N. 449 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 maggio 2005

Ordinanza  emessa  il  9  maggio  2005  dalla  Commissione tributaria
provinciale di Pesaro nel procedimento tributario vertente tra Vitale
Vincenzo contro Regione Marche ed altra

Imposta  sui  redditi  delle  persone  fisiche  (IRPEF) - Addizionale
  regionale  -  Possibilita'  di fissazione «a decorrere dal 2002» di
  aliquote  superiori  alla  misura  massima  (1,4%) consentita dalla
  legislazione   statale   -   Mancata  statuizione  da  parte  della
  legislazione statale di un tetto massimo della misura dell'aliquota
  -  Estensione,  con legge della Regione Marche, degli effetti della
  maggiorazione anche agli anni successivi al 2002 - Modulazione, con
  la  stessa  legge  regionale, dell'aliquota in misura crescente per
  scaglioni   di  reddito  -  Contrasto  con  la  norma  statale  che
  facoltizza le Regioni a superare la misura dell'1,4% «limitatamente
  all'anno 2002»  -  Denunciata  previsione,  da  parte  della  legge
  regionale,  di  una  progressivita' dell'addizionale non consentita
  dalla   legislazione   statale   -   Violazione   dei  principi  di
  coordinamento  della  finanza  pubblica  e del sistema tributario -
  Contrasto con il principio d'uguaglianza, sia rispetto ai cittadini
  di  altre Regioni, sia per la surrettizia introduzione di una sorta
  di doppia progressivita'.
- Legge 16 novembre 2001, n. 405, art. 4, comma 3-bis [recte: Decreto
  legge   18 settembre   2001,   n. 347,  art. 4,  comma 3-bis,  come
  modificato  dalla  Legge di conversione, 16 novembre 2001, n. 405];
  Legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35, art. 1, comma 7
  e annessa Tabella A.
- Costituzione,  artt. 3 e 119; Decreto legislativo 15 dicembre 1997,
  n. 446, art. 50, comma 3.
(GU n.38 del 21-9-2005 )
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha   emesso   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 516/2004
depositato  il  26  luglio  2004,  avverso silenzioso rifiuto istanza
rimb.  addiz.  IRPEF  2003, contro Agenzia entrate - Ufficio Pesaro -
Regione  Marche, difeso da Di Ianni avvocato Lucilla, elett. dom. C/O
st.  Avvocato  M.  Isabella  Torriani, via Branca, 116 - 61100 Pesaro
(PS),  proposto  dal ricorrente, Vitale Vincenzo, viale Trento, 256 -
61100 Pesaro (PS).

                      Svolgimento del processo

    Con   ricorso   depositato  il  26 luglio  2004  Vincenzo  Vitale
impugnava,  dinanzi  a  questa Commissione tributaria provinciale, il
rifiuto  tacito  da  parte della Regione Marche e della Agenzia delle
entrate  di  Pesaro  della  restituzione  dell'importo di euro 449,85
riscosso  dalla  regione a titolo di addizionale regionale per l'anno
2003, in eccedenza rispetto al dovuto.
    Deduce   il   ricorrente  che,  nonostante  il  disposto  di  cui
all'art. 4  comma  3-bis  della  legge  16 novembre  2001  n. 405, da
considerarsi  norma  eccezionale,  introdotta  nell'ordinamento  allo
specifico  scopo di consentire la copertura dei disavanzi di gestione
derivanti  dall'aumento  della  spesa sanitaria, avesse espressamente
una  efficacia  limitata  al solo anno 2002, per cui, allo scadere di
tale anno, doveva ritenersi venuta meno la possibilita' per l'ente di
stabilire   ed  applicare  aliquote  superiori  alla  misura  massima
prevista   dal   decreto-legge   n. 446/1997,   come   integrato  dal
decreto-legge  n. 56/2000, gli era stata indebitamente applicata, per
l'anno 2003, la stessa aliquota del 2002.
    Non  avendo,quindi,  la  regione  per tale anno deliberato alcuna
maggiorazione  entro i limiti consentiti, il sostituto d'imposta, con
il  CUD  relativo all'anno 2003, ricevuto il 15 gennaio 2004, avrebbe
dovuto  applicare,anziche'  le  aliquote  del  2002, l'aliquota dello
0,90%  prevista  per  l'anno  2001, conteggiando e trattenendo quindi
l'importo di euro 376,67, anziche' di euro 826,52.
    Essendo  decorsi i termini di legge dalla ricezione della domanda
di  rimborso,  senza  alcun  riscontro  da  parte dei convenuti enti,
chiedeva,   pertanto,   la  restituzione  della  somma  indebitamente
trattenuta di euro 449,85.
    Si costituivano entrambi gli Enti convenuti.
    La  Regione  Marche,  nelle  controdeduzioni del 3 dicembre 2004,
osservava  che, alla luce della normativa vigente in subiecta materia
correttamente,  con propria legge, aveva provveduto ad individuare, a
decorrere  dall'anno  2002  e  quindi  anche  per  il  2003, le nuove
aliquote  applicabili  all'addizionale  IRPEF,  peraltro  seguendo il
principio  della  progressivita'  in  base  al dettato costituzionale
(art. 53 Cost.).
    La  potesta'  di  variare  l'aliquota  dell'addizionale  prevista
dall'art. 4,  comma  3-bis  della  legge  n. 405/2001, conferita alle
regioni  genericamente  senza  alcun  vincolo  che  fosse  quello del
necessario  rapporto  delle aliquote medesime all'effettivo disavanzo
regionale, non era stata invero consentita solamente per l'anno 2002,
riferendosi  il comma 3-bis esclusivamente alle modalita' ed ai tempi
d'imposizione.
    A  sua  volta  l'Agenzia  delle entrate di Pesaro, con la memoria
illustrativa del 23 dicembre 2004, difendeva l'operato della Regione,
alle cui deduzioni sostanzialmente faceva riferimento.
    Nessun  rimborso pertanto competendo al Vitale, entrambi gli Enti
chiedevano il rigetto del ricorso, con vittoria di spese.
    La   causa,   previo  rinvio  ex  art. 35/2  decreto  legislativo
n. 546/1992, e' stata decisa in camera di consiglio il 21 marzo 2005.

                       Motivi della decisione

    Sussistono   i   presupposti   per   ritenere   rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
in  via  congiunta,  della  disposizione  statale (art. 4,comma 3-bis
della  legge n. 405 del 16 novembre 2001), dell'art. 1, comma 7 della
legge  della Regione Marche n. 35 del 19 dicembre 2001 e dell'annessa
Tabella   A,  per  patente  violazione  degli  artt. 3  e  119  della
Costituzione.  L'incremento  dell'aliquota  dell'  addizionale  IRPEF
(comma  3-bis  dell'art. 4  della  legge  n. 405/2001) introdotto dal
Senato  in  sede  di  conversione del decreto-legge 18 settembre 2001
n. 347  recante  interventi  urgenti  in  materia di spesa sanitaria,
autorizza  le  regioni,  limitatamente  all'anno  2002,  ad aumentare
l'aliquota    dell'addizionale   regionale   all'IRPEF   con   propri
provvedimenti  da  pubblicare  nella  Gazzetta  Ufficiale entro il 31
dicembre  2001,  in  deroga  ai  termini  e  alle  modalita' previsti
dall'art. 50,  comma  3,  secondo periodo, del decreto legislativo 15
dicembre 1997 n. 446.
    Il  comma aggiuntivo, nella sua stesura definitiva, prevede, poi,
che  qualora  la  maggiorazione dell'aliquota di tale addizionale sia
superiore  allo  0,5%,  tale maggiorazione debba essere stabilita con
legge regionale.
    L'istituzione   dell'addizionale  regionale  all'IRPEF  e'  stata
disposta  con l'art. 50, comma l, del decreto legislativo 15 dicembre
1997   n. 446.   Inizialmente  tale  decreto,  al  comma  3,  fissava
l'aliquota    dell'addizionale   nella   misura   dello   0,5%,   con
corrispondente  diminuzione  delle  aliquote  ordinarie, di spettanza
dello  Stato.  In  tale  misura l'addizionale si configurava pertanto
come comprecipazione al gettito IRPEF.
    Il  decreto legislativo n. 446 attribuiva inoltre alle regioni, a
partire    dal    2000,   la   facolta'   di   aumentare   l'aliquota
dell'addizionale  fino  ad un tetto massimo dell'1%; per questa parte
(0,5%) si trattava, quindi, di un vera e propria addizionale.
    Le  modifiche  a decretol legislativo n. 446/1991, introdotte, da
ultimo,  con  il  decreto  legislativo  18 febbraio 2000 n. 56, hanno
elevato,  a  decorrere  dall'anno  2000,  l'addizionale  regionale di
compartecipazione  dallo  0,5%  allo 0,9% e hanno portato all'l,4% il
tetto massimo della misura dell'addizionale che ciascuna regione puo'
stabilire.
    Al  riguardo  il  secondo  periodo  del  comma 3 dell'art. 50 del
decreto   legislativo,   n. 446/1997  prevede,  in  particolare,  che
ciascuna  regione  possa maggiorare l'aliquota suddetta fino all'l,4%
con proprio provvedimento, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale non
oltre  il 30 novembre dell'anno precedente a quello cui l'addizionale
si  riferisce.  Le  disposizioni  di  cui  al comma 3-bis in esame si
riferiscono,  pertanto,  all'addizionale  regionale  all'IRPEF per la
parte  che  costituisce  una  maggiorazione  rispetto all'aliquota di
compartecipazione;  la decisione di prevedere tale maggiorazione e la
sua  determinazione  quantitativa  e'  demandata alle singole regioni
(senza  che  comunque  essa  sia  compensata  da  una  corrispondente
riduzione delle aliquote erariali).
    Peraltro,   fino   al   periodo   d'imposta   2001,  aveva  avuto
applicazione  soltanto  l'aliquota  di  compartecipazione dello 0,9%,
nessuna  regione avendo introdotto la maggiorazione dell'addizionale,
consentita sino alla soglia dell'1,4%.
    La deroga, che il comma in questione prevede, riguardo ai termini
e  alle  modalita'  stabiliti dall'art. 50, comma 3, secondo periodo,
del   decreto  legislativo  n. 446/1997,  concerne  sia  le  scadenze
temporali   entro   le   quali   le  regioni  possono  deliberare  la
maggiorazione  dell'aliquota  dell'addizionale,  sia  la misura della
maggiorazione  medesima.  In  ogni  caso  la  deroga  in questione si
applica  espressamente  solo  al  periodo  d'imposta  coincidente con
l'anno  2002,  riacquistando  successivamente  vigore le disposizioni
derogate.
    Per  quanto  riguarda  il  profilo  temporale, le regioni possono
deliberare la maggiorazione dell'aliquota anche oltre il 30 novembre,
purche'  essa  sia  determinata  con  provvedimento  della regione da
pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 2001.
    Per  quanto  concerne  il profilo quantitativo le regioni possono
(limitatamente   al   2002)  maggiorare  l'aliquota  dell'addizionale
regionale   all'IRPEF   anche  oltre  il  tetto  massimo  complessivo
dell'1,4%;     tuttavia    se    la    maggiorazione    dell'aliquota
dell'addizionale   e'   superiore   allo  0,5%,  l'atto  con  cui  la
maggiorazione viene disposta deve essere una legge regionale.
    Nel  caso  ipotizzato,  infatti,  la  maggiorazione oltrepassa il
limite  fissato  dall'art. 50,  comma  3, secondo periodo del decreto
legislativo  n. 446/1997  - limite dato dalla differenza tra il tetto
massimo  dell'1,4%  e  il  valore,  identico  per  tutte  le regioni,
dell'aliquota di compartecipazione, che e' pari allo 0,9%.
    Tal  che  la  disposizione  che  impone  il  ricorso  alla  legge
regionale  pare  rispondere alle prescrizioni dell'art. 23 Cost., che
riserva  alla  legge  (per  quanto  si  tratti di riserva relativa di
legge) l'imposizione di qualunque prestazione patrimoniale (oltre che
personale).
    La  lettura  della  norma  di cui al comma 3-bis, con particolare
riguardo  al  secondo  periodo  di tale disposizione, sembra pertanto
autorizzare  la  maggiorazione dell'aliquota (pur sempre unica) senza
alcun  limite  e cosi' e' stata letta ed intesa dalla Regione Marche,
come  si  vedra'  in  prosieguo,  a differenza di quella che e' stata
l'interpretazione della maggior parte (la quasi totalita) delle altre
regioni  italiane  (molte  di  esse  o  hanno  conservato  l'aliquota
stabilita  dallo  Stato  -  0,9%  -  ovvero  si  sono  avvalse  della
possibilita' sancita dall'art. 50 decreto legislativo n. 446 ed hanno
stabilito  la  maggiorazione  fino  all'l,4%, unica eccezione essendo
costituita   dalla   Regione   Veneto   che  sembra  aver  inteso  la
disposizione  siccome autorizzante un - ulteriore - aumento fino allo
0,5%  ed  ha  pertanto  provveduto ad elevare all'l,9% l'aliquota sui
redditi  maggiori,  per  ritornare peraltro sui propri passi - 1,4% -
con riferimento alla determinazione dell'aliquota per l'anno 2003).
    Se  e'  cosi',  la problematica di costituzionalita' riguarda, in
primis  et  ante  omnia,  proprio la disposizione di legge statale in
esame, in quanto la rinuncia dello Stato all'apposizione di limiti fa
venir  meno  qualunque  possibilita'  di  quel  «coordinamento  della
finanza  pubblica  e  del sistema tributario» sancito dal nuovo testo
dell'art. 119  Cost., entrato in vigore (art. 5, legge costituzionale
18 ottobre  2001  n. 3,  in  Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre
2001)  - senza transizione -, l'8 novembre 2001,e quindi dieci giorni
prima  dell'entrata  in  vigore del citato art. 4, comma 3-bis, legge
n. 405 (18 novembre 2001).
    Per  la  parte  che  qui  interessa la nuova norma costituzionale
stabilisce   che   le  regioni,  nel  quadro  della  loro  «autonomia
finanziaria  di  entrata e di spesa», stabilisono e applicano tributi
ed entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi
di  coordinamento  della  finanza  pubblica e del sistema tributario;
esse, inoltre, «dispongono di compartecipazione al gettito di tributi
erariali riferibile al loro territorio».
    Nel  richiamare  tale  ridefinizione  del  sistema  finanziario e
tributario degli enti locali risultante dal novellato art. 119 Cost.,
ha  dato  atto  la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 37
del  2004, che l'attuazione di questo disegno costituzionale richiede
come  necessaria  premessa  l'intervento  del legislatore statale, il
quale,  al  fine di coordinare l'insieme della finanza pubblica, deve
non  solo  fissare  i  principi  cui  i  legislatori regionali devono
attenersi,  ma  anche determinare le grandi linee dell'intero sistema
tributario  e  definire  gli  spazi  e  i  limiti  entro i quali puo'
esplicarsi  la  potesta' impositiva rispettivamente di Stato, Regioni
ed enti locali.
    Orbene,  stante  la  natura  di  tributo indubitabilmente statale
quale  e'  l'IRPEF,  destinato,  nelle  prospettive  del  legislatore
statale,   a   modificazioni   profonde   (v.  sentenze  della  Corte
costituzionale  numeri  37  e 381 del 2004) non e' chi non veda come,
stante  l'accessorieta'  a  tale  imposta della relativa addizionale,
spetti  allo  Stato,  in  attuazione dei principi di cui all'art. 119
Cost., dettarne la misura massima, il tetto massimo oltre il quale la
regione  non puo' avvalersi della facolta', attribuitale sempre dallo
Stato,  di  aumentarne  l'aliquota,  anche  al fine di evitare che un
carico  tributario  eccessivo  possa costituire stimolo all'evasione,
mettendo  a  rischio  la preponderante entrata tributaria erariale (e
del resto - un tetto massimo - era stato stabilito nelle precedenti e
sopra richiamate norme istitutive dell'addizionale).
    Si  vuol  dire  in  sostanza  che  essendo  l'addizionale imposta
parassitaria,  che segue le sorti dell'imposta principale, la mancata
statuizione, con l'art. 4 comma 3-bis, legge n. 405/2001, di un tetto
massimo  della  misura  della relativa aliquota e la conseguente gia'
enunciata  rinuncia  alla  competenza  statale  di dettarne la misura
massima,   comporta  l'indubbia  violazione  dell'art. 119  Cost.,  e
conseguentemente  l'illegittimita'  costituzionale  della  suindicata
norma,   con  riguardo  al  richiamato  parametro  costituzionale  di
riferimento.
    Tutto  cio',  con  gli  evidenti  riflessi  sull'altro  principio
costituzionale, quello di uguaglianza tra i cittadini italiani di cui
all'art. 3  Cost.,  stante  la  possibile  disparita'  di trattamento
fiscale  tra  i  predetti,  a  seconda  della  regione di partenenza,
configuratasi  in maniera macroscopica nella Regione Marche, come qui
di seguito si andra' a dimostrare.
    Ed  infatti  al  comma  7  dell'art. 1  della  legge n. 35 del 19
dicembre  2001  la  Regione  Marche  ha  stabilito  che  «a decorrere
dall'anno  2002»  l'addizionale  regionale  all'IRPEF  e' determinata
applicando  l'aliquota  di  reddito complessivo secondo gli scaglioni
indicati nella allegata Tabella A e precisamente:
        fino a euro 10329,14 : 0,9%;
        oltre euro 10.329,14 fino a euro 15.493,71: 0,9%;
        oltre euro 15.493,71 fino a euro 30.987,41: 1,91%;
        oltre euro 30.987,41 fino a euro 69.721,68: 3,60%;
        oltre euro 69.721,68: 4%.
    Sembra evidente che la suindicata legge regionale, che ha fissato
«a  decorrere dal 2002» aliquote dell'addizionale regionale all'IRPEF
superiori  alla  misura  dell'1,4%  previsto  dall'art. 3 del decreto
legislativo  18  febbraio  2000 n. 56 per i redditi superiori ad euro
15.493,71,  tragga fondamento dall'art. 4, comma 3-bis della legge 16
novembre 2001, n. 405, teste' ritenuta viziata di incostituzionalita'
secondo i richiamati parametri di riferimento.
    Diciamo  «sembra»  giacche' in realta' la normativa regionale non
contiene  alcun riferimento esplicito a quella statale (art. 4, comma
3-bis  legge  n. 405/2001), ne' alle ragioni di intervento urgente in
materia  di spesa sanitaria e di copertura da parte delle regioni dei
disavanzi  di  gestione  in  tale  campo accertati o stimati (comma 3
della  stessa  legge)  che  ne  avevano determinato la promulgazione.
Mentre   lo   stesso   espresso   richiamo  all'art. 50  del  decreto
legislativo  n. 446/1997  e  successive modificazioni non consente di
includere  in  queste  ultime  la  norma  statale in discorso essendo
quest'ultima,   al   citato   comma   3-bis,  norma  eccezionale  non
modificatrice,   ma  derogatrice,  limitatamente  all'anno  2002  «ai
termini  ed  alle  modalita'  dell'art. 50  comma  3,secondo  periodo
dell'art. 50 del decreto legislativo n.446/1997».
    Sicche',   in   assenza   altresi'   della  previsione  temporale
limitativa  contenuta  nella  legge  statale  (la normativa regionale
prevede  la  determinazione  dell'addizionale  regionale IRPEF con le
sopra   riportate   aliquote  «a  decorrere  dall'anno  2002»  e  non
limitatamente a tale anno, l'unico aggancio alla normativa statale in
discorso   parrebbe   consistere   nella  promulgazione  della  legge
regionale  il 19 dicembre 2001, entro cioe' quel limite temporale del
31 dicembre 2001 stabilito dal comma 3-bis anziche' - non oltre il 30
novembre dell'anno precedente a quello cui l'addizionale si riferisce
-   statuito   dal  comma  3  dell'art. 50  del  decreto  legislativo
n. 446/1997.
      Vedra'  il  giudice  delle  leggi  se una interpretazione della
normativa regionale nel senso che essa non tragga alcun fondamento da
quella  statale di cui all'art. 4 comma 3-bis della legge n. 405/2001
svuoti  di  contenuto,  per irrilevanza, la questione di legittimita'
costituzionale  della  stessa  (e  della collegata legge statale) nei
termini  che  piu'  innanzi  saranno prospettati, facendola rientrare
nell'esercizio  della  facolta' consentita alle regioni di maggiorare
l'aliquota dell'addizionale regionale (nel caso di specie a decorrere
dall'anno  2002)  non oltre pero' l'aliquota dell'1,4%, come previsto
dal richiamato comma 3 dell'art. 50 del n. 446/1997, come modificato,
da ultimo dal decreto legislativo n. 56/2000.
    Con  ogni  conseguenza,  e' ovvio, di palese illegittimita' delle
aliquote,  superiori a tale «tetto», statuite per i redditi superiori
ad euro 15. 493,71.
    Il  dubbio  interpretativo  induce  pero' il Collegio ad accedere
alla  tesi individuante, pur nella palese equivocita' della redazione
del  provvedimento  della  Regione Marche, un collegamento quantomeno
logico tra lo stesso e la norma statale di cui all'art. 4 comma 3-bis
n. 405/2001,  con  conseguente  -  salvezza  -  della rilevanza della
questione di legittimita' costituzionale delle due normative.
    Cio'  posto,  un  evidente vizio di costituzionalita' del comma 7
dell'art. 1  della  legge  regionale  n. 35/2001  e'  costituito  dal
riferimento  temporale  «a  decorrere  dall'anno 2002», che puo' solo
significare  che l'efficacia dell'intervento, con tale decorrenza, e'
concepita senza limiti di tempo.
    Un  tale  disposto  e' in rotta di collisione con la disposizione
autorizzatrice che testualmente dispone «limitatamente all'anno 2002»
ed   il   contrasto  testuale  evidenzia  che,  comunque,  a  partire
dall'1° gennaio  2003,  l'ultrattivita' della legge regionale (di cui
si  duole  espressamente  il  ricorrente  Vitale)  esclude e nega, in
patente  violazione  dell'art. 119 Cost., qualsiasi coordinamento con
la  finanza  pubblica  e  particolarmente  con  quella  statale e col
sistema  tributario  nel  suo  complesso.  Il  contrasto tra la norma
costituzionale e la legge regionale n. 35/2001 non e' peraltro sanato
da  quanto  stabilito dall'art. 3 della legge 27 dicembre 2002 n. 289
(disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato, che, secondo gli assunti difensivi della Regione Marche,
avrebbe  autorizzato  e  legittimato  l'ultrattivita'  delle aliquote
regionali superiori all'1,4% anche per gli anni successivi al 2002.
    Tale norma, in realta', sospendendo gli aumenti delle addizionali
all'IRPEF  deliberati  dopo  il  29 settembre  2002  che  non fossero
confermativi  delle  aliquote  gia' approvate per il 2002, non appare
applicabile  alla  fattispecie  in  esame  e,  per converso, non puo'
essere   interpretata  in  modo  tale  da  farne  conseguire  effetti
diametralmente opposti a quelli che il legislatore si era prefissato.
    L'art. 3  della  legge  27 dicembre  2002,  n. 289 ha disposto la
temporanea  sospensione della potesta-accordata in via ordinaria alle
regioni  dall'art. 50  del decreto legislativo n. 446/1997 cosi' come
modificato   dall'art. 3   del   decreto   legislativo   56/2000,  di
incrementare  l'addizionale  IRPEF  sino  a  che  non  fosse  siglato
l'accordo  Stato-Regioni  sulla  base del quale l'Alta Commissione di
studi  dovrebbe indicare al Governo i principi generali della finanza
pubblica  e  del  sistema  tributario ai sensi dei vigenti artt. 117,
terzo comma, 118 e 119 Cost.
    Detta  norma e' stata concepita, quindi, al fine di assicurare la
coordinata   configurazione   del   nuovo  sistema  tributario,  che,
viceversa,   singole   iniziative   regionali   di  incremento  delle
addizionali  avrebbero  potuto condizionare o pregiudicare nella fase
transitoria.
    Si  e' trattato, dunque, di un intervento normativo finalizzato a
contenere  i  livelli tributari di derivazione locale e regionale fin
tanto  che  non  si fosse completato il complesso «iter» propedeutico
alla definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale.
    La  ratio  della  disposizione,  gia' di per se' chiara, e' stata
ulteriormente ribadita dalla circolare 11 febbraio 2003 n. 1, emanata
dal Dipartimento politiche fiscali - Ufficio del federalismo fiscale,
che   ha   espressamente   evidenziato   come  l'art. 3  della  legge
n. 289/2002  fosse  «caratterizzato  dall'esplicito  intento  di  non
elevare la pressione fiscale a carico dei contribuenti.».
    Ed  appare  appena  il  caso  di  precisare  come la stessa Corte
costituzionale  abbia,  con  la gia' richiamata sentenza n. 381/2004,
riconosciuto  la legittimita' costituzionale della norma in questione
opinando  che  essa  si  traduce  «in  una  temporanea  e provvisoria
sospensione  dell'esercizio  del  potere  regionale  in  attesa di un
complessivo  ridisegno  dell'autonomia  tributaria  delle regioni nel
quadro  dell'attuazione  del  nuovo  art. 119  Cost.,  nonche' di una
manovra  che  investe  la  struttura  di  un tributo indubitabilmente
statale,   qual   e'   l'IRPEF,   destinato,  nella  prospettiva  del
legislatore statale, a modificazioni profonde..... .».
    Date queste premesse,non appare condivisibile la tesi secondo cui
una  norma  costruita  proprio  per contenere la pressione fiscale di
origine  regionale  possa  giustificare  il perdurare nel tempo degli
effetti    «espansivi»   dei   poteri   di   imposizione   tributaria
eccezionalmente  accordati  alle  regioni  dall'art. 4,  comma 3-bis,
della legge 16 novembre 2001, n. 405.
    In  conclusione,e  al  di la' di ogni ragionevole possibilita' di
diversa  interpretazione  analogica, l'art. 3 della legge 27 dicembre
2002,  n. 289,  ha sortito l'unico ed esclusivo effetto di sospendere
tutti quei provvedimenti inerenti l'addizionale all'IRPEF adottati da
regioni  (e  comuni)  dopo  il  29 settembre  2002,  che  non fossero
meramente confermativi delle aliquote previgenti.
    La  disposizione,pertanto,non  concerne  la  Regione Marche che -
presumibilmente  confidando nell'ultrattivita' delle aliquote fissate
con  la  legge  regionale  35/01  -  nel  corso del 2002 ha omesso di
assumere   qualsivoglia  determinazione  in  materia  di  addizionale
regionale all'IRPEF.
    Altrettanto  evidente  e rilevante e' un'altra contraddizione con
le   disposizioni  autorizzatrici  statali  e,  attraverso  di  esse,
un'altra violazione dello stesso art. 119 Cost.
    Le  disposizioni  statali prevedono, infatti,una aliquota fissata
dalla  regione,  entro certi limiti, non piu' aliquote, differenziate
per  fasce di reddito: la Regione Marche, viceversa, ne ha stabilito,
con riferimento a dette fasce,ben 4, fortemente differenziate. In tal
modo  e'  stata  costruita  una  progressivita'  dell'addizionale  in
aggiunta  alla  progressivita'  dell'IRPEF: ma nessuna norma (neppure
l'art. 53,  comma  2 Cost.) consente di inserire nella stessa imposta
una  doppia  progressivita',  che e' scardinante rispetto al sistema,
poiche'  modifica  in modo rilevante, su una porzione del territorio,
in sistema «curva» delle aliquote.
    E  poiche',  inoltre,  nella  Regione  Marche,in  definitiva,  «a
decorrere dal 2002» si e' delineato un sistema in base al quale - sia
detto a titolo esemplificativo i titolari di redditi superiori a euro
69.721,68  sono stati tassati nel 2002 sulla base di un'aliquota pari
al  49%  (45%+4%),  mentre  in  tutte  le  altre  regioni italiane le
medesime  condizioni patrimoniali hanno determinato l'applicazione di
un'aliquota oscillante tra il 45,9% (45%+0.9%) e il 46,4% (45%+1,4%),
e'  altrettanto  evidente  che  la  legge  regionale  de qua viola il
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., generando una grave
disparita' di trattamento tributario a carico dei cittadini residenti
nelle Marche.
    Le questioni di legittimita' costituzionale della norma statale e
di  quella  regionale  come  sopra  spiegate  sono  poi assolutamente
rilevanti  nel  presente  giudizio  in  quanto  dalla decisione delle
stesse  dipende  il  contenuto della pronuncia che questa commissione
tributaria  si  e'  riservata  di  prendere  sulle richieste di parte
ricorrente.
                              P. Q. M.
    Dichiara  rilevanti  e non manifestamente infondate, nei sensi di
cui  in  motivazione,  le  questioni  di  legittimita' costituzionale
dell'art. 4,  comma 3-bis della legge statale 16 novembre 2001 n. 405
e  dell'art. 1,comma  7,  della legge Regione Marche 19 dicembre 2001
n. 35  e  dell'annessa  Tabella  A, in riferimento agli artt. 3 e 119
Cost..
    Dispone, conseguentemente, la sospensione del presente giudizio e
la trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale.
    Ordina  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa,  al  Presidente del Consiglio dei
ministri  e  al  presidente  della  Giunta  regionale  Marche  e  sia
comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del  Parlamento  e al
presidente del Consiglio regionale Marche.
        Pesaro, addi' 21 marzo 2005.
                 Il Presidente estensore: Mensitieri
05C0858