N. 297 ORDINANZA 7 - 19 luglio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Impiego   pubblico  -  Corpo  della  Polizia  penitenziaria  -  Ruolo
  direttivo   speciale   -   Passaggio  di  qualifiche  -  Denunciato
  trattamento  deteriore  rispetto  agli appartenenti alla Polizia di
  Stato   in   relazione  al  tempo  di  permanenza  nella  qualifica
  inferiore, irragionevolezza, lesione del principio di imparzialita'
  e buon andamento dell'amministrazione, contrasto con i principi e i
  criteri   della   legge   delega   -   Prospettazione   carente   e
  contraddittoria  delle  censure  - Manifesta inammissibilita' della
  questione.
- D.Lgs. 21 maggio 2000, n. 146, artt. 24, 25, 26 e 28.
- Costituzione, artt. 3, 76 e 97.
(GU n.30 del 27-7-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 24, 25, 26
e  28  del  decreto  legislativo  21 maggio 2000, n. 146 (Adeguamento
delle strutture e degli organici dell'Amministrazione penitenziaria e
dell'Ufficio  centrale per la giustizia minorile, nonche' istituzione
dei  ruoli  direttivi  ordinario  e  speciale  del  Corpo  di polizia
penitenziaria,  a  norma dell'articolo 12 della legge 28 luglio 1999,
n. 266), promossi con n. 2 ordinanze del 30 luglio 2004 dal Tribunale
amministrativo   regionale   del   Lazio   sui  ricorsi  proposti  da
Giardinetto Amiello ed altri e da Rinaldi Giuseppe ed altri contro la
Presidenza  del Consiglio dei ministri ed altri iscritte ai nn. 925 e
926 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 giugno 2005 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
    Ritenuto  che  con due ordinanze di contenuto pressoche' identico
(r.o.  n. 925  e  n. 926  del 2004), del 30 luglio 2004, il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio, sezione I quater, ha sollevato
questione  di legittimita' costituzionale degli articoli 24, 25, 26 e
28 del decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146, (Adeguamento delle
strutture  e  degli  organici  dell'Amministrazione  penitenziaria  e
dell'Ufficio  centrale per la giustizia minorile, nonche' istituzione
dei  ruoli  direttivi  ordinario  e  speciale  del  Corpo  di polizia
penitenziaria,  a  norma dell'articolo 12 della legge 28 luglio 1999,
n. 266), con riferimento agli articoli 3, 76 e 97 della Costituzione;
        che  il  rimettente premette che i giudizi a quo, promossi da
alcuni   appartenenti   al  Corpo  della  Polizia  penitenziaria  nei
confronti  del  Ministero  della  giustizia  e  della  Presidenza del
Consiglio dei ministri, hanno ad oggetto la domanda con cui si chiede
di  annullare gli «atti relativi al passaggio di qualifiche nel ruolo
direttivo  speciale  del  Corpo  di Polizia penitenziaria, ovvero gli
atti  di  indizione  e  disciplina  dei relativi concorsi, nonche' di
nomina  dei  ricorrenti  alla  qualifica  di  vice  commissario» e la
domanda di accertamento del diritto dei ricorrenti al passaggio nella
qualifica  corrispondente  (vice  commissario),  «con  decorrenza dei
medesimi  termini  previsti  per il passaggio di qualifiche nel ruolo
direttivo speciale della Polizia di Stato»;
        che  i ricorrenti lamentano, nei giudizi a quo, la violazione
dell'art. 12  della  legge  28 luglio 1999, n. 266 (Delega al Governo
per  il  riordino  delle  carriere diplomatica e prefettizia, nonche'
disposizioni  per  il  restante  personale del Ministero degli affari
esteri,  per il personale militare del Ministero della difesa, per il
personale  dell'Amministrazione  penitenziaria e per il personale del
Consiglio  superiore  della magistratura), con la quale il Governo e'
stato  delegato  ad emanare, tra l'altro, norme per il riordino delle
carriere del personale dell'Amministrazione penitenziaria;
        che,  in particolare, il citato art. 12, comma 1, lettera b),
ha  previsto l'istituzione di un «ruolo direttivo ordinario del Corpo
di polizia penitenziaria, con carriera analoga a quella del personale
di pari qualifica del corrispondente ruolo della Polizia di Stato»
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  l'esercizio della delega,
attraverso il d.lgs. n. 146 del 2000, avrebbe condotto all'emanazione
di  una  disciplina  meno  favorevole,  per i dipendenti interessati,
rispetto  a  quella  prevista,  per  gli appartenenti alla Polizia di
Stato, dalla legge 31 marzo 2000, n. 78 (Delega al Governo in materia
di  riordino  dell'Arma  dei  carabinieri,  del Corpo forestale dello
Stato,  del  Corpo della Guardia di finanza e della Polizia di Stato.
Norme  in  materia  di  coordinamento  delle Forze di polizia), e dal
successivo  decreto  legislativo 5 ottobre 2000, n. 334 (Riordino dei
ruoli  del  personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato, a
norma dell'articolo 5, comma 1, della legge 31 marzo 2000, n. 78);
        che,  in particolare, il trattamento deteriore, ad avviso del
giudice  a  quo, si ricaverebbe dal maggior numero di anni necessari,
per  gli  appartenenti  al  Corpo  della  Polizia  penitenziaria, per
accedere   alla   qualifica  piu'  elevata,  a  partire  dal  momento
dell'ingresso nel ruolo, «in contrasto con l'equiordinazione prevista
dal ricordato art. 12 della legge n. 266 del 1999»;
        che    secondo    il    rimettente   «il   ricorso   postula,
sostanzialmente,  una  questione  di  costituzionalita',  non potendo
applicarsi  alla  Polizia  penitenziaria  disposizioni dettate per la
Polizia  di Stato - e non sussistendo, quindi, alcuna possibilita' di
riconoscere  la  qualifica  di  commissario  al  termine del corso di
formazione,  finalizzato  ex  lege  all'attribuzione di una qualifica
inferiore  -  a meno che non si ravvisi nella segnalata disparita' di
trattamento   una  violazione  di  precetti  costituzionali,  atti  a
giustificare un intervento anche additivo della Suprema Corte»;
        che  il  giudice a quo afferma, peraltro, di ritenere fondata
l'eccezione  della difesa erariale relativa all'assenza, in concreto,
di  una  discriminazione  in  peius  per  i  ricorrenti  «rispetto al
corrispondente  personale  della  Polizia  di Stato», alla luce delle
modalita'  di  accesso dei ricorrenti medesimi alla qualifica di vice
commissario;
        che  tuttavia, nonostante tale rilievo, il rimettente ritiene
di  argomentare per un verso «l'assenza di un effettivo coordinamento
fra  le  normative di cui si discute», e, per altro verso, il maggior
lasso   di   tempo   richiesto   ai  vice  commissari  della  Polizia
penitenziaria   dalla  normativa  censurata  per  il  passaggio  alla
qualifica di commissario, rispetto a quello - inferiore - relativo ai
vice-commissari  della  Polizia  di  Stato  per  la progressione alla
medesima qualifica («commissario»);
        che  alla  luce di quest'ultima conclusione, il giudice a quo
afferma   che  dal  raffronto  delle  relative  normative  non  possa
configurarsi,  per  il  personale  della  Polizia  penitenziaria, una
«carriera  analoga  a  quella  del  personale  di  pari qualifica del
corrispondente ruolo della Polizia di Stato», secondo quanto previsto
dal citato art. 12, comma 1, lettera b), della legge n. 266 del 1999;
        che   secondo   il   rimettente   la   delega  non  implicava
«necessariamente   identita'   di   disciplina,  ma  non  autorizzava
differenze arbitrarie, scollegate da una oggettiva non corrispondenza
di funzioni»;
        che  secondo  il giudice a quo, in ipotesi di introduzione di
«sensibili  differenze nello sviluppo di carriera nei ruoli direttivi
in    questione»,   avrebbero   dovuto   essere   «desumibili   dalle
disposizioni,  emanate  dal  legislatore  delegato,  i  criteri delle
scelte operate»;
        che  ad  avviso del rimettente tali criteri differenziali non
sarebbero  desumibili  dal  testo  delle norme censurate, ne' sarebbe
condivisibile   l'indicazione  in  tal  senso  fornita  dalla  difesa
erariale  nel  giudizio  a quo, che ha fatto leva sulla posteriorita'
della  normativa,  regolante  la Polizia di Stato, cui si pretende di
parametrare    l'omogeneita'    del   trattamento   stabilito   dalle
disposizioni  impugnate:  cio'  in  quanto  l'esercizio  della delega
relativa alla Polizia penitenziaria e' in realta' avvenuto (con d.lgs
n. 146  del 2000) quando la delega relativa alla Polizia di Stato era
gia'  stata  conferita  (con  la legge n. 78 del 2000), ancorche' non
esercitata (lo sarebbe stata, con successivo d.lgs. n. 334 del 2000);
        che  alla  luce  di  questa  ricostruzione,  il giudice a quo
conclude  nel  senso  di  ritenere  che si porrebbe «una questione di
corretta  e  razionale  attuazione  della delega, in conformita' alle
intenzioni   del  legislatore  nonche'  alle  esigenze  del  settore,
sottoposto a regolamentazione»;
        che  di tale questione il rimettente afferma sia la rilevanza
(«con  particolare  riguardo  alla  disciplina  transitoria,  dettata
dall'art. 28   del   d.lgs.  n. 146  del  2000,  in  correlazione  al
precedente art. 24»), sia la non manifesta infondatezza, in relazione
agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione;
        che,  in  relazione al merito della censura, il giudice a quo
sollecita  un sindacato «della Suprema Corte in rapporto al principio
di   ragionevolezza»   riconducibile   agli  articoli 3  e  97  della
Costituzione,  «dovendo  coniugarsi  in base al combinato disposto di
tali  articoli  imparzialita'  e  non  arbitrarieta' della disciplina
adottata  (Corte  costituzionale,  sentenza  12  giugno  1991, n. 277
cit.)»;
        che  tale  sindacato,  secondo  il  giudice  a  quo, dovrebbe
verificare  l'esistenza  di  «un  vero  e proprio vizio di eccesso di
potere  legislativo»,  avuto riguardo alla «ratio legis, assunta come
parametro di riferimento della norma»;
        che  con  riferimento  alla  specifica  questione dedotta, il
rimettente  afferma che la frequenza del ricorso allo strumento della
delega  legislativa «induce a ricercare detta ratio legis in modo non
atomistico,  ma  nello  spirito  di  un  rinvio dinamico» (secondo il
principio  affermato  dalla  Corte nella sentenza n. 40 del 1994), di
modo  che  sarebbe  «difficile  negare  che la normativa, attualmente
sottoposta   all'esame  del  Collegio,  non  sia  satisfattiva  delle
finalita' indicate nella legge delega n. 266 del 1999»;
        che  da  cio',  ad  avviso  del  rimettente, discenderebbe la
fondatezza  delle  questioni  sollevate,  dal  momento che «era nella
facolta'  del  Governo,  delegato ad effettuare il riordino dei ruoli
sia  della  Polizia penitenziaria che della Polizia di Stato, operare
il   necessario  coordinamento  a  livello  di  normazione  delegata,
affinche'  non si realizzasse nel medesimo periodo una ingiustificata
disparita'   di  trattamento  fra  categorie  di  personale,  che  il
legislatore intendeva regolamentare in modo analogo»;
        che  in  entrambi  i giudizi e' intervenuto il Presidente del
Consiglio  dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello
Stato,   che   ha   eccepito,   in   via  preliminare,  la  manifesta
inammissibilita'  della questione, in quanto essa tenderebbe non gia'
ad  ottenere  la  «cessazione  di efficacia della norma impugnata» ma
«una pronuncia additiva tesa a riconoscere ai ricorrenti la qualifica
superiore   di   commissario  al  termine  del  corso  di  formazione
finalizzato,  per  legge, all'attribuzione di una qualifica inferiore
(vicecommissario)»;
        che, ad avviso della difesa erariale, le censure, nel merito,
sarebbero  infondate  dal  momento  che il presupposto interpretativo
della  equiparazione delle carriere potrebbe essere riferito, in base
al  dato  testuale contenuto nella legge di delega [art. 12, comma 1,
lettera b),  della legge n. 266 del 1999], soltanto agli appartenenti
al ruolo direttivo ordinario del Corpo di Polizia penitenziaria;
        che   successivamente,   peraltro,  il  legislatore  delegato
avrebbe  equiparato  il  ruolo direttivo ordinario al ruolo direttivo
speciale:  ma  solo  per  il  primo  il legislatore delegante avrebbe
previsto  che  lo  sviluppo  di  carriera  sia  analogo  a quello dei
corrispondenti  ruoli  della  Polizia  di Stato, sicche' non potrebbe
contestarsi  la mancata estensione di tale rapporto di analogia anche
al   ruolo   direttivo  speciale  della  Polizia  penitenziaria  (cui
appartengono i ricorrenti nel giudizio a quo);
        che  l'Avvocatura  dello  Stato  osserva  che,  comunque,  il
rapporto di analogia stabilito, fra le due carriere, dalla richiamata
disposizione  della  legge  delega,  deve  essere valutato sulla base
della   normativa   della   Polizia   di  Stato  vigente  al  momento
dell'emanazione  di  tale  disposizione,  e  non anche in relazione a
normative sopravvenute;
        che,  infine,  l'Avvocatura  dello  Stato  sottolinea  che il
contenuto  della  delega non implicherebbe una «assoluta identita' di
disciplina»  fra  le  carriere  dei ruoli direttivi dei due Corpi, ma
unicamente un «parallelismo fra i ruoli».
    Considerato  che  le ordinanze prospettano le medesime questioni,
sicche'  i  relativi giudizi devono essere riuniti e decisi con unico
provvedimento;
        che  le  ordinanze  di rimessione sono inficiate da carenze e
contraddittorieta' nella prospettazione delle censure;
        che,  in  particolare,  risulta  carente la descrizione della
fattispecie  oggetto  dei  giudizi  a  quibus,  dal momento che dalle
ordinanze  di  rimessione  non  si  comprende con chiarezza quale sia
l'oggetto  di  tali giudizi e, in particolare, in cosa si identifichi
la  pretesa  sostanziale  dei  ricorrenti,  nonche' quale sia la loro
specifica  posizione  rispetto  alla  vicenda  -  concorsuale,  o  di
progressione in carriera, attuale o potenziale - dedotta;
        che da cio' discende l'impossibilita' di vagliare l'effettiva
applicabilita'  della  norma  censurata  ai casi dedotti (sulla quale
peraltro il rimettente non ha fornito alcuna plausibile motivazione),
a  prescindere  dall'esame  nel merito della opinabile argomentazione
tendente  a  sollecitare  la valutazione di una pretesa disparita' di
trattamento  discendente,  in tesi, non dalla normativa censurata, ma
da un tertium comparationis ad essa successivo;
        che  un  ulteriore, e concorrente, motivo di inammissibilita'
delle questioni sollevate va ravvisato nel fatto che i ricorrenti nei
due  giudizi  a  quibus  appartengono,  per espressa affermazione del
rimettente,   al   ruolo   direttivo   speciale  di  cui  al  comma 2
dell'art. 12  della  legge  n. 266  del  1999,  laddove  entrambe  le
ordinanze  di rimessione indicano come norma interposta, in relazione
alla  asserita  violazione  dell'art. 76  Cost.,  l'art. 12, comma 1,
lettera b),  della  legge  n. 266  del  1999,  relativa, invece, alla
istituzione  (ed  alla  disciplina della relativa carriera) del ruolo
direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria;
        che,   conseguentemente,   anche   sotto  questo  profilo  le
questioni sollevate sono manifestamente inammissibili, non potendo le
norme  censurate, anche se - in via meramente ipotetica - interessate
da  una  eventuale  modifica  additiva  quale  quella sollecitata dal
rimettente, trovare applicazione nei giudizi a quibus.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  degli  articoli 24,  25,  26  e  28 del
decreto   legislativo   21 maggio  2000,  n. 146  (Adeguamento  delle
strutture  e  degli  organici  dell'Amministrazione  penitenziaria  e
dell'Ufficio  centrale per la giustizia minorile, nonche' istituzione
dei  ruoli  direttivi  ordinario  e  speciale  del  Corpo  di polizia
penitenziaria,  a  norma dell'articolo 12 della legge 28 luglio 1999,
n. 266),  sollevate,  in  riferimento  agli articoli 3, 76 e 97 della
Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,
sezione I quater, con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                       Il redattore: De Siervo
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 19 luglio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
05C0798