N. 28 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 18 ottobre 2005

Ricorso   per  conflitto  di  attribuzione  tra  enti  depositato  in
cancelleria il 18 ottobre 2005 (della Regione Veneto)
Leggi  regionali - Legge della Regione Veneto 3 giugno 1993, n. 27 in
  materia    di    prevenzione   dei   danni   derivanti   da   campi
  elettromagnetici generati da elettrodotti - Previsione di limiti di
  induzione magnetica inferiori ai valori successivamente fissati dal
  D.P.C.M.   attuativo   della  legge  quadro  statale  n. 36/2001  -
  Dichiarazione  con  sentenza del Tribunale amministrativo regionale
  Veneto   n. 3200/2005  dell'abrogazione  implicita  della  predetta
  normativa  regionale  da  parte  di  quella  statale sopravvenuta -
  Conflitto   di   attribuzione  sollevato  dalla  Regione  Veneto  -
  Denunciata  esorbitanza  del  potere  esercitato  dai  limiti della
  giurisdizione - Lesione dell'autonomia regionale - Inapplicabilita'
  dell'art. 10,  legge  n. 62/1953 per avvenuta abrogazione a seguito
  della  riforma  del Titolo V della Costituzione, ovvero per effetto
  della  legge  attuativa  n. 131/2003  -  Richiesta  di annullamento
  dell'atto invasivo.
- Sentenza  Tribunale amministrativo regionale Veneto 12 agosto 2005,
  n. 3200.
- Costituzione, artt. 5, 101, 114 e 117.
In subordine:  Conflitto  di  attribuzioni  tra  Stato  e  Regioni  -
  Richiesta  alla  Corte  costituzionale  di  sollevare davanti a se'
  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge
  n. 62/1953, ove ritenuta non abrogata per effetto della riforma del
  Titolo  V  della  Costituzione e della legge attuativa n. 131/2003,
  per violazione dell'autonomia regionale.
- Legge 10 febbraio 1953, n. 62, art. 10.
- Costituzione, artt. 5, 114 e 117.
(GU n.45 del 9-11-2005 )
    Ricorso  promosso  dalla Regione del Veneto, in persona del dott.
Luca  Zaia,  vice  presidente  pro tempore della giunta regionale (in
assenza  del  presidente),  autorizzato  mediante deliberazione della
giunta  stessa  13  settembre  2005, n. 2486, rappresentata e difesa,
come  da  procura  speciale  a  margine del presente atto, dagli avv.
prof.  Mario  Bertolissi del Foro di Padova, Romano Morra del Foro di
Venezia  e  Andrea  Manzi  del  Foro  di  Roma,  presso  quest'ultimo
domiciliata in Roma, via F. Confalonieri 5,

    Contro  la  Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente  del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex lege
dall'Avvocatura  generale dello Stato, via dei Portoghesi, 12 - Roma,
avverso  la sentenza del Tribunale amministrativo regionale Veneto 19
agosto 2005, n. 3200, per la dichiarazione che non spetta alla Stato,
e  nello  specifico  al  Tribunale  amministrativo  regionale Veneto,
ritenere  abrogata  la legge regionale Veneto n. 27 del 3 giugno 1993
in  forza  dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953, dell'art. 4 della
legge n. 36 del 2001 e del d.P.C.m. 8 luglio 2003.

                              F a t t o

 e   d i r i t t o      1.  -  Con sentenza 19 agosto 2005, n. 3200 -
succintamente motivata, ai sensi del combinato disposto dell'art. 23,
XI  comma, e dell'art. 26, IV e V comma, della legge n. 1035 del l971
-  la  sez. I del Tribunale amministrativo regionale Veneto ha deciso
un  ricorso  proposto dalla societa' Hesperia S.r.l. contro il Comune
di  Vazzola  (TV)  e  la  Regione del Veneto per l'annullamento della
variante  parziale  n. 2 del p.r.g. del medesimo comune, adottata con
delibera  del  Consiglio comunale di Vazzola n. 1 del 30 gennaio 2003
ed  approvata  con modifiche d'ufficio mediante delibera della giunta
regionale n. 1656 del 26 maggio 2004.
    Nell'accogliere  il ricorso il tribunale amministrativo regionale
ha implicitamente ritenuto abrogata la legge regionale n. 27 del 1993
in  forza  dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953, dell'art. 4 della
legge  n. 36  del  2001  e  del  d.P.C.m.  8 luglio  2003,  con  cio'
contravvenendo  - per quanto si dira' nel prosieguo del presente atto
- agli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.
    2.  -  Analoga  questione, del resto, e' gia' stata sottoposta al
giudizio di codesto ecc.mo Collegio dalla stessa odierna ricorrente.
    Va  ricordato,  a  tale  riguardo,  che la Regione del Veneto con
ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  datato  16 giugno 2005, ha
chiesto  a  codesta  ecc.ma  Corte  di dichiarare che non spetta allo
Stato,  e  nel  caso  al  Tribunale  amministrativo regionale Veneto,
ritenere  implicitamente abrogata la legge regionale Veneto n. 27 del
1993  e,  di  conseguenza,  di  annullare la sentenza 21 aprile 2005,
n. 1735  della  sez. II  del  Tribunale  amministrativo regionale del
Veneto per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.
    Infatti,  con  la  sentenza  21 aprile 2005, n. 1735 il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Veneto  decideva due distinti ricorsi
proposti  dalla  societa'  Panizzon Bruno & Figli per l'annullamento,
con   il   primo,   del  provvedimento  dirigenziale  di  diniego  di
concessione  edilizia  e  della delibera consiliare di adozione della
variante  generale  al  p.r.g.  del  Comune  di  Schio (VI) e, con il
secondo,  del  provvedimento  dirigenziale  di diniego di permesso di
costruire:  nell'accogliere  il  secondo  dei  due  sopra  menzionati
ricorsi,  il  tribunale  amministrativo  regionale,  assumendo di far
applicazione  del  disposto  di cui all'art. 10 della legge n. 62 del
1953,  dichiarava  che  «a seguito dell'entrata in vigore della legge
quadro  n. 36  del  2001  completata  a  regime  con l'emanazione del
d.P.C.m.  8 luglio  2003  per  quanto riguarda i valori soglia per le
emissioni  elettromagnetiche, la normativa da applicare doveva essere
quella  nazionale, non residuando alcuna possibilita' di applicazione
per  la  pregressa  normativa  regionale, come tale, per il principio
sopra richiamato, da ritenersi implicitamente abrogata.».
    Nel  precedente  ricorso  si  lamentava la lesione dell'autonomia
della  Regione  del  Veneto,  con  uno  sconfinamento  assoluto dalla
giurisdizione,  in  violazione  degli  artt. 5,  101,  114, 117 e 134
Cost.,  proprio  in  conseguenza  della  dichiarata abrogazione della
normativa regionale, da parte del Tribunale amministrativo regionale
    3.  -  In considerazione della forma semplificata in cui e' stata
resa la pronuncia del Tribunale amministrativo regionale Veneto e, in
conseguenza,   della   sua   succinta  motivazione,  si  possono  qui
brevemente  riassumere  i  passaggi argomentativi seguiti dal giudice
amministrativo.
    La societa' ricorrente assumeva di essere proprietaria nel Comune
di  Vazzola  di  un'area  che  il  p.r.g.  include in zona D1-3 (zona
industriale  di  espansione),  parte  in  «Sottozona Dl-3/3» parte in
«Sottozona Dl 3/P.I. P.».
    I precedenti proprietari dell'area avevano presentato un piano di
lottizzazione per l'attuazione delle previsioni del p.r.g., approvato
con  delibera  del Consiglio comunale n. 20 del 20 luglio 2002, a cui
aveva  fatto  seguito  la convenzione stipulata il 12 settembre 2002.
L'area  oggetto  della  lottizzazione  e'  pero'  attraversata da una
linea  elettrica  da  220  kw  ed  e', di conseguenza, vincolata alla
relativa fascia di rispetto.
    Ora,  la  legge  regionale  veneta n. 27 del 1993 vieta qualsiasi
destinazione  urbanistica  residenziale all'interno delle distanze di
rispetto  dagli  elettrodotti,  determinate  in  modo  che  il  campo
elettrico  misurato  all'esterno  delle  abitazioni  e  dei luoghi di
abituale prolungata permanenza non superi il valore di 0,5 kv/m ed il
campo magnetico non sia superiore a 0,2 microtesla.
    Poiche' la medesima legge regionale ha previsto che gli strumenti
urbanistici  generali  e  le  loro varianti approvati dopo la propria
entrata  in  vigore fossero tenuti a recepire le distanze di rispetto
ivi  indicate,  con  l'approvazione  della  variante  n. 2 al p.r.g.,
impugnata,  il comune ha introdotto un art. 53-bis, con cui prescrive
nello  strumento  urbanistico  i limiti di rispetto e di tutela degli
elettrodotti, adeguandosi alla normativa regionale.
    Nel  ricorso introduttivo del giudizio si lamentava la violazione
dell'art. 4  della  legge quadro statale n. 36 del 2001 e dell'art. 4
del   d.P.C.m.   8 luglio  2003  e  si  eccepiva,  in  subordine,  la
illegittimita'  costituzionale  della  legge regionale n. 27 del 1993
per violazione degli artt. 117, commi 2 e 3, Cost.
    In  estrema  sintesi  la  ricorrente rilevava come i valori della
fascia  di  rispetto  indicati  nella  tabella allegata alla D.G.R.V.
n. 1526  dell'  11  aprile  2000 -  determinati  in modo che il campo
elettrico ed il campo magnetico misurati all'esterno delle abitazioni
e  dei  luoghi  di  abituale e prolungata permanenza non superi i 0,2
microtesla - contrastassero con il d.P.C.M. 8 luglio 2003 - che fissa
in  3 microtesla il medesimo valore - con la conseguenza che la legge
regionale   n. 27   del  1993  doveva  ritenersi  abrogata  in  forza
dell'art. 10  della  legge Scelba e dell'art. 4 della legge n. 36 del
2001.
    Il   tribunale   amministrativo  regionale  con  la  sentenza  in
epigrafe,  respingendo  le  argomentazioni  svolte  dalla Regione del
Veneto,  ha  ritenuto  di  «far  proprio  l'indirizzo tracciato dalla
sentenza   n. 1735/2005»  e  di  «riaffermare  che  in  seguito  alla
sopravvenienza  della  normativa  statale  di principio in materia di
protezione   dalle   esposizioni  a  campi  elettrici,  magnetici  ed
elettromagnetici  (legge  n. 36/2001)  e della disciplina applicativa
d.P.C.M.  8  luglio  2003)  avente  valore  su  tutto  il  territorio
nazionale,  le norme regionali precedentemente in vigore, che fissano
valori diversi e superiori, incompatibili con quelli introdotti dalla
legge  quadro,  devono ritenersi abrogate ai sensi dell'art. 10 della
legge n. 62/53».
    Si sostiene nella pronuncia in discorso che la regola posta dalla
legge  Scelba  circa la soluzione del conflitto tra norme regionali e
norme  statali  di principio sopravvenute permarrebbe anche nel nuovo
assetto  costituzionale  poiche'  -  a differenza di quanto sostenuto
dalla  difesa  della Regione del Veneto - l'art. 10 della legge n. 62
del  1953  non risulterebbe abrogato dalla legge n. 131 del 2003, non
avendo  quest'ultima  introdotto  «alcuna innovazione sostanziale nel
rapporto tra le leggi regionali e le norme statali di principio».
    Richiamando  la  sentenza  n. 307  del  2003  di  codesto  ecc.mo
Collegio,   il  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Veneto  ha
ritenuto  che  «in  caso  di  sopravvenienza di norme di principio in
materie di legislazione "concorrente" il giudice puo' dichiarare, ove
sia  in  grado  di  riconoscere ed affermare l'incompatibilita' delle
norme  preesistenti  con i nuovi principi, l'abrogazione delle prime,
senza  necessita'  di sollevare la questione di costituzionalita', la
quale avrebbe peraltro, nella specie, esito scontato».
    Quanto  all'eccezione  formulata  dalla difesa regionale circa la
contrarieta' a Costituzione della previsione di un effetto abrogativo
sulla  normativa  regionale ad opera di norme di rango secondario, il
Tribunale  amministrativo  regionale ha ritenuto operare nella specie
un  rinvio  recettizio ed ha, quindi, deciso il ricorso sostenendo di
far  applicazione  di  quanto affermato implicitamente nella sentenza
n. 307 del 2003 di codesto ecc.mo Collegio, gia' citata.
    4.  - Con la pronuncia che si e' ora richiamata nei suoi passaggi
piu'  significativi  tribunale  amministrativo  regionale,  decidendo
sulla  base  della supposta abrogazione della normativa regionale, ha
posto  in  essere uno sconfinamento dalla giurisdizione in violazione
degli  artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione, cosi' ledendo
l'autonomia regionale.
    Il   giudice   amministrativo,   dubitando   della   legittimita'
costituzionale della legge regionale n. 27 del 1993, contrastante con
la  legge-quadro  statale,  avrebbe  dovuto  sollevare  la  questione
davanti  a  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  - e sospendere il
giudizio  -  piuttosto  che  accogliere il ricorso, non applicando la
normativa regionale.
    Del   resto   «uno  dei  principi  basilari  del  nostro  sistema
costituzionale  e'  quello per cui i giudici sono tenuti ad applicare
le  leggi»,  e,  ove dubitino della loro legittimita' costituzionale,
devono  adire  la Corte costituzionale «che sola puo' esercitare tale
sindacato, pronunciandosi, ove la questione sia riconosciuta fondata,
con  sentenze  aventi efficacia erga omnes. Questo principio non puo'
soffrire eccezione alcuna» (sent. n. 285 del 1990).
    Va preliminarmente precisato come non valga il richiamo fatto dal
giudice  amministrativo  alla  sentenza  n. 307  del  2003 di codesto
ecc.mo  Collegio  in  quanto oggetto di quel giudizio di legittimita'
costituzionale  in  via  principale  erano tutte disposizioni dileggi
regionali  (l.r.  Marche,  13 novembre 2001, n. 25, l.r. Campania, 24
novembre  2001,  n. 13, 1.r. Puglia, 8 marzo 2002, n. 5, l.r. Umbria,
14 giugno 2002, n. 9) successive alla legge statale 22 febbraio 2001,
n. 36,  «legge  quadro  sulla  protezione  dalle  esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici».
    Ne'  vale  -  sotto  altro profilo - il riferimento alla sentenza
n. 302  del  2003  in cui tutti i ricorsi erano stati scrutinati alla
luce  delle  disposizioni costituzionali sulla competenza vigenti nel
momento  in  cui  gli  atti  impugnati  erano stati adottati, a nulla
rilevando   il   successivo   mutamento   dei  parametri  conseguenti
all'entrata  in  vigore  del nuovo Titolo V della Parte seconda della
Costituzione,   mutamento  -  al  contrario  -  determinante  per  la
decisione del giudizio introdotto col presente ricorso.
    Del   resto,   nel   quadro   dei  principi  del  nostro  sistema
costituzionale  risulta  assolutamente  paradossale  che un tribunale
amministrativo   regionale   possa   dichiarare  abrogata  una  legge
regionale in vigore a seguito dell'emanazione di un d.P.C.m., atto di
natura  regolamentare,  per quanto attuativo della legge quadro della
materia.
    Lo  stesso  disposto  dell'art. 10  della  legge Scelba e' sempre
stato  interpretato  da codesto ecc.mo Collegio nel senso che solo la
diretta  incompatibilita'  delle  norme  regionali con i sopravvenuti
principi  e  norme  fondamentali della legge statale poteva essere in
grado  di  determinare  la grave  conseguenza  dell'abrogazione delle
prime  ad opera dei secondi (cfr. sentenze. nn. 302 del 2003, 153 del
1995, 497 e 498 del 1993, 50 del 1991, 151 del 1974).
    La  legge n. 36 del 2001, del resto, all'art. 4, comma 5, prevede
che  le  regioni  «adeguino  la  propria  legislazione  ai  limiti di
esposizione»  previsti  dai  decreti  di  cui al comma 2 dello stesso
art. 4,  con  cio'  semplicemente  imponendo alle regioni di porre in
essere una normativa conforme al dettato statale, il che, ovviamente,
esclude  che  l'antinomia  creatasi  tra  fonti  possa risolversi con
l'implicita abrogazione della legislazione regionale.
    Anche  a  non  voler  considerare  le  osservazioni  critiche ora
formulate   -  che  appaiono  difficilmente  superabili  -  e'  utile
chiedersi  se  la  legge Scelba, applicata dal giudice amministrativo
veneto,  sia  ancora  in  vigore,  come  afferma, ma non dimostra, il
medesimo giudice.
    Infatti,   nella   sentenza   n. 3200   del  2005  del  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Veneto  -  che,  violando la sfera di
autonomia  regionale costituzionalmente garantita, ha dato origine al
presente  conflitto  -  l'abrogazione della normativa regionale viene
fatta  operare  richiamandosi all'art. 10 della legge n. 62 del 1953,
in  forza  del  quale, come e' noto, «le leggi della Repubblica», che
modificano  i  principi  fondamentali  nelle  materie  di  competenza
legislativa  concorrente,  «abrogano  le norme regionali che siano in
contrasto con esse».
    Pur  sottolineando  ancora  una  volta come anche la legge Scelba
faccia  discendere l'abrogazione della normativa regionale unicamente
all'entrata in vigore di disposizioni di rango legislativo e non gia'
regolamentare,  si  impongono  alcune  considerazioni  in ordine alla
compatibilita'    di   questa   disciplina   con   l'attuale   quadro
costituzionale.
    L'art. 10 della legge n. 62 del 1953, della cui costituzionalita'
si era a lungo dubitato in passato, appare certo in diretto contrasto
con  le disposizioni contenute nel Titolo V della nostra Costituzione
a  seguito  delle  modifiche operate con la legge costituzionale n. 3
del 2001 e con la normativa ordinaria di adeguamento.
    La   novella   costituzionale   ha   certamente  voluto  ampliare
l'autonomia legislativa riconosciuta alle regioni, ridisegnando tutto
l'ambito  e  la  natura delle competenze statali e regionali e i loro
rispettivi rapporti.
    Non   e'  necessario,  naturalmente,  ricordare  quali  siano  le
significative  novita' poste dalla legge costituzionale n. 3 del 2001
in   materia   di   potesta'  legislativa  regionale  anche  di  tipo
concorrente;  la  difesa  della  Regione del Veneto ricorda solo come
codesta ecc.ma Corte, nell'interpretare il nuovo testo dell'art. 117,
comma  3,  Cost.,  abbia  avuto  modo  di  chiarire  come  i principi
fondamentali della materia possano essere ricavati dalla legislazione
statale gia' in vigore, qualora non ne vengano dettati di nuovi (cfr.
sentenze  n. 282  del  2002,  n. 201 e 353 del 2003 - in conformita',
sotto  questo  profilo, alla propria giurisprudenza elaborata in sede
di  prima attuazione dell'ordinamento regionale previsto dal Titolo V
della  Costituzione  nella  sua  originaria  formulazione  - ), fermo
restando  che  «la  nuova  formulazione  dell'art. 117,  terzo comma,
rispetto  a  quella  previgente  dell'art. 117,  primo comma, esprime
l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a
legiferare  in  queste materie e la competenza statale, limitata alla
determinazione dei principi fondamentali della disciplina».
    Anche  la  potesta'  legislativa  concorrente  delle  regioni va,
dunque,  intesa in modo tale da valorizzare il mutato rapporto con la
potesta'  legislativa statale, dovendo entrambe essere esercitate, ai
sensi   dell'art. 117,   comma   1,   Cost.,   «nel   rispetto  della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali».
    A  tal  fine  e'  utile  ricordare  che l'entrata in vigore della
novella  costituzionale  ha determinato la necessita' di adottare una
legge  -  la  n. 131  del  2003,  c.d. legge La Loggia - che dettasse
disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla
l. cost. n. 3 del 2001.
    In  particolare,  l'art. 1  della  legge  La Loggia ha ad oggetto
proprio  l'«attuazione  dell'art. 117,  primo  e  terzo  comma  della
Costituzione, in materia di legislazione regionale».
    Basterebbe  considerare  la breve premessa che si e' ora svolta o
semplicemente  leggere  la rubrica dell'art. 1 della legge La Loggia,
che  ora  si  e'  riportata,  per  comprendere come sia insostenibile
l'affermazione  del tribunale amministrativo regionale veneto secondo
cui   quest'ultima   legge  «non  ha  introdotto  alcuna  innovazione
sostanziale nel rapporto tra le leggi regionali e le norme statali di
principio».
    Al  contrario, si ragiona di una disciplina di carattere generale
necessariamente  destinata  a  sostituirsi  alla vecchia disciplina -
quale  la  legge  Scelba  - dettata nei primi tentativi di attuazione
dell'ordinamento  regionale:  la  legge  n. 131  del  2003 si occupa,
infatti,  proprio  del  passaggio  dal sistema di competenze previsto
dall'originario testo costituzionale all'attuale.
    Il  comma  secondo  della  legge ora citata stabilisce, nel primo
periodo,  che «le disposizioni normative statali vigenti alla data di
entrata  in  vigore  della  presente legge nelle materie appartenenti
alla  legislazione  regionale  continuano  ad applicarsi, in ciascuna
regione,  fino  alla  data  di  entrata  in vigore delle disposizioni
regionali  in  materia, fermo quanto previsto al comma 3, fatti salvi
gli  effetti  di eventuali pronunce della Corte costituzionale» e nel
secondo periodo che «le disposizioni normative regionali vigenti alla
data  di  entrata  in  vigore  della  presente  legge  nelle  materie
appartenenti   alla  legislazione  esclusiva  statale  continuano  ad
applicarsi  fino  alla  data  di entrata in vigore delle disposizioni
statali  in  materia,  fatti  salvi gli effetti di eventuali pronunce
della Corte costituzionale».
    Particolarmente  significativa,  in questa sede, risulta anche la
disposizione  dell'art. 1,  comma  3,  della legge La Loggia, che, in
conformita'   all'orientamento   di  codesta  ecc.ma  Corte,  prevede
testualmente:   «nelle   materie   appartenenti   alla   legislazione
concorrente,   le   regioni   esercitano   la   potesta'  legislativa
nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo
Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti».
    Come   si  puo'  agevolmente  notare,  nessuna  delle  norme  ora
richiamate  ha  riprodotto il testo dell'art. 10 della legge Scelba o
vi ha fatto rinvio.
    Al contrario, quando la legge n. 131 del 2003 ha voluto stabilire
limiti   all'applicazione   della   normativa   regionale  a  seguito
dell'entrata  in  vigore  della competente legislazione statale lo ha
fatto  esplicitamente, come nella seconda parte del comma 2, dedicato
alle  materie  appartenenti alla potesta' legislativa esclusiva dello
Stato.
    L'art. 10  della  legge n. 62 del 1953 - per quanto si e' detto -
e'  da  ritenersi  abrogato,  dunque, a seguito dell'introduzione del
nuovo  testo  del Titolo V della Costituzione o, a tutto concedere, a
partire dall'entrata in vigore della legge 5 giugno 2003, n. 131, che
ha ridisciplinato la materia.
    La  conseguenza  necessaria  di  questo  ragionamento  e'  che il
tribuna1e  amministrativo  regionale  veneto  non  aveva il potere di
ritenere  abrogata la normativa regionale relativa ai valori di campo
magnetico  alle  fasce di rispetto degli elettrodotti, e che, come si
e'  gia' anticipato, il giudice amministrativo avrebbe al limite solo
potuto sollevare la questione di legittimita' costituzionale.
    Ritenendo  abrogata la disciplina regionale, dunque, il Tribunale
amministrativo  regionale  del Veneto ha esercitato un potere che non
gli  spettava  -  essendosi determinato uno sconfinamento assoluto di
giurisdizione  -  cosi'  ledendo  l'autonomia  regionale riconosciuta
dagli artt. 5, 114 e 117 della Costituzione.
    Qualora,  per  altro, l'ecc.ma Corte costituzionale non ritenesse
operata  l'abrogazione  della  disposizione  di cui all'art. 10 della
legge  n. 62  del 1953 ne' a seguito della novella costituzionale del
2001  ne'  a  seguito  dell'entrata  in vigore della legge n. 131 del
2003,  la  difesa della Regione del Veneto chiede che Ella sollevi la
questione  di  legittimita' costituzionale del medesimo art. 10 della
legge Scelba avanti a se' stessa per contrasto con gli artt. 5, 114 e
117 Cost.
                              P. Q. M.
    Chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale:
        dichiari  che  non spetta allo Stato, e nel caso al Tribunale
amministrativo  regionale Veneto, ritenere implicitamente abrogata la
legge regionale Veneto n. 27 del 1993;
        e,  di  conseguenza,  annulli  la  sentenza  19  agosto 2005,
n. 3200  della  sez.  I  del  Tribunale  amministrativo regionale del
Veneto per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.
      Padova - Roma, addi' 6 ottobre 2005
 Avv. Prof. Mario Bertolissi - Avv. Romano Morra - Avv. Andrea Manzi
05C1080