N. 361 ORDINANZA 28 settembre - 4 ottobre 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Procedimento davanti al giudice di pace - Richieste
  del   pubblico  ministero  -  Obbligo  del  pubblico  ministero  di
  formulare l'imputazione anche nel caso in cui abbia espresso parere
  contrario  alla  citazione  -  Mancata  previsione - Violazione del
  principio  di  ragionevolezza  -  Lesione  del  diritto di difesa -
  Contrasto  con il principio della ragionevole durata del processo -
  Omessa   verifica,  da  parte  del  remittente,  di  una  soluzione
  interpretativa conforme a Costituzione - Manifesta inammissibilita'
  della questione.
- D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 25, comma 2.
- Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 111, comma secondo
(GU n.41 del 12-10-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2,
del  decreto  legislativo  28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge   24 novembre   1999,  n. 468),  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  penale,  dal  giudice di pace di Chioggia con ordinanza
del 22 ottobre 2004, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2005 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'8 giugno 2005 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il  giudice  di  pace di Chioggia ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3,  24, secondo comma, e 111, secondo comma,
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 25, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274
(Disposizioni  sulla  competenza  penale del giudice di pace, a norma
dell'articolo 14  della  legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte
in  cui  non prevede che, in caso del ricorso immediato della persona
offesa,  il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario
alla citazione a giudizio, debba comunque formulare l'imputazione;
        che il giudice rimettente premette che il pubblico ministero,
ritenuta  l'inammissibilita'  del  ricorso  presentato  dalla persona
offesa  per  la  mancata  indicazione  delle generalita' complete del
soggetto  a  cui  il  reato  e'  attribuito,  aveva  formulato parere
contrario alla citazione;
        che  il giudice a quo sostiene che nelle ipotesi, come quella
in   esame,   in  cui  il  pubblico  ministero  ritiene  erroneamente
sussistente  una  causa  di  inammissibilita' (al riguardo, viene tra
l'altro  richiamata  l'ordinanza  di questa Corte n. 83 del 2004), il
decreto  legislativo  n. 274 del 2000 non consente al giudice di pace
«il compiuto esercizio delle proprie prerogative»;
        che  infatti,  mentre  l'art. 25  del  decreto legislativo in
esame  riconosce al pubblico ministero un vaglio preventivo in ordine
all'ammissibilita'  e  alla  fondatezza  del  ricorso  della  persona
offesa,    prevedendo   che,   in   alternativa   alla   formulazione
dell'imputazione, il pubblico ministero esprima parere contrario alla
citazione,  gli  artt. 26  e 27 stabiliscono invece che il giudice di
pace  deve restituire gli atti al pubblico ministero, anche se questi
«non  ha  presentato  richieste», solo nell'ipotesi in cui ritenga il
ricorso    inammissibile   o   manifestamente   infondato,   perche',
altrimenti,  deve disporre la convocazione delle parti in udienza con
un decreto che deve contenere «la trascrizione dell'imputazione»;
        che,  pertanto,  ad avviso del giudice rimettente il pubblico
ministero  dovrebbe  comunque  formulare  l'imputazione  anche  nelle
ipotesi  in cui, come nel caso di specie, si sia limitato a esprimere
parere  contrario  alla citazione, non essendo possibile interpretare
la  disposizione  censurata  nel senso di ritenere che il giudice, in
analogia  con  quanto  previsto  dall'art. 17,  comma 4,  del decreto
legislativo  n. 274  del 2000 e dall'art. 409, comma 5, del codice di
procedura penale, possa disporre la «imputazione coatta»;
        che le disposizioni da ultimo richiamate disciplinano infatti
situazioni  del tutto diverse rispetto a quella in esame e concernono
ipotesi  in  cui  il  giudice  che  dispone  l'imputazione  coatta, a
differenza  di  quanto  avverrebbe  nel caso di specie, e' diverso da
quello che deve poi valutare il merito del procedimento;
        che  il giudice non potrebbe neppure riportare nel decreto di
convocazione  delle  parti,  sic et simpliciter, l'addebito formulato
dal  ricorrente,  sia  per  ragioni  di  natura testuale - l'art. 27,
comma 3,  lettera d), del decreto legislativo n. 274 del 2000 prevede
espressamente  che il decreto di convocazione debba contenere, a pena
di  nullita', «la trascrizione dell'imputazione» - sia perche', cosi'
interpretata,  la  disposizione  censurata  attribuirebbe l'esercizio
dell'azione  penale  direttamente  al  ricorrente  e  non al pubblico
ministero,  che  e'  invece  l'unico  soggetto  abilitato a formulare
l'imputazione;
        che  infatti,  prosegue il rimettente, se pur la Costituzione
non  sancisce  la  regola del monopolio dell'azione penale in capo al
pubblico  ministero,  una  norma  ordinaria  che  riconosca  anche al
privato  la  titolarita' di tale azione puo' ritenersi legittima solo
laddove   si  configuri  un'attribuzione  sussidiaria  e  concorrente
rispetto  a  quella  del  pubblico  ministero  (vengono richiamate le
sentenze  della  Corte  costituzionale  n. 474  del 1993 e n. 114 del
1982), mentre nel caso in esame la semplice presentazione del ricorso
da  parte  della  persona  offesa  potrebbe  determinare,  nonostante
l'espresso  parere  contrario  del pubblico ministero, la citazione a
giudizio;
        che  l'anomalia  sarebbe  ancora  piu'  evidente  qualora  si
configurasse  la  formulazione dell'imputazione come atto del giudice
che, in tal modo, eserciterebbe d'ufficio l'azione penale;
        che, scartate entrambe le soluzioni dell'imputazione coatta e
della    formulazione   dell'imputazione   attraverso   la   semplice
trascrizione  dell'addebito  contenuto  nel  ricorso,  al giudice non
rimarrebbe  che  disporre  la  «restituzione»  degli atti al pubblico
ministero,  ma  tale  soluzione  non  appare  coerente con il sistema
delineato dal legislatore perche' attribuirebbe al pubblico ministero
«una  sorta  di potere di veto sulla procedura del ricorso» immediato
della persona offesa;
        che  solo  la  previsione  che  il  pubblico  ministero debba
comunque   formulare   l'imputazione   consentirebbe  al  giudice  di
effettuare  il  dovuto  controllo sui requisiti formali e sostanziali
del  ricorso,  onde provvedere ai sensi dell'art. 26, commi 2, 3 e 4,
del  decreto  legislativo n. 274 del 2000 qualora condivida il parere
contrario  del pubblico ministero, ovvero ai sensi dell'art. 27 dello
stesso  decreto  qualora  ritenga  invece  di  emettere il decreto di
convocazione delle parti;
        che  il rimettente solleva pertanto questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 25, comma 2, del decreto legislativo n. 274
del 2000 per contrasto:
          con   l'art. 3   Cost.,   per   l'irragionevolezza  di  una
disciplina  che,  non  prevedendo  che  il  pubblico  ministero debba
formulare   l'imputazione  anche  nel  caso  in  cui  esprime  parere
contrario  alla citazione, obbliga il giudice procedente a restituire
gli atti alla pubblica accusa;
          con  l'art. 24,  comma  secondo, Cost. in quanto, a seguito
della  restituzione  degli  atti al pubblico ministero, il ricorrente
verrebbe    privato    di   un   importante   strumento   processuale
riconosciutogli  dal  legislatore  e,  per  di  piu', per ragioni non
condivise dal giudice;
          con l'art. 111, comma secondo, Cost. perche' - posto che il
ricorso  produce gli stessi effetti della presentazione della querela
- una volta restituiti gli atti al pubblico ministero il procedimento
seguirebbe  l'iter  ordinario,  con  tempi  notevolmente  piu' lunghi
rispetto  a  quelli  stabiliti per il ricorso immediato, che consente
l'instaurazione   del   giudizio   senza   la   fase  delle  indagini
preliminari;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata manifestamente
infondata;
        che, in particolare, sarebbe erroneo il richiamo da parte del
rimettente  al  «sistema  processuale tradizionale», in quanto, da un
lato,  «le  forme  di  esercizio del diritto di difesa possono essere
diversamente  modulate  in relazione alle caratteristiche dei singoli
riti  speciali»,  e, dall'altro, le forme del procedimento davanti al
giudice  di  pace  non  sono  comparabili  con quelle previste per il
procedimento per reati di competenza del tribunale;
        che,  pertanto,  appare  del tutto ragionevole che, a seguito
del  «parere  [contrario]  del  pubblico  ministero,  il procedimento
torn[i]  nel  suo alveo tradizionale, nel quale la parte civile da un
lato  e il giudice dall'altro dispongono dei rispettivi strumenti per
addivenire alla decisione».
    Considerato  che  il  giudice  di pace di Chioggia, che procede a
seguito  del ricorso immediato della persona offesa volto ad ottenere
la citazione a giudizio del soggetto a cui e' attribuito il reato, ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, secondo comma, e 111,
secondo   comma,   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 25,   comma 2,   del  decreto  legislativo
28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza penale del
giudice  di  pace,  a  norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre
1999,  n. 468),  nella  parte  in  cui  non  prevede  che il pubblico
ministero  debba  formulare l'imputazione anche quando esprime parere
contrario alla citazione a giudizio;
        che  la  disciplina  vigente  prevede  che  il  ricorso della
persona offesa, depositato nella cancelleria del giudice, deve essere
previamente comunicato al pubblico ministero, il quale, se lo ritiene
inammissibile  o infondato, esprime parere contrario alla citazione a
giudizio, altrimenti formula l'imputazione, confermando o modificando
l'addebito  contenuto  nel  ricorso  (art. 25 del decreto legislativo
n. 274 del 2000);
        che  a  sua  volta  il  giudice di pace, anche se il pubblico
ministero  non  ha formulato alcuna richiesta, ove ritenga il ricorso
inammissibile   o   manifestamente  infondato  ne  dispone,  a  norma
dell'art. 26,  comma 2,  del  decreto legislativo n. 274 del 2000, la
trasmissione   al   pubblico  ministero  per  l'ulteriore  corso  del
procedimento;  altrimenti,  a norma dell'art. 27, convoca le parti in
udienza con decreto, che, tra l'altro, deve contenere la trascrizione
dell'imputazione;
        che in sostanza il rimettente lamenta che, sulla base di tale
disciplina, pur ritenendo ammissibile il ricorso nonostante il parere
contrario  del  pubblico  ministero,  non  avrebbe la possibilita' di
convocare   le   parti,   come   previsto  dall'art. 27  del  decreto
legislativo  n. 274  del  2000,  non  avendo  il  pubblico  ministero
formulato  l'imputazione  che  deve  essere trascritta nel decreto, e
verrebbe a trovarsi in una situazione di stallo;
        che  il rimettente non ritiene praticabili soluzioni diverse,
quali  la diretta formulazione dell'imputazione da parte dello stesso
giudice di pace, ovvero la trascrizione dell'«addebito» contenuta nel
ricorso  (che  a  norma dell'art. 21, comma 2, lettera f), del citato
decreto  deve  contenere  l'indicazione in forma chiara e precisa del
fatto,  con  l'indicazione  degli  articoli di legge violati), ovvero
ancora  l'ordine al pubblico ministero di formulare l'imputazione, in
analogia   a  quanto  disposto  dall'art. 17,  comma 4,  del  decreto
legislativo  n. 274  del  2000  in  caso  di richiesta non accolta di
archiviazione;
        che di conseguenza, allo stato della legislazione, al giudice
non  resterebbe  che  disporre la trasmissione degli atti al pubblico
ministero;
        che tale soluzione sarebbe peraltro in contrasto con l'art. 3
Cost.,  per  l'irragionevolezza  di  una  disciplina  che  obbliga il
giudice  procedente a «restituire» gli atti alla pubblica accusa; con
l'art. 24,   comma   secondo,   Cost.  in  quanto,  a  seguito  della
«restituzione»  degli  atti  al  pubblico  ministero,  il  ricorrente
verrebbe    privato    di   un   importante   strumento   processuale
riconosciutogli dal legislatore; con l'art. 111, comma secondo, Cost.
perche',  una  volta  restituiti  gli  atti al pubblico ministero, il
procedimento seguirebbe l'iter ordinario, con tempi notevolmente piu'
lunghi rispetto a quelli stabiliti per il ricorso immediato;
        che  lo  stesso rimettente, pur consapevole che la disciplina
normativa  censurata  e'  suscettibile  di  una pluralita' di opzioni
interpretative,  non  compie  il  necessario  sforzo  ermeneutico per
individuare  una  soluzione  che  consenta  un effettivo controllo di
legalita'  sull'esercizio  dell'azione  penale,  senza  sacrificare i
diritti di tutte le parti private;
        che, tra l'altro, il giudice a quo non tiene nel debito conto
che  l'art. 17, comma 4, del decreto legislativo n. 274 del 2000, ove
e'   prevista   la  disciplina  generale  della  formulazione  coatta
dell'imputazione, potrebbe trovare applicazione anche nel caso in cui
il  giudice,  dopo  aver  trasmesso  gli  atti al pubblico ministero,
ritenga  di  non condividere una eventuale richiesta di archiviazione
da quest'ultimo formulata;
        che  pertanto,  prima  di affermare che non sarebbe possibile
altra soluzione conforme a Costituzione diversa da quella prospettata
in  via  additiva,  il  rimettente  avrebbe dovuto utilizzare tutti i
poteri  interpretativi  che  la  legge  gli  riconosce,  specie in un
contesto  in cui sulla disciplina sottoposta a censura si confrontano
contrastanti  indirizzi  giurisprudenziali di legittimita' non ancora
stabilizzati  (v.,  in  particolare,  sentenze n. 33675 del 27 maggio
2004 e n. 40836 del 20 settembre 2004);
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 25,  comma 2,  del  decreto
legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni sulla competenza
penale  del  giudice  di  pace,  a norma dell'articolo 14 della legge
24 novembre  1999,  n. 468),  sollevata, in riferimento agli artt. 3,
24,  secondo  comma,  e  111,  secondo comma, della Costituzione, dal
giudice di pace di Chioggia con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 4 ottobre 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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