particolare,   veniva  avvertita  come  fonte  di
ingiustificato  aggravio (e ritardo nella decisione) la previsione di
un  procedimento  in  contraddittorio,  in  vista dell'adozione di un
provvedimento  che ben poteva essere - ed in larga parte dei casi era
-  di  accoglimento della richiesta dell'interessato: apparendo assai
piu'    ragionevole,   di   contro,   che   l'instaurazione   di   un
contraddittorio   pieno   avvenisse   solo   nel  caso  di  eventuale
insoddisfazione  del  richiedente  (o  del pubblico ministero) per la
decisione assunta;
        che,   nella  stessa  occasione,  questa  Corte  ha  altresi'
ribadito la piena compatibilita' con il diritto di difesa dei modelli
processuali  a  contraddittorio eventuale e differito: caratterizzati
cioe'  -  in  ossequio a criteri di economia processuale e di massima
speditezza  -  da  una  decisione  de  plano  seguita  da  una fase a
contraddittorio  pieno,  attivata  dalla  parte che intenda insorgere
rispetto  al  decisum  (cfr., in questo senso, altresi', ex plurimis,
ordinanze  n. 292 del 2004; n. 257, n. 132, n. 131 e n. 32 del 2003);
e  cio'  conformemente al consolidato principio per cui il diritto di
difesa  puo'  essere  regolato  in  modo diverso, onde adattarlo alle
esigenze ed alle specifiche caratteristiche dei singoli procedimenti,
purche'  di  tale  diritto  siano  assicurati  lo scopo e la funzione
(cfr., ex plurimis, sentenza n. 321 del 2004);
        che  tali  conclusioni  valgono  a  maggior  ragione  per  il
procedimento in esame, nel quale il giudice e' chiamato a decidere su
una  domanda proposta dalla stessa parte del cui diritto di difesa si
discute: circostanza che - come pure questa Corte ha rilevato - rende
tra  l'altro  non  persuasiva la tesi, prospettata dal giudice a quo,
secondo  cui  il  richiedente, in assenza di previsione espressa, non
sarebbe  legittimato  a  produrre  memorie difensive a sostegno della
propria richiesta;
        che  non ha pregio, in senso contrario, l'ulteriore argomento
dell'odierno  giudice  rimettente,  stando al quale il meccanismo del
contraddittorio     differito    potrebbe    comunque    pregiudicare
l'interessato  -  il quale fosse in grado di dimostrare la fondatezza
delle  sue tesi, ove ammesso a partecipare al procedimento davanti al
magistrato  di  sorveglianza - allorche' la concessione del beneficio
implicasse l'immediata conclusione dell'espiazione della pena;
        che,  a  prescindere  dalla  considerazione  che - per quanto
emerge   dalla   narrazione  in  fatto  contenuta  nell'ordinanza  di
rimessione - l'ipotesi ora indicata non viene comunque in rilievo nel
giudizio  a  quo, deve osservarsi come la previsione del procedimento
de  plano giovi senz'altro alla rapidita' della decisione in rapporto
al  complesso  delle  istanze  in  parola,  rispetto alle quali, come
accennato,  e'  in  fatto nettamente preponderante la percentuale dei
provvedimenti  di  accoglimento: evitando cosi' il pregiudizio che il
rimettente  ipotizza  sotto  altro  profilo,  ossia  che i tempi piu'
lunghi, richiesti al fine di una decisione in contraddittorio gia' in
prima  battuta,  danneggino i condannati con pena da espiare prossima
alla   conclusione;   tutto   cio'  senza  considerare  che,  proprio
attraverso il meccanismo censurato, viene assicurato, in sostanza, al
condannato un doppio scrutinio nel merito della sua istanza;
        che  appare  inconferente,  ancora, il richiamo del giudice a
quo  alla  sentenza  di  questa  Corte n. 53 del 1993, concernente la
mancata attuazione del principio del contraddittorio nel procedimento
di  reclamo  avverso  determinati  provvedimenti  del  magistrato  di
sorveglianza, in materia di permessi premio: giacche' - a prescindere
da ogni altro possibile rilievo - nella specie il contraddittorio nel
procedimento di reclamo e' pienamente garantito;
        che   le  considerazioni  che  precedono  valgono  a  rendere
altresi'  palese l'insussistenza della dedotta violazione dell'art. 3
Cost;
        che   la   previsione  di  una  procedura  a  contraddittorio
differito,  in  materia  di  liberazione  anticipata,  si  giustifica
difatti - sulla scorta di una valutazione legislativa non irrazionale
- alla luce delle peculiarita' e delle particolari esigenze operative
dello  specifico  istituto:  istituto  che, tra l'altro - per diffuso
convincimento  -  si  differenzia,  gia'  sul  piano strutturale, dal
complesso  delle  misure alternative alla detenzione in senso stretto
(concesse  dall'organo collegiale con l'osservanza della procedura di
cui  agli  artt. 666 e 678 cod. proc. pen.), traducendosi in una mera
riduzione  quantitativa  della  pena,  finalizzata  a  «premiare»  il
condannato  che  abbia  dato  prova  di  partecipazione  all'opera di
rieducazione,  cui  non  si  accompagna  alcun regime «alternativo» a
quello carcerario;
        che  quanto,  infine,  al  supposto  contrasto  con l'art. 27
Cost.,  tale  parametro  risulta  evocato  unicamente nel dispositivo
dell'ordinanza di rimessione, senza che nella relativa motivazione si
rinvenga alcun supporto argomentativo del contrasto stesso;
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 69-bis  della legge 26 luglio
1975,  n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione
delle   misure   privative  e  limitative  della  liberta),  aggiunto
dall'art. 1, comma 2, della legge 19 dicembre 2002, n. 277 (Modifiche
alla   legge  26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  liberazione
anticipata),  sollevata,  in  riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della
Costituzione,   dal   magistrato   di   sorveglianza  di  Napoli  con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 19 luglio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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