N. 346 ORDINANZA 15 - 29 luglio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Esecuzione  penale - Condannati ammessi alla semiliberta' - Beneficio
  della   sospensione   condizionata   -   Esclusione   -  Denunciata
  irragionevole disparita' di trattamento tra condannati in danno dei
  meritevoli,  lesione del principio della funzione rieducativa della
  pena  -  Sopravvenuta  dichiarazione  di  incostituzionalita' della
  norma  censurata -  Necessita'  di  riesame  della  rilevanza della
  questione proposta - Restituzione degli atti al giudice rimettente.
- Legge 1° agosto 2003, n. 207, art. 1, comma 3, lettera d).
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma.
(GU n.31 del 3-8-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
Giudici:  Guido  NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge
1° agosto  2003,  n. 207  (Sospensione  condizionata  dell'esecuzione
della  pena  detentiva  nel limite massimo di due anni), promossi con
ordinanze del 19 aprile 2004 dal Tribunale di sorveglianza di Venezia
e  del  13 settembre 2004 dal Tribunale di sorveglianza di Torino sui
reclami  proposti dalla Procura della Repubblica di Venezia e da Sini
Aldo  iscritte  ai  nn. 813  del  registro  ordinanze  2004  e 69 del
registro  ordinanze  2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica  n. 43, 1ª serie speciale, dell'anno 2004 e n. 9, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 aprile 2005 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
    Ritenuto  che, con ordinanza del 19 aprile 2004 (reg. ord. n. 813
del  2004),  il  Tribunale  di sorveglianza di Venezia - investito di
reclamo  proposto  dal  p.m.  avverso  pronuncia  del  Magistrato  di
sorveglianza  - ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1   della   legge   1° agosto   2003,  n. 207  (Sospensione
condizionata  dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo
di  due  anni),  in  riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 79,
primo  comma,  della Costituzione, nella parte in cui non consente al
giudice    di    sorveglianza   alcun   apprezzamento   discrezionale
sull'idoneita'    preventiva    e   rieducativa   della   sospensione
condizionata  dell'esecuzione  della pena, pur essendo norma compresa
in  una  legge  non  approvata  secondo le modalita' prescritte dalla
Costituzione   per  l'emanazione  di  un  provvedimento  di  indulto;
nonche',  in  via  subordinata, dell'art. 1, comma 3, lett. d), della
stessa  legge,  in  relazione  agli  artt. 3 e 27, terzo comma, della
Costituzione,  nella parte in cui non prevede come causa ostativa del
beneficio l'intervenuta revoca di una misura alternativa;
        che il rimettente riferisce che il Magistrato di sorveglianza
di Venezia aveva concesso il beneficio della sospensione condizionata
della  parte  finale  della  pena  detentiva,  introdotta dalla legge
n. 207  del  2003,  ritenendo sussistenti i requisiti di legittimita'
prescritti  dalla legge, a un soggetto che, gia' ammesso a una misura
alternativa, ne aveva subito colpevolmente la revoca;
        che  il Tribunale ritiene corretta l'interpretazione data dal
Magistrato  di  sorveglianza  di  Venezia  alla  disposizione  di cui
all'art. 1,  punto  3,  lett.  d),  della  legge n. 207 del 2003, dal
momento  che  tale disposizione deve essere intesa nel senso che solo
l'ammissione a misure alternative, attuale al momento della decisione
del   Magistrato  di  sorveglianza,  precluda  la  concessione  della
sospensione condizionata dell'esecuzione della pena, deponendo in tal
senso  la  ratio  di  deflazione  carceraria, diretta ad attenuare il
grave  problema  del  sovraffollamento  carcerario, ispiratrice della
legge n. 207 del 2003;
        che  la  legge  citata  ha  espressamente richiamato le norme
dell'ordinamento  penitenziario  che  ha  inteso  estendere  al nuovo
beneficio,    mentre    non   ha   richiamato   la   norma   di   cui
all'art. 58-quater,  secondo comma, dello stesso ordinamento, sicche'
quest'ultima   non   puo'   essere   estesa  in  via  interpretativa,
trattandosi  di  norma  di  stretta  interpretazione  in quanto norma
sfavorevole al reo;
        che  l'interpretazione  sostenuta,  rileva  il rimettente, e'
coerente  inoltre con la natura del beneficio, del tutto sganciato da
ogni valutazione di meritevolezza e idoneita' rieducativa;
        che  la  disposizione  in  questione  attribuisce, secondo il
giudice  a  quo, al sistema una connotazione estremamente criticabile
sotto  il  profilo  della  razionalita'  e  costituzionalita', e che,
pertanto,   deve   essere   sollevata   d'ufficio   la  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  norma,  per  contrasto  con  gli
artt. 3, 27, terzo comma, e 79, primo comma, della Costituzione;
        che,  in  punto  di  rilevanza  della  questione,  osserva il
rimettente  che e' ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter
logico-giuridico  che  il  tribunale deve percorrere per la decisione
conclusiva  dell'odierno procedimento, trovandosi il condannato nelle
condizioni  previste  dall'art. 1  della  legge  n. 207  del 2003 per
l'ammissione   al   cosiddetto   «indultino»,   pur   avendo   subito
colpevolmente,  in  relazione allo stesso titolo esecutivo, la revoca
di una misura alternativa, cosi' dimostrando l'incapacita' di gestire
una misura piu' restrittiva del nuovo beneficio;
        che,  quanto  alla  non manifesta infondatezza, il collegio a
quo  osserva che il nuovo istituto introdotto nel sistema dalla legge
n. 207 del 2003, di difficile inquadramento sistematico, e' connotato
dal  tendenziale automatismo della concessione, non essendo demandato
al  giudice  di  sorveglianza alcun apprezzamento discrezionale sulla
meritevolezza  del  beneficio,  ne' sulla sua idoneita' rieducativa e
preventiva,  ma  esclusivamente  l'accertamento della sussistenza dei
requisiti   di   legittimita'  previsti  dalla  legge,  con  evidenti
affinita'  della  sospensione  condizionata con la misura clemenziale
dell'indulto,  con  la  quale  ha anche in comune la disciplina della
revoca  a  causa della commissione di un delitto non colposo entro il
termine  previsto  dalla  legge,  nonche' l'estinzione della pena nel
caso opposto;
        che  irrilevante,  ai fini dell'inquadramento sistematico del
nuovo istituto, prosegue l'ordinanza, e' invece la circostanza che il
cosiddetto  «indultino»  abbia come contenuto una serie di obblighi e
prescrizioni  in  gran  parte  mutuati  dalla piu' ampia delle misure
alternative,  ovvero  l'affidamento  in  prova  al  servizio sociale,
misura  con  la  quale  il nuovo beneficio condivide altri aspetti di
disciplina,  quali  la sottoscrizione del verbale delle prescrizioni,
l'assoggettamento  al  controllo  del  centro  di servizi sociali per
adulti,  la competenza del Magistrato di sorveglianza sulle modifiche
delle   prescrizioni  e  in  ordine  ai  provvedimenti  di  cui  agli
artt. 51-bis  e  51-ter  dell'ordinamento  penitenziario  in  caso di
violazione  delle  prescrizioni  o  di  sopravvenienza  di  ulteriori
titoli;
        che  «l'indultino»,  infatti,  nonostante  tali  richiami  di
disciplina,  non  puo'  esser considerato una misura alternativa alla
detenzione, potendosi anzi rilevare che l'introduzione di tale ibrido
istituto  rappresenta  un  punto  di rottura dell'armonia del vigente
sistema  dell'esecuzione  penitenziaria,  che  prima  dell'entrata in
vigore  della legge de qua aveva una sua logica e coerenza, in quanto
incentrato  sui principi del finalismo rieducativo della pena e della
progressivita' trattamentale;
        che  nel  nuovo  sistema,  sarebbe  ben possibile che ottenga
l'«indultino», ovvero un beneficio di notevole portata, il condannato
che  non abbia mai ottenuto, per la mancata adesione al trattamento e
la condotta irregolare tenuta nel corso dell'esecuzione, l'ammissione
a  una  misura alternativa, neppure piu' contenitiva dell'«indultino»
(quale  la  detenzione domiciliare o la semiliberta), e neppure alcun
tipo  di  beneficio,  pur  se  di minore portata, come la liberazione
anticipata,  l'ammissione  ai permessi premio, al lavoro all'esterno,
etc;
        che  e' inoltre possibile che il condannato, che abbia subito
colpevolmente  la  revoca di una misura alternativa, come il soggetto
protagonista  del  giudizio a quo, sia automaticamente scarcerato per
effetto  dell'«indultino»,  ottenendo  cosi' una misura piu' ampia di
quella  che si e' appena rivelata inidonea, con conseguente contrasto
con  il  canone  di  ragionevolezza  e  di  razionale uniformita' del
trattamento  normativo  sotteso  all'art. 3  della  Costituzione,  e,
inoltre,  con  l'art. 27,  terzo  comma,  della  Costituzione, per la
lesione  dei  canoni  di proporzionalita' e individualizzazione della
pena,  e del principio di progressivita' trattamentale e di finalismo
rieducativo della pena;
        che  la  legge  preclude  l'accesso al beneficio a coloro che
gia'  sono  ammessi  a una misura alternativa, pur se di portata piu'
afflittiva   (come,  ad  esempio,  la  detenzione  domiciliare  o  la
semiliberta',  secondo  l'interpretazione  prevalente  che viene data
alla  disposizione  di cui all'art. 1, punto 3, lett. d), della legge
n. 207 n.2003), e non ne hanno cagionato colpevolmente la revoca, con
il  conseguente  contrasto  della  norma censurata con l'art. 3 della
Costituzione,  a  causa  dell'irragionevole disparita' di trattamento
tra  i  soggetti  che  si  sono  dimostrati  meritevoli di una misura
alternativa  e  ne  hanno  osservato le prescrizioni e coloro che non
hanno  mai  meritato  una  misura  alternativa,  o  se  la sono vista
colpevolmente revocare;
        che   sotto   altro   profilo,   infine,   va   rilevato  che
l'automatismo    previsto    dalla    legge    per   la   concessione
dell'«indultino»,  e  l'assenza  di alcuno spazio per una valutazione
discrezionale  del giudice rendono il nuovo istituto del tutto affine
a  una misura di clemenza, dal momento che quest'ultima non ha alcuna
efficacia  rieducativa, ma risponde a scelte di politica criminale, e
limita  il  ruolo del giudice a un mero accertamento dei requisiti di
legittimita' previsti dalla legge;
        che  l'introduzione di una misura di clemenza avrebbe, pero',
richiesto  un  formale  provvedimento  di  indulto,  approvato con la
maggioranza   qualificata   prevista  dalla  Costituzione,  requisito
formale  di  cui  la  legge  n. 207  del  2003 e', invece, priva, con
conseguente contrasto con l'art. 79, primo comma, della Costituzione;
        che, con ordinanza del 13 settembre 2004 (reg. ord. n. 69 del
2005),  il Tribunale di sorveglianza di Torino ha sollevato questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 3,  lettera d),
della legge n. 207 del 2003, in riferimento agli artt. 3, 13, secondo
comma,  27,  terzo  comma,  79,  primo comma, 101, secondo comma, 102
della  Costituzione,  nella  parte in cui prevede come causa ostativa
del beneficio l'intervenuta revoca di una misura alternativa;
        che  il  rimettente  rileva  di  essere stato investito di un
reclamo  -  proposto  a seguito di un provvedimento del Magistrato di
sorveglianza   di  Alessandria  che  aveva  dichiarato  inammissibile
l'istanza di sospensione condizionata dell'esecuzione della pena, per
essere  stato  il  condannato  ammesso ad una misura alternativa alla
detenzione  -  con  il  quale  si lamentava l'erronea interpretazione
della  norma  di  cui  all'art. 1,  comma 3), lettera d), della legge
n. 207  del  2003,  avendo  il  Magistrato  di  sorveglianza ritenuto
ostativa  all'ammissione  al  beneficio  l'intervenuta  revoca  della
misura alternativa alla detenzione subita dal condannato;
        che,   secondo   il  giudice  a  quo,  l'interpretazione  del
Magistrato   di  sorveglianza  deve  ritenersi  corretta,  in  quanto
coerente con la natura del beneficio, ma che la stessa non si sottrae
a dubbi di incostituzionalita' e che, pertanto, deve essere sollevata
d'ufficio  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003;
        che  la  questione,  osserva  il rimettente, e' rilevante, ai
fini  della  pronuncia  sul  proposto  reclamo, essendo ineliminabile
l'applicazione   della   norma   nell'iter  logico-giuridico  che  il
rimettente   deve  percorrere  per  la  decisione  del  procedimento,
trovandosi  il condannato nelle condizioni previste dall'art. 1 della
legge  n. 207  del  2003  per  l'ammissione all'indultino, pur avendo
subito  -  per  fatto  colpevole  -  in  relazione  allo steso titolo
esecutivo, la revoca di una misura alternativa;
        che,  in punto di non manifesta infondatezza, va considerato,
secondo  il  giudice  a  quo,  che il nuovo istituto introdotto dalla
legge n. 207 del 2003, e' connotato dal tendenziale automatismo della
concessione,  non  essendo  attribuito  al Magistrato di sorveglianza
alcun   apprezzamento   discrezionale   sulla   «meritevolezza»   del
condannato che domanda il beneficio, ne' sull'idoneita' rieducativa e
preventiva  della misura, essendo unicamente imposto al giudicante di
verificare  la  sussistenza  dei  requisiti  di legittimita' previsti
dalla legge;
        che la norma censurata contrasta con i principi sanciti dagli
artt. 101,  secondo  comma,  e  102 Cost., poiche' la limitazione del
sindacato  del  giudice alla sola valutazione dei presupposti formali
configurerebbe   l'emissione  di  un  provvedimento  incidente  sulla
liberta'  personale  dell'individuo  in base alla sola verifica della
sussistenza  dei  presupposti  normativi,  riducendo l'intervento del
giudice   a   mera   attivita'   esecutiva   priva   di  qualsivoglia
apprezzamento  valutativo di carattere giurisdizionale in ordine alla
opportunita' della concessione del beneficio in rapporto ai parametri
di  progressione  rieducativa  e  di  prognosi di recidiva propri del
giudizio  sulla  applicazione  delle misure previste dall'ordinamento
penitenziario    e,   piu'   in   generale,   operanti   nella   fase
dell'esecuzione  penale,  alla luce del principio rieducativo sancito
dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione;
        che  tale  quadro, connotato da una tendenziale riduzione dei
compiti  del  giudice  a profili di mera verifica delle condizioni di
legge  per  l'applicazione  del  beneficio  extra  ordinem, senza che
residui in capo al magistrato alcun potere o margine di apprezzamento
discrezionale,   suggerisce  immediati  profili  di  affinita'  della
sospensione  condizionata con la misura dell'indulto, con la quale la
prima  ha  anche  in  comune la disciplina della revoca a causa della
commissione di un delitto non colposo entro il termine previsto dalla
legge, nonche' l'estinzione della pena nel caso opposto;
        che  anche  l'indulto,  peraltro,  puo'  essere  sottoposto a
condizioni  od  obblighi,  alla cui violazione consegue la revoca del
beneficio, con la conseguenza che l'istituto di cui alla legge n. 207
del 2003 puo' considerarsi una misura identica - quanto a ratio legis
- a quella dell'indulto;
        che  l'introduzione di una misura di clemenza avrebbe allora,
doverosamente,  richiesto  l'adozione  di un formale provvedimento di
indulto,  approvato  con  la  maggioranza  qualificata prevista dalla
Costituzione,  mentre cio' non e' avvenuto, per essere stata la legge
n. 207  del  2003  approvata  dal  Parlamento  senza  tener conto del
disposto  costituzionale,  con  conseguente  violazione,  sotto  tale
profilo, dell'art. 79, primo comma, della Costituzione;
        che,    secondo    il    giudice    a   quo,   l'introduzione
dell'«indultino»  rappresenta  un momento di rottura dell'armonia del
vigente  sistema  dell'esecuzione penitenziaria, fondato sui principi
del   finalismo   rieducativo   della  pena  e  della  progressivita'
trattamentale,   con   conseguente   violazione   del   principio  di
finalizzazione  rieducativa  sancito dall'art. 27, terzo comma, della
Costituzione;
        che,  conformemente  a  tali principi, la concessione di ogni
misura  alternativa  o beneficio penitenziario deve essere preceduta,
oltre  che  dall'accertamento  della  sussistenza  dei  requisiti  di
legittimita'  di  volta  in  volta  prescritti  dalla  legge, anche e
soprattutto  da  un  apprezzamento discrezionale del giudicante sulla
«meritevolezza»    del   beneficio,   inteso   quale   verifica   del
raggiungimento,  da parte del condannato, di un grado di rieducazione
adeguato   al   beneficio   richiesto,  sulla  conseguente  idoneita'
rieducativa di quest'ultimo e sull'efficacia della misura a prevenire
il pericolo di recidiva;
        che    espressione    normativizzata   di   detto   principio
(progressivita/regressione) e' il divieto di concessione per tre anni
dei   permessi   premio,  dell'assegnazione  al  lavoro  all'esterno,
dell'affidamento  in  prova,  della  detenzione  domiciliare  e della
semiliberta'  (art. 58-quater,  secondo comma, della legge n. 354 del
1975);
        che  la  norma  dell'art. 1, comma 3, lettera d), della legge
n. 207  del  2003, costituisce un sistema connotato da un automatismo
applicativo  inconciliabile con il principio di finalita' rieducativa
della  pena, ed impone al magistrato di sorveglianza un irragionevole
obbligo  di  applicare il beneficio nei confronti di chi abbia subito
la  revoca  di  misure  alternative  per fatto colpevole, negandola a
condannati  che  abbiano invece conseguito apprezzabili risultati sul
piano  della progressione trattamentale e della rieducazione, quali i
soggetti gia' ammessi ai benefici penitenziari;
        che  la stessa norma si pone, inoltre, per gli stessi motivi,
in netto ed insanabile contrasto con il canone di eguaglianza (inteso
nel  senso  della  ragionevolezza  del  trattamento  differenziato di
condannati  a  seconda  che  abbiano  o  no commesso violazioni delle
prescrizioni) stabilito dall'art. 3 della Carta fondamentale;
        che,  inoltre,  deve concludersi che la legge n. 207 del 2003
precluda  l'applicazione  dell'«indultino»  a  coloro  che  gia' sono
ammessi  a  una misura alternativa, pur se di portata piu' afflittiva
(come,  ad esempio la detenzione domiciliare o la semiliberta), e non
ne hanno cagionato colpevolmente la revoca, con conseguente ulteriore
motivo   di  contrasto  della  norma  censurata  con  l'art. 3  della
Costituzione,  a  causa  dell'irragionevole disparita' di trattamento
riservata,   da  una  parte,  ai  soggetti  che  si  sono  dimostrati
«meritevoli»   di   una  misura  alternativa  e  ne  hanno  osservato
correttamente  le  prescrizioni, e, dall'altra, a coloro che non sono
mai  stati  giudicati  «meritevoli»  di  una misura alternativa, o ne
hanno subito la revoca per fatto colpevole;
        che,  per gli stessi motivi sopra esposti, inoltre, l'art. 1,
comma 3,  lettera d),  della  legge  citata  contrasta con i principi
sanciti  dagli  artt. 3  e  13,  secondo  comma,  della Costituzione,
perche', in materia di liberta' personale, impone, irragionevolmente,
un'identica  risposta  legislativa  a  situazioni  personali  affatto
differenti  (condannati  «meritevoli»  e  «non meritevoli», nel senso
sopra    descritto),    essendo    preclusa   qualsiasi   valutazione
discrezionale del giudice che possa adeguare il precetto normativo al
caso concreto, in un'ottica costituzionalmente orientata ai parametri
rieducativi dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione;
        che,  nei  due giudizi, e' intervenuto, con atti distinti, ma
sostanzialmente  analoghi,  il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo   che   la   questione  venga  dichiarata  inammissibile  o
infondata.
    Considerato  che  il  Tribunale di sorveglianza di Venezia dubita
della  legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 207 del
2003  nella  parte  in  cui  attribuisce  al  condannato,  ricorrendo
determinate  condizioni,  il  diritto alla sospensione condizionale -
nel  limite  di  due  anni - dell'esecuzione della parte finale della
pena  detentiva  senza  consentire  al  giudice di sorveglianza alcun
apprezzamento discrezionale sulla meritevolezza del beneficio e sulla
sua  idoneita' preventiva e rieducativa, per violazione dell'art. 79,
primo  comma,  della Costituzione, perche' la norma in questione, pur
prevedendo  nella sostanza un indulto, non e' stata deliberata con le
forme  previste  dalla  Costituzione  per quest'ultimo, ovverosia con
legge  deliberata  a  maggioranza  dei  due  terzi  dei componenti di
ciascuna  Camera,  in ogni suo articolo e nella votazione finale; per
contrasto  con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, perche' la
pena non avrebbe alcuna funzione rieducativa o preventiva, non avendo
il  giudice  di  sorveglianza alcun apprezzamento discrezionale sulla
concessione   del   beneficio;   per   violazione  del  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, perche' la norma in
questione prevederebbe un'irragionevole disparita' di trattamento tra
i   soggetti   che  si  sono  dimostrati  meritevoli  di  una  misura
alternativa  e  ne hanno osservato le prescrizioni (e che non possono
usufruire della sospensione condizionale della pena) e coloro che non
hanno  mai meritato una misura alternativa, o a cui e' stata revocata
per  loro  colpa (e che potrebbero invece usufruire della sospensione
condizionale della pena);
        che  lo  stesso  giudice  dubita,  in  via subordinata, della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, comma 3, lettera d), della
legge  n. 207  del  2003,  nella  parte in cui non prevede come causa
ostativa  del beneficio l'intervenuta revoca per colpa del condannato
di   una   misura   alternativa,  per  violazione  del  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, perche' la norma in
questione  realizzerebbe  un'irragionevole  disparita' di trattamento
tra  i  soggetti  che  si  sono  dimostrati  meritevoli di una misura
alternativa  e  ne hanno osservato le prescrizioni (e che non possono
usufruire della sospensione condizionale della pena) e coloro che non
hanno  mai meritato una misura alternativa, o a cui e' stata revocata
per  loro  colpa (e che potrebbero invece usufruire della sospensione
condizionale  della pena); nonche' per violazione dell'art. 27, terzo
comma,  della  Costituzione,  perche'  la  pena  non  avrebbe  alcuna
funzione   rieducativa   o  preventiva,  non  avendo  il  giudice  di
sorveglianza  alcun apprezzamento discrezionale sulla concessione del
beneficio;
        che  il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Torino dubita della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 3,  lett. d), della
legge n. 207 del 2003, per violazione del principio di uguaglianza di
cui  all'art. 3  della Costituzione, per la disparita' di trattamento
che  si  determina  tra  coloro  che  gia'  sono ammessi a una misura
alternativa,  pur  se di portata piu' afflittiva (come, ad esempio la
detenzione  domiciliare  o  la semiliberta), e non ne hanno cagionato
colpevolmente  la  revoca,  e coloro che non sono mai stati giudicati
«meritevoli»  di  una misura alternativa, o ne hanno subito la revoca
per  fatto  colpevole;  per  violazione  degli  artt. 3 e 13, secondo
comma, della Costituzione, perche', in materia di liberta' personale,
imporrebbe   irragionevolmente  un'identica  risposta  legislativa  a
situazioni  personali  differenti  (condannati  «meritevoli»  e  «non
meritevoli»),  essendo  preclusa  qualsiasi valutazione discrezionale
del  giudice  che  possa  adeguare  il  precetto  normativo  al  caso
concreto,  in  un'ottica  costituzionalmente  orientata  ai parametri
rieducativi   dell'art. 27,  terzo  comma,  della  Costituzione;  per
violazione  dello  stesso  art. 27,  terzo comma, della Costituzione,
perche' la pena non avrebbe alcuna funzione rieducativa o preventiva,
non   disponendo   il   giudice   di  sorveglianza  di  alcun  potere
discrezionale in ordine alla concessione del beneficio; per contrasto
con  l'art. 79,  primo comma, della Costituzione, perche' la norma in
questione,  pur  prevedendo  nella  sostanza un indulto, non e' stata
deliberata  con  le  forme previste dalla Costituzione per l'indulto,
ovverosia  con  legge  deliberata  a  maggioranza  dei  due terzi dei
componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione
finale;  per  violazione  degli artt. 101, secondo comma, e 102 della
Costituzione,  poiche'  la limitazione del sindacato del giudice alla
sola  valutazione  dei presupposti formali configurerebbe l'emissione
di un provvedimento incidente sulla liberta' personale dell'individuo
(quale   la  rimessione  in  liberta'  in  seguito  alla  concessione
dell'«indultino»)  in  base  alla sola verifica della sussistenza dei
presupposti  normativi,  riducendo  cosi'  l'intervento del giudice a
mera   attivita'   esecutiva   priva  di  qualsivoglia  apprezzamento
valutativo  di  carattere  giurisdizionale in ordine all'opportunita'
della   concessione   del  beneficio  in  rapporto  ai  parametri  di
progressione  rieducativa  e  di  prognosi  di  recidiva  propri  del
giudizio  sulla  applicazione  delle misure previste dall'ordinamento
penitenziario    e,   piu'   in   generale,   operanti   nella   fase
dell'esecuzione  penale orientata alla luce del principio rieducativo
sancito dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione;
        che   le  ordinanze  di  rimessione  sollevano  questioni  di
legittimita'  costituzionale  della  stessa disposizione di legge con
motivazioni che sono in parte identiche ed in parte analoghe, sicche'
i  relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con unico
provvedimento;
        che, successivamente alla proposizione delle varie questioni,
questa   Corte,   con   sentenza   n. 278  del  2005,  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 3,  lettera d),
della legge n. 207 del 2003, che, nei confronti del condannato che ha
scontato  almeno  la  meta'  della pena, esclude l'applicazione della
sospensione  condizionata  dell'esecuzione  della  pena  stessa,  nel
limite  di  due  anni,  quando la persona condannata e' stata ammessa
alle  misure  alternative  alla  detenzione,  per  la  disparita'  di
trattamento  fra  il  condannato  che,  perche'  meritevole, e' stato
ammesso  a  misure alternative alla detenzione e il condannato che, o
perche'  immeritevole  o  perche'  non  ha  mai  avanzato la relativa
richiesta,  non  e'  stato  ammesso  al godimento di tali misure, non
potendo  la  circostanza  dell'ammissione o meno a misure alternative
alla  detenzione  costituire  un discrimine per il godimento del c.d.
«indultino»,  e  cio'  soprattutto  ove  si  tenga  presente  che  di
quest'ultimo  possono  godere  condannati  non ritenuti meritevoli di
misure  alternative  e  non  anche  coloro  che  sono stati giudicati
meritevoli di tali misure;
        che  va  ordinata  la  restituzione  degli  atti  ai  giudici
rimettenti,  al  fine  di una nuova valutazione della rilevanza delle
questioni proposte, alla luce della predetta sopravvenuta sentenza di
questa Corte n. 278 del 2005 (cfr., negli stessi sensi, ex plurimis ,
ordinanze nn. 229, 206, 180 del 2005)
                          Per questi motivi
                      LA CORTE COSTITUZIONALE,
    Riuniti i giudizi;
    Ordina la restituzione degli atti ai giudici a quibus.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  Camera  di consiglio della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                      Il redattore: Finocchiaro
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 29 luglio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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