N. 24 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 26 luglio 2005
Ricorso per conflitto tra enti depositato il 26 luglio 2005 (della Regione Veneto) Consiglio regionale - Immunita' dei consiglieri regionali per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni - Procedimento civile, davanti al Tribunale di Roma, per il risarcimento dei danni, promosso dal dott. Corrado Clini (gia' direttore del servizio di igiene pubblica presso la ULSS 36 di Venezia) nei confronti del consigliere regionale della Regione Veneto Gianfranco Bettin quale autore di una interrogazione scritta e di un articolo aventi ad oggetto lo smaltimento di rifiuti radioattivi avvenuto negli anni 1989 e 1990 in un inceneritore di Porto Marghera - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Veneto - Ritenuta sussistenza del nesso funzionale tra dichiarazioni e attivita' consiliare - Violazione e invasione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alla Regione e ai suoi organi - Richiesta alla Corte di dichiarare la non spettanza allo Stato e per esso al Tribunale di Roma del potere di accertare la responsabilita' civile del consigliere regionale e, conseguentemente, di annullare l'atto di fissazione dell'udienza di trattazione e tutti gli atti processuali eventualmente adottati medio tempore. - Atto del Tribunale di Roma di fissazione dell'udienza di trattazione di cui al verbale del 5 luglio 2005. - Costituzione, artt. 122, comma quarto, 121 e 123.(GU n.32 del 10-8-2005 )
Ricorso della Regione Veneto, in persona dal Presidente pro tempore della giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della giunta stessa n. 1458 del 14 giugno 2005 come integrata dalla delibera del 19 luglio 2005, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi di Padova a Luigi Manzi di Roma, eletto, agli effetti del presente giudizio, presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via F. Confalonieri n. 5; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente in carica, rappresentata a difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, per regolamento di competenza in relazione al giudizio civile, r.g. n. 24632/05, avviato con atto di citazione del 30 marzo 2005, con il quale il consigliere regionale Gianfranco Bettin e' stato convenuto in giudizio avanti il Tribunale di Roma (I sez., giudice dott., Salvi), per risarcimento dei danni, quale autore dell'interrogazione a risposta scritta a 641 del 7 febbraio [ma consegnata il 4 febbraio] 2005 («Materiale radioattivo bruciato a Porto Marghera, vogliamo la verita») e dell'articolo intitolato «Avevamo ragione, hanno bruciato uranio a Marghera e hanno mentito, pubblicato il 4 febbraio 2005 sul sito internet del Gruppo consiliare regionale dei Verdi del Veneto (www.verdiveneto.it) con il quale venivano, in buona sostanza, riportati gli esiti di un'inchiesta giornalistica, a firma di Riccardo Bocca («Uranio Rosso») contenuta sulle pagine de L'Espresso in edicola dalla mattina dello stesso giorno, relativamente allo smaltimento di rifiuti radioattivi in un inceneritore di Porto Marghera. F a t t o Il 4 febbraio 2005 usciva nelle edicole il settimanale di cultura politico-economica L'Espresso, il quale pubblicava, tra gli altri, un articolo intitolato «Uranio Rosso» a firma di Riccardo Bocca, avente ad oggetto un traffico illegale di rifiuti radioattivi (uranio, per l'esattezza) e tossici (tra gli altri, cobalto e stronzio) avvenuta a cavallo tra il 1989 e il 1990 (v. doc. 1). Secondo gli esiti dell'inchiesta giornalistica, la motonave «Jolly Rosso» dell'armatore Ignazio Messina nel 1989 avrebbe recuperato a Beirut circa duemila tonnellate di rifiuti tossici, scaricati in precedenza da un'azienda lombarda; il materiale cosi' trasportato in Italia, sarebbe stato, poi, bruciato dalla societa' Monteco in un inceneritore di Porto Marghera: l'intera operazione (carico-scarico-smaltimento) avrebbe richiesto piu' di un anno. Le contestazioni venivano avvalorate attraverso un referto dell'Unita' Locale Socio Sanitaria n. 36 di Venezia, datato 28 febbraio 1990 rimasto segreto, stando al quale, nel corso di due accertamenti effettuati il 19 gennaio e il 7 febbraio 1990, nella condensa dei fumi del forno SG 31 di Marghera sarebbero state trovate tracce di uranio con una concentrazione, rispettivamente, di 0,005 e una appena inferiore di 0,004 milligrammi per metro cubo. In quegli anni, direttore del servizio di igiene pubblica alla ULSS n. 36 di Venezia era il dott. Corrado Clini. Nel corso dell'articolo, il nome del dott. Corrado Clini compare in ragione della carica allora ricoperta. In particolare, a) viene ricordato lo scambio di accuse con gli ambientalisti, culminato con un «esposto alla Procura di Venezia» del dott. Clini - appunto - nei confronti dei secondi, del 21 novembre 1989; b) si menziona la relazione sullo smaltimento di fusti contenenti rifiuti tossici che l'8 gennaio 1990 il dott. Clini ebbe ad inviare al Ministero dell'ambiente per consentire la risposta ad un'interrogazione parlamentare presentata alla Camera; si domanda; c) si domanda in chiusura «perche' Corrado Clini non ha comunicato gli "inconvenienti" che si stavano presentando a Porto Marghera»; «perche' nessuno della ULSS 36 ha lanciato l'allarme per l'emissione di sostanze radioattive»; «che fine ha fatto il materiale radioattivo rimasto nei sistemi di depurazione dei fumi dell'impianto Sg 31». A seguito di tale servizio, il consigliere regionale del gruppo dei Verdi (nonche' vicepresidente nazionale del gruppo medesimo) Gianfranco Bettin, che del suddetto traffico di rifiuti gia' si era occupato all'epoca dei fatti (1989-1990) nella veste di consigliere circoscriziomale di Marghera, si attivava in un duplice senso: da un lato, ponendo a premessa circostanziata gli esiti dell'inchiesta giornalistica de L'Espresso, presentava all'ufficio competente del Consiglio regionale un'interrogazione a risposta scritta intitolata «Materiale radioattivo bruciato a Porto Marghera, vogliamo la verita!», che il successivo lunedi' 7 febbraio sarebbe stata rubricata (venerdi' pomeriggio era ormai troppo tardi) sub n. 641; dall'altro, lo stesso 4 febbraio, riproduceva i contenuti dell'inchiesta sul sito internet del Gruppo consigliare regionale dei Verdi del Veneto (www.verdiveneto.it) in un articolo intitolato «Avevamo ragione, hanno bruciato uranio a Marghera e hanno mentito», nel quale, nel contempo, comunicava la presentazione del suddetto atto ispettivo (cfr. doc. 2). In particolare, con l'interrogazione, il consigliere Bettin chiedeva alla Giunta regionale di sapere «se e' a conoscenza dei fatti; qual e' l'entita' e la natura dell'inquinamento radioattivo ["combustibile esaurito dei reattori", "uranio impoverito", "combustibile nucleare"]; come intende rendere pubblico il referto dell'ULSS citato dal settimanale L'Espresso» (doc. 3). Causa a) l'eco immediata che l'inchiesta de L'Espresso ebbe sui giornali locali; b) la conferenza stampa congiunta tenuta il 22 febbraio sui fatti medesimi dal giornalista de L'Espresso, dal consigliere Bettin, dall'on. Zanella; c) la circostanza che il settimanale tornava sull'argomento da li' a poco confermando nella sostanza quanto gia' scritto, il dott. Clini, dopo aver ribadito sui quotidiani locali la propria estraneita' alla vicenda, conveniva in giudizio - per il 3 luglio 2005 - davanti al Tribunale di Roma, il giornalista Riccardo Bocca e il consigliere Gianfranco Bettin (insieme all'on. Luana Zanella, a sua volta autrice, sempre sulla scorta del citato articolo de L'Espresso, di un'interrogazione parlamentare sul tema) per essere risarcito dei danni materiali e all'immagine, sull'assunto che «la ricostruzione delle circostanze poste a fondamento della campagna giornalistica e' manifestamente inesatta, infondata e per molti aspetti non veritiera» (p. 15 doc. 4). Con nota del 18 maggio 2005 (protocollata il 20, sub n. 545), Bettin chiedeva alla Regione Veneto la tutela delle sue prerogative di consigliere regionale (cfr. doc. 5). La giunta regionale acquisiva che «... il Presidente del consiglio regionale evidenzia che l'attivazione del procedimento civile incide in via diretta sull'autonomia di un consigliere regionale ed in via mediata sulla stessa autonomia costituzionalmente garantita della regione, violando gli artt. 121 - 122 - 123 della Costituzione e, piu' in generale, sul principio secondo il quale l'esercizio delle funzioni di consigliere regionale (stante il rilievo costituzionale dell'autonomia regionale) non puo' essere sindacato da organi giurisdizionali»; quindi, deliberava «di autorizzare il Presidente della giunta regionale a proporre ricorso per conflitto di attribuzioni avanti la Corte costituzionale contro lo Stato» (doc 6). Nella prima udienza civile di comparizione delle parti tenuta il 5 luglio 2005 (essendo, il 3 luglio, una domenica: v. artt. 168-bis c.p.c. e 82 disp. att. c.p.c.), il giudice istruttore (dott. Salvi), nonostante gli atti della Regione e l'eccezione diretta ad evidenziare il difetto di giurisdizione ex art. 122, quarto comma, Cost. (cfr. comparsa di costituzione e risposta, p. 2 - 7: doc. 8), rinviava l'udienza di trattazione al 15 novembre 2005, «assegnando termini per la comunicazione di comparse ai sensi dell'art. 180, secondo comma, c.p.c. e per le eccezioni non rilevabili d'ufficio fino a venti giorni prima» (cfr. verbale d'udienza: doc. n. 7). Preso atto che, nella predetta sede civile, la lesione dell'autonomia del consigliere Bettin e quindi del Consiglio regionale usciva palesemente confermata avendo il giudice disposto la prosecuzione del giudizio secondo l'ordinaria tempistica di rito, la giunta regionale integrava, e ribadiva, con nuova delibera, la sussistenza della prerogativa e l'autorizzazione a proporre ricorso per conflitto di attribuzioni (cfr. doc. 9). Tutto cio' premesso il presente ricorso e' per le seguenti ragioni di D i r i t t o Sull'ammissibilita' del conflitto 1. - Mentre non desta difficolta' dimostrare, nel merito (ma profili di merito e profili di ammissibilita' si intrecciano), che la fattispecie sub judice configura la piu' classica delle violazioni dell'art. 122, quarto comma, Cost. (v. infra), non si nasconde, in limine litis, che essa presenta, come riconosciuto nella delibera di autorizzazione al ricorso, caratteri di assoluta singolarita'. Il sottoscritto patrocinio, ovviamente, non ignora che i conflitti di attribuzione ammessi al vaglio di codesta ecc.ma Corte devono intercorrere, a tacere d'altro, «tra lo Stato e le Regioni» (art. 134 Cost.); ne' che l'art. 39 della legge n. 87/1953 (recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale» ha chiarito che «puo' produrre ricorso la Regione la cui sfera di competenza costituzionale sia invasa da un atto dello Stato» con l'ulteriore precisazione che «il ricorso per regolamento di competenza deve ... specificare l'atto dal quale sarebbe stata invasa la sfera di competenza»; ne', infine, che la tutela dei consiglieri regionali attivata ex art. 122, quarto comma, Cost. viene azionata, classicamente, contro atti di un giudice o contro iniziative assunte dalla magistratura inquirente penale e/o contabile, anch'esse riconducibili, data la natura pubblica dell'accusa, allo Stato. Si chiede, oggi, di far valere lo status consigliere regionale non nei confronti di un atto di esercizio della giurisdizione penale o contabile bensi' di quella civile, come invero e' gia' e' accaduto, in pendenza, tuttavia del relativo giudizio e in assenza di una decisione di merito, foss'anche solo di primo grado. La difficolta', del tutto nuova, consiste, per quanto qui interessa, nel definire il momento a partire dal quale, avviato con un atto propulsivo di parte privata un giudizio civile, si puo' ritenere di essere in presenza di un atto statale invasivo dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita, contro il quale poter reagire per conflitto di attribuzioni. Il dubbio relativamente al quando i consiglieri regionali hanno per realizzare le condizioni (condiciones juris) prescritte perche' la regione possa far valere davanti al giudice dei conflitti l'irresponsabilita' propria del loro status, lungi dal delineare una questione meramente teorica, e' di grande momento sul piano pratico, stante la perentorieta' del termine assegnato per la proposizione del relativo ricorso e, quindi, per azionare la specifica tutela. 2. - Al fine di circoscrivere l'area di incertezza e', innanzi tutto utile fissare i punti fermi dai quali dedurre, in qualita' di principi, le regole che sovrintendono, in difetto della normativa di attuazione, il caso che ci occupa, o dai quali desumere, in qualita' di criteri interpretativi, argomenti a sostegno dell'ammissibilita' del presente conflitto. E' insegnamento di codesta Corte e, con l'avallo della migliore dottrina, puo' considerarsi jus receptum che: a) «l'esonero da responsabilita' dei componenti dell'organo [Consiglio regionale] (sulla scia di consolidate giustificazioni dell'immunita' parlamentare) e' vista funzionale alla tutela delle piu' elevate funzioni di rappresentanza politica» (sent. n. 69/1985; in dottrina, v. L. Paladin, Diritto regionale, Padova. 1997, 325, per il quale l'irresponsabilita' comune ai parlamentari e ai consiglieri si pone a «garanzia che tende ad assicurare (tanto per lo Stato quanto per le Regioni) l'indipendenza funzionale dell'organo in questione»); b) attraverso la lesione delle prerogative, stabilite dall'art. 122, quarto comma, rimangono violate ulteriori disposizioni della Costituzione: quelle degli artt. 121 e 123, poiche' l'alterazione delle attribuzioni accordate dalla legge fondamentale al consigliere regionale che esprime opinioni e da' voti si riverbera sull'intera organizzazione dell'ente e sull'esercizio delle relative funzioni, entrambi costituzionalmente protetti; c) le guarentigie di cui all'art. 122, quarto comma e quelle previste - peraltro in una piu' ampia prospettiva - dall'art. 68, primo comma Cost. costituiscono «eccezionali deroghe all'attuazione della funzione giurisdizionale»: queste ultime sono poste «a salvaguardia dell'esercizio delle funzioni sovrane spettanti al Parlamento», le prime, invece pur non esprimendosi «a livello di sovranita», si inquadrano ... nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite» (sentt n. 81/1975; n. 382/1998); d) la prerogativa prevista dall'art. 68, primo comma, Cost. e quella di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., salva la summenzionata differenza (il fatto che l'immunita', in un caso, inerisca alla sovranita' dello Stato, di cui il Parlamento e' organo; nell'altro, attenga ad aspetti dell'autonomia della regione) soggiacciono a principi analoghi, a fronte dell'identico tenore delle disposizioni che, rispettivamente, le regolano (in dottrina, cfr. R. Tosi, nota a Corte cost. sent. n. 81/1975, in Le Regioni, 1975, 765, per la quale «due disposizioni [l'art. 68, primo comma e l'art. 122, quarto comma, Cost.] che sottraggono al sindacato dell'autorita' giudiziaria i membri delle Camere e dei Consigli hanno lo stesso contenuto: i problemi che si pongono per l'una non possono non interessare anche l'altra e allo stesso modo devono essere risolti»); e) l'immunita' (parlamentare e) dei consiglieri regionali comporta «la carenza di potere giurisdizionale»: quindi, la pretesa di esercitare, cio' nonostante, la funzione del jus dicere «si traduce ..., in un'alterazione dell'ordine costituzionale delle competenze», in quanto «comporta l'invasione dalla sfera di autonomia costituzionalmente riservata alla Regione ..., alla quale esclusivamente spetta l'esercizio delle funzioni che i magistrati hanno inteso condizionare» (sent. n. 70/1985; in dottrina v. P. Di Muccio, L'insindacabilita' dei parlamentari: una introduzione allo studio dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, in Diritto e societa', 1986, 681 secondo cui tale prerogativa costituisce «un caso di esenzione dalla giurisdizione»); f) l'immunita' (parlamentare e) dei consiglieri regionali riguarda ogni tipo di responsabilita', civile, penale, amministrativa, contabile-erariale (cfr. sent. n. 100/1986: «di questa guarentigia i consiglieri regionali fruiscono anche nella sfera della responsabilita' patrimoniale»; v. anche S. Bartole et alii, Diritto regionale. Dopo le riforme Bologna, 2003, 93 e, seppure a commento dell'art. 68, R. Moretti in V. Crisafulli - L. Paladini (a cura di) Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, 410, secondo cui «non vi e' alcun ragionevole dubbio sull'ambito di applicazione della prerogativa, essendo unanime il riconoscimento che essa opera sia nella sfera penale, che in quella civile e amministrativa»). La stessa riforma dell'art. 68, primo comma, operata con legge cost. n. 3/1993, nel modificare la formula originaria (i membri del Parlamento, per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, «non possono essere chiamati a rispondere anziche' non possono essere perseguiti») ha chiarito che la prerogativa riguarda ogni tipo di responsabilita' e non solamente quella penale; g) in particolare, benche' statuito a proposito dall'art. 68, primo comma Cost. si e' precisato che la norma costituzionale limita la possibilita' di far valere in giudizio una ipotetica responsabilita' del parlamentare per le opinioni espresse nell'esercizio della funzione... Siffatta limitazione ... vale egualmente in ordine a qualunque sede giurisdizionale nella quale si pretenda di far valere una responsabilita' del parlamentare, e dunque anche in sede di giudizio civile» (sent. n. 265/1997, ma v. gia' sent. n. 1150/1988); h) all'originaria configurazione soggettiva del conflitto (come vindicatio potestatis) se ne e' aggiunta una oggettiva, piu' ampia, «riguardante non la spettanza della competenza ma il modo di esercizio (sostanziale e procedurale) di essa» (cosi' G. Zagrebelsky, Giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 339): conseguentemente, «la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegna la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto» (v. sent. n. 110/1970); i) per orientamento costante (a partire dalla sent. n. 110 del 1970, ribadita in successive pronunce: cfr. sentt. n. 211 del 1972, 178 del 1973, 289 del 1974, 75 del 1977, 183 del 1981, 70 del 1985), «nulla vieta che un conflitto di attribuzione tragga origine da un atto giurisdizionale, se ed in quanto si deduca derivarne una invasione della competenza costituzionalmente garantita alla Regione» (sent. n. 285/1990). Pertanto, «si sono ritenuti "idonei a dar luogo a conflitti di attribuzioni tra Stato e Regioni»" "anche atti giurisdizionali o comunque strumentalmente inerenti all'esplicazione di funzioni giurisdizionali" "quante volte si assuma che ridondino in una invasione o menomazione della sfera di competenza costituzionalmente garantita alla Regione ricorrente"» (sent. n. 70/1985); l) si e' proceduto via via ad ampliare la nozione di «atto invasivo», riconoscendo a tal fine che esso possa consistere in «comportamenti concludenti, non estrinsecantisi in atti formali» (sent. n. 40/1977; v. gia' sent n. 164/1963); o in atti interni (quali le circolari) all'apparato statale o regionale (v. sent. n. 299/1974); o in atti preparatori (cfr. sent. n. 171/1971); o in comportamenti omissivi, purche' si traducano in una lesione di competenze e l'ordinamento costituzionale delle attribuzioni imponga viceversa l'adozione di un atto (v., inter alios V. Crisafulli, Lezioni ..., cit., 447 e C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, 1448). La dottrina ha cosi' osservato che «nella prassi instaurata non tanto si richiede che il conflitto sia originato da un atto giuridico vero e proprio (e meno ancora da un atto esterno definitivo), quanto pii largamente da un comportamento significante, posto In essere da organi statali e, inversamente, regionali» (V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, Padova, 1984, 447); o, ancora, che «alla stregua dell'ampio atteggiamento della Corte, il conflitto puo' assumere il significato di strumento di garanzia anticipata o preventiva, rispetto alla potenziale lesione temuta», salva solo l'inammissibilita' di conflitti puramente virtuali (G. Zagrebelsky, Giustizia costituzionale, cit., 346 - 347); m) l'oggetto dei giudizi sui conflitti non e' tanto la validita' dell'atto assentamente invasivo, quanto la competenza che si assume violata e la relativa sentenza, mentre deve sempre dichiarare la competenza, solo eventualmente sara' anche di annullamento dell'atto adottato dal soggetto o dall'organo giudicato privo di potere. 3. - Ora, il consigliere Bettin e' stato convenuto, con atto di citazione, davanti al giudice civile. E' stato chiamato a rispondere per dichiarazioni per le quali, dato il suo status, gode dell'eccezionale guarentigia dell'irresponsabiita' ex art. 122, quarto comma, Cost. Richiesta di riconoscere ed attivare siffatto regime di immunita', la regione (recte: il Presidente del Consiglio regionale e la giunta regionale: v. docc. 5, 6, 10), ritenendo sussistenti gli estremi dell'irresponsabilita', ha deciso positivamente per l'applicazione dell'immunita'. Il giudice civile ha esercitato la giurisdizione nonostante, da un lato, il parere contrario della regione, e, dall'altro l'eccezione fondata sull'art. 122, quarto comma Cost., assumendo essere nella sua competenza il poter giudicare. Pare arduo sottrarsi alla conclusione che il giudice, e per esso, lo Stato cosi' facendo, abbia violato la posizione di autonomia e di indipendenza costituzionalmente garantita ai componenti il Consiglio regionale e, loro tramite, al Consiglio stesso. E' sufficiente attualizzare al caso di specie i punti fermi poc'anzi evidenziati, per accorgersi che: a) si e' violata «la piu' ampia liberta' di valutazione e di decisione» riservata ai consiglieri regionali (per dirla con T. Martines, Diritto costituzionale, Milano, 1994, 294); b) si e' preteso di esercitare la giurisdizione in carenza assoluta di potere; c) si e' invasa la sfera di autonomia costituzionalmente riservata ai consiglieri e alla Regione. Guardando, per comparazione, ai giudizi penali o contabili intentati nei confronti di consiglieri regionali, correntemente si conviene che l'atto lesivo della prerogativa di cui all'art. 122, quarto comma Cost. puo' risiedere, per esempio, nel decreto del g.i.p. che dispone il giudizio (come in sent. n. 391/1999); o nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Procura della Repubblica (come in sent. n. 276/2001) o nell'invito a presentarsi per essere interrogato in qualita' di persona sottoposta ad indagini comunicato a cura della Procura della Repubblica (come in sent. n. 382/1998); o nell'atto di citazione emesso dalla Procura presso la Corte dei conti (come in sent. n. 100/1986). In tali casi (che sono solo alcuni dei possibili), e' evidente che ai fini dell'ammissibilita' del giudizio davanti a codesta Corte, e' sufficiente il solo fatto della pretesa dell'esercizio della giurisdizione manifestato da un organo statale (non necessariamente un giudice) a fronte di una situazione di immunita' ex art. 122, quarto comma Cost., e che non e' affatto necessario che l'esercizio della giurisdizione acquisti la forma di sentenza o di un atto altrimenti definitivo. Nel giudizio civile, l'atto di citazione (recte: la notifica della citazione) da' inizio al processo, ne determina cosi' la pendenza e fa si' che il giudice debba pronunciare sulla domanda (A. Attardi, Diritto processuale civile. Parte generale, Padova, 1994, 57): ma, a differenza degli atti di impulso promanati da un pubblico ministero, non sono direttamente imputabili alla sfera soggettiva dello Stato. In altre parole, la citazione in un giudizio civile, per gli effetti che comporta, viola, di per se stessa, la prerogativa del consigliere regionale, ma non consente ancora l'accesso alla Corte, essendo i conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato, tra Stato e regioni, tra regioni. Se (e quando), tuttavia, l'atto di citazione fa si' che si svolga attivita' processuale davanti a un giudice e da parte di un giudice non v'e' chi non veda che non ci si trova pie' di fronte ad un mero atto privato. Cosi', nel caso di specie, nel corso della prima udienza di comparizione delle parti davanti al giudice, questi (e, quindi, lo Stato) ha esplicato la funzione giurisdizionale e l'ha fatto in difetto di potere nei confronti di chi, a quella giurisdizione e', per deroga costituzionale, sottratto. Donde la sussistenza di un atto statale invasivo della competenza regionale: la violazione dell'immunita' conciliare diviene ascrivibile allo Stato nel momento in cui il giudice procede, indotto dall'attore privato, nonostante la condizione di esenzione dalla giurisdizione. Piu' precisamente, il giudice istruttore, nell'aver disposto la prosecuzione del giudizio secondo la tempistica del codice di rito, ha adottato un atto processuale formale (cfr. verbale del 5 luglio 2005; v. artt 127, 175, 176 c.p.c.) o, quanto meno, ha tenuto un «comportamento significante» sintomatico della pretesa di giudicare al di la' dei limiti «esterni» imposti alla giurisdizione assegnatigli, stabiliti a garanzia dei compiti costituzionali dei consiglieri regionali: limiti che, a codesta Corte compete sindacare (inter alia, sentt. nn. 81/1975; 15/1977 285/1990; 27/1999; 276/2003). 4. - A scanso di equivoci, e' bene precisare che, nel radicare l'ammissibilita' del presente conflitto sull'assunto della carenza del potere da parte di chi l'ha esercitato e sull'effetto del pregiudizio dell'autonomia regionale, non si intende affatto contestare, qui anziche' davanti al giudice dell'impugnazione, gli errori in Judicando commessi dal giudice laddove non ha dichiarato il difetto di giurisdizione o non ha sospeso il giudizio, come pure avrebbe dovuto: si denuncia, piuttosto, l'illegittimo convincimento che ha indotto il Tribunale di Roma ad esercitare un potere che non gli competeva e non gli compete; e si nega in quel giudizio civile, l'esistenza stessa del potere giurisdizionale. Se si vuole, l'errore di cui ci si duole e' «sui confini stessi della giurisdizione e non sul concreto esercizio di essa» (cfr. sent. n. 285/1990); non si chiede, pertanto, un sindacato sul merito dell'attivita' giurisdizionale, quanto piuttosto di dichiarare come l'esercizio della giurisdizione sia (stato) lesivo in se', indipendentemente dal quomodo, delle competenze costituzionalmente assegnate alla regione. E' stato chiarito, sin dalla sentenza n. 289 del 1974, che se, da una parte, e' inammissibile l'impugnazione, mediante conflitto di atti giurisdizionali quando si chieda in sostanza la correzione di eventuali errori in iudicando nei quali il giudice sia incorso, mirando ad ottenere nel merito la revisione della sentenza, d'altra parte il conflitto e' pienamente ammissibile quando sia denunciata una lesione derivante «dal solo fatto di esercitare la giurisdizione nei confronti di atti ... che si affermino ad essa sottratti da norme costituzionali». Ne' oggi, si puo' piu' dire che la parte (asseritamente) lesa dalle opinioni espresse dal consigliere regionale rimane priva della possibilita' di esercitare le proprie difese, dal momento che, come noto, e' ammessa ad intervenire in sede di conflitto. Si osservato, infatti, che «qualora si rivendichi la sussistenza della eccezionale guarentigia di non perseguibilita' sancita dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione, e si neghi pertanto in radice il diritto di azione in capo a chi pretende di aver subito lesione da una condotta "scriminata" dalla garanzia medesima, la valutazione sull'esistenza della garanzia svolta dalla Corte in sede di conflitto finirebbe per sovrapporsi all'analoga valutazione demandata al giudice del processo comune. Ove dunque si ritenesse precluso l'intervento nel giudizio costituzionale, finirebbe per risultare in concreto compromessa la stessa possibilita' per la parte di agire in giudizio a tutela dei suoi diritti» (sent. n. 76/2001). 5. - L'esistenza, nel caso di specie, di un atto statale illegittimamente invasivo dell'auonomia regionale puo' essere affermata anche per altra via, estendendo, nel perdurante vuoto normativo, all'immunita' dei consiglieri regionali conclusioni elaborate a proposito della parallela prerogativa dei parlamentari, e che a costoro per «prassi» ci si ostina a riservare, senza alcuna reale giustificazione stante l'identita' del dato normativo e della dignita' costituzionale dei Consigli regionali e del Parlamento. Recuperando le fila di un orientamento che e' andato consolidandosi partire dalla sentenza n. 1150/1988, in via riassuntiva codesta Corte, nel 1997 (sent. n. 265) scriveva: «poiche' una tale regola [art. 68, primo comma Cost.] di limitazione della responsabilita' (o della possibilita' di farla valer in giudizio, che non e', in definitiva, cosa diversa) e' dettata non solo a tutela della liberta' di espressione del singolo membro delle Camere, ma a tutela attraverso questa, della piena liberta' di discussione e di deliberazione delle Camere stesse, e in definitiva a "tutela della autonomia delle istituzioni parlamentari" (sentenza n. 379 del 1996); e poiche', come ha ritenuto questa Corte, "le prerogative parlamentari non possono non implicare un potere dell'organo a tutela del quale sono disposte" (sentenze n. 443 del 1993; n. 1150 del 1988), ne deriva che la prerogativa in questione "attribuisce alla Camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata ad un proprio membro, con l'effetto, qualora sia qualificata come esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia giudiziale di responsabilita', sempre che il potere sia stato correttamente esercitato" (sentenze n. 129 del 1996; n. 1150 del 1988). Pertanto e' solo l'esercizio in concreto, da parte della Camera di appartenenza del parlamentare, della propria potesta', che produce "l'effetto inibitorio dell'inizio o della prosecuzione di qualsiasi giudizio di responsabilita', penale o civile per il risarcimento dei danni", discendendo direttamente dalla norma costituzionale "l'obbligo per l'autorita' giudiziaria di prendere atto della deliberazione parlamentare e di adottare le pronunce conseguenti" (sentenza n. 129 del 1996) ...». Orbene, non e' peregrino concludere, pur nella consapevolezza che la tesi e' assolutamente minoritaria, che, analogamente alla delibera della Camera, anche gli atti con cui la regione interviene a tutela del consigliere regionale (come quelli adottati, nel caso qui rubricato, dalla Regione Veneto) hanno inefficacia inibitoria del procedimento giurisdizionale in corso. Sicche', se il giudice non ne prende atto, declinando la giurisdizione (o sollevando, a sua volta, conflitto), con cio' deborda dai limiti della propria competenza spingendosi in quanto gli e' costituzionalmente sottratto: in questo senso, l'atto invasivo dello Stato acquista la forma dell'omessa presa d'atto dell'irresponsabilita' dichiarata dalla Regione. La tesi ha oggi qualche argomento aggiuntivo, rispetto alla complessa elaborzione «pretoria», e risiede nella legge n. 140/2003, contenente, tra l'altro, disposizioni per l'attazione dell'art. 68 della Costituzione. L'art. 3, infatti, andando ben oltre il citato bilanciamento operato in via giurisprudenziale (secondo le due massime: a) il potere di giudicare circa la sussistenza, in concreto, dei presupposti per l'applicazione dell'immunita' spetta alla Camera, la cui decisione ha, per il giudice, effetto vincolante; b) cio' non avviene, il giudice puo' proseguire il suo giudizio ed apprezzare lui stesso l'esistenza dei predetti presupposti) tende, invece, a configurare una vera e propria «pregiudizialita' parlamentare». Vengono, infatti, previsti a) l'obbligo per il giudice di investire preliminarmente la Camera della decisione circa l'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, Cost., qualora il parlamentare nei cui riguardi e' chiamato a pronunciarsi proponga in giudizio la relativa eccezione, sospendendo il giudizio in corso e rimanendo vincolato alla decisione da quella adottata; b) la facolta', per il parlamentare che assuma che il fatto per il quale e' in corso un procedimento giurisdizionale di responsabilita' nei suoi confronti e' coperto dall'immunita', di investire della questione la Camera, la quale puo' chiedere al giudice sempre con effetto vincolante, di sospendere il procedimento. L'applicazione analogica (alle regioni) di tali disposizioni sarebbe, tra l'altro giustificata dal fatto che, in tema di immunita', «soltanto il legislatore statale puo' assicurare, come e' costituzionalmente necessario, una uguale protezione ai consiglieri di tutte le Regioni nell'esercizio delle medesime funzioni e perche' soltanto una sua scelta sarebbe conforme al principio di legalita' che regge compiutamente il sistema penale» (sent. n. 69/1985). Se alla Regione spetta il potere di dichiarare l'insindacabilita' dei propri consiglieri con l'effetto di inibire l'inizio o la prosecuzione di un qualsiasi giudizio di responsabilita', si ha per dimostrata, nuovamente in seconde grado, la menomazione dell'autonomia costituzionale del Veneto, ad opera del Tribunale di Roma, nella forma «invasiva» dell'esercizio di un potere di giurisdizione assolutamente mancante. Anche in questo caso, con la precisazione (da leggere mutatis mutandis) che «il giudice dei conflitti non e' chiamato, e non puo' esserlo, a pronunciarsi direttamente sulla sindacabilita' o meno di un'opinione espressa da un parlamentare, cio' che e' compito, per un verso, dell'autorita' giudiziaria cui spetta far valere le responsabilita' e dunque anche i limiti che nell'ordinamento incontrano le responsabilita' medesime o il loro accertamento, per altro verso della Camera di appartenenza, nell'esercizio della potesta' connessa alla propria prerogativa. Ne' la Corte puo' essere chiamata a rivedere - come un giudice dell'impugnazione - vuoi le sentenze pronunciate dai giudici, che abbiano fatto erronea applicazione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, vuoi le decisioni delle Camere che abbiano deliberato in assenza o con erronea o valutazione dei relativi presupposti. Da un lato, infatti, il controllo delle pronunce dei giudici, anche sotto questo profilo, spetta ai giudici delle eventuali impugnazioni e in definitiva all'organo di nomofilachia; dall'altro lato, la deliberazione della Camera di appartenenza del parlamentare, espressione della sua autonomia costituzionale, non e' soggetta ad impugnazioni, e ad essa il giudice e' normalmente vincolato. La Corte puo' essere chiamata ad intervenire solo quando sorga un contrasto fra la valutazione espressa dall'organo parlamentare ed il contrario apprezzamento del giudice: e, dunque, il giudizio della Corte puo' intervenire solo a posteriori e per cosi' dire dall'esterno, in funzione di risoluzione del conflitto in tal modo manifestatosi tra organo parlamentare e giudice, quindi in funzione di garanzia dell'equilibrio costituzionale fra salvaguardia della potesta' autonoma della Camera e tutela della sfera di attribuzioni dell'autorita' giudiziaria, su cui la deliberazione parlamentare viene ad incidere inibendone l'esercizio (cfr. sentenza n. 1150 del 1988)» (sent. n. 265/1997). Sul merito della violazione dell'art. 122, quarto comma, Cost. 6. - Il consigliere Bettin e' stato chiamato in giudizio avanti al Tribunale di Roma per la presunta lesivita' di dichiarazioni contenute a) in una interrogazione consiliare a risposta scritta presentata alla Regione Veneto (n. 641/2005) e b) in un articolo pubblicato, lo stesso giorno, sul sito internet istituzionale del Gruppo consiliare regionale dei Verdi del Veneto. Orbene, codesta Corte, «piu' volte ha affermato che l'esonero da responsabilita', previsto dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione quale salvaguardia dell'autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio regionale, ricomprende tutte quelle attivita' che costituiscono esplicazione di una funzione affidata a tale organo dalla stessa Costituzione o da altre fonti normative cui la prima rinvia» (cfr., ex plurimis, sentt. nn. 76/2001, 391/1999; 276/2001). Ha, altresi', precisato, in via generale, «che le funzioni legislative e di indirizzo politico, nonche' quelle di controllo e di auto-organizzazione, connotano il livello costituzionale dell'autonomia garantita alle regioni e che l'esercizio di esse, riservato al consiglio regionale, non puo' essere sindacato da organi giudiziari al fine di accertare l'eventuale responsabilita' dei soggetti deputati ad adempiere» (sent. nn. 69 e 70 del 1985). In particolare, sul punto delle dichiarazioni contenute in una interrogazione consiliare, «ha considerato ricomprese nel cennato ambito [dell'art. 122, quarto comma, Cost.], come risulta delimitato dalla Costituzione e dalle leggi statali, anche le funzioni di indirizzo, quelle che, comunque, si traducono in comportamenti preordinati al controllo politico (sentenze nn. 209 del 1994 e 29 del 1966), fra i quali senza dubbio rientrano anche le interrogazioni e le interpellanze, quali atti consiliari tipici, strumentali - per l'appunto - al sindacato esercitato dal Consiglio nel confronti della giunta» (sent n. 382/1998; v. anche sentt. nn. 274/1995; 391/1999). Sul punto delle dichiarazioni contenute in articoli divulgativi e percio' rilasciate al di fuori dell'esercizio di funzioni consiliari tipiche, per giurisprudenza consolidata, l'immunita' in parola si estende anche a quei comportamenti che, pur non rientrando fra gli atti tipici, siano collegati da nesso funzionale con l'esercizio delle attribuzioni proprie dell'organo di appartenenza. Onde va ritenuta ricompresa nella guarentigia la riproduzione all'esterno di interpellanze o interrogazioni» (cosi' la gia' menzionata sent. 391/1999, conformemente alle sentt. nn. 274/1995; 329/1999; n. 289/1998). In termini piu' rigorosi, per invocare la prerogativa dell'irresponsabilita', «non basta la generica comunanza di argomenti oggetto della attivita' consiliare tipica, rispetto alle dichiarazioni fatte al di fuori di essa; e' sufficiente la riconducibilita' di queste ultime dichiarazioni ad un medesimo "contesto politico". Occorre, invece, che la dichiarazione possa essere qualificata come espressione della attivita' coperta dalla menzionata garanzia costituzionale di immunita' il che normalmente accade se ed m quanto sussistano una contestualita' ed una sostanziale corrispondenza di significati tra le dichiarazioni rese al di fuori dell'esercizio delle funzioni tipiche svolte nel consiglio regionale e le opinioni espresse nell'ambito di queste ultime. Il carattere divulgativo, e quindi la sostanziale corrispondenza in uno con la contestualita', finiscono dunque per rappresentare il criterio in forza del quale le dichiarazioni "esterne" godono dello stesso regime delle opinioni costituzionalmente presidiate a norma dell'art. 122, quarto comma, della Carta fondamentale» (cosi' sent. n. 276/2001, sulla scorta, tra le altre, della sent. n. 76/2001). La situazione denunciata dalla Regione ricorrente risponde ai richiamati principi. In definitiva, il consigliere Bettin, non puo' esser, sottoposto a giudizio ne' in ragione delle dichiarazioni contenute nell'interrogazione consigliare, in quanto atto tipico inerente l'esercizio delle sue attribuzioni; ne' in ragione dell'articolo pubblicato via internet, considerate la «sostanziale corrispondenza» e la «contestualita» siccome dimostrate i atti, intercorrente tra questo e quella. Ad ulteriore conferma che l'immunita' opera non solo con riferimento ad una serie di atti tipici, ma anche relativamente ad atti non tipizzati purche' connessi alla funzione esercitata, vale la pena richiamare l'art. 3 della legge n. 140/2003: esso, nel definire l'ambito di efficacia, dispone che «l'art. 68, primo comma Cost. [e, dunque, con i dovuti aggiustamenti, anche l'art. 122, quarto comma] si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attivita' di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento». Da tutto quanto fin qui si esposto si evince, con evidenza, la violazione dell'art. 122, quarto comma e, suo tramite, degli artt. 121 e 123 Cost. di disciplina dell'organizzazione e delle funzioni dei supremi organi regionali.
P. Q. M. Si chiede che codesta ecc.ma Corte: 1) dichiari che non spetta allo Stato e, per esso, al Tribunale di Roma accertare la responsabilita' civile del consigliere regionale Gianfranco Bettin quale autore dell'interrogazione a risposta scritta n. 641/2005 e dell'articolo pubblicato il 4 febbraio 2005 sul sito internet del Gruppo consigliare regionale dei Verdi del Veneto, entrambi relativi allo smaltimento di rifiuti radioattivi avvenuto nel 1989-1990 in un inceneritore di Porto Marghera; 2) annullare, se del caso, l'atto di fissazione dell'udienza di trattazione di cui al verbale del 5 luglio 2005 e tutti gli atti processuali adottati e che saranno medio tempore eventualmente adottati dal Tribunale civile di Roma in relazione all'atto di citazione notificato dal dott. Corrado Clini in data 31 marzo 2005 e al conseguente giudizio (r.g. n. 24632/2005). A fini istruttori si producono i seguenti documenti: 1) copia dell'articolo di Riccardo Bocca apparso su L'Espresso in edicola dal 4 febbraio 2005, intitolato «Uranio Rosso»; 2) copia dell'articolo di Gianfranco Bettin pubblicato il 4 febbraio 2005 sul sito internet del Gruppo consigliare regionale dei Verdi del Veneto, (www.verdiveneto.it), intitolato «Avevamo ragione, hanno bruciato uranio a Marghera e hanno mentito»; 3) copia dell'interrogazione a risposta scritta formulata da Gianfranco Bettin e intitolata «Materiale radioattivo bruciato a Porto Marghera, vogliamo la verita», rubricata il 7 febbraio sub n. 641; 4) copia dell'atto di citazione in giudizio notificato a Gianfranco Bettin il 31 marzo 2005; 5) nota del 18 maggio 2005 (protocollata il 20 col n. 545), con la quale il consigliere Bettin chiede alla Regione Veneto la tutela delle sue prerogative di consigliere regionale; 6) copia della deliberazione della giunta regionale n. 1458/2005 di autorizzazione a proporre conflitto di attribuzioni avanti la Corte costituzionale; 7) copia del verbale d'udienza di prima comparizione delle parti avanti il giudice istruttore del 5 luglio 2005; 8) copia della comparsa di costituzione e risposta di Gianfranco Bettin; 9) copia della delibera di giunta regionale del 19 luglio 2005 di integrazione della delibera n. 1458/2005; 10) copia della nota del Presidente del Consiglio regionale dell'1 giugno 2005, prot. n. 4756. Padova-Roma, addi' 19 luglio 2005 L'avv. prof. Mario Bertolissi - Avv. Luigi Manzi 05C0886