N. 325 SENTENZA 13 - 26 luglio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati   e   pene   -   Delitto  di  violenza  sessuale  di  gruppo  -
  Applicabilita'  dell'attenuante  dei  «casi  di  minore  gravita» -
  Mancata  previsione - Denunciata disparita' di trattamento rispetto
  al  delitto  di  violenza  sessuale,  lesione  del  principio della
  funzione rieducativa della pena - Non fondatezza della questione.
- Cod. pen., art. 609-octies.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma.
(GU n.31 del 3-8-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 609-octies del
codice penale (Violenza sessuale di gruppo), promosso, nell'ambito di
un  procedimento  penale,  dal Tribunale di Ravenna con ordinanza del
13 agosto  2004,  iscritta  al  n. 960  del registro ordinanze 2004 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 giugno 2005 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Tribunale di Ravenna ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,   primo  comma,  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 609-octies del
codice  penale (Violenza sessuale di gruppo), «nella parte in cui non
e'  prevista  l'applicabilita'  dell'attenuante  dei  casi  di minore
gravita».
    Il  rimettente  premette  che  due soggetti, imputati dei delitti
previsti  dagli  artt. 609-octies,  582  e  337  cod.  pen.,  avevano
chiesto, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., l'applicazione della
pena  nella  misura,  rispettivamente,  di un anno e sei mesi e di un
anno,  sei  mesi  e  dieci  giorni  di  reclusione, e che il pubblico
ministero  aveva  prestato  il  proprio consenso, sul presupposto che
l'attenuante per i «casi di minore gravita», prevista con riferimento
ai  reati  di  cui  agli  artt. 609-bis e 609-quater cod. pen., fosse
applicabile anche alla fattispecie in esame.
    La  pena  base  individuata  dalle parti per il reato di violenza
sessuale  di  gruppo (fattispecie per cui e' prevista una pena minima
di  sei  anni di reclusione) era stata infatti diminuita a due anni e
otto  mesi  di  reclusione  grazie alla ritenuta applicabilita' della
circostanza  attenuante  ad effetto speciale di cui all'art. 609-bis,
terzo  comma,  cod.  pen.; su tale pena base erano state applicate le
attenuanti  generiche,  disposto  l'aumento  per  la continuazione e,
infine, apportata la diminuzione per il patteggiamento.
    Ad avviso del Tribunale rimettente, avuto riguardo ai mezzi, alle
modalita' esecutive ed alle circostanze dell'azione - i due imputati,
in  evidente  stato  di  ebbrezza  all'interno  di  uno  stabilimento
balneare  affollato,  si  erano  avvicinati  alla  persona offesa, le
avevano  toccato i glutei; uno dei due aveva tentato di baciarla, non
riuscendo  nell'intento  per  la  reazione  della  vittima che veniva
infatti  soccorsa dalle numerose persone presenti sul luogo - sarebbe
configurabile l'attenuante in questione, ove normativamente prevista,
posto  che,  tenuto  conto della modestia della «qualita' e quantita'
della  violenza sessuale posta in essere», la «condotta delittuosa ha
avuto  conseguenze  lievi  sotto  il  profilo  della violazione della
liberta'  sessuale»  e  del  «danno  fisico  e psichico subito» dalla
persona offesa.
    Il  giudice  a quo afferma di concordare con la giurisprudenza di
legittimita'  sia quando esclude che l'attenuante ad effetto speciale
possa  estendersi  alla  fattispecie  di cui all'art. 609-octies cod.
pen.,  sia  quando  sostiene  che  «la  previsione  di un trattamento
sanzionatorio   piu'  grave  si  connette  al  riconoscimento  di  un
peculiare  disvalore della partecipazione simultanea di piu' persone,
in  quanto  una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado
di  lesivita'  piu'  intenso»;  ritiene, invece, non condivisibili le
argomentazioni  con  le  quali  la  medesima  Corte  di cassazione ha
dichiarato manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 27
Cost.,  analoga  questione di legittimita' costituzionale della norma
censurata.
    Ad  avviso del giudice a quo, infatti, proprio l'ampia nozione di
«atto  sessuale»  contenuta  nell'art. 609-bis  cod. pen. consente di
sollevare  nuovamente  la  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art. 609-octies  cod.  pen.,  nella parte in cui non prevede una
circostanza attenuante per i casi di minore gravita'.
    Alla  stregua della giurisprudenza di legittimita', atto sessuale
e'  infatti - prosegue il rimettente - qualsiasi atto, anche di breve
durata,  diretto  ed idoneo a compromettere la liberta' della persona
attraverso  l'eccitazione  o il soddisfacimento dell'istinto sessuale
dell'agente; non vi sarebbe quindi dubbio che in mancanza di un reato
di  «molestie  sessuali»,  anche  un «palpeggiamento» dei glutei, per
quanto  di  brevissima  durata,  rientrando  nella  nozione  di  atto
sessuale, puo' integrare il delitto di violenza sessuale.
    In  caso  di  violenza sessuale di gruppo, l'omessa previsione di
un'attenuante  in  relazione  alle  ipotesi  di  minore gravita' e la
conseguente  applicazione di una pena sproporzionata determinerebbero
pertanto  una  irragionevole  disparita' di trattamento rispetto alla
medesima  condotta  di  ridotta  offensivita'  realizzata  da un solo
agente  e  punita in modo sensibilmente piu' lieve dall'art. 609-bis,
terzo comma, cod. pen.
    L'incoerenza  del  sistema  sarebbe  ancora  piu' evidente ove si
consideri  che  la circostanza attenuante della minore gravita' opera
anche  nei  casi  di  violenza  sessuale  aggravata  dall'eta'  della
vittima,  anche  se  inferiore  a  dieci  anni (art. 609-ter, secondo
comma, cod. pen.), e di atti sessuali con minorenne, anche se di eta'
inferiore a dieci anni (art. 609-quater, quarto comma, cod. pen.). Lo
stesso  «atto sessuale» di ridotta offensivita' potrebbe cioe' essere
sanzionato  con  la  pena  di  un  anno  e otto mesi di reclusione se
compiuto  da  una  sola  persona, e con la pena minima di sei anni di
reclusione se posto in essere da due persone.
    Ad  avviso  del  rimettente, la sproporzione e l'irragionevolezza
del  trattamento  sanzionatorio  si pone altresi' in contrasto con il
principio  della  funzione  rieducativa  della  pena  (art. 27, comma
terzo, Cost.).
    2.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
infondata.
    Ad   avviso   dell'Avvocatura,   la   mancata   previsione  della
circostanza   attenuante   dei  «casi  di  minore  gravita»  prevista
dall'art. 609-bis   cod.   pen.   e'  frutto  di  una  ragionevole  e
condivisibile  scelta  del  legislatore,  alla luce della particolare
gravita'  del  reato  di  violenza  sessuale  di  gruppo che, proprio
perche'  posto  in  essere  da piu' persone riunite, puo' «ingenerare
piu' violenti traumi psichici nella vittima» e desta maggiore allarme
sociale.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale di Ravenna dubita, in riferimento agli artt. 3,
primo   comma,   e   27,   terzo  comma,  della  Costituzione,  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 609-octies  del codice penale
(Violenza  sessuale  di  gruppo), nella parte in cui, a differenza di
quanto  dispone  l'art. 609-bis,  terzo  comma,  dello stesso codice,
relativo    al    delitto   di   violenza   sessuale,   non   prevede
l'applicabilita' dell'attenuante dei «casi di minore gravita».
    Il  rimettente,  dopo  avere  sommariamente  descritto i fatti di
causa,  precisa che le modalita' e le circostanze della condotta e la
modesta   entita',   sia   sul   piano  quantitativo  che  su  quello
qualitativo, degli atti di violenza sessuale posti in essere in danno
della   persona   offesa   renderebbero   configurabile,   ove  fosse
applicabile  anche alla violenza sessuale di gruppo, l'attenuante dei
casi  di  minore  gravita'. Sulla base di tale premessa, il giudice a
quo  rileva  che  la  nozione  assai  ampia di atto sessuale, tale da
comprendere,   alla   stregua   di  una  costante  giurisprudenza  di
legittimita',    qualsiasi    atto    lesivo    della   liberta'   di
autodeterminazione  della  persona  offesa  nella sua sfera sessuale,
nonche'  l'assenza di uno specifico reato di «molestie sessuali», nel
quale  potrebbero  essere  comprese  le  ipotesi  di minore gravita',
rendono  la  disciplina censurata irragionevole e contrastante con il
principio   di   eguaglianza,   essendo  evidente  la  disparita'  di
trattamento riservata al medesimo atto sessuale di «minore gravita» a
seconda  che  la condotta venga realizzata da un solo soggetto ovvero
da piu' persone riunite.
    L'incoerenza   del  sistema  risulterebbe  ancora  piu'  evidente
tenendo presente che la circostanza attenuante della «minore gravita»
- che comporta una diminuzione di pena sino a due terzi - opera anche
nei  confronti delle ipotesi di violenza sessuale aggravate dall'eta'
della  vittima,  inferiore a quattordici o a dieci anni, per le quali
l'art. 609-ter,  primo  comma,  numero  1, e secondo comma, cod. pen.
prevede,  rispettivamente,  la pena da sei a dodici anni e da sette a
quattordici  anni  di  reclusione, e del delitto di atti sessuali con
minorenne,  per  il  quale l'art. 609-quater, quarto comma, cod. pen.
prevede  la pena da sette a quattordici anni di reclusione ove l'eta'
della persona offesa sia inferiore a dieci anni.
    Ad  avviso  del  rimettente, la sproporzione e l'irragionevolezza
del  diverso  trattamento  sanzionatorio,  a  seconda che la medesima
condotta sia posta in essere da una persona singola o da piu' persone
riunite,  sarebbe  talmente rilevante da porsi in contrasto anche con
il principio della funzione rieducativa della pena.
    2. - La questione non e' fondata.
    3.  -  L'originaria  disciplina  dei  delitti  contro la liberta'
sessuale,  inseriti  nel  capo I del titolo IX (Dei delitti contro la
moralita'  pubblica  e  il buon costume) del libro secondo del codice
penale,  e'  stata interamente abrogata dalla legge 15 febbraio 1996,
n. 66,  che  ha  al  contempo  inserito  gli  articoli  da  609-bis a
609-decies  nella  sezione  del  codice dedicata ai delitti contro la
liberta'  personale,  facente  parte  del  titolo relativo ai delitti
contro la persona.
    Ai fini della presente decisione assume rilievo in primo luogo la
concentrazione  nell'unico delitto di violenza sessuale (art. 609-bis
cod.  pen.)  delle  fattispecie  di  violenza  carnale  e  di atti di
libidine violenti, rispettivamente previste negli artt. 519 e 521 del
testo  originario del codice penale. La condotta del nuovo delitto di
violenza  sessuale  consiste  nel  costringere  taluno  a  compiere o
subire, con violenza, minaccia o abuso di autorita', atti sessuali, i
quali  abbracciano  ora  una  gamma  assai  vasta  di  comportamenti,
caratterizzati  dall'idoneita'  a  incidere  comunque  sulle facolta'
della  persona  offesa  di autodeterminarsi liberamente nella propria
sfera sessuale.
    A  fronte  di  una nozione di atto sessuale che continua ad avere
come  punti  di  riferimento  da  un  lato  la congiunzione carnale e
dall'altro  gli  atti  di  libidine,  ma  intende  distaccarsi  dalla
fisicita'  e  materialita'  della distinzione per apprestare una piu'
comprensiva  ed  estesa  tutela  contro  qualsiasi  comportamento che
costituisca  una ingerenza nella piena autodeterminazione della sfera
sessuale,  il  legislatore  ha avvertito l'esigenza di introdurre una
circostanza  attenuante  per i casi di minore gravita' (art. 609-bis,
terzo  comma,  cod.  pen.).  Mediante una consistente diminuzione (in
misura  non eccedente i due terzi) della pena prevista per il delitto
di  violenza  sessuale  (fissata,  nel  minimo,  in  cinque  anni  di
reclusione),    risulta   cosi'   possibile   rendere   la   sanzione
proporzionata  nei  casi  in  cui  la  sfera  della liberta' sessuale
subisca  una  lesione  di minima entita'. L'attenuante si pone dunque
quale  temperamento  degli  effetti  della concentrazione in un unico
reato  di  comportamenti,  tra loro assai differenziati, che comunque
incidono  sulla  liberta'  sessuale  della  persona  offesa,  e della
conseguente   diversa   intensita'  della  lesione  dell'oggettivita'
giuridica del reato.
    In   particolare,   la   presente   questione   di   legittimita'
costituzionale  ha  per  oggetto  la nuova fattispecie della violenza
sessuale   di   gruppo,   introdotta   dalla  legge  n. 66  del  1996
nell'art. 609-octies  cod.  pen.  La  violenza  sessuale  di  gruppo,
costruita  come  un autonomo titolo di reato, e' definita dalla norma
in  esame  come «partecipazione, da parte di piu' persone riunite, ad
atti  di  violenza sessuale di cui all'articolo 609-bis» ed e' punita
con la reclusione da sei a dodici anni.
    L'esigenza  di  prevedere  un'autonoma  ipotesi di reato rispetto
alla  violenza  sessuale monosoggettiva e di sanzionarla con una pena
piu'  severa  trova  ragione,  sul  terreno della politica criminale,
nella  constatazione  che  l'aggressione  commessa  da  piu'  persone
riunite,  oltre  a comportare una piu' intensa lesione del bene della
liberta'  sessuale  a causa della prevedibile reiterazione degli atti
di violenza, vanifica le possibilita' di difesa e di resistenza della
vittima  e  la  espone  a forme di degradazione e di reificazione che
rendono  piu'  grave  e  profondo  il  trauma  psichico  che comunque
consegue a qualsiasi episodio di violenza sessuale.
    Con  riferimento  al  delitto  in  esame  operano  la circostanza
attenuante  speciale  «per  il  partecipante la cui opera abbia avuto
minima  importanza  nella preparazione o nella esecuzione del reato»,
relativa  al  contributo marginale prestato da un singolo concorrente
nel  reato,  nonche'  le  altre  attenuanti previste dal quarto comma
dell'art. 609-octies   cod.   pen.   Secondo   la  giurisprudenza  di
legittimita'  non trova invece applicazione l'attenuante dei «casi di
minore  gravita»,  contemplata dal terzo comma dell'art. 609-bis cod.
pen.,  sia  perche'  non  richiamata  dalla norma incriminatrice, sia
perche',  quando  il  legislatore  ha voluto estenderla a fattispecie
diverse   dall'ipotesi   base   della   violenza   sessuale,   lo  ha
espressamente previsto (vedi il terzo comma dell'art. 609-quater cod.
pen., che descrive il delitto di atti sessuali con minorenne).
    Le medesime ragioni che hanno ispirato l'introduzione della nuova
fattispecie  della  violenza sessuale di gruppo giustificano, secondo
la    giurisprudenza    di    legittimita',    l'omessa    previsione
dell'attenuante   dei  «casi  di  minore  gravita»;  in  particolare,
sussisterebbe  un'evidente incompatibilita' dell'attenuante in parola
con l'oggettiva, eccezionale gravita' di una ipotesi criminosa cui si
accompagna  una aggressione particolarmente intensa della sfera della
liberta'  sessuale.  Come  emerge  dai lavori preparatori della legge
n. 66 del 1996, il delitto in esame presuppone comportamenti talmente
violenti  e  un  livello  cosi' intenso di costrizione della liberta'
sessuale  della  vittima da precludere l'applicazione dell'attenuante
dei «casi di minore gravita».
    4.   -   Venendo   ad   esaminare   le  censure  di  legittimita'
costituzionale  prospettate  dal rimettente in riferimento all'art. 3
Cost.,  questa  Corte  ha costantemente affermato, sin dalla sentenza
n. 26  del  1979,  che  la  determinazione  della  qualita'  e  della
quantita'  delle sanzioni, e quindi la congruita' della pena rispetto
alla   gravita'  del  reato,  rientrano  nella  discrezionalita'  del
legislatore,  salvo  il  sindacato  di  costituzionalita'  su  scelte
normative   palesemente  arbitrarie  o  radicalmente  ingiustificate,
ovvero   contrastanti   in   modo   manifesto  con  il  canone  della
ragionevolezza,   che   si   traducono   in  un  uso  distorto  della
discrezionalita'  (v.  anche, tra le decisioni piu' recenti, sentenze
n. 313 del 1995, n. 217 del 1996 e n. 287 del 2001, nonche' ordinanze
numeri  110  e  323  del 2002, n. 172 del 2003 e n. 158 del 2004). In
particolare,  questo  indirizzo  ha  trovato  applicazione  anche con
riferimento  a  questioni  relative  alla  determinazione  del minimo
edittale  della  sanzione (sentenza di accoglimento n. 341 del 1994 e
ordinanza di manifesta infondatezza n. 163 del 1996), nonche' in caso
di  mancata  previsione di una ipotesi attenuata per le violazioni di
minor rilievo (ordinanza n. 456 del 1997).
    Dalle  decisioni  sopra menzionate emerge, in particolare, che le
sentenze  di accoglimento per avere il legislatore superato il limite
della  ragionevolezza  sono  state  pronunciate  in situazioni in cui
l'arbitrarieta'   delle   scelte  legislative  derivava  dal  diretto
confronto  tra  fattispecie  di  reato  sostanzialmente identiche, ma
sottoposte  a  diverso trattamento sanzionatorio (sentenze n. 102 del
1985,  n. 341  del 1994 e n. 287 del 2001), ovvero in casi in cui era
prevista  la  medesima  pena sia per il delitto consumato (omicidio),
sia  per  il  tentativo del medesimo delitto (commesso da un militare
contro un superiore: sentenza n. 26 del 1979).
    5.  -  La  presente  questione di legittimita' costituzionale non
rientra  all'evidenza  nell'ambito  dei  limiti entro cui la Corte ha
ritenuto  di  essere  legittimata  a sindacare l'esercizio del potere
discrezionale  del  legislatore in tema di corrispondenza tra entita'
della  pena  e  gravita'  del reato. E' infatti ragionevole ritenere,
come  gia' esposto in precedenza, che la violenza sessuale di gruppo,
proprio  a  causa della presenza di piu' persone riunite, cagioni una
lesione   particolarmente   grave   e   traumatica   della  sfera  di
autodeterminazione   della  liberta'  sessuale  della  vittima:  tali
caratteristiche   differenziano  anche  sul  terreno  qualitativo  la
violenza di gruppo dagli atti di violenza sessuale posti in essere da
una  sola  persona  e  giustificano la maggior severita' del relativo
trattamento sanzionatorio.
    Ne emerge dunque una sostanziale diversita' rispetto agli atti di
violenza sessuale monosoggettiva, tale da rendere non proponibile una
diretta  comparazione,  rilevante  ai  fini dell'art. 3 Cost., tra il
trattamento sanzionatorio riservato ai due reati.
    Malgrado  la  latitudine  dei comportamenti in astratto idonei ad
integrare gli atti sessuali che costituiscono l'elemento materiale di
entrambi  i  reati,  l'omessa previsione dell'attenuante dei «casi di
minore  gravita»  non  puo' quindi essere ritenuta espressione di una
scelta   del  legislatore  palesemente  irragionevole,  arbitraria  o
ingiustificata, contrastante con l'art. 3 Cost.
    L'infondatezza  della questione di legittimita' costituzionale in
riferimento  al  parametro  di  cui  all'art. 3  Cost. rende altresi'
infondata  la  censura  sollevata  sotto  il profilo della violazione
dell'art. 27, terzo comma, Cost.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 609-octies  del  codice  penale,  sollevata, in riferimento
agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal
Tribunale di Ravenna con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 luglio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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