N. 522 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2005
Ordinanza emessa il 6 aprile 2005 (pervenuta alla Corte costituzionale l'11 ottobre 2005) dal tribunale di Modena nel procedimento penale a carico di Amri Fati Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Delitto di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro anni - Lesione del principio di ragionevolezza e di proporzionalita' della pena - Disparita' di trattamento rispetto a fattispecie analoghe o piu' gravi - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, prima parte, sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella legge 12 novembre 2004, n. 271. - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, comma terzo.(GU n.43 del 26-10-2005 )
IL TRIBUNALE In data 20 gennaio 2005 alle ore 15.20 il cittadino extracomunitario Amri Fati, sedicente, nato in Algeria il 10 ottobre 1976, veniva arrestato dai Carabinieri di Modena per violazione dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 25 luglio 1998 (come modificato dalla legge n. 271 del 12 novembre 2004, di conversione del decreto-legge n. 241 del 14 settembre 2004). Egli risultava inottemperante all'ordine, impartitogli dal Questore di Modena il 16 dicembre 2004, di allontanarsi entro cinque giorni dal territorio italiano ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, del medesimo d.lgs., provvedimento notificatogli in pari data. L'ordine era stato preceduto dal decreto di espulsione del Prefetto di Modena, ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. a), del citato d.lgs. per essersi lo straniero sottratto ai controlli di frontiera e non essendo egli stato respinto al momento dell'ingresso. All'udienza di convalida dell'arresto fissata per il giorno 21 gennaio 2005 Amri Fati risultava sedicente e precedentemente identificato con diciotto diversi alias. Nel corso dell'interrogatorio egli non forniva alcun giustificato motivo circa il suo mancato allontanamento dal territorio italiano. Dopo la convalida dell'arresto, instaurato il giudizio direttissimo, il difensore chiedeva un termine a difesa, che veniva concesso. Il 3 febbraio 2005 l'imputato personalmente faceva richiesta di procedersi nelle forme del giudizio abbreviato. Il difensore presentava apposita istanza chiedendo che venisse sollevata questione di costituzionalita' della norma violata per lesione degli artt. 3 e 27, comma 3, della Costituzione ed illustrava la propria richiesta mediante deposito di memoria. Il p.m. chiedeva invece che la stessa fosse rigettata per manifesta infondatezza. Il giudice, per la decisione in sede di rito alternativo in uno con l'eccezione proposta, differiva il procedimento al 6 aprile 2005. All'odierna udienza si provvede con la seguente ordinanza. Dubita il sottoscritto della legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286/1998 (cosi' come modificato dall'art. 1, comma 5-bis, della legge n. 271/2004) nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per il cittadino extracomunitario il quale si trattenga nel territorio italiano senza giustificato motivo in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, medesimo decreto legislativo, e cio' con riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, rispettivamente per irragionevolezza della pena prevista dalla norma perche' eccessiva nonche' per ingiustificata disparita' di trattamento rispetto a situazioni analoghe, e per sproporzione tra la pena edittale prevista da detta norma ed il disvalore dell'illecito, con conseguente svilimento della finalita' rieducativa del condannato. La questione appare innanzitutto rilevante nel presente giudizio in quanto ad Amri Fati sono stati notificati un decreto di espulsione ed un ordine di allontanamento motivati e completi di tutti i requisiti di legge (di talche' non ne sarebbe possibile la disapplicazione per illegittimita' degli stessi), provvedimenti amministrativi da lui perfettamente compresi (egli risulta vivere in Italia da molti anni ed ha una buona padronanza del nostro idioma). Infine in sede di interrogatorio nel corso del procedimento di convalida dell'arresto Amri Fati non ha fornito un giustificato motivo circa il suo mancato allontanamento dal territorio italiano. In caso di condanna pertanto il sottoscritto, giudice dovrebbe applicare proprio quella sanzione della cui legittimita' costituzionale si dubita. In altre parole il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione che qui si intende sollevare. La questione appare inoltre non manifestamente infondata. Quanto ai limiti posti al sindacato del giudice delle leggi va rilevato come, pur l'art. 28 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953 prevedendo che «il controllo di legittimita' della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento», la stessa Corte ha piu' volte riconosciuto come «il principio d'uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Costituzione, esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali ... le valutazioni all'uopo necessarie rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore, il cui esercizio puo' essere censurato, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza» (cosi' Corte costituzionale n. 409/1989). Ed ancora essa ha sostenuto: «perche' sia dunque possibile operare uno scrutinio che direttamente investa il merito delle scelte sanzionatorie operate dal legislatore e' pertanto necessario che l'opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire si appalesi in concreto come espressione di un uso distorto della discrezionalita' che raggiunga una soglia di evidenza tale da atteggiarsi alla stregua di una figura per cosi' dire sintomatica di eccesso di potere e, dunque, di sviamento rispetto alle attribuzioni che l'ordinamento assegna alla funzione legislativa. Non e' quindi qualsiasi mutamento del costume o della coscienza collettiva a poter indurre nuove gerarchie di valori idonee a compromettere, sul piano della ragionevolezza costituzionalmente rilevante, la ponderazione che dei beni coinvolti sia stata operata in sede normativa attraverso l'individuazione delle condotte penalmente rilevanti e la determinazione del trattamento sanzionatorio. L'apprezzamento in ordine alla manifesta irragionevolezza della quantita' o qualita' della pena comminata per una determinata fattispecie incriminatrice finisce, dunque, per saldarsi intimamente alla verifica circa l'effettivo uso del potere discrezionale, nel senso che ove uno o piu' fra i valori che la norma investe apparissero sviliti al punto da risultare in concreto compromessi ad esclusivo vantaggio degli altri, sara' la stessa discrezionalita' a non potersi dire correttamente esercitata, proprio perche' carente di alcuni dei termini sui quali la stessa poteva e doveva fondarsi» (cosi' Corte costituzionale n. 313/1995). In proposito si vedano anche le sentenze nn. 26/1979, 72/1980, 103/1982, 49/1989, 313/1990, 343/1993, 422/1993, 25/1994, 341/1994, 368/1995). Seguendo tale orientamento e' stata cosi' dichiarata l'illegittimita' costituzionale per contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione degli artt.: a) 8, comma 2, della legge n. 772/1972 (norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza) nella parte in cui prevedeva una pena edittale superiore per il militare che rifiutasse il servizio per motivi di coscienza rispetto alla pena di cui all'art. 151 c.p.m.p. prevista per chi rifiutasse il medesimo servizio senza addurre motivi od adducendone di futili (cosi' Corte costituzionale n. 409/1989 e, piu' o meno nello stesso senso, con riferimento a diversa fattispecie in tema di obiezione di coscienza, Corte costituzionale n. 343/1993); b) 341, comma 1, c.p. nella parte in cui prevedeva la reclusione minima di mesi sei ( per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale norma definitivamente abrogata nel 1999 (cosi' Corte costituzionale n. 343/1994). Non va infine dimenticato come tale principio sia stato recentemente fatto proprio anche dalla Comunita' europea che nella redazione della propria Carta costituzionale ha previsto all'art. II, 109, comma 3 «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». Analogamente la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che laddove la pena non sia congrua, perche' sproporzionata per eccesso, non possa neppure realizzarsi la finalita' rieducativa prevista dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione. «Il parametro costituzionale di cui all'art. 27, terzo comma... impone al giudice di valutare l'osservanza del principio di proporzione fra quantitas della pena e gravita' dell'offesa, e quindi il concreto valore rieducativo della pena in relazione alla sua pregnante finalita» (cosi' Corte costituzionale n. 313/1990, ma in proposito si vedano anche le sentenze nn. 50/1980, 343/1993, 422/1993). Una sanzione non corrispondente per eccesso al disvalore del fatto sarebbe infatti avvertita dal reo come immeritata e percio' non ne consentirebbe la rieducazione. Circa la valutazione in concreto in ordine all'irragionevolezza della norma di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche va esaminato in primo luogo l'iter legislativo che ne ha determinato l'ingresso nell'ordinamento. Nella sua formulazione originaria l'art. 14 del d.lgs. n. 286/1998 non prevedeva alcuna sanzione penale per lo straniero che non avesse ottemperato all'atto di intimazione del questore ad allontanarsi dal territorio italiano, unica conseguenza di detta omissione essendo l'immediato accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Con la modifica normativa del 2002 (legge n. 189) veniva invece introdotta l'ipotesi contravvenzionale originariamente punita con l'arresto da sei mesi ad un anno, prevedendosi sotto il profilo processuale l'arresto obbligatorio del contravventore. La sentenza della Corte costituzionale n. 223/2004 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286/1998 per contrasto con gli articoli 3 e 13 della Costituzione laddove esso prevedeva per l'autore dell'illecito penale dell'art. 14, comma 5-ter l'arresto obbligatorio. Il giudice delle leggi aveva in questo caso ravvisato la manifesta irragionevolezza di una norma che consentiva, anzi obbligava, ad una misura precautelare insuscettibile di sfociare in una successiva misura cautelare in base all'ordinamento processuale vigente. Va precisato che la sentenza n. 223/2003, a differenza delle conseguenze derivanti dalla n. 222/2003 in materia di procedura per l'espulsione, non aveva provocato alcun vuoto normativo tale da rendere necessario un intervento legislativo urgente posto che la contravvenzione conseguente alla violazione, senza giustificato motivo, dell'ordine del questore di lasciare l'Italia entro cinque giorni restava a pieno titolo nell'ordinamento, essendo stata dichiarata incostituzionale soltanto la norma processuale che prevedeva l'arresto obbligatorio nel caso di sua violazione. Infatti il n. 241/2004, facendo espresso riferimento alla straordinaria necessita' ed urgenza determinatasi a seguito della sentenza n. 222/2003, non modificava il trattamento sanzionatorio per l'art. 14, comma 5-ter ma riformulava il solo testo dell'art. 14, comma 5-quinquies limitando l'arresto obbligatorio all'ipotesi di cui al comma 5-quater, ovvero per il reingresso dello straniero espulso, fattispecie gia' in precedenza punibile con la reclusione da uno a quattro anni. Senonche' in sede di conversione del d.l. n. 241/2004 si e' ritenuto opportuno approvare una serie di emendamenti che hanno modificato, a livello sanzionatorio, buona parte degli illeciti penali commessi per le immigrazioni illegali. Poiche' tali modifiche non sono affatto conseguenti ai citati interventi della Corte costituzionale se ne deduce che gli innalzamenti sanzionatori sono dettati da una scelta di politica legislativa autonoma. Si e' colta cioe' l'occasione dell'intervento della Corte di legittimita' per metter mano all'inasprimento di una serie di illeciti penali. In particolare in sede di conversione del citato d.l. il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter diveniva delitto punibile con pena edittale da uno a quattro anni di reclusione (ad eccezione del caso di espulsione motivata in ragione della scadenza del permesso di soggiorno), cio' che consentiva di prevedere nuovamente l'arresto obbligatorio, posto che il limite massimo edittale permetteva ai sensi dell'art. 280 c.p.p. l'emissione di misure cautelari. Allo stesso modo la condotta del reingresso dello straniero effettivamente espulso (art. 13, comma 13, primo periodo, del d.lgs. n. 286/1998) da contravvenzione punita con l'arresto da sei mesi ad un anno diveniva delitto punito con pena edittale da uno a quattro anni di reclusione, di talche' anche in questo caso diveniva possibile introdurre normativamente l'arresto obbligatorio dell'autore del reato. A non altrettanto significativi aumenti di pena si addiveniva invece con riferimento ad altre ipotesi incriminatorie connesse con l'immigrazione illegale. Cosi' ad esempio in caso di secondo illecito reingresso di persona gia' denunciata per aver violato l'art. 13, comma 13, secondo periodo, del d.lgs. n. 286/1998 la pena veniva aumentata nel solo massimo fino a cinque anni di reclusione (ora da uno a cinque anni di reclusione, in precedenza da uno a quattro anni di reclusione). E analogo aumento era previsto per il reingresso dello straniero gia' espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter. Al contrario non veniva in alcun modo modificata (rimanendo la previsione da uno a quattro anni di reclusione) la pena per il caso di primo illecito reingresso a seguito di espulsione dell'autorita' giudiziaria, reato previsto all'art. 13, comma 13-bis. Ed allo stesso modo non venivano modificate le pene (sempre da sei mesi ad un anno di arresto) per chi risultava inottemperante all'ordine di espulsione conseguente alla mancata richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno entro sessanta giorni (art. 14, comma 5-ter, secondo periodo) e per l'ipotesi di reingresso dello straniero gia' effettivamente espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter, secondo periodo (sempre da uno a quattro anni di reclusione). L'analisi di queste fattispecie evidenzia con chiarezza come dopo la modifica contenuta nella legge n. 271/2004 sia ora prevista (con l'unica eccezione, rimasta di natura contravvenzionale, dell'inottemperanza all'ordine del questore di soggetto che non abbia rinnovato entro il termine di sessanta giorni il permesso di soggiorno scaduto) la possibilita' di emettere misure cautelari per tutti gli illeciti penali in materia di immigrazione illegale, cio' che ha consentito una previsione generalizzata dell'arresto obbligatorio. Tale mutamento sanzionatorio non si giustifica peraltro sotto il profilo della lotta alla immigrazione clandestina. Nei due anni intercorsi tra la legge n. 189/2002 e la legge n. 271/2004 il fenomeno non ha infatti subito variazioni tali da determinare la trasformazione in delitti dei due reati in precedenza previsti come contravvenzionali o una elevazione cosi' macroscopica delle pene per essi previste (un raddoppio di quella minima e addirittura una quadruplicazione di quella massima). Ne consegue in conclusione che con l'inasprimento sanzionatorio previsto per l'art. 14, comma 5-ter, primo periodo del d.lgs. n. 286/1998 (oltre che per quello di cui all'art. 13, comma 13, primo periodo) si e' determinata da parte del legislatore una sorta di «eterogenesi» dei fini, quello perseguito essendo il governo delle espulsioni mediante lo strumento dell'arresto obbligatorio, quello realizzato un inasprimento delle pene non determinato da esigenze di politica criminale. Tale interpretazione trova conferma nella considerazione che la stessa pena (da uno a quattro anni di reclusione) e' ora prevista sia per la violazione dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286/1998, sia per l'ipotesi di reingresso in territorio nazionale dopo una espulsione disposta dal giudice (art. 13, comma 13-bis, primo periodo), fattispecie quest'ultima certamente ben piu' grave in quanto presuppone la commissione di un reato o quantomeno la pendenza di un procedimento penale (tale differenza di trattamento verra' ripresa infra avuto riguardo al confronto con analoghe fattispecie incriminatici). Pare al sottoscritto giudicante che la realizzazione di un'esigenza meramente processuale (o paraprocessuale) attraverso gli strumenti del diritto penale sostanziale sia arbitraria in quanto non sorretta da criteri logici e razionali (quale potrebbe essere un recente maggior allarme sociale determinato dall'improvviso incremento sul territorio dello Stato degli stranieri clandestini) e non integri pertanto gia' di per se' il criterio della ragionevolezza, ponendosi cosi' in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Costituzione. Appaiono quindi perfettamente confacenti al caso di specie le espressioni utilizzate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 313/1995 sopra citata, e che appare opportuno ora nuovamente richiamare: «perche' sia dunque possibile operare uno scrutinio che direttamente investa il merita delle scelte sanzionatorie operate dal legislatore e' pertanto necessario che l'opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire si appalesi in concreto come espressione di un uso distorto della discrezionalita' che raggiunga una soglia di evidenza tale da atteggiarsi alla stregua di una figura per cosi' dire sintomatica di eccesso di potere e, dunque, di sviamento rispetto alle attribuzioni che l'ordinamento assegna alla funzione legislativa. Non e' quindi qualsiasi mutamento del costume o della coscienza collettiva a poter indurre nuove gerarchie di valori idonee a compromettere, sul piano della ragionevolezza costituzionalmente rilevante, la ponderazione che dei beni coinvolti sia stata operata in sede normativa attraverso l'individuazione delle condotte penalmente rilevanti e la determinazione del trattamento sanzionatorio. L'apprezzamento in ordine alla manifesta irragionevolezza della quantita' o qualita' della pena comminata per una determinata fattispecie incriminatrice finisce, dunque, per saldarsi intimamente alla verifica circa l'effettivo uso del potere discrezionale, nel senso che ove uno o piu' fra i valori che la norma investe apparissero sviliti al punto da risultare in concreto compromessi ad esclusivo vantaggio degli altri, sara' la stessa discrezionalita' a non potersi dire correttamente esercitata, proprio perche' carente di alcuni dei termini sui quali la stessa poteva e doveva fondarsi». La sanzione oggi prevista per la norma in oggetto non pare peraltro in ragionevole rapporto con la condotta tenuta. In particolare il minimo edittale di un anno di reclusione risulta sproporzionato per eccesso, e cio' con particolare riferimento ai casi in cui il soggetto attivo del reato non appaia in concreto socialmente pericoloso (ad esempio perche' incensurato o privo di pendenze giudiziarie a carico). In proposito non va dimenticato che la violazione sanzionata e' un mero reato di pericolo, la cui incriminazione ha il solo scopo di «rendere effettivo il provvedimento di espulsione, rimuovendo situazioni di illiceita' o di pericolo correlate alla presenza dello straniero nel territorio dello Stato» (cosi' Corte costituzionale, ordinanza n. 302/2004). Oltre alla sopra riferita irragionevolezza «finalistica» della norma l'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, risulta altresi' in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma della Costituzione avuto riguardo al raffronto con altre norme incriminatici poste a tutela dei medesimi interessi connessi all'ordine e alla sicurezza pubblica. In primo luogo si appalesa il contrasto, gia' sopra esaminato, tra l'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, e l'art. 13, comma 13-bis, primo periodo. Nel primo caso si punisce ora infatti con la pena da uno a quattro anni di reclusione il soggetto che risulti inottemperante all'ordine di espulsione del questore a seguito di decreto prefettizio di espulsione, nel secondo si punisce analogamente con la reclusione da uno a quattro anni il trasgressore al divieto di reingresso nello Stato italiano conseguente ad una espulsione disposta dal giudice. Le due condotte appaiono prima facie assai differenti, la seconda essendo ben piu' grave della prima in quanto da un lato consistente in un comportamento attivo (il reingresso in Italia dopo una effettiva espulsione), dall'altro perche' commessa da soggetto gia' condannato o quanto meno, ai sensi degli artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 286/1998, dichiarato concretamente pericoloso per la collettivita'. Gia' si e' detto della ragione per la quale il legislatore ha innalzato da uno a quattro anni di reclusione la pena per la violazione dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, motivazione come riferito estranea ad esigenze di politica sanzionatoria. Resta il fatto che appare irragionevole punire nel medesimo modo condotte cosi' differenti tra loro in punto gravita'. Consapevolezza questa che aveva avuto il legislatore del 2002 allorquando aveva previsto per l'art. 14, comma 5-ter, l'arresto da sei mesi ad un anno e per l'art. 13, comma 13-bis, la reclusione da uno a quattro anni. Il trattamento sanzionatorio ora previsto per la fattispecie in esame appare quindi sproporzionato per eccesso e percio' in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Costituzione e con la finalita' rieducativa di cui all'art. 27, terzo comma della Costituzione, se raffrontata detta norma con quella di cui all'art. 13, comma 13-bis, primo periodo del d.lgs. n. 286/1998. Analogamente si ravvisa una disparita' tra il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 14, comma 5-ter, primo periodo e quello previsto dall'art. 13, comma 13-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 286/1998. Se e' vero che quest'ultima fattispecie incriminatrice e' stata modificata dalla legge n. 271/2004 (la quale ha previsto un innalzamento della pena edittale massima da quattro a cinque anni) non vi e' chi non veda come una cosi' minima differenza sanzionatoria tra le due norme non trovi giustificazione nella gravita' delle condotte, ben differenti nelle diverse ipotesi. Mentre nel primo caso il cittadino extracomunitario risulta inottemperante all'ordine di allontanamento conseguente al decreto di espulsione, nel secondo caso esso risulta effettivamente espulso e rientrato una prima volta (e denunciato per tale fatto), quindi effettivamente espulso e rientrato una seconda volta. La rilevante diversita' tra le due ipotesi, anche in questo caso, non era sfuggita al legislatore del 2002 che aveva previsto un trattamento sanzionatorio ben differenziato per le stesse (da sei mesi ad un anno di arresto nel primo caso, da uno a quattro anni di reclusione nel secondo). Il trattamento sanzionatorio ora previsto per la fattispecie in esame appare quindi sproporzionato per eccesso e percio' in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Costituzione e con la finalita' rieducativa di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, anche se raffrontata detta norma con quella di cui all'art. 13, comma 13-bis, secondo periodo del d.lgs. n. 286/1998. L'entita' della pena prevista all'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286/1998 risulta irragionevolmente sproporzionata per eccesso non solo con riferimento alle scelte complessivamente operate dal legislatore in sede di conversione del d.l. n. 241/2004, ma anche se raffrontata con quella prevista per altre fattispecie incriminatrici, analoghe sotto il profilo oggettivo e del bene giuridico tutelato. In primo luogo il parallelo va fatto con l'art. 650 c.p. che punisce con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 206 euro l'inosservanza di un provvedimento legalmente dato dall'autorita' per ragioni di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico. La fattispecie di cui all'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, appare rispetto ad essa una ipotesi speciale, e cio' in considerazione degli elementi peculiari che caratterizzano la disposizione di cui al citato decreto legislativo, ravvisabili nella individuazione dell'organo investito del potere di emettere la sanzione, nella tipologia dei soggetti destinatari di tale ordine e nella specificazione delle ragioni che possono dar luogo all'espulsione. Pur tuttavia detti elementi (in particolare la condizione di cittadino extracomunitario illegalmente presente sul territorio italiano) non paiono giustificare una cosi' rilevante differenza di trattamento (oscillante tra i tre anni e nove mesi e i quattro anni di detenzione), a fronte di una condotta illecita sostanzialmente omogenea. In secondo luogo deve essere presa in considerazione la fattispecie di cui all'art. 2 della legge n. 1423/1956, che punisce con l'arresto da uno a sei mesi le persone pericolose per la sicurezza pubblica che risultino inottemperanti all'ordine del questore di fare rientro nel proprio comune di residenza. Anche qui non pare giustificata una si' rilevante differenza di trattamento sanzionatorio laddove quella del sottoposto a foglio di via obbligatorio e' una pericolosita' valutata in concreto mentre quella dell'extracomunitario illecitamente in Italia e' pericolosita' meramente potenziale. In senso contrario non pare rilevante il riferimento all'art. 9 della legge n. 1423/1956 posto che tale norma ha riguardo alla condotta di chi, sorvegliato speciale, viola l'obbligo o il divieto di soggiorno impostogli dal tribunale, con cio' tenendo una condotta attiva e non meramente omissiva. Non sarebbe possibile sostenere, per escludere l'irragionevolezza della scelta legislativa, che le norme poste a raffronto facciano parte di sistemi distinti ed autonomi, percio' non comparabili, posto che «il canone della ragionevolezza deve trovare applicazione non solo all'interno di singoli comparti normativi, ma anche con riguardo all'intero sistema» (cosi' Corte costituzionale, sentenza n. 84/1997). Ne' si potrebbe parimenti sostenere che queste due fattispecie divergano radicalmente da quella di cui all'art. 14, comma 5-ter, primo periodo del d.lgs. n. 286/1998 in ragione dell'esistenza per quest'ultimo caso di un meccanismo che consente l'espulsione quale sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione (art. 16 medesimo d.lgs.), di talche' lo Stato potrebbe raggiungere lo scopo dell'allontanamento senza comminare effettivamente alcuna sanzione nei confronti del condannato. Da un lato infatti detta espulsione non costituisce un diritto dell'imputato (posto che la norma prevede che il giudice possa ma non debba sostituire la pena con la misura dell'espulsione), dall'altro essa non risulta possibile nei confronti del soggetto nei cui confronti sia consentita la sospensione condizionale della esecuzione della pena, dall'altro ancora essa non risulta ammessa per condanne superiori a due anni, cosicche' proprio la riforma legislativa oggi in contestazione potrebbe astrattamente impedire che il cittadino extracomunitario ne possa godere. Anche in relazione alle due fattispecie penali degli artt. 650 c.p. e 2 della legge n. 1423/1956 e pertanto possibile ravvisare una sproporzione per eccesso della norma oggi in esame, con conseguente violazione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Costituzione e della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286/1998, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, della legge 12 novembre 2004 n. 271 (di conversione del d.l. 14 settembre 2004 n. 241) nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore. Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone altresi' che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Della presente ordinanza viene data lettura alle parti presenti. Manda alla cancelleria per gli adempimenti indicati. Modena, addi' 6 aprile 2005 Il giudice: Dall'Olio 05C1072