N. 309 ORDINANZA 7 - 22 luglio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Decreto di fissazione dell'udienza preliminare -
  Avvertimento  circa  la  facolta'  dell'imputato  di  richiedere il
  giudizio  abbreviato  o  l'applicazione della pena - Sanzione della
  nullita'  per  l'omesso  avviso  -  Mancata previsione - Denunciata
  ingiustificata  diversita' rispetto al decreto di citazione diretta
  a giudizio - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 419, comma 1.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.30 del 27-7-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 419, comma 1,
del   codice   di  procedura  penale,  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento   penale,   dal  giudice  dell'udienza  preliminare  del
Tribunale  di  Nocera  Inferiore  con  ordinanza del 6 novembre 2003,
iscritta  al  n. 46  del  registro  ordinanze 2004 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 9,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 giugno 2005 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto che il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Nocera  Inferiore  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 419,
comma 1,  del  codice  di  procedura  penale,  nella parte in cui non
prevede  che  l'avviso  di  fissazione dell'udienza preliminare debba
contenere, a pena di nullita', l'avvertimento che l'imputato, qualora
ne  ricorrano  i  presupposti, prima delle conclusioni delle parti in
udienza ai sensi degli artt. 421, comma 3, e 422, comma 3, cod. proc.
pen., puo' presentare le richieste previste dagli artt. 438 e 444 del
medesimo codice;
        che  il  rimettente  riferisce che il difensore dell'imputato
contumace  ha  prospettato  la questione in udienza preliminare ed ha
altresi'  eccepito la nullita' dell'avviso di fissazione dell'udienza
notificato  al  suo  assistito, osservando come la diversa disciplina
prevista,  rispettivamente,  dagli  artt. 419  e  552 cod. proc. pen.
«determini una irragionevole disparita' di trattamento tra imputati -
in  violazione  dell'art. 3 Cost. - ed una ingiustificata lesione del
diritto di difesa - in violazione dell'art. 24 Cost. -»;
        che,  ad  avviso del giudice a quo, la disposizione censurata
non  determina  alcuna violazione del diritto di difesa, «dal momento
che  l'imputato  partecipa  della  presunzione generale di conoscenza
della  legge,  di  guisa  che  egli  deve  conoscere  i riti premiali
previsti  dalla  legge  ed  i termini decadenziali entro i quali puo'
accedervi»;
        che  la  questione  di  costituzionalita'  prospettata  dalla
difesa  sarebbe  invece  non  manifestamente infondata in riferimento
all'art. 3  Cost.,  a  fronte della differente disciplina dettata dal
comma 1,  lettera f), dell'art. 552 cod. proc. pen. e della specifica
previsione  di  nullita', non estensibile in via analogica alla norma
denunciata;
        che il rimettente ritiene che la differenza di disciplina sia
ingiustificata  alla  luce  della  giurisprudenza  costituzionale che
riconosce  all'udienza  preliminare un «contenuto di merito» analogo,
«sotto  il profilo della ricostruzione e qualificazione del fatto», a
quello dell'udienza dibattimentale;
        che  d'altra parte, non diversamente dal decreto di citazione
diretta  a giudizio emesso dal pubblico ministero, anche la richiesta
di  rinvio  a  giudizio,  «che  determina  la fissazione dell'udienza
preliminare  previo  avviso  ai sensi dell'art. 419 cod. proc. pen.»,
costituisce esercizio dell'azione penale;
        che  percio', come il decreto di citazione diretta a giudizio
deve contenere, a norma dell'art. 552 cod. proc. pen., l'avvertimento
che l'imputato puo' chiedere di accedere ai riti alternativi «proprio
in  ragione  del  termine  decadenziale  posto  a  tale accesso dalla
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento», analogo avvertimento
dovrebbe  essere  contenuto  nella  richiesta  di  rinvio  a giudizio
notificata  all'imputato  in  vista  della  celebrazione dell'udienza
preliminare,  nella  quale  la  presentazione delle conclusioni delle
parti  coincide  con  il  termine  ultimo  assegnato all'imputato per
esercitare  la  facolta'  di  chiedere l'applicazione della pena o il
giudizio abbreviato;
        che  di  conseguenza dalla norma censurata discenderebbe «una
disparita'  di  trattamento  tra  posizioni  analoghe»  che  non puo'
trovare giustificazione nella diversa tipologia dei reati per i quali
si  procede  con  citazione  diretta rispetto a quelli per i quali e'
richiesta  l'udienza  preliminare,  perche'  non  vi  sarebbe  alcuna
ragionevolezza «nel negare all'imputato dei reati piu' gravi l'avviso
del  termine  decadenziale  entro  il  quale  puo'  accedere  ai riti
premiali»,  mentre,  «una  volta  premessa  la  natura di giudizio di
merito  anche  dell'udienza  preliminare»,  nessun  rilievo  potrebbe
assumere in relazione alla «disparita' di trattamento in discorso» la
ontologica diversita' dei due giudizi;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata inammissibile o,
comunque, infondata;
        che  l'ordinanza di rimessione sarebbe affetta da «intrinseca
contraddittorieta»  in  quanto,  ritenendo  manifestamente  infondata
l'eccezione di illegittimita' costituzionale prospettata dalla difesa
in   riferimento   all'art. 24   Cost.,  il  rimettente  ammetterebbe
«implicitamente  che  la carenza di contenuto censurata [...] risulta
fine a se' stessa e solo formalismo inutile»;
        che  inoltre  l'imputato, a cui non e' in alcun modo precluso
l'accesso   ai  riti  alternativi,  non  avrebbe  mostrato  di  avere
intenzione di farne richiesta;
        che, nel merito, essendo l'udienza dibattimentale e l'udienza
preliminare   fasi   processuali   distinte   e   diverse,   la   non
comparabilita'   degli   istituti   posti   a   confronto  renderebbe
all'evidenza infondata la censura di disparita' di trattamento.
    Considerato  che  il  rimettente,  nella  sua qualita' di giudice
dell'udienza  preliminare,  dubita,  in  riferimento all'art. 3 della
Costituzione,   della   legittimita'   costituzionale  dell'art. 419,
comma 1,  del  codice  di  procedura  penale,  nella parte in cui non
prevede  che  l'avviso  di  fissazione dell'udienza preliminare debba
contenere, a pena di nullita', l'avvertimento che l'imputato, qualora
ne  ricorrano i presupposti, puo' presentare, prima delle conclusioni
delle parti, richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della
pena;
        che  il rimettente ritiene ingiustificata la diversita' della
disciplina   censurata  rispetto  a  quella  prevista  dall'art. 552,
comma 1,  lettera f), cod. proc. pen., che, nell'elencare i requisiti
del  decreto  di  citazione  a  giudizio  nel procedimento davanti al
tribunale in composizione monocratica, stabilisce che l'imputato deve
essere  avvertito  della  facolta'  di  presentare richiesta dei riti
alternativi  prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e
nel  comma 2  sanziona  con la nullita' la mancanza o l'insufficienza
dell'avvertimento;
        che, in particolare, sarebbe privo di ragionevolezza che, pur
essendo  previsti  termini  di  decadenza  per  la richiesta dei riti
alternativi  sia  nel  dibattimento del giudizio a citazione diretta,
sia  nell'udienza  preliminare,  l'avvertimento all'imputato circa la
facolta' di presentare la relativa richiesta venga omesso proprio nel
decreto  di  fissazione dell'udienza preliminare, attraverso la quale
sono normalmente destinati a transitare i reati piu' gravi;
        che  il  codice  di  procedura  penale,  nel  disciplinare  i
rapporti  tra  le  varie  forme  di vocatio in iudicium e la facolta'
dell'imputato    di    chiedere   i   riti   alternativi,   prevedeva
originariamente  che  all'imputato venisse dato apposito avvertimento
della  possibilita' di esercitare tale facolta' solamente nel decreto
di  citazione  a  giudizio  davanti  al  pretore  (art. 555, comma 1,
lettera e)  e  nel decreto di giudizio immediato chiesto dal pubblico
ministero  (art. 456, comma 2), cioe' in casi in cui la richiesta dei
riti  era  soggetta  a  termini perentori che venivano a cadere prima
dell'instaurazione   del  dibattimento  (in  realta'  tale  decadenza
operava solo per il giudizio abbreviato), secondo un modello definito
«bifasico»;
        che  in  tali  ipotesi,  infatti, il decreto di citazione era
trasmesso al giudice competente per il giudizio, dando cosi' ingresso
alla  fase  dibattimentale,  solo  se l'imputato non aveva presentato
richiesta  per uno dei riti alternativi entro un termine, stabilito a
pena  di  decadenza  e  decorrente  dalla  notificazione  del decreto
stesso,  piu'  breve rispetto a quello fissato per la comparizione in
giudizio;
        che,  nella  vigenza  di tale sistema, con la sentenza n. 497
del  1995  la Corte aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale,
per violazione dell'art. 24 Cost., dell'art. 555, comma 2, cod. proc.
pen.,  nella  parte  in cui non prevedeva la sanzione di nullita' per
mancanza  o insufficiente indicazione dell'avvertimento, previsto tra
i requisiti del decreto di citazione a giudizio, circa la facolta' di
chiedere  i riti alternativi, in base al rilievo che, «in mancanza di
una   tempestiva   conoscenza»,   l'imputato   si   sarebbe   trovato
irrimediabilmente decaduto dalla facolta' di farne richiesta;
        che non era invece previsto (e non lo e' neppure nell'assetto
normativo attualmente in vigore, salvo quanto si precisera' tra poco)
alcun  avvertimento  circa la facolta' di chiedere i riti alternativi
quando  il  termine ultimo per avanzare tale richiesta viene a cadere
all'interno  di  una  udienza  a  partecipazione necessaria, sia essa
dibattimentale  o  preliminare,  nel  corso della quale l'imputato e'
obbligatoriamente assistito dal difensore;
        che, proprio sul presupposto che la previsione della nullita'
del  decreto  in  caso  di  omissione  dell'avvertimento trova la sua
ragione  essenzialmente nella perdita irrimediabile della facolta' di
chiedere  i  riti alternativi conseguente alla mancanza di tempestiva
informazione,  questa  Corte  con  la  sentenza n. 101 del 1997 aveva
dichiarato   non   fondata   una   questione   di   costituzionalita'
dell'art. 456,  comma 2,  cod.  proc.  pen.,  concernente  la mancata
previsione  della  sanzione  della nullita' per l'omesso avvertimento
della facolta' di chiedere il patteggiamento, rilevando che all'epoca
la  richiesta  del rito alternativo poteva essere formulata sino alla
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento di primo grado, «in un
contesto  in  cui  le  garanzie  di informazione e di conoscenza sono
assicurate dall'assistenza obbligatoria del difensore»;
        che  successivamente,  modificato  con  la  legge 16 dicembre
1999,  n. 479, il sistema dei termini per avanzare richiesta dei riti
alternativi,  la  Corte,  investita  di  una questione apparentemente
analoga di legittimita' costituzionale dell'art. 456 cod. proc. pen.,
concernente la nullita' del decreto che dispone il giudizio immediato
in  caso  di  inesattezza  dell'avvertimento  all'imputato  circa  la
facolta'  di  chiedere  il giudizio abbreviato o l'applicazione della
pena,  ha affermato invece che, essendo il termine di decadenza entro
cui  chiedere  i  riti  alternativi  anticipato  rispetto  alla  fase
dibattimentale,    l'omissione,   l'insufficienza   o   l'inesattezza
dell'avvertimento  poteva  comportare  la perdita irrimediabile della
facolta'  di  accedere  a  tali  procedimenti e pertanto determinava,
sulla  scorta  dei principi affermati nella sentenza n. 497 del 1995,
la  nullita'  di  ordine  generale  prevista  dall'art. 178, comma 1,
lettera c), cod. proc. pen. (sentenza n. 148 del 2004);
        che,  abolita  la  figura  del pretore e abrogato il relativo
procedimento,  sostituito  dal  decreto legislativo 19 febbraio 1998,
n. 51,  con  il  procedimento  davanti  al  tribunale in composizione
monocratica, che manteneva ferma la struttura bifasica del decreto di
citazione a giudizio disposto dal pubblico ministero, il legislatore,
in  attuazione  della sentenza di questa Corte n. 497 del 1995, aveva
inserito  nell'art. 555,  comma 2, la sanzione di nullita' in caso di
mancanza   o   insufficienza   dell'avvertimento  circa  la  facolta'
dell'imputato   di  chiedere  i  riti  alternativi  entro  i  termini
stabiliti a pena di decadenza;
        che  successivamente,  a  seguito  delle modifiche introdotte
dalla  legge  n. 479  del  1999,  e'  mutata anche la struttura della
citazione  diretta  a  giudizio  davanti al tribunale monocratico, in
quanto,  secondo  quanto  previsto dall'art. 555, comma 2, cod. proc.
pen.,  in tale procedimento l'opzione per i riti alternativi puo' ora
essere   esercitata   sino   alla   dichiarazione   di  apertura  del
dibattimento;
        che,  pur essendo venuta meno la struttura bifasica che aveva
sino  ad  allora  caratterizzato la citazione a giudizio disposta con
decreto  del  pubblico  ministero,  prima  davanti  al  pretore e poi
davanti  al tribunale in composizione monocratica, il legislatore del
1999  ha  egualmente  mantenuto nell'art. 552, comma 1, lettera f), e
comma 2,  cod.  proc. pen. l'avvertimento a pena di nullita' circa la
facolta' di chiedere i riti alternativi;
        che  peraltro  tale  disciplina,  presumibilmente dovuta a un
difetto   di   coordinamento  delle  menzionate  novelle  legislative
rispettivamente  in  tema  di  procedimento  a citazione diretta e di
termini  per  la  richiesta  dei  riti  alternativi, non risulta piu'
assistita,  per  quanto  sinora esposto, da alcuna ragione di rilievo
costituzionale;
        che  infatti questa Corte, chiamata ad esaminare questioni di
legittimita' costituzionale sostanzialmente analoghe a quella oggetto
del presente giudizio, nelle quali l'attuale art. 552 cod. proc. pen.
era  evocato  come  tertium comparationis, ha ripetutamente affermato
che l'omessa previsione dell'avvertimento a pena di nullita' circa la
facolta'  di  chiedere  i riti alternativi non viola gli artt. 3 e 24
Cost.,  in  quanto, essendo il termine di decadenza posto all'interno
di fasi quali il dibattimento o l'udienza preliminare, l'informazione
circa  la  facolta'  di  chiedere i riti e' comunque assicurata dalla
presenza  obbligatoria  e  dall'assistenza  del difensore (oltre alla
gia'  menzionata  sentenza  n. 148  del  2004,  in  riferimento  alla
medesima  norma  oggi denunciata, ordinanza n. 484 del 2002, nonche',
in  relazione  alla  citazione a giudizio davanti al giudice di pace,
tra molte, ordinanze numeri 56, 55 e 11 del 2004, 231 del 2003);
        che, in particolare, nell'udienza preliminare la richiesta di
giudizio   abbreviato  o  di  applicazione  della  pena  puo'  essere
presentata  -  a norma degli artt. 438, comma 2, e 446, comma 1, cod.
proc.  pen. - sino alla formulazione delle conclusioni delle parti ex
artt. 421,  comma 3,  e  422,  comma 3,  cod. proc. pen.: in una fase
percio'  assai  avanzata dell'udienza, tale da garantire all'imputato
le piu' ampie possibilita' di informazione e di conoscenza e meditate
scelte  difensive  circa  l'opportunita' di chiedere uno di tali riti
alternativi;
        che  la  disciplina  contenuta  nell'art. 552,  comma 2, cod.
proc.  pen. non puo' quindi essere utilmente richiamata quale tertium
comparationis per sostenere la necessita' di estenderla, nel rispetto
dell'art. 3 Cost., al decreto di fissazione dell'udienza preliminare;
        che la questione di legittimita' costituzionale deve pertanto
essere dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 419,  comma 1,  del codice di
procedura   penale,   sollevata,   in  riferimento  all'art. 3  della
Costituzione,  dal  giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Nocera Inferiore con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 22 luglio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
05C0823