N. 522 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2005

Ordinanza   emessa   il   6   aprile   2005   (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  l'11  ottobre  2005)  dal  tribunale  di  Modena  nel
procedimento penale a carico di Amri Fati

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro
  anni   -   Lesione   del   principio   di   ragionevolezza   e   di
  proporzionalita'  della pena - Disparita' di trattamento rispetto a
  fattispecie  analoghe  o  piu'  gravi - Lesione del principio della
  finalita' rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  prima parte, sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge
  14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella legge
  12 novembre 2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, comma terzo.
(GU n.43 del 26-10-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    In   data   20   gennaio   2005   alle  ore  15.20  il  cittadino
extracomunitario  Amri Fati, sedicente, nato in Algeria il 10 ottobre
1976,  veniva  arrestato  dai  Carabinieri  di  Modena per violazione
dell'art. 14,  comma  5-ter,  primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 25
luglio 1998 (come modificato dalla legge n. 271 del 12 novembre 2004,
di  conversione del decreto-legge n. 241 del 14 settembre 2004). Egli
risultava  inottemperante  all'ordine,  impartitogli  dal Questore di
Modena  il  16 dicembre 2004, di allontanarsi entro cinque giorni dal
territorio  italiano ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, del medesimo
d.lgs.,  provvedimento notificatogli in pari data. L'ordine era stato
preceduto  dal decreto di espulsione del Prefetto di Modena, ai sensi
dell'art. 13,  comma  2,  lett. a),  del citato d.lgs. per essersi lo
straniero  sottratto  ai  controlli  di  frontiera e non essendo egli
stato respinto al momento dell'ingresso.
    All'udienza  di  convalida  dell'arresto fissata per il giorno 21
gennaio   2005   Amri  Fati  risultava  sedicente  e  precedentemente
identificato     con    diciotto    diversi    alias.    Nel    corso
dell'interrogatorio  egli non forniva alcun giustificato motivo circa
il  suo  mancato  allontanamento  dal  territorio  italiano.  Dopo la
convalida  dell'arresto,  instaurato  il  giudizio  direttissimo,  il
difensore chiedeva un termine a difesa, che veniva concesso.
    Il  3  febbraio 2005 l'imputato personalmente faceva richiesta di
procedersi   nelle   forme  del  giudizio  abbreviato.  Il  difensore
presentava apposita istanza chiedendo che venisse sollevata questione
di  costituzionalita' della norma violata per lesione degli artt. 3 e
27,  comma  3,  della Costituzione ed illustrava la propria richiesta
mediante  deposito  di memoria. Il p.m. chiedeva invece che la stessa
fosse  rigettata  per  manifesta  infondatezza.  Il  giudice,  per la
decisione  in  sede  di  rito  alternativo  in  uno  con  l'eccezione
proposta, differiva il procedimento al 6 aprile 2005.
    All'odierna udienza si provvede con la seguente ordinanza.
    Dubita   il   sottoscritto   della   legittimita'  costituzionale
dell'art. 14,  comma  5-ter,  primo  periodo,  del d.lgs. n. 286/1998
(cosi'   come   modificato  dall'art. 1,  comma  5-bis,  della  legge
n. 271/2004)  nella  parte in cui prevede la pena della reclusione da
uno  a  quattro  anni  per  il cittadino extracomunitario il quale si
trattenga  nel  territorio  italiano  senza  giustificato  motivo  in
violazione  dell'ordine impartito dal questore ai sensi dell'art. 14,
comma  5-bis,  medesimo  decreto  legislativo, e cio' con riferimento
agli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, rispettivamente
per   irragionevolezza   della  pena  prevista  dalla  norma  perche'
eccessiva   nonche'  per  ingiustificata  disparita'  di  trattamento
rispetto  a  situazioni  analoghe,  e  per  sproporzione  tra la pena
edittale  prevista  da detta norma ed il disvalore dell'illecito, con
conseguente svilimento della finalita' rieducativa del condannato.
    La  questione appare innanzitutto rilevante nel presente giudizio
in quanto ad Amri Fati sono stati notificati un decreto di espulsione
ed  un  ordine  di  allontanamento  motivati  e  completi  di tutti i
requisiti   di   legge  (di  talche'  non  ne  sarebbe  possibile  la
disapplicazione   per  illegittimita'  degli  stessi),  provvedimenti
amministrativi  da lui perfettamente compresi (egli risulta vivere in
Italia  da  molti anni ed ha una buona padronanza del nostro idioma).
Infine  in  sede  di  interrogatorio  nel  corso  del procedimento di
convalida  dell'arresto  Amri  Fati  non  ha  fornito un giustificato
motivo  circa  il suo mancato allontanamento dal territorio italiano.
In  caso  di  condanna  pertanto  il  sottoscritto,  giudice dovrebbe
applicare    proprio   quella   sanzione   della   cui   legittimita'
costituzionale  si  dubita.  In altre parole il presente giudizio non
puo'   essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della
questione che qui si intende sollevare.
    La questione appare inoltre non manifestamente infondata.
      Quanto  ai limiti posti al sindacato del giudice delle leggi va
rilevato  come,  pur  l'art. 28  della legge n. 87 dell'11 marzo 1953
prevedendo   che   «il   controllo   di   legittimita'   della  Corte
costituzionale  su  una legge o un atto avente forza di legge esclude
ogni  valutazione  di  natura  politica e ogni sindacato sull'uso del
potere  discrezionale  del Parlamento», la stessa Corte ha piu' volte
riconosciuto  come  «il  principio  d'uguaglianza, di cui all'art. 3,
primo  comma,  Costituzione,  esige  che la pena sia proporzionata al
disvalore  del  fatto  illecito  commesso,  in  modo  che  il sistema
sanzionatorio  adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale
ed  a quella di tutela delle posizioni individuali ... le valutazioni
all'uopo  necessarie  rientrano  nell'ambito del potere discrezionale
del  legislatore,  il  cui  esercizio puo' essere censurato, sotto il
profilo  della  legittimita' costituzionale, soltanto nei casi in cui
non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza» (cosi' Corte
costituzionale  n. 409/1989).  Ed  ancora essa ha sostenuto: «perche'
sia  dunque  possibile operare uno scrutinio che direttamente investa
il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  operate  dal legislatore e'
pertanto   necessario  che  l'opzione  normativa  contrasti  in  modo
manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire si appalesi
in   concreto   come   espressione   di   un   uso   distorto   della
discrezionalita'  che  raggiunga  una  soglia  di  evidenza  tale  da
atteggiarsi  alla stregua di una figura per cosi' dire sintomatica di
eccesso  di potere e, dunque, di sviamento rispetto alle attribuzioni
che  l'ordinamento  assegna  alla funzione legislativa. Non e' quindi
qualsiasi  mutamento del costume o della coscienza collettiva a poter
indurre  nuove  gerarchie di valori idonee a compromettere, sul piano
della  ragionevolezza  costituzionalmente  rilevante, la ponderazione
che dei beni coinvolti sia stata operata in sede normativa attraverso
l'individuazione   delle   condotte   penalmente   rilevanti   e   la
determinazione  del  trattamento  sanzionatorio.  L'apprezzamento  in
ordine  alla  manifesta  irragionevolezza  della quantita' o qualita'
della  pena  comminata per una determinata fattispecie incriminatrice
finisce,   dunque,  per  saldarsi  intimamente  alla  verifica  circa
l'effettivo  uso  del  potere  discrezionale, nel senso che ove uno o
piu'  fra  i valori che la norma investe apparissero sviliti al punto
da  risultare  in  concreto  compromessi ad esclusivo vantaggio degli
altri,   sara'   la   stessa  discrezionalita'  a  non  potersi  dire
correttamente  esercitata,  proprio  perche'  carente  di  alcuni dei
termini  sui  quali  la stessa poteva e doveva fondarsi» (cosi' Corte
costituzionale n. 313/1995). In proposito si vedano anche le sentenze
nn. 26/1979,   72/1980,   103/1982,   49/1989,   313/1990,  343/1993,
422/1993, 25/1994, 341/1994, 368/1995).
    Seguendo    tale   orientamento   e'   stata   cosi'   dichiarata
l'illegittimita'  costituzionale  per  contrasto  con il principio di
uguaglianza  sancito  dall'art. 3,  primo  comma,  della Costituzione
degli artt.:
        a) 8,   comma  2,  della  legge  n. 772/1972  (norme  per  il
riconoscimento  dell'obiezione  di  coscienza)  nella  parte  in  cui
prevedeva  una pena edittale superiore per il militare che rifiutasse
il  servizio  per  motivi  di  coscienza  rispetto  alla  pena di cui
all'art. 151   c.p.m.p.  prevista  per  chi  rifiutasse  il  medesimo
servizio  senza  addurre motivi od adducendone di futili (cosi' Corte
costituzionale  n. 409/1989  e,  piu'  o meno nello stesso senso, con
riferimento  a diversa fattispecie in tema di obiezione di coscienza,
Corte costituzionale n. 343/1993);
        b) 341,  comma  1,  c.p.  nella  parte  in  cui  prevedeva la
reclusione  minima di mesi sei ( per il reato di oltraggio a pubblico
ufficiale  norma  definitivamente  abrogata  nel  1999  (cosi'  Corte
costituzionale n. 343/1994).
    Non   va   infine  dimenticato  come  tale  principio  sia  stato
recentemente  fatto  proprio  anche dalla Comunita' europea che nella
redazione della propria Carta costituzionale ha previsto all'art. II,
109,  comma  3  «le  pene  inflitte  non devono essere sproporzionate
rispetto al reato».
    Analogamente  la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che
laddove  la pena non sia congrua, perche' sproporzionata per eccesso,
non  possa  neppure  realizzarsi  la  finalita'  rieducativa prevista
dall'art. 27,   terzo   comma,   della  Costituzione.  «Il  parametro
costituzionale  di  cui all'art. 27, terzo comma... impone al giudice
di  valutare  l'osservanza del principio di proporzione fra quantitas
della  pena  e  gravita'  dell'offesa,  e  quindi  il concreto valore
rieducativo  della  pena  in  relazione  alla sua pregnante finalita»
(cosi'  Corte  costituzionale  n. 313/1990, ma in proposito si vedano
anche  le sentenze nn. 50/1980, 343/1993, 422/1993). Una sanzione non
corrispondente  per  eccesso  al  disvalore del fatto sarebbe infatti
avvertita  dal  reo come immeritata e percio' non ne consentirebbe la
rieducazione.
    Circa  la  valutazione in concreto in ordine all'irragionevolezza
della norma di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998 e
successive  modifiche  va esaminato in primo luogo l'iter legislativo
che ne ha determinato l'ingresso nell'ordinamento.
    Nella   sua   formulazione   originaria   l'art. 14   del  d.lgs.
n. 286/1998 non prevedeva alcuna sanzione penale per lo straniero che
non  avesse  ottemperato  all'atto  di  intimazione  del  questore ad
allontanarsi  dal  territorio  italiano,  unica  conseguenza di detta
omissione  essendo l'immediato accompagnamento alla frontiera a mezzo
della  forza  pubblica.  Con  la  modifica  normativa del 2002 (legge
n. 189)   veniva   invece   introdotta   l'ipotesi  contravvenzionale
originariamente  punita  con  l'arresto  da  sei  mesi  ad  un  anno,
prevedendosi  sotto il profilo processuale l'arresto obbligatorio del
contravventore. La sentenza della Corte costituzionale n. 223/2004 ha
dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale   dell'art. 14,  comma
5-quinquies,  del d.lgs. n. 286/1998 per contrasto con gli articoli 3
e   13   della  Costituzione  laddove  esso  prevedeva  per  l'autore
dell'illecito    penale    dell'art. 14,    comma   5-ter   l'arresto
obbligatorio.  Il  giudice delle leggi aveva in questo caso ravvisato
la  manifesta  irragionevolezza  di  una  norma  che consentiva, anzi
obbligava,  ad  una misura precautelare insuscettibile di sfociare in
una  successiva  misura cautelare in base all'ordinamento processuale
vigente. Va precisato che la sentenza n. 223/2003, a differenza delle
conseguenze  derivanti  dalla n. 222/2003 in materia di procedura per
l'espulsione,  non  aveva  provocato  alcun  vuoto  normativo tale da
rendere  necessario  un  intervento  legislativo urgente posto che la
contravvenzione   conseguente  alla  violazione,  senza  giustificato
motivo,  dell'ordine  del  questore di lasciare l'Italia entro cinque
giorni   restava  a  pieno  titolo  nell'ordinamento,  essendo  stata
dichiarata   incostituzionale   soltanto  la  norma  processuale  che
prevedeva  l'arresto obbligatorio nel caso di sua violazione. Infatti
il  n. 241/2004,  facendo  espresso  riferimento  alla  straordinaria
necessita'   ed   urgenza  determinatasi  a  seguito  della  sentenza
n. 222/2003,   non   modificava   il  trattamento  sanzionatorio  per
l'art. 14,  comma  5-ter  ma  riformulava il solo testo dell'art. 14,
comma 5-quinquies limitando l'arresto obbligatorio all'ipotesi di cui
al  comma 5-quater, ovvero per il reingresso dello straniero espulso,
fattispecie  gia'  in  precedenza punibile con la reclusione da uno a
quattro anni.
    Senonche'  in  sede  di  conversione  del  d.l. n. 241/2004 si e'
ritenuto  opportuno  approvare  una  serie  di  emendamenti che hanno
modificato,  a  livello  sanzionatorio,  buona  parte  degli illeciti
penali  commessi per le immigrazioni illegali. Poiche' tali modifiche
non  sono  affatto  conseguenti  ai  citati  interventi  della  Corte
costituzionale  se  ne  deduce che gli innalzamenti sanzionatori sono
dettati  da  una scelta di politica legislativa autonoma. Si e' colta
cioe'  l'occasione  dell'intervento  della  Corte di legittimita' per
metter mano all'inasprimento di una serie di illeciti penali.
    In particolare in sede di conversione del citato d.l. il reato di
cui  all'art. 14,  comma  5-ter  diveniva  delitto  punibile con pena
edittale  da  uno a quattro anni di reclusione (ad eccezione del caso
di  espulsione  motivata  in  ragione  della scadenza del permesso di
soggiorno),  cio'  che  consentiva  di prevedere nuovamente l'arresto
obbligatorio,  posto  che  il  limite  massimo edittale permetteva ai
sensi dell'art. 280 c.p.p. l'emissione di misure cautelari.
    Allo  stesso  modo  la  condotta  del  reingresso dello straniero
effettivamente  espulso (art. 13, comma 13, primo periodo, del d.lgs.
n. 286/1998)  da  contravvenzione punita con l'arresto da sei mesi ad
un  anno  diveniva  delitto punito con pena edittale da uno a quattro
anni  di  reclusione,  di  talche'  anche  in  questo  caso  diveniva
possibile    introdurre    normativamente    l'arresto   obbligatorio
dell'autore del reato.
    A  non  altrettanto  significativi  aumenti di pena si addiveniva
invece  con  riferimento ad altre ipotesi incriminatorie connesse con
l'immigrazione illegale. Cosi' ad esempio in caso di secondo illecito
reingresso  di  persona  gia'  denunciata per aver violato l'art. 13,
comma  13,  secondo  periodo,  del  d.lgs. n. 286/1998 la pena veniva
aumentata  nel  solo massimo fino a cinque anni di reclusione (ora da
uno  a cinque anni di reclusione, in precedenza da uno a quattro anni
di  reclusione).  E  analogo  aumento  era previsto per il reingresso
dello straniero gia' espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter.
    Al  contrario  non  veniva in alcun modo modificata (rimanendo la
previsione  da  uno a quattro anni di reclusione) la pena per il caso
di  primo  illecito reingresso a seguito di espulsione dell'autorita'
giudiziaria, reato previsto all'art. 13, comma 13-bis. Ed allo stesso
modo  non  venivano modificate le pene (sempre da sei mesi ad un anno
di arresto) per chi risultava inottemperante all'ordine di espulsione
conseguente  alla  mancata  richiesta  di  rinnovo  del  permesso  di
soggiorno  entro  sessanta  giorni  (art. 14,  comma  5-ter,  secondo
periodo)   e   per  l'ipotesi  di  reingresso  dello  straniero  gia'
effettivamente  espulso  ai  sensi dell'art. 14, comma 5-ter, secondo
periodo (sempre da uno a quattro anni di reclusione).
    L'analisi di queste fattispecie evidenzia con chiarezza come dopo
la  modifica  contenuta nella legge n. 271/2004 sia ora prevista (con
l'unica    eccezione,    rimasta    di    natura   contravvenzionale,
dell'inottemperanza all'ordine del questore di soggetto che non abbia
rinnovato  entro  il  termine  di  sessanta  giorni  il  permesso  di
soggiorno  scaduto)  la possibilita' di emettere misure cautelari per
tutti  gli  illeciti penali in materia di immigrazione illegale, cio'
che   ha   consentito   una   previsione  generalizzata  dell'arresto
obbligatorio.
    Tale  mutamento sanzionatorio non si giustifica peraltro sotto il
profilo  della  lotta  alla  immigrazione  clandestina.  Nei due anni
intercorsi  tra  la  legge  n. 189/2002  e  la  legge  n. 271/2004 il
fenomeno  non  ha  infatti  subito  variazioni tali da determinare la
trasformazione  in  delitti dei due reati in precedenza previsti come
contravvenzionali  o una elevazione cosi' macroscopica delle pene per
essi  previste  (un  raddoppio  di  quella  minima  e addirittura una
quadruplicazione di quella massima).
    Ne  consegue  in conclusione che con l'inasprimento sanzionatorio
previsto  per  l'art. 14,  comma  5-ter,  primo  periodo  del  d.lgs.
n. 286/1998 (oltre che per quello di cui all'art. 13, comma 13, primo
periodo)  si  e'  determinata  da  parte del legislatore una sorta di
«eterogenesi»  dei  fini,  quello perseguito essendo il governo delle
espulsioni  mediante  lo  strumento dell'arresto obbligatorio, quello
realizzato  un inasprimento delle pene non determinato da esigenze di
politica criminale.
    Tale  interpretazione  trova conferma nella considerazione che la
stessa pena (da uno a quattro anni di reclusione) e' ora prevista sia
per  la  violazione  dell'art. 14,  comma  5-ter,  primo periodo, del
d.lgs.  n. 286/1998,  sia  per  l'ipotesi di reingresso in territorio
nazionale  dopo  una  espulsione disposta dal giudice (art. 13, comma
13-bis,  primo periodo), fattispecie quest'ultima certamente ben piu'
grave in quanto presuppone la commissione di un reato o quantomeno la
pendenza  di  un  procedimento penale (tale differenza di trattamento
verra'  ripresa  infra  avuto  riguardo  al  confronto  con  analoghe
fattispecie incriminatici).
    Pare   al   sottoscritto   giudicante  che  la  realizzazione  di
un'esigenza  meramente processuale (o paraprocessuale) attraverso gli
strumenti del diritto penale sostanziale sia arbitraria in quanto non
sorretta  da  criteri  logici  e  razionali (quale potrebbe essere un
recente   maggior   allarme   sociale   determinato   dall'improvviso
incremento  sul territorio dello Stato degli stranieri clandestini) e
non   integri   pertanto   gia'   di   per   se'  il  criterio  della
ragionevolezza,   ponendosi   cosi'   in  contrasto  con  i  principi
costituzionali  di  cui agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma,
Costituzione.
    Appaiono  quindi  perfettamente  confacenti  al caso di specie le
espressioni  utilizzate  dalla  Corte  costituzionale  nella sentenza
n. 313/1995  sopra  citata,  e  che  appare  opportuno ora nuovamente
richiamare:  «perche'  sia dunque possibile operare uno scrutinio che
direttamente investa il merita delle scelte sanzionatorie operate dal
legislatore  e' pertanto necessario che l'opzione normativa contrasti
in  modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire si
appalesi  in  concreto  come  espressione  di  un  uso distorto della
discrezionalita'  che  raggiunga  una  soglia  di  evidenza  tale  da
atteggiarsi  alla stregua di una figura per cosi' dire sintomatica di
eccesso  di potere e, dunque, di sviamento rispetto alle attribuzioni
che  l'ordinamento  assegna  alla funzione legislativa. Non e' quindi
qualsiasi  mutamento del costume o della coscienza collettiva a poter
indurre  nuove  gerarchie di valori idonee a compromettere, sul piano
della  ragionevolezza  costituzionalmente  rilevante, la ponderazione
che dei beni coinvolti sia stata operata in sede normativa attraverso
l'individuazione   delle   condotte   penalmente   rilevanti   e   la
determinazione  del  trattamento  sanzionatorio.  L'apprezzamento  in
ordine  alla  manifesta  irragionevolezza  della quantita' o qualita'
della  pena  comminata per una determinata fattispecie incriminatrice
finisce,   dunque,  per  saldarsi  intimamente  alla  verifica  circa
l'effettivo  uso  del  potere  discrezionale, nel senso che ove uno o
piu'  fra  i valori che la norma investe apparissero sviliti al punto
da  risultare  in  concreto  compromessi ad esclusivo vantaggio degli
altri,   sara'   la   stessa  discrezionalita'  a  non  potersi  dire
correttamente  esercitata,  proprio  perche'  carente  di  alcuni dei
termini sui quali la stessa poteva e doveva fondarsi».
    La  sanzione  oggi  prevista  per  la  norma  in oggetto non pare
peraltro   in   ragionevole  rapporto  con  la  condotta  tenuta.  In
particolare  il  minimo  edittale  di  un  anno di reclusione risulta
sproporzionato  per  eccesso,  e  cio' con particolare riferimento ai
casi  in  cui  il  soggetto  attivo  del reato non appaia in concreto
socialmente  pericoloso  (ad  esempio  perche' incensurato o privo di
pendenze  giudiziarie  a carico). In proposito non va dimenticato che
la  violazione  sanzionata  e'  un  mero  reato  di  pericolo, la cui
incriminazione   ha   il   solo   scopo   di  «rendere  effettivo  il
provvedimento di espulsione, rimuovendo situazioni di illiceita' o di
pericolo correlate alla presenza dello straniero nel territorio dello
Stato» (cosi' Corte costituzionale, ordinanza n. 302/2004).
    Oltre  alla  sopra  riferita irragionevolezza «finalistica» della
norma  l'art. 14,  comma  5-ter,  primo  periodo, risulta altresi' in
contrasto  con gli artt. 3 e 27, terzo comma della Costituzione avuto
riguardo  al  raffronto  con altre norme incriminatici poste a tutela
dei medesimi interessi connessi all'ordine e alla sicurezza pubblica.
    In  primo  luogo  si appalesa il contrasto, gia' sopra esaminato,
tra l'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, e l'art. 13, comma 13-bis,
primo  periodo.  Nel primo caso si punisce ora infatti con la pena da
uno   a   quattro   anni   di  reclusione  il  soggetto  che  risulti
inottemperante  all'ordine  di  espulsione  del questore a seguito di
decreto   prefettizio   di   espulsione,   nel   secondo  si  punisce
analogamente  con la reclusione da uno a quattro anni il trasgressore
al  divieto  di  reingresso  nello  Stato italiano conseguente ad una
espulsione disposta dal giudice. Le due condotte appaiono prima facie
assai  differenti,  la  seconda essendo ben piu' grave della prima in
quanto  da  un  lato  consistente  in  un  comportamento  attivo  (il
reingresso  in  Italia  dopo  una  effettiva  espulsione), dall'altro
perche'  commessa da soggetto gia' condannato o quanto meno, ai sensi
degli  artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 286/1998, dichiarato concretamente
pericoloso  per  la collettivita'. Gia' si e' detto della ragione per
la  quale  il  legislatore  ha  innalzato  da  uno  a quattro anni di
reclusione la pena per la violazione dell'art. 14, comma 5-ter, primo
periodo,  motivazione  come riferito estranea ad esigenze di politica
sanzionatoria.  Resta  il  fatto  che appare irragionevole punire nel
medesimo  modo  condotte cosi' differenti tra loro in punto gravita'.
Consapevolezza  questa  che  aveva  avuto  il  legislatore  del  2002
allorquando  aveva  previsto per l'art. 14, comma 5-ter, l'arresto da
sei  mesi  ad un anno e per l'art. 13, comma 13-bis, la reclusione da
uno a quattro anni.
    Il  trattamento  sanzionatorio ora previsto per la fattispecie in
esame appare quindi sproporzionato per eccesso e percio' in contrasto
con  il  principio  di  uguaglianza  di  cui all'art. 3, primo comma,
Costituzione e con la finalita' rieducativa di cui all'art. 27, terzo
comma  della  Costituzione,  se raffrontata detta norma con quella di
cui all'art. 13, comma 13-bis, primo periodo del d.lgs. n. 286/1998.
    Analogamente   si  ravvisa  una  disparita'  tra  il  trattamento
sanzionatorio  previsto  dall'art.  14,  comma 5-ter, primo periodo e
quello  previsto  dall'art.  13,  comma  13-bis, secondo periodo, del
d.lgs.   n. 286/1998.   Se   e'  vero  che  quest'ultima  fattispecie
incriminatrice  e' stata modificata dalla legge n. 271/2004 (la quale
ha  previsto un innalzamento della pena edittale massima da quattro a
cinque  anni) non vi e' chi non veda come una cosi' minima differenza
sanzionatoria  tra  le  due  norme  non  trovi  giustificazione nella
gravita' delle condotte, ben differenti nelle diverse ipotesi. Mentre
nel  primo  caso il cittadino extracomunitario risulta inottemperante
all'ordine  di  allontanamento  conseguente al decreto di espulsione,
nel  secondo caso esso risulta effettivamente espulso e rientrato una
prima  volta  (e  denunciato  per  tale fatto), quindi effettivamente
espulso e rientrato una seconda volta. La rilevante diversita' tra le
due  ipotesi,  anche  in questo caso, non era sfuggita al legislatore
del   2002  che  aveva  previsto  un  trattamento  sanzionatorio  ben
differenziato  per  le  stesse (da sei mesi ad un anno di arresto nel
primo caso, da uno a quattro anni di reclusione nel secondo).
    Il  trattamento  sanzionatorio ora previsto per la fattispecie in
esame appare quindi sproporzionato per eccesso e percio' in contrasto
con  il  principio  di  uguaglianza  di  cui all'art. 3, primo comma,
Costituzione e con la finalita' rieducativa di cui all'art. 27, terzo
comma,  della  Costituzione,  anche  se  raffrontata  detta norma con
quella  di  cui all'art. 13, comma 13-bis, secondo periodo del d.lgs.
n. 286/1998.
    L'entita'  della  pena  prevista  all'art. 14, comma 5-ter, primo
periodo,    del    d.lgs.   n. 286/1998   risulta   irragionevolmente
sproporzionata  per  eccesso  non  solo  con  riferimento alle scelte
complessivamente  operate  dal legislatore in sede di conversione del
d.l.  n. 241/2004,  ma  anche  se raffrontata con quella prevista per
altre fattispecie incriminatrici, analoghe sotto il profilo oggettivo
e del bene giuridico tutelato.
    In  primo  luogo  il  parallelo  va fatto con l'art. 650 c.p. che
punisce con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 206 euro
l'inosservanza di un provvedimento legalmente dato dall'autorita' per
ragioni  di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico. La fattispecie di
cui  all'art. 14, comma 5-ter, primo periodo, appare rispetto ad essa
una  ipotesi  speciale,  e  cio'  in  considerazione  degli  elementi
peculiari che caratterizzano la disposizione di cui al citato decreto
legislativo,  ravvisabili  nella individuazione dell'organo investito
del  potere  di  emettere  la  sanzione, nella tipologia dei soggetti
destinatari  di  tale ordine e nella specificazione delle ragioni che
possono  dar  luogo  all'espulsione.  Pur tuttavia detti elementi (in
particolare  la condizione di cittadino extracomunitario illegalmente
presente  sul  territorio italiano) non paiono giustificare una cosi'
rilevante differenza di trattamento (oscillante tra i tre anni e nove
mesi  e  i  quattro  anni  di  detenzione),  a fronte di una condotta
illecita sostanzialmente omogenea.
    In   secondo   luogo  deve  essere  presa  in  considerazione  la
fattispecie  di  cui all'art. 2 della legge n. 1423/1956, che punisce
con  l'arresto  da  uno  a  sei  mesi  le  persone  pericolose per la
sicurezza   pubblica  che  risultino  inottemperanti  all'ordine  del
questore  di  fare rientro nel proprio comune di residenza. Anche qui
non  pare  giustificata  una  si' rilevante differenza di trattamento
sanzionatorio   laddove   quella  del  sottoposto  a  foglio  di  via
obbligatorio  e' una pericolosita' valutata in concreto mentre quella
dell'extracomunitario   illecitamente   in  Italia  e'  pericolosita'
meramente  potenziale.  In  senso  contrario  non  pare  rilevante il
riferimento  all'art. 9 della legge n. 1423/1956 posto che tale norma
ha  riguardo  alla  condotta  di  chi,  sorvegliato  speciale,  viola
l'obbligo  o  il  divieto  di soggiorno impostogli dal tribunale, con
cio' tenendo una condotta attiva e non meramente omissiva.
    Non sarebbe possibile sostenere, per escludere l'irragionevolezza
della  scelta  legislativa,  che  le norme poste a raffronto facciano
parte di sistemi distinti ed autonomi, percio' non comparabili, posto
che  «il  canone  della  ragionevolezza deve trovare applicazione non
solo all'interno di singoli comparti normativi, ma anche con riguardo
all'intero    sistema»    (cosi'   Corte   costituzionale,   sentenza
n. 84/1997).
    Ne'  si  potrebbe  parimenti sostenere che queste due fattispecie
divergano  radicalmente  da  quella  di cui all'art. 14, comma 5-ter,
primo  periodo  del  d.lgs. n. 286/1998 in ragione dell'esistenza per
quest'ultimo  caso  di  un meccanismo che consente l'espulsione quale
sanzione  sostitutiva o alternativa alla detenzione (art. 16 medesimo
d.lgs.),   di   talche'   lo  Stato  potrebbe  raggiungere  lo  scopo
dell'allontanamento  senza  comminare  effettivamente alcuna sanzione
nei confronti del condannato. Da un lato infatti detta espulsione non
costituisce  un diritto dell'imputato (posto che la norma prevede che
il  giudice  possa  ma  non  debba  sostituire  la pena con la misura
dell'espulsione), dall'altro essa non risulta possibile nei confronti
del   soggetto  nei  cui  confronti  sia  consentita  la  sospensione
condizionale  della esecuzione della pena, dall'altro ancora essa non
risulta  ammessa per condanne superiori a due anni, cosicche' proprio
la  riforma  legislativa oggi in contestazione potrebbe astrattamente
impedire che il cittadino extracomunitario ne possa godere.
    Anche  in  relazione  alle due fattispecie penali degli artt. 650
c.p.  e 2 della legge n. 1423/1956 e pertanto possibile ravvisare una
sproporzione  per  eccesso della norma oggi in esame, con conseguente
violazione  del  principio  di  ragionevolezza  ed uguaglianza di cui
all'art. 3,  primo  comma, Costituzione e della finalita' rieducativa
della pena di cui all'art. 27, terzo comma della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Solleva  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma  5-ter,  primo periodo, del d.lgs. n. 286/1998, come sostituito
dall'art. 1,  comma  5-bis,  della  legge 12 novembre 2004 n. 271 (di
conversione  del  d.l.  14  settembre 2004 n. 241) nella parte in cui
prevede  la  pena  della  reclusione  da  uno  a  quattro anni per lo
straniero che, senza giustificato motivo, si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore.
    Sospende  il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
    Dispone  altresi'  che  la  presente  ordinanza sia notificata al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e comunicata ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
    Della presente ordinanza viene data lettura alle parti presenti.
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti indicati.
        Modena, addi' 6 aprile 2005
                        Il giudice: Dall'Olio
05C1072