N. 436 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 aprile 2005

Ordinanza  emessa  il  1°  aprile  2005  dal tribunale di Trieste nel
procedimento penale a carico di Obi Paul

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro
  anni   -   Lesione   del   principio   di   ragionevolezza   e   di
  proporzionalita'  della pena - Disparita' di trattamento rispetto a
  fattispecie  analoghe  -  Lesione  del  principio  della  finalita'
  rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  prima  parte, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, della legge
  12 novembre 2004, n. 271 [rectius: decreto legge 14 settembre 2004,
  n. 241,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 12 novembre
  2004, n. 271].
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.38 del 21-9-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Ritenuto  che  deve  essere  sollevata  questione di legittimita'
costituzionale   dell'art. 14,   comma  5-ter,  prima  parte,  d.lgs.
n. 286/1998  come  sostituito  dall'art. 1,  comma  5-bis,  legge  12
novembre 2004 n. 271 (che ha convertito in legge con modificazioni il
d.l.  14  settembre  2004, n. 241) nella parte in cui prevede la pena
della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,   in   riferimento   agli  articoli 3  e  27,  comma  3  della
Costituzione, rileva quanto segue:
        l'imputato   e'  stato  arrestato  il  31  marzo  2005  nella
flagranza  del  reato  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter del d.lgs.
n. 286/1998.  L'ordine  emesso  dal  questore  ai sensi dell'art. 14,
comma  5-bis, regolarmente tradotto, e' stato notificato all'imputato
il 14 gennaio 2005.
    Le  parti,  nella fase preliminare all'apertura del dibattimento,
hanno  formulato  istanza  di  applicazione della pena di mesi cinque
giorni  dieci  di  reclusione, con la concessione del beneficio della
sospensione condizionale della stessa (v. verbale di udienza).
    In  relazione  ad  identica fattispecie il Tribunale di Genova in
composizione   monocratica  ha  proposto  questione  di  legittimita'
costituzionale, il cui contenuto questo Tribunale condivide appieno e
che qui si riporta, facendolo proprio.
    Appare  necessaria  una  breve  premessa sull'iter che ha portato
all'attuale formulazione della norma:
        il   testo   originario  dell'art. 14  non  prevedeva  alcuna
sanzione   penale   per  lo  straniero  che  non  avesse  ottemperato
all'ordine emesso da questore in esecuzione del decreto di espulsione
del prefetto;
        la  fattispecie  penale  di  cui trattasi e' stata introdotta
dalla  legge  n. 189/2002,  come reato contravvenzionale punibile con
l'arresto  da sei mesi a un anno, prevedendo per tale reato l'arresto
obbligatorio;
    Con la sentenza n. 223 del 15 luglio 2004 la Corte costituzionale
ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma
5-quinquies  per contrasto con gli artt. 3 e 13 Cost. «nella parte in
cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo
art. 14  e'  obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del  fatto» per la
manifesta  irragionevolezza  della  previsione di misura precautelare
non  suscettibile  di  sfociare in alcuna misura cautelare in base al
vigente ordinamento processuale;
        e'  quindi intervenuto il d.l. 14 settembre 2004, n. 241, che
non  modificava  per  la  fattispecie in esame la pena prevista dalla
legge  n. 189/2002,  ma  riformulava  il  testo  dell'art. 14,  comma
5-quinquies  limitando  l'arresto  obbligatorio  all'potesi di cui al
comma 5-quater (reingresso nel territorio dello Stato dello straniero
espulso),  gia'  prevista  come delitto punibile con la reclusione da
uno a quattro anni;
        in  sede  di  conversione  del  d.l.  citato  il reato di cui
all'art. 14, comma 5-ter veniva previsto come delitto punibile con la
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  (ad  eccezione dell'ipotesi di
espulsione  motivata  dall'essere  scaduto  il permesso di soggiorno,
ipotesi  per  la  quale  veniva mantenuta la pena dell'arresto da sei
mesi a un anno); veniva nuovamente stabilito l'arresto obbligatorio.
    E'  dunque intervenuto un notevole inasprimento della pena, della
cui proporzionalita' e ragionevolezza si dubita.
    Deve  essere  qui  richiamato  il criterio costantemente adottato
dalla    Corte    costituzionale,    che,    pur    riservando   alla
«discrezionalita'   del  legislatore  stabilire  quali  comportamenti
debbano essere puniti, determinare quali debbano essere la qualita' e
la   misura   della  pena  ed  apprezzare  parita'  e  disparita'  di
situazioni»,   ha   pero'   affermato   che   «l'esercizio   di  tale
discrezionalita'  puo'  essere  censurato quando esso non rispetti il
limite  della  ragionevolezza e dia quindi luogo ad una disparita' di
trattamento  palese  e  ingiustificata»  (sentenza n. 25 del 1994; il
principio  e'  richiamato  anche  nella  sentenza  n. 333  del  1992,
nell'ordinanza  n. 220  del  1996,  nella  sentenza  n. 84 del 1997).
Ancora,  e'  stato  chiarito  (sentenza  n. 409  del  1989)  che  «il
principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Cost. esige
che  la  pena  sia  proporzionata  al  disvalore  del  fatto illecito
commesso,  in  modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo
alla  funzione di difesa sociale eda quella di tutela delle posizioni
individuali».  Tale  funzione  non  verrebbe  adempiuta  qualora  non
venisse rispettato il limite della ragionevolezza. A cio' si aggiunge
(sempre  nella  sentenza citata) che il principio di proporzionalita'
porta  a  negare  legittimita'  alle  «incriminazioni  che,  anche se
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni e dei valori offesi dalle predette incriminazioni».
Questo  principio  e'  ora  recepito anche dalla Costituzione europea
(«le  pene  inflitte  non  devono  essere  sproporzionate rispetto al
reato», art. II-109).
    Inoltre, la Corte ha ripetutamente affermato (sentenze n. 313 del
1995 e n. 343 del 1993) che la manifesta mancanza di proporzionalita'
rispetto  ai  fatti  reato  vanifica  il  fine rieducativo della pena
sancito dall'art. 27, comma 3, Cost.
    In  primo  luogo, poiche' il dubbio di costituzionalita' riguarda
un  inasprimento  della  pena,  non puo omettersi di ricordare quanto
affermato  dalla  Corte  costituzionale  su  un'eccezione concernente
l'elevazione  nel  1991  del  minimo  edittale  per  il  reato di cui
all'art. 629 cp. Nel dichiarare manifestamente infondata l'eccezione,
la  Corte  (ordinanza  n. 368  del 1995) ritenne rispettato il limite
della  ragionevolezza  rilevando  che l'inasprimento in quel caso non
dava  luogo  «a  macroscopiche  differenze  rispetto  al  trattamento
sanzionatorio  previsto  per  il reato di rapina - fatti peraltro non
del tutto assimilabile a quella della estorsione».
    La  questione  oggi in esame e' totalmente diversa per due ordini
di ragioni.
    Innanzitutto,  l'inasprimento  e',  in  questo  caso,  certamente
macroscopico:  il massimo edittale della pena detentiva in precedenza
prevista  per  lo  stesso  fatto,  qualificato  come contravvenzione,
corrisponde  ora  al  minimo  edittale  previsto  per  il delitto. In
secondo  luogo,  l'aumento di pena per il delitto di estorsione, come
rileva  tra  le  righe  la  Corte  con il riferimento alla «difficile
individuazione    in    concreto   dell'aggravante   di   far   parte
dell'associazione   di  tipo  mafioso»,  costituiva  la  risposta  al
fenomeno  del  «pizzo»  emerso  con  particolare  gravita'  in alcune
regioni nel corso degli anni ottanta e, quindi, a decenni di distanza
(e  quindi  in  un  contesto  sociale  certamente  diverso) da quando
vennero scritte le sanzioni per la rapina e l'estorsione.
    Una   simile   ragione   non   e'   invece   dato  rinvenire  per
l'inasprimento  di pena per lo straniero che non ottempera all'ordine
del  questore.  Nei soli due anni che intercorrono tra legge n. 189 e
la  legge  n. 271,  il  fenomeno  dell'immigrazione  clandestina (per
contrastare  il quale vennero scritte le norme della legge n. 189 del
2002) non ha subito variazioni tali da giustificare la conversione in
delitto    dell'inottemperanza    dello   straniero   all'ordine   di
allontanamento  del  questore  e  l'elevazione  macroscopica  di pena
introdotta  in sede di conversione in legge del d.l. n. 241/2002. Ne'
una  tale giustificazione si rinviene nella relazione all'emendamento
del  d.l.  n. 241/04  che  ha  introdotto una sanzione cosi' elevata,
posto  che  i  relatori fanno riferimento soltanto alla necessita' di
adeguarsi  alla  sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale,
intendendo tale adeguamento come un inasprimento della pena, cosi' da
consentire  l'arresto  obbligatorio  per  coloro  che non ottemperino
all'ordine  del  questore. Che questo fosse l'unico fine per il quale
e'  stata elevata in misura cosi' rilevante la sanzione e' confermato
dall'essere  la  stessa pena prevista per il fatto di chi rientra nel
territorio  nazionale  dopo un'espulsione disposta dal giudice (fatto
evidentemente  ben piu' grave, in quanto presuppone la commissione di
un  reato  o  quantomeno  la  pendenza di un procedimento penale). E'
evidente  che la trasposizione di un'esigenza processuale nel diritto
penale  sostanziale  non  integra il criterio della ragiovolezza e si
pone in contrasto con i principi costituzionali posti dagli artt. 3 e
27, comma 3, Cost.
    Per  valutare  se  l'inasprimento  di pena introdotto dalla legge
n. 271/2004  sia  compatibile  con  l'art. 3  Cost.  si deve poi fare
riferimento  a  norme  incriminatrici  poste  a  tutela  degli stessi
interessi   (individuati   nell'ordine  pubblico  e  nella  sicurezza
pubblica)  con  previsione  di  analoghe  modalita' di condotta. Tale
comparazione  e'  stata effettuata dalla Corte costituzionale al fine
di  valutare  la  proporzionalita'  e  la  ragionevolezza  della pena
prevista  per  il reato di cui all'art. 8, comma 2, legge n. 772/1972
(sentenza  n. 409 del 1989) e della pena prevista per il reato di cui
all'art. 341 c.p., (sentenza n. 341 del 1994).
    In  questo  caso,  deve essere preso in considerazione l'art. 650
c.p.  che punisce con l'arresto fino a tre mesi o con la sola ammenda
l'inottemperanza  ad  un provvedimento legalmente dato dall'autorita'
per ragioni di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico. Ancora, sempre
alla  tutela  dell'ordine  pubblico  e  della  pubblica  sicurezza e'
ispirata  la  fattispecie di cui all'art. 2 della legge n. 1423/1956.
Anche qui vi e' un ordine della pubblica autorita' (il questore, come
nella  fattispecie  di  cui  all'art. 14,  comma  4-ter)  concernente
persone  ritenute  pericolose  per la sicurezza pubblica» (si osserva
che  si  tratta  non di una pericolosita' «potenziale quale e' quella
dello  straniero  clandestino,  ma  di  una pericolosita' concreta) e
anche  qui  l'inottemperanza  configura  una  contravvenzione, per la
quale e' previsto l'arresto da uno a sei mesi.
    (Marginalmente   si  osserva  che  completamente  diversa  e'  la
fattispecie  del  delitto previsto dall'art. 9 della legge citata. Si
tratta   della   violazione   da   parte   del  sorvegliato  speciale
dell'obbligo  o  del divieto di soggiorno impostogli dal tribunale e,
sebbene  gli interessi tutelati dalla norma siano ancora quelli della
sicurezza  pubblica  e  dell'ordine  pubblico, non soltanto vi e' una
valutazione  in  concreto della pericolosita' sociale (effettuata dal
tribunale  e  non  dall'autorita'  amministrativa), ma soprattutto e'
prevista   una   condotta   attiva   dell'autore,  consistente  nella
violazione  di  un  obbligo o di un divieto (anche questo imposto dal
tribunale) al quale e' gia' stata data esecuzione a cura del questore
(art. 7,  legge  cit.)  e  quindi  nell'allontanamento  dal  luogo di
soggiorno  obbligato  ovvero  nel ritorno nel territorio per il quale
sussiste   il   divieto.   L'ipotesi  in  questione  potrebbe  quindi
costituire   parametro   di   riferimento  per  il  delitto  previsto
dall'art. 14, comma 5-quater del d.lgs. n. 286/1998 (reingresso dello
straniero  espulso  nel  territorio dello Stato), ma non per la norma
oggetto   della  presente  questione,  norma  che  sanziona  la  mera
inosservanza di un ordine dell'autorita' di polizia.
    Coerentemente  con le sanzioni dettate per analoghe violazioni il
legislatore del 2002 aveva previsto come contravvenzione l'ipotesi di
cui  all'art. 14, comma 5-ter, potendo a maggiore pena (da sei mesi a
un  anno di arresto) dettata per lo straniero (inottemperante, ma non
necessariamente  pericoloso) trovare giustificazione nell'esigenza di
contrastare  il  fenomeno  dell'immigrazione clandestina, inesistente
all'epoca della redazione del codice penale e della legge n. 1423/56.
Sussiste  invece  una rilevante sproporzione tra le pena ora prevista
per  la stessa ipotesi, configurata come delitto e le sanzioni penali
dettate  per  le  contravvenzioni  (ad  essa  analoghe)  di  cui agli
art. 650 c.p. e 2, legge n. 1423/1956.
    L'irragionevolezza  sussiste  dunque  sotto  un duplice profilo e
cioe'  sia con riferimento alla pena che il legislatore solo due anni
prima  aveva  ritenuto  congrua  per  l'ipotesi  in  esame,  sia  con
riferimento alle pene previste per analoghe fattispecie.
    Come  si  e'  visto,  la  Corte  ha  ripetutamente  affermato che
l'art. 3  Cost.  impone  che  il  bilanciamento  tra gli interessi da
tutelare  e  il  bene  della liberta' personale (che, se si tratta di
straniero,  non  e'  per  questo  di  rango  inferiore  a  quello del
cittadino)  venga  effettuato  con riferimento alle sanzioni previste
per condotte analoghe, che minacciano gli stessi interessi e che solo
quando   la   sanzione  penale  viene  stabilita  con  la  necessaria
proporzionalita'  la  pena  puo' avere la funzione rieducativa di cui
all'art. 27, comma 3 Cost.
                              P. Q. M.
    Solleva  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma   5-ter,   prima  parte,  d.lgs.  n. 286/1998  come  sostituito
dall'art. 1,  comma  5-bis,  legge  12  novembre  2004, n. 271 (che a
convertito  in  legge  con  modificazioni  il d.l. 14 settembre 2004,
n. 241)  nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a
quattro  anni  per  lo  straniero  che  senza  giustificato motivo si
trattiene  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine
impartito  dal questore ai sensi del comma 5-bis, in riferimento agli
art. 3 e 27, comma 3 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale, sospendendo il giudizio in corso;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere.
        Trieste, addi' 1° aprile 2005
                        Il giudice: Dainotti
05C0945