N. 461 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 giugno 2005

Ordinanza  emessa  l'8  giugno  2005  dal  tribunale  di  Gorizia nel
procedimento penale a carico di Ivanov Dinyo Delchev

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore - Trattamento sanzionatorio - Limite minimo edittale di un
  anno  di  reclusione - Violazione del principio di proporzionalita'
  della  pena  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto a fattispecie
  analoghe  - Lesione del principio della finalita' rieducativa della
  pena.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, primo periodo,
  come  sostituito  dalla  legge  12 novembre  2004, n. 271 [rectius:
  decreto-legge    14 settembre   2004,   n. 241,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271].
- Costituzione, artt. 3, e 27, comma terzo.
(GU n.39 del 28-9-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento penale n. 571/2005 RG, a carico di Ivanov Dinyo
Delchev nato il 29 gennaio 1976 a St.-Zagora (Bulgaria), imputato del
reato  di  cui  all'art. 14,  comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 perche'
espulso  con decreto del Prefetto di Vibo Valenzia dd. 29 aprile 2005
e  in  violazione  dell'ordine  impartitogli  dalla  Questore di Vibo
Valentia,  notificatogli  nella  stessa  data  del  29 aprile 2005 di
lasciare  il  territorio  nazionale  entro  5 gg., vi si intratteneva
senza giustificato motivo.
    Accertato in Doberdo' del Lago l'11 maggio 2005.
    Vista  la preliminare richiesta delle parti di applicazione della
pena  ex art. 444 c.p.p, in concreto concordata assumendo come pena -
base  un anno di reclusione, ovvero il minimo edittale previsto dalla
norma  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter,  d.lgs. n. 286/1998 (come
modificato dalla legge 12 novembre 2004, n. 27);
    Vista la memoria autorizzata depositata dalla difesa il 13 maggio
2005:
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    I)  Dubita questo giudice della legittimita' costituzionale della
norma  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter, d.lgs. n. 286/1998, primo
periodo  -  come  sostituito  dalla  legge 12 novembre 2004, n. 271 -
nella  parte  in  cui prevede il limite minimo edittale di un anno di
reclusione  per  lo  straniero  che,  senza  giustificato  motivo, si
trattenga   nel   territorio   nazionale  in  violazione  dell'ordine
impartitogli dal questore di lasciare il territorio nazionale entro 5
giorni  (nella specie concreta, per non aver richiesto il permesso di
soggiorno  nel  termine  prescritto  in  assenza  di  cause  di forza
maggiore).
    Nel  caso  che occupa, la questione appare rilevante, atteso che,
il  vaglio  dell'istanza di patteggiamento impone di effettuare anche
una  valutazione di congruita' della sanzione, concordata dalle parti
ai sensi dell'art. 444 c.p.p.
    Sotto   tale   profilo   si   richiama,   peraltro,  la  sentenza
costituzionale  n. 3113 del 26 giugno 1990 laddove - in fase di prima
applicazione  del  rito  speciale  in questione - sottolineava che la
valutazione  di  congruita'  costituisce diretta espressione del «...
parametro  costituzionale di cui all'art. 27, terzo comma, che impone
al giudice di valutare in osservanza del principio di proporzione fra
quantitas  della  pena  e  gravita' dell'offesa, e quindi il concreto
valore  rieducativo  della  pena  in  relazione  alla  sua  pregnante
finalita».
    Nel  caso  in  esame, le parti hanno correttamente determinato la
pena, concordando sia la concedibilita' delle attenuanti generiche ex
art.  62-bis c.p., sia la massima riduzione consentita per il rito ex
art. 444  c.p.p.,  ma hanno effettuato il computo muovendo, comunque,
da una pena base rigidamente fissata sul limite edittale minimo di un
anno di reclusione.
    II)  I  dubbi di costituzionalita' in ordine alla novellata norma
di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, prendono corpo -
in  primo  luogo  -  in considerazione dei principi giurisprudenziali
costituzionali   elaborati   in   materia   di  discrezionalita'  del
legislatore  nella  determinazione  della  quantita' e qualita' della
sanzione penale.
    Gia'   nel   1989,  con  la  sentenza  n. 409,  la  Corte  -  pur
riaffermando  il  consolidato  principio  secondo cui appartiene alla
discrezionalita'  del legislatore la determinazione della quantita' e
qualita' della sanzione penale - ha, tuttavia, sottolineato che detta
discrezionalita'  non  puo' essere intesa come scevra da qualsivoglia
limite  ma  deve esplicarsi alla luce del principio di uguaglianza di
cui all'art. 3, primo comma, nel senso che «la pena sia proporzionata
al  disvalore  del  fatto  illecito  commesso, in modo che il sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a quella di tutela delle posizioni individuali».
    Ed  ha  aggiunto  che  «...  le  valutazioni  all'uopo necessarie
rientrano  nell'ambito  del  potere discrezionale del legislatore, il
cui   esercizio   puo'   essere  censurato  sotto  il  profilo  della
legittimita'  costituzionale,  soltanto nei casi in cui non sia stato
rispettato il limite della ragionevolezza...».
    Successivamente,   detti  principi  sono  stati  riconfermati  ed
ulteriormente  approfonditi anche in relazione ad ulteriori parametri
costituzionali  (cfr.  sentenza  n. 343  e  422  del 1993 e n. 25 del
1994).
    In   particolare,   nella  sentenza  n. 343  del  1993  e'  stato
sottolineato   che  «la  palese  sproporzione  del  sacrificio  della
liberta'  personale... produce una vanificazione del fine rieducativo
della  pena  prescritto dall'art. 27, terzo comma della Costituzione,
che  di  quella  liberta'  costituisce  una garanzia istituzionale in
relazione allo stato di detenzione...»; con cio' sviluppando peraltro
quanto  gia'  enunciato - innovativamente - nella sentenza n. 313 del
1990,  laddove si riconosceva che la finalita' rieducativa della pena
non  e'  limitata  alla  sola fase esecutiva, ma costituisce «... una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico   e   l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue».
    III)  Tutto  cio'  premesso,  va  osservato  che  -  nella specie
concreta  -  la  discrezionalita'  del legislatore non pare esplicata
secondo i parametri sopra richiamati.
    Invero,       la       mera      disamina      della      vicenda
legislativo-giurisprudenziale  che  ha  portato - nel novembre 2004 -
all'inasprimento  della sanzione penale in questione, sembra denotare
che  l'intervento  del legislatore sia stato ispirato da parametri ed
esigenze  di  natura  meramente  processuale,  nonostante la modifica
abbia  colpito  norme  sostanziali,  direttamente  incidenti sul bene
primario della liberta' personale.
    Invero,  ne'  nella relazione al d.l. n. 241/2004, ne' negli atti
concernenti  il  successivo  snodarsi  dell'iter  parlamentare che ha
accompagnato  l'approvazione  della legge di conversione n. 271/2004,
si  rintraccia  alcuna  giustificazione  contingente e sostanziale in
ordine  all'inasprimento  delle  sanzioni,  mentre si rinviene - piu'
volte  -  l'espressa  indicazione  della  necessita'  di  superare le
censure  mosse  dalla  Corte costituzionale con le sentenze nn. 222 e
223  del  2004  («... Sul cammino della Bossi-Fini si e' abbattuta la
mannaia  della  Corte  costituzionale....  Ritengo che con il d.l. in
esame il Governo ed il Parlamento siano intervenuti correttamente per
rispondere  ai  rilievi  della  Corte...» (A.C. 5369 discussione d.d.
2 novembre  2004  sul  testo  approvato in Senato il 20 ottobre 2004,
repliche del relatore alla legge).
    Dunque,  l'aggravamento  delle sanzioni non pare riconducibile ad
una  scelta  di  politica  criminale  esercitata discrezionalmente in
relazione  all'insorgere, in un peculiare momento storico-sociale, di
situazioni particolari legate al fenomeno dei migranti.
    E   cio'  pare  tanto  piu'  fondato  laddove  si  consideri  che
l'intervento  del  legislatore - piu' in generale - ha determinato la
modifica di sanzioni (molto meno gravi) che erano state introdotte in
epoca recente, con la legge n. 189/2002.
    Sotto  altro profilo, va poi rilevato che le sentenze della Corte
costituzionale  n. 222  e  223  del 2004 hanno avuto ad oggetto norme
diverse  - rispettivamente, l'art. 13, comma 5-bis e l'art. 14, comma
5-quinquies del d.lgs. n. 286/1998 - da quella della cui legittimita'
si dubita nella presente ordinanza.
    In particolare, la sentenza n. 223 ha dichiarato l'art. 14, comma
5-quinquies,  d.lgs.  n. 286/1998  (nel  testo  integrato dalla legge
n. 189/2002)  illegittimo  nella  parte  in  cui  stabiliva l'arresto
obbligatorio  per  la  contravvenzione  prevista al comma 5-ter dello
stesso articolo.
    A  seguito di cio', il legislatore del novembre 2004 ha mirato il
proprio  intervento in direzione del presupposto su cui si fondava la
decisione   n. 223.   Piu'   precisamente,   la  fattispecie  di  cui
all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 - gia' contravvenzionale
-  e' stata trasformata in delitto (prima parte), e' stata sanzionata
con  la  reclusione  da  uno  a  quattro anni, ed e' stata nuovamente
individuata  come  fattispecie  per  la  quale  e' previsto l'arresto
obbligatorio  (gia' ritenuto illegittimo in relazione alla precedente
previsione  contravvenzionale  atteso  che  detta  limitazione  della
liberta'  personale  non era comunque suscettibile di trasformarsi in
qualsiasi misura coercitiva... e percio'... privo di qualsiasi sbocco
processuale: cfr. sent. n. 223/2004).
    Nella  sostanza,  tale  intervento legislativo ha riportato detta
fattispecie   nell'alveo   del   sistema  generale,  con  conseguente
possibilita'  - in astratto - di applicazione delle misure coercitive
secondo i limiti previsti dall'art. 280, comma 2 c.p.p.
    IV)  Alla  luce  di  quanto  sopra  esposto, si ravvisano plurimi
profili  per dubitare della ragionevolezza dell'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  primo  periodo - come sostituito dalla legge 12
novembre  2004,  n. 271,  nella  parte  in cui e' stato introdotto il
minimo edittale di un anno di reclusione.
    Innanzitutto,  sotto un profilo piu' propriamente sostanziale, va
richiamato quanto gia' sopra osservato in ordine all'insussistenza di
ragioni  contingenti,  legate  al  momento  storico-sociale, idonee a
supportare  un  aggravamento sanzionatorio di portata cosi' rilevante
da  giungere, di fatto, a raddoppiare l'entita' del precedente minimo
edittale.
    Piu' in generale, detta sanzione non pare fondata su un ponderato
bilanciamento  tra  la  tutela  dei  sottesi  interessi dell'ordine e
sicurezza  pubblica  da un lato e quello della liberta' personale del
soggetto   agente  e  pertanto,  non  pare  confermo  ai  criteri  di
proporzione ex art. 3 e finalita' rieducativa ex art. 27, terzo comma
Cost.
    Tale  sproporzione pare evidenziarsi peraltro anche dal confronto
con  ipotesi di reato del tutto similari, posto che la fattispecie in
esame  sanziona  -  nella  sostanza  - una disobbedienza ad un ordine
dell'autorita'.
    In  particolare,  si fa riferimento alla contravvenzione prevista
dall'art. 650  c.p  (inosservanza  dei  provvedimenti dell'autorita),
punita con l'arresto fino a tre mesi e con l'ammenda fino a 206 euro,
nonche'  a  quella  di cui all'art. 2, legge 27 dicembre 1956 n. 1423
(inosservanza  di  provvedimenti  del  questore  da  parte di persone
pericolose) punita con l'arresto da uno a sei mesi.
    D'altronde,  con  riferimento  alla sanzione in esame, neppure e'
ravvisabile  la  ratio  piu'  volte rimarcata in sede di adozione del
d.l.  n. 241/2004  e  di  approvazione  della  legge  di  conversione
n. 271/2004, ovvero la necessita' di «rimodulare il testo della norma
censurata».
    Invero,  le  declaratorie  di illegittimita' costituzionale hanno
investito  altre  norme  (gli  artt.  13,  comma  5-bis  e  14, comma
5-quinquies  del  d.lgs.  n. 286/1998)  e, segnatamente, in relazione
all'art. 14,   comma  5-quinquies  le  censure  costituzionali  hanno
colpito la previsione dell'arresto obbligatorio.
    Da  ultimo,  va  sottolineato  che  la  previsione  di  un minimo
edittale   cosi'   elevato,  sembra  irragionevole  anche  alla  luce
dell'unica  ratio  che  pare  effettivamente sottesa all'inasprimento
sanzionatorio   complessivo,  ovvero  in  relazione  all'esigenza  di
rendere  la  la  fattispecie  in  esame  compatibile  con  il sistema
generale  di applicazione delle misure coercitive (posto che e' stato
nuovamente previsto l'arresto obbligatorio).
    Al  riguardo,  va  osservato  che il sistema applicativo di dette
misure  e'  disegnato  in  relazione  a massimi edittali inderogabili
(cfr.  274,  lettera  c)  e  280 comma 2 c.p.p.), mentre non assumono
alcun rilievo i minimi edittali.
    Dunque,  anche  sotto  tale profilo, pare del tutto irragionevole
una sanzione minima cosi' rigida e severa.
    Per  tutti  i motivi esposti, pare dunque pertinente il vaglio di
legittimita'  della  norma  con  riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
comma della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 14,   comma  5-ter,  d.lgs.
n. 286/1998,  primo periodo - come sostituito dalla legge 12 novembre
2004,  n. 271  (legge  che  ha  convertito  con modificazioni il d.l.
n. 241/2004),  - nella parte in cui prevede il limite minimo edittale
di  un  anno  di  reclusione per lo straniero che, senza giustificato
motivo,   si   trattenga   nel  territorio  nazionale  in  violazione
dell'ordine  impartitogli  dal  questore  di  lasciare  il territorio
nazionale entro 5 giorni, per violazione degli articoli 3 e 27, terzo
comma della Costituzione, come descritto in motivazione;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende il giudizio;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza  al  Presidente  del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione  ai  Presidenti  della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica.
        Gorizia, addi' 8 giugno 2005
                        Il giudice: Brindisi
05C0971