N. 514 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 giugno 2005
Ordinanza emessa il 16 giugno 2005 dalla Corte conti - Sez. giur.le per la Regione Calabria sul ricorso proposto da Checco Antonia ed altri contro INPDAP Previdenza e assistenza - Ratei di pensione e differenze arretrate dovuti dallo Stato - Prescrizione quinquennale - Esclusione dei ratei relativi alle pensioni privilegiate - Mancata previsione - Ingiustificato eguale trattamento dei crediti dello Stato relativi a pensioni retributive e di quelli relativi a pensioni privilegiate aventi connotati «indennizzatori» - Incidenza sul principio di retribuzione (anche differita) proporzionata ed adeguata. - Regio decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2, sostituito dall'art. 2, comma 3, della legge 7 agosto 1985, n. 428. - Costituzione, artt. 3 e 36, primo comma.(GU n.42 del 19-10-2005 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 189/2005 nel giudizio pensionistico iscritto al n. 9739 del registro di segreteria, sul ricorso della sig.ra Checco Antonia ved. Cozzupoli nata il 1° gennaio 1949 a Motta San Giovanni, Cozzupoli Maria nata il 25 agosto 1969 e Copuzzoli Francesca nata il 4 ottobre 1973 tutte domiciliante in Reggio Calabria - Pellaro, via Fiumarella n. 23 ed elettivamente domiciliate in Catanzaro lido, via Formia n. 45 presso lo studio dell'avv. Lucrezia Ferrari. Contro l'INPDAP di Catanzaro: 1) per il riconoscimento sulla pensione privilegiata di riversibilita' alle sig.re Cozzupoli Maria e Francesca dell'indennita' integrativa speciale - per il periodo dal 1° settembre 1984 al 31 luglio 1986 - e quota della tredicesima mensilita' (inclusa IIS) per il periodo dal 1° gennaio 1984 al 31 luglio 1986, il tutto oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi; 2) per il riconoscimento sulla pensione privilegiata di riversibilita' alla si.g.ra Checco Antonia (a partire dall'11 novembre 1979) delle differenze di indennita' integrativa speciale ed i ratei della tredicesima mensilita' (inclusa IIS) mai corrisposte - il tutto oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi; 3) per il riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata di riversibilita' con l'I.I.S. e la tredicesima mensilita' alla sig.ra Checco Antonia. Visti: il regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038; il d.l. 15 novembre 1993, n. 453, conv. dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, la legge 14 gennaio 1994, n. 20 e la legge 21 luglio 2000, n. 205 ed in particolare gli artt. 5 e 9; Visto il ricorso e tutti gli altri documenti di causa; All'udienza pubblica del 6 aprile 2005 sono presenti: il rappresentante dell'INPDAP e l'avv. Salvatore Barilla del Foro di Reggio Calabria delegato a rappresentare le ricorrenti solo in data odierna. Considerato in fatto A seguito del decesso del sig. Cozzupoli Pietro, appartenente al Corpo della Guardia di Finanza, avvenuto il 9 maggio 1976, veniva riconosciuta alla vedova sig.ra Antonia Checco dal Ministero delle finanze (erogata inizialmente dal Ministero del tesoro e poi dall'INPDAP) la pensione privilegiata di riversibilita' iscrizione n. 04174478 in compartecipazione con le figlie. A queste ultime (Cozzupoli Maria e Francesca) non sono state corrisposte le quote dell'indennita' integrativa speciale e della tredicesima mensilita' dal 1° settembre 1984 al 31 luglio 1986. Nel corso della corresponsione del trattamento pensionistico alle tre beneficiarie l'amministrazione, mentre sul principio dell'erogazione corrispondeva l'indennita' integrativa speciale e la tredicesima mensilita', in un secondo momento, a causa della contraddittorieta' in diritto in ordine alla corresponsione della detta I.I.S. e della tredicesima, procedeva al recupero delle stesse con trattenute effettuate sulla pensione e sullo stipendio. Le richieste di restituzione delle somme indebitamente attenute sulle pensioni, sullo stipendio con l'incameramento del credito maturato in favore delle ricorrenti, nonche' l'adeguamento della pensione con la corresponsione di detta indennita' integrativa e della tredicesima mensilita', venivano inoltrate e reiterate alla Direzione provinciale del tesoro (RC) ed all'INPDAP. L'INPDAP, con memoria di costituzione, ha eccepito preliminarmente l'intervenuta prescrizione sulla presunta mancata erogazione dei benefici richiesti richiamando l'art. 2 del regio decreto 19 gennaio 1939, n. 295, come sostituito dal terzo comma dell'art. 2 della legge 7 agosto 1985, n. 428. Tale istituto ha sostenuto che stante il carattere di specialita' della disposizione che prevede il suddetto termine quinquennale, essa deve trovare applicazione per tutte le «pensioni pubbliche"» senza distinzione tra quelle di natura «normale"» ovvero « privilegiata"» ed anche sulle rate e differenze arretrate spettanti ai destinatari o ai loro aventi causa, decorrenti dal giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere. D i r i t t o In generale le disposizioni che disciplinano il cumulo degli assegni accessori di pensione in costanza di rapporto di lavoro retribuito a carico dello Stato ed enti pubblici o a carico di terzi sono state oggetto di scrutinio da parte della Corte costituzionale che ha avuto modo di pronunciarsi piu' volte. Infatti, con sentenza n. 566 del 1989 il Giudice delle leggi si e' pronunciato nel senso che la diminuzione del trattamento pensionistico complessivo possa essere giustificata e compatibile col principio stabilito dall'art. 36, primo comma, della Costituzione, solo ove sia correlata ad una retribuzione della nuova attivita' lavorativa che ne giustifichi la misura, sicche' ha dichiarato incostituzionale l'art. 99, quinto comma, del d.P.R. n. 1092/1973 nella parte in cui non fissa il limite minimo dell'emolumento dell'attivita' esplicata oltre il quale sia ammissibile la sospensione dell'indennita' integrativa speciale, precisando, altresi', che la fissazione di detto limite compete al legislatore, al cui intervento e' rimessa la riformulazione della norma. Inoltre con la sentenza n. 204 del 1992, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 17, primo comma, della legge n. 843 del 1978 e dell'art. 15 del d.l. n. 663 del 1979, nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti ltesclusione e il congelamento dell'indennita' integrativa speciale, ribadendo che tale determinazione e quella della relativa decorrenza spetta al legislatore e deve esplicarsi in modo da salvaguardare il precetto dell'art. 36, primo comma, della Costituzione (il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa). Con la sentenza n. 232 del 1992, la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 97, primo comma, del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui non determina la misura della retribuzione oltre la quale non compete la tredicesima mensilita' e con altra sentenza n. 494 del 1993 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 99 citato, nella parte in cui non prevede che, pur restando vietato il cumulo delle indennita' integrative speciali, debba comunque farsi salvo (sulla seconda pensione) l'importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Con ordinanza n. 438 del 1998, sempre la Corte costituzionale, richiamando le sentenze n. 566 del 1989 e n. 494 del 1993, ha precisato che la disposizione sul cumulo dell'indennita' contenuta nell'art. 2, sesto e settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324, e' da ritenersi espunta dal sistema per abrogazione. anche a seguito di sostanziale trasfusione in altra norma colpita da. declaratoria di illegittimita' costituzionale in parte qua. Ancora con la sentenza n. 516 e con l'ordinanza n. 517, entrambe del 15 - 21 novembre 2000, ha ribadito che: deve ritenersi che un divieto generalizzato di cumulo di indennita' di contingenza (o indennita' equivalenti nella funzione di sopperire ad un maggior costo della vita) sia illegittimo dal punto di vista costituzionale quando, in presenza di diversi trattamenti a titolo di attivita' di servizio o di pensione (ovviamente quando non vi sia una incompatibilita), non sia previsto un ragionevole limite minimo di trattamento economico complessivo (o altro sistema con un indice rapportato alle esigenze di una esistenza libera e dignitosa del lavoratore - pensionato e della sua famiglia o del pensionato con pluralita' di posizioni assicurative), al di sotto del quale il divieto debba essere necessariamente escluso; spetta al legislatore la scelta tra diverse soluzioni (omissis), con possibilita' di distinguere la disciplina del cumulo anche con ragionevoli differenziazioni temporali, collegate alla diversa natura e funzione della indennita' anzidetta e alla progressiva trasformazione - anche per effetto del conglobamento pensionistico - della incidenza del problema a partire alla legge 23 dicembre 1994, n. 724; la disposizione sul cumulo della indennita', contenuta nell'art. 2, settimo comma, della legge 27 maggio 1959, n. 324 (sostituito dall'art. 4 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1081), e' da ritenersi espunta dal sistema per abrogazione (ordinanza n. 438 del 1998), in base alla clausola abrogativa generale contenuta nell'art. 254 del t.u. 1092 del 1973, nonche' a seguito di sostanziale trasfusione in altra norma (art. 99, commi secondo e quinto, dello stesso t.u.), contente disciplina completa riguardo all'anzidetto cumulo, dichiarata poi costituzionalmente illegittima con le sentenze n. 566 del 1989 e n. 494 del 1993; l'art. 130, ultimo comma, del d.P.R n. 1092 del 1973 non ha un contenuto autonomo e presuppone l'esistenza di un divieto di cumulo valido ed operante e non puo' riguardare ormai l'indennita' integrativa speciale, per cui non ha un legame attuale con il preteso divieto di cumulo della stessa indennita'; un divieto di cumulo ormai caducato non puo' rivivere, sotto forma di interpretazione, senza un intervento del legislatore, cui deve restare la discrezionalita' della scelta tra diverse soluzioni possibili. Il Giudice delle leggi ha sanzionato una situazione immanente di illegittimita' costituzionale delle norme citate in premessa, determinandone la conseguente caducazione, mentre il legislatore non ha ritenuto di intervenire per fissare il limite minimo del trattamento economico complessivo oltre il quale la decurtazione possa diventare operante. Cio' premesso, alla data attuale, dovrebbe essere ammesso, in linea di principio, l'inefficacia del divieto di cumulo, per il fatto che il legislatore non sia intervenuto, giacche', se cosi' non fosse, si continuerebbero ad applicare delle disposizioni dichiarate incostituzionali ed espunte dall'ordinamento. Dalle pronunce teste' richiamate si evince che il Giudice delle leggi abbia inteso affermare, in modo esplicito che, anche in presenza di diversi trattamenti a titolo di pensione, il divieto di cumulo generalizzato sia incostituzionale ove non sia previsto un ragionevole limite minimo di trattamento economico complessivo, rapportato alle esigenze di una esistenza libera e dignitosa del pensionato con pluralita' di posizioni assicurative e della sua famiglia. limite che solo il legislatore e' abilitato a stabilire. Cio' posto, deve dedursi che il richiamo all'importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori (dipendenti, contenuto nella sentenza n. 494 del 1993, debba essere inteso, alla luce delle successive pronunce, quale limite minimo che il legislatore non possa superare per non violare il precetto costituzionale che assicura un'esistenza libera e dignitosa del pensionato con pluralita' di posizioni assi curative. Per quanto riguarda la decorrenza del riconoscimento di detti emolumenti accessori, secondo l'art. 136 della Costituzione, quando la Corte costituzionale dichiara l'illegittimita' di una legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, e l'art. 30 della legge 1° marzo 1953, n. 87, precisa che le norme dichiarate incostituzionali non possano avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. L'interpretazione dei due testi normativi, dopo prolungati dibattiti, ha definitivamente chiarito che l'effetto integrativo della sentenza costituzionale non crea un nuovo diritto esercitabile dalla pubblicazione della stessa e che la disapplicazione della legge dichiarata incostituzionale possa avvenire, dopo la pubblicazione della decisione della Corte, in tutti i casi in cui, se la questione non fosse stata decisa, il giudice potrebbe sollevarla, e quindi anche nell'ambito di giudizi aventi riferimento a fatti verificatisi anteriormente alla pubblicazione del dispositivo della sentenza, salvo che i rapporti nell'ambito dei quali e' stata fatta applicazione della norma dichiarata incostituzionale non siano gia' esauriti e sottratti, quindi, agli effetti della pronuncia di incostituzionalita', iritendendosi per tali quelli incisi da fatti che li rendano intangibili, quali la formazione del giudicato ovvero la prescrizione o la decadenza ritualmente rilevate. In particolare, il vizio d'illegittimita' costituzionale non ancora dichiarato costituisce una mera difficolta' di fatto all'esercizio del diritto assicurato dalla norma, cosi' come risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale e, pertanto, non impedisce il decorso della prescrizione dal momento in cui (sotto ogni altro profilo) sussistano i presupposti per l'esercizio del medesimo diritto (Cass. sez. lav. 5 giugno 1998, n. 5577; 21 gennaio 1998, n. 536); cio' in quanto la Corte costituzionale ha una funzione giurisdizionale e non legislativa ed, anche con le pronunce cosiddette additive, propriamente non crea nuove norme, ma (in genere, in applicazione del principio d'uguaglianza) libera un contenuto presente in nuce nella norma impugnata. Del resto e' pacifico che la presenza di una norma contraria all'erogazione di un dato beneficio non impedisca l'esercizio del diritto che si presume costituzionalmente leso, salvo a dover investire, in via incidentale, la Corte costituzionale per lo scrutinio di legittimita', come e' stato fatto in occasione delle numerose pronunce dincostituzionalita' sopra ricordate. L'impossibilita' di agire, cui la legge attribuisce rilevanza quale causa che osta al decorso del termine di prescrizione, e' solo quella che deriva da impedimenti di ordine generale previsti dalla legge (Cass. 7 maggio 1996, n. 4235; 12 marzo 1994, n. 2429; 7 gennaio 1994, n. 94; Cs. St. VI, 23 giugno 1992, n. 495) e non anche da difficolta' materiali e di fatto (Cass. 3 febbraio 1988, n. 1047; 19 febbraio 1985, n. 1445). Cio' premesso, mentre il diritto a pensione e' imprescrittibile ai sensi dell'art. 5 del t.u. n. 1092/1973, i crediti concernenti i singoli ratei di pensione privilegiata ed i loro accessori sono soggetti a prescrizione estintiva quinquennale ex art. 2, regio decreto-legge n. 295/39, convertito nella legge n. 739/39 e sostituito dall'art. 2, quarto comma, della legge n. 428/1985, espressamente richiamato nell'art. 143 dello stesso t.u. In relazione alla natura giuridica delle pensioni privilegiate dei militari di carriera occorre ricordare che l'art. 1 della legge 15 luglio 1950, n. 539 stabilisce che i benefici «spettanti, secondo le vigenti disposizioni, ai mutilati ed agli invalidi di guerra, nonche' ai congiunti dei caduti in guerra, si applicano anche ai mutilati ed invalidi per servizio ed ai congiunti dei caduti per servizio». Altre norme di equiparazione giuridica dei benefici spettanti ad entrambi i trattamenti pensionistici sono indicate nelle leggi: n. 9/1980, n. 111/1984 e n. 13/1987. L'unica differenziazione riguarda il relativo trattamento economico spettante il cui calcolo e' previsto dal d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 che, all'art. 67, commisura il trattamento in relazione alla base pensionabile ed alla categoria di ascrivibilita' dell'infermita' o della lesione, mentre per le pensioni di guerra il quantum viene calcolato secondo le regole della legge n. 915/1978 e successive modificazioni. La giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 giugno 2002, n. 3223, Tribunale amministrativo regionale Campania Napoli, sez. V 3 maggio 2002, n. 2510) ha inteso univoca la locuzione «vigenti disposizioni»" adoperata dall'art. 1, legge n. 539 del 1950, in modo da non suscitare alcun dubbio sul fatto che tale rinvio si riferisca pure agli artt. 43 e 44 regio decreto 30 settembre 1922, n. 1290, come modificato dall'art. 2 r.d. legge n. 1284 del 1923, al fine di individuare i benefici spettanti agli invalidi di guerra da applicare «anche agli invalidi per servizio». Inoltre il Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, 18 ottobre 2001, n. 5487) ha ritenuto che agli invalidi per causa di servizio siano estesi i benefici riconosciuti agli invalidi di guerra, in applicazione sempre del succitato art. 1, legge n. 539/1950, agli effetti dell'attribuzione degli aumenti periodici del trattamento retributivo con cadenza temporale minore rispetto a quella prevista dalla disciplina ordinaria del pubblico impiego. Ancora questa Corte dei conti (cfr. sez. I, 2 novembre 1999, n. 292/A) interpretando la disposizione di cui all'art. 1 gia' citato ha affermato che il legislatore abbia voluto non solo estendere i benefici che fossero gia' previsti da leggi vigenti all'atto dell'entrata in vigore della citata legge n. 539 del 1950, ai mutilati ed invalidi per servizio, bensi' attuare «un'equiparazione»" fra le due categorie; conseguentemente risulta agevole affermarsi anche la possibilita' dell'applicazione del beneficio di cui all'art. 2, legge n. 336 del 1970 agli invalidi per servizio. Questo e' il quadro normativo e giurisprudenziale sulla base del quale va affermata, di fatto, la parificazione tra la categoria dei pensionati privilegiati per servizio e quelli di guerra. Il diritto soggettivo alla pensione privilegiata (derivante da fatto di guerra o di servizio) ha, senza dubbio, natura di «credito indennitario», la cui causa ha come presupposti oggettivi: 1) un fatto lecito, in quanto tale e' la guerra o l'attivita' (civile pubblica o militare) alla quale l'invalido abbia dovuto prestare il proprio obbligo ovvero ne abbia dovuto sopportare le conseguenze (cfr. Corte dei conti, sez. III, 14 luglio 1987, n. 112876 il caso di un ricorrente che all'eta' di dieci anni dovette assistere ai maltrattamenti inflitti alla madre e fu egli stesso, oggetto di gravi minacce da parte delle truppe marocchine di passaggio); 2) il riscontro da parte di un organo tecnico specifico (CML) di un'invalidita' o una lesione, ascrivibile a categoria (A o B) ex legge n. 648/1950, derivante per nesso di causalita' dalla prestazione necessitata di servizio ovvero da fatto di guerra. in particolar modo, le pensioni privilegiate dei militari di carriera, a differenza di quelle normali, presentano la peculiarita' di non postulare un precedente rapporto contributivo, ma di servizio e si sostanziano nell'attribuzione di un indennizzo (a vita o una tantum) che e' commisurato alla gravita' della menomazione dell'integrita' fisica subita a causa dell'incarico prestato. Infatti, la malattia valutata come causa di servizio inerisce ad una attivita' ordinariamente svolta a vantaggio della pubblica amministrazione e deve considerarsi come conseguenza, come gia' detto, di un'attivita' lecita. Per cui quest'ultima deve essere riconosciuta come caratteristica peculiare delle pensioni per i militari di carriera (siano essi percentulisti, decimisti «se piu' conveniente» ovvero tabellari) in quanto le somme erogate dallo Stato a tale titolo non hanno natura reddituale di quiescenza, ma indennitaria. La riprova di tale valenza e' individuabile anche nell'art. 144 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 che ha previsto il recupero della meta' dell'equo indennizzo, disposto a carico del dipendente, qualora abbia conseguito anche la pensione privilegiata. Tale riduzione esprime il principio volto ad impedire che a causa di un medesimo fatto genetico (l'infermita' contratta) l'interessato possa percepire piu' provvidenze. Ne consegue che pur avendo l'equo indennizzo e la pensione privilegiata finalita' differenti, essendo diretto a indennizzare il primo la perdita della integrita' fisica e la seconda la perdita della capacita' lavorativa, la relativa indennita' (menomazione dell'integrita' fisica e la perdita della capacita' lavorativa) abbia alla base un fatto lecito e cioe', come gia' riportato innanzi, l'adempimento di un dovere pubblico (in tempo di pace o di guerra) che debba essere giustamente ristorato a seguito del riconoscimento della causa di servizio da parte di un organo terzo rispetto all'amministrazione (Comitato di verifica per le pensioni privilegiate). Il fondamento della natura indennitaria della pensione privilegiata va sostenuto anche con riferimento al diritto all'indennita' riconosciuto dalla legge n. 210/1992, che ritiene applicabili le norme previste in materia di pensioni dei militari (cfr. Corte cost. n. 423/2000) che sorge per il sol fatto del danno irreversibile derivante da epatite post-trasfusionale, in una misura prefissata dalla legge che e' anch'essa ricollegabile ad un fatto lecito. Infatti anche la pensione privilegiata trova la sua ratio in un'invalidita' permanente, derivata, per l'appunto, a causa di un fatto lecito cioe' la prestazione del servizio pubblico o la guerra a favore dell'amministrazione. Cio' conferma l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale o mai consolidato che vuole da una parte il diritto l'indennizzo riferibile ad una pretesa derivante da fatto lecito e, dall'altra, il diritto risarcimento del danno come correlato all'evento di un danno ingiusto, requisito giuridicamente «definito» della responsabilita'. Il contributo di Aristotele nel definire la netta distinzione tra queste due forme di giustizia in termini concettuali, ci impedisce di confonderle; cosicche' si puo' spiegare come l'istituito del risarcimento resti separato da quello dell'indennizzo: l'indennita' pensionistica puo' essere vista come una deroga imposta dal principio di uguaglianza della giustizia «correttiva»; essa puo' essere ricondotta alla nozione di cio' che e' dovuto e segue ad un pregiudizio, reso lecito per legge, concretizzato allo scopo ritenuto «eticamente» prevalente. La giustificazione della pensione privilegiata indennitaria e' quindi sostanzialmente indipendente dall'ingiustizia che nel caso del diritto al risarcimento del danno, presuppone la privazione per il soggetto del suum. E' cosa inconferente che secondo la stessa giurisprudenza costituzionale si debba garantire il massimo della riparazione che l'amministrazione pubblica possa offrire al dipendente che, a causa del servizio, abbia subito una menomazione alla propria integrita' fisica o capacita' lavorativa. Ferma la possibilita' comunque dell'interessato di azionare l'ordinaria pretesa risarcitoria (ex art. 2043 c.c. in caso di danno illecito), il legislatore nell'esercizio della sua discrezionalita', ha previsto una misura economica di sostegno aggiuntiva (con finalita' di tutela sociale), in un caso di danno alla salute, il cui ottenimento dipende esclusivamente da ragioni obiettive facilmente determinabili, secondo parametri fissi, in modo da consentire agli interessati in tempi brevi una protezione certa nell'an e nel quantum non subordinata all'esito di un'azione di risarcimento del danno, esito condizionato all'accertamento dell'entita' e, soprattutto, alla non facile individuazione di un fatto illecito e del responsabile di questo. La disciplina apprestata dal T.U. 1092/1973 quindi opera su un piano diverso da quello in cui si colloca quella civilistica in tema di risarcimento del danno (ex art. 2043 cc.). compreso il cosiddetto danno biologico. Per quanto qui interessa, al fine di evidenziare la distanza che separa il diritto al risarcimento del danno, da quello alla pensione privilegiata indennizzatoria, basti rilevare che la responsabilita' civile presuppone un rapporto tra fatto illecito e danno risarcibile configurandolo, quanto alla sua entita', in relazione alle singole fattispecie concrete e valutabili caso per caso dal giudice, mentre il diritto «all'indennita» pensionistica sorge per il sol fatto del danno irreversibile derivante da servizio civile o militare ex legge n. 1092/1973, da guerra ex legge n. 915/1978, ma anche da epatite post-trafusionale ex legge n. 210/1992, in una misura prefissata dalla legge. Necessariamente nella categoria pensionistica privilegiata indennitaria non tabellare, si deve tener conto della gravita' della malattia o lesione contratta a causa del servizio prestato (tant'e' vero che da essa dipende dalla diversa categoria di ascrizione) nonche' dalla diversa retribuzione rapportata sia alla differente qualifica funzionale o grado (per i militari), sia alla relativa anzianita' di servizio del dipendente. Il periodo di servizio prestato rileva esclusivamente come fatto giuridico cui l'ordinamento riconduce determinati effetti prescindendo dalla sua durata. Detto servizio cioe' ha rilievo solo in ordine all'an della retribuibilita' della pensione privilegiata, ma non relativamente al quantum del servizio stesso, elemento quest'ultimo che non costituisce oggetto di valutazione ai fini del conferimento della pensione di privilegio, mentre esso e' in ogni evenienza applicato in materia di trattamenti di pensione normale ordinaria. E' da sottolineare la differente normativa che il legislatore ha posto alla base della diversa «natura» del diritto alla pensione normale (di quiescenza) rispetto a quella privilegiata. Che il trattamento normale di quiescenza non possa essere accomunato alla pensione privilegiata deriva soprattutto dal fatto che il primo e' ricompreso, in modo sistematico, nell'ambito del Titolo III del T.U. 1092/1973, mentre il secondo nel Titolo IV e conseguentemente sono diversi i principi che regolano e disciplinano i due istituti. Va inoltre ricordato, dal punto di vista fiscale, l'art. 6 del T.U. 917/1987 il quale prevede espressamente che «i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennita' conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento i danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidita' permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti» siano da assoggettare ad Irpef. In effetti la legge prevede l'esclusione dall'Irpef solo per quei «redditi» e quelle «indennita» percepite a seguito di invalidita' o morte conseguite in sostituzione di redditi, dovuti a titolo di risarcimento dei danni ristorati per fatto «illecito» (art. 2043 c.c.). La pensione privilegiata (non di quiescenza) che presuppone, viceversa, come gia' sostenuto, un'invalidita' permanente o la morte, determina l'erogazione di un'indennita' ristoratrice per fatto «lecito» e' quindi assoggettabile ad IRPEF, in quanto «reddito» (ma solo ai fini «fiscali») derivante da sostituzione di provento c.d. da «lavoro» (art. 46 ss. d.P.R. n. 917/1987). Essa pertanto assume la connotazione di un indennizzo vitalizio (o una tantum) che compensa la riduzione o la perdita della capacita' lavorativa subita dal militare (o del civile pubblico) a seguito della malattia o infortunio. Infine alla luce delle considerazioni riportate dalla Corte costituzionale nella sentenza del 26 novembre 2002 n. 476 la quale, limitatamente all'ipotesi ex art. 1 comma 3, legge 25 febbraio 1992, n. 210, ha dichiarato incostituzionale la norma nella parte in cui non preveda che «l'indennita' spetti "anche" agli operatori sanitari (la cui attivita' non e' obbligatoria, ma volontaria, al pari dei militari di carriera), che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti all'integrita' psicofisica conseguenti a infezione contratta ..... » si puo', mutatis mutandi, affermare che la pensione privilegiata (non di quiescenza) goduta da un militare gia' di carriera abbia natura indennitaria al pari di quella concessa ad un militare di leva. Nel nostro sistema giuridico il risarcimento per fatto lecito e' stato oggetto di pronuncia della Corte di Cassazione (cfr. Sez. I 8 ottobre 1992 n. 10979) in materia di occupazione invertita, che ha individuato in n. 10 anni i termini di prescrizione equiparabile a quelli contemplati dagli artt. 934 e ss. c.c., costitutivi, in capo al privato, di un diritto personale di credito soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, non a quella quinquennale in materia di risarcimento del danno da fatto illecito. Per cui e' evidente la disparita' di trattamento tra coloro che ottengono il ristoro indennizzatorio da fatto lecito (la cui prescrizione estintiva del diritto di credito spira con il raggiungimento del decimo anno) e coloro che fruiscono di pensione privilegiata (che ha anch'essa a fondamento una funzione di indennizzo derivante da fatto lecito) che vedrebbero prescritti i loro diritti di credito derivanti dagli emolumenti accessori (13ª mensilita' e I.I.S.), come nel caso in giudizio, in cinque anni in base all'art. 2, r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739, e sostituito dall'art. 2, quarto comma, della legge 7 agosto 1985, n. 428, espressamente richiamato nell'art. 143 dello stesso t.u. 1092/73. E' indubbio che rientrino tra gli emolumenti accessori del trattamento pensionistico privilegiato sia l'indennita' integrativa speciale (almeno per le pensioni liquidate prima del conglobamento disposto con la legge n. 724 del 1994), sia la 13ª mensilita'. Per quanto attiene all'I.I.S. ne' puo' dedursi la non accessorieta', sia pure ai fini della prescrizione, per il fatto che l'articolo unico del D.L.Lgt. 2 agosto 1917, n. 1278, richiamato dall'art. 2 del citato r.d.l. n. 295/1939, non la contempli tra gli assegni soggetti a prescrizione estintiva, per l'ovvia considerazione che l'indennita' in questione e' stata istituita venti anni dopo, con la legge n. 324 del 1959. Il legislatore richiamando il r.d.l. n. 295/1939 nell'ambito dell'art. 143 del t.u. 1092/1973 ha inteso sottoporre alla stessa disciplina tutti i trattamenti di pensione che trovano la loro genesi nello stesso testo unico, ma laddove si accomuni la pensione c.d. «normale» (con contenuto reddituale) con quella «privilegiata» (con contenuto indennizzatorio da fatto lecito), la norma determina, prevedendo un termine prescrizionale di cinque anni, una disparita' di trattamento rispetto agli altri identici diritti per risarcimento per fatto lecito che si prescrivono in dieci anni (cfr. Cass. Sez. I, 8 ottobre 1992 n. 10979 gia' citata). Per quanto sopra la presente controversia, ad avviso di questo giudice unico, non puo' essere definita indipendentemente dalla risoluzione della sollevata «d'ufficio» questione di legittimita' costituzionale dal momento che il ricorso, in relazione al provvedimento impugnato, se accolto, dovra' tener conto di un diverso dies a quo da cui partire per il calcolo della maturazione della prescrizione estintiva, a seconda che la disposizione normativa suindicata sia o meno dichiarata incostituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ritenuta, d'ufficio, la rilevanza della presente questione di legittimita' costituzionale, laddove non sussiste neppure una «ragionevole giustificazione» della diversita' di disciplina circa il termine prescrizionale previsto per i ratei arretrati spettanti a fronte del riconoscimento di indennizzo scaturente da fatto lecito (dieci anni), rispetto agli omologhi arretrati derivanti da pensioni privilegiate dei militari di carriera (cinque anni). Ordina, pertanto, la sospensione dell'ulteriore corso del giudizio iniziato con il ricorso indicato in epigrafe e deferisce alla Corte costituzionale la definizione, in parte qua dell'art. 2 del r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, sostituito dal terzo comma dell'art. 2 della legge 7 agosto 1985, n. 428, in riferimento agli artt. 3, 36 primo comma della Costituzione, laddove con il termine «rate di pensione e.... differenze arretrate..... dovuti dallo Stato che si prescrivono con il decorso di cinque anni decorrenti dal giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere» si accomunano «di fatto», relativamente alla maturazione della prescrizione estintiva, sia i ratei accessori arretrati delle pensioni con valenza «retributiva», sia quelli derivanti da pensioni privilegiate aventi connotati «indennizzatori». Questi ultimi, al contrario, avendo carattere «reintegrativo della lesione derivante da fatto lecito», dovrebbero seguire la regola generale di tutti i diritti personali di credito soggetti alla normale prescrizione decennale. Ordina, pertanto, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' disposto in Catanzaro, il 6 aprile 2005 Il giudice: Oliviero LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente l'Ordinanza n. 216/2005 nel giudizio pensionistico iscritto al n. 9739 del registro di Segreteria, sul ricorso della sig.ra Checco Antonia ved. Cozzupoli nata il 1° gennaio 1949 a Motta San Giovanni, Cozzupoli Maria nata il 25 agosto 1969 e Cozzupoli Francesca nata il 4 ottobre 1973 tutte doiniciliate in Reggio Calabria - Pellaro via Fiumarella n. 23 ed elettivamente domiciliate in Catanzaro lido - Via Formia n. 45 presso lo studio dell'avv. Lucrezia Ferrari; Contro l'INPDAP di Catanzaro: 1) per il riconoscimento sulla pensione privilegiata di riversibilita' alle sig.re Cozzupoli Maria e Francesca dell'indennita' integrativa speciale - per il periodo dal 1° settembre 1984 al 31 luglio 1986 - e quota della tredicesima mensilita' (inclusa I.I.S.) per il periodo dal 1° gennaio 1984 al 31 luglio 1986, il tutto oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi; 2) per il riconoscimento sulla pensione privilegiata di riversibilita' alla sig.ra Checco Antonia (a partire dall'11 novembre 1979) delle differenze di indennita' integrativa speciale ed i ratei della tredicesima mensilita' (inclusa I.I.S.) mai corrisposte - il tutto oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi; 3) per il riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata di riversibilita' con l'I.I.S. e la tredicesima mensilita' alla sig.ra Checco Antonia. Alla camera di consiglio del giorno 6 luglio 2005 e' rappresentata l'Amministrazione dell'INPDAP; Esaminati gli atti ed i documenti di causa, Premesso che con l'ordinanza n. 189/2005 e' stato indicato, per mero errore materiale, all'ultima riga n. 25 della pagina n. 18 il segno: «. (punto)» mentre e' in realta' da intendersi il segno«, (virgola)». Considerato di dover apportare, d'ufficio la dovuta correzione; Visto l'art. 279 del c.p.c. Ordina: 1. - L'ordinanza n. 189/2005, e' corretta mediante la cancellazione del segno «(punto)», contenuta nell'ultima riga (n. 25) della pagina n. 18, con il segno «, (virgola)». 2. - L'annotazione, a cura della competente Segreteria, degli estremi della presente ordinanza di correzione sull'originale del provvedimento n. 189/2005. Ordina, pertanto, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Catanzaro, il giorno 6 luglio 2005. Il giudice: Oliviero 05C1056