N. 28 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 18 ottobre 2005
Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti depositato in cancelleria il 18 ottobre 2005 (della Regione Veneto) Leggi regionali - Legge della Regione Veneto 3 giugno 1993, n. 27 in materia di prevenzione dei danni derivanti da campi elettromagnetici generati da elettrodotti - Previsione di limiti di induzione magnetica inferiori ai valori successivamente fissati dal D.P.C.M. attuativo della legge quadro statale n. 36/2001 - Dichiarazione con sentenza del Tribunale amministrativo regionale Veneto n. 3200/2005 dell'abrogazione implicita della predetta normativa regionale da parte di quella statale sopravvenuta - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Veneto - Denunciata esorbitanza del potere esercitato dai limiti della giurisdizione - Lesione dell'autonomia regionale - Inapplicabilita' dell'art. 10, legge n. 62/1953 per avvenuta abrogazione a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, ovvero per effetto della legge attuativa n. 131/2003 - Richiesta di annullamento dell'atto invasivo. - Sentenza Tribunale amministrativo regionale Veneto 12 agosto 2005, n. 3200. - Costituzione, artt. 5, 101, 114 e 117. In subordine: Conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni - Richiesta alla Corte costituzionale di sollevare davanti a se' questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 62/1953, ove ritenuta non abrogata per effetto della riforma del Titolo V della Costituzione e della legge attuativa n. 131/2003, per violazione dell'autonomia regionale. - Legge 10 febbraio 1953, n. 62, art. 10. - Costituzione, artt. 5, 114 e 117.(GU n.45 del 9-11-2005 )
Ricorso promosso dalla Regione del Veneto, in persona del dott. Luca Zaia, vice presidente pro tempore della giunta regionale (in assenza del presidente), autorizzato mediante deliberazione della giunta stessa 13 settembre 2005, n. 2486, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Romano Morra del Foro di Venezia e Andrea Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, via F. Confalonieri 5, Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, via dei Portoghesi, 12 - Roma, avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale Veneto 19 agosto 2005, n. 3200, per la dichiarazione che non spetta alla Stato, e nello specifico al Tribunale amministrativo regionale Veneto, ritenere abrogata la legge regionale Veneto n. 27 del 3 giugno 1993 in forza dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953, dell'art. 4 della legge n. 36 del 2001 e del d.P.C.m. 8 luglio 2003. F a t t o e d i r i t t o 1. - Con sentenza 19 agosto 2005, n. 3200 - succintamente motivata, ai sensi del combinato disposto dell'art. 23, XI comma, e dell'art. 26, IV e V comma, della legge n. 1035 del l971 - la sez. I del Tribunale amministrativo regionale Veneto ha deciso un ricorso proposto dalla societa' Hesperia S.r.l. contro il Comune di Vazzola (TV) e la Regione del Veneto per l'annullamento della variante parziale n. 2 del p.r.g. del medesimo comune, adottata con delibera del Consiglio comunale di Vazzola n. 1 del 30 gennaio 2003 ed approvata con modifiche d'ufficio mediante delibera della giunta regionale n. 1656 del 26 maggio 2004. Nell'accogliere il ricorso il tribunale amministrativo regionale ha implicitamente ritenuto abrogata la legge regionale n. 27 del 1993 in forza dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953, dell'art. 4 della legge n. 36 del 2001 e del d.P.C.m. 8 luglio 2003, con cio' contravvenendo - per quanto si dira' nel prosieguo del presente atto - agli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost. 2. - Analoga questione, del resto, e' gia' stata sottoposta al giudizio di codesto ecc.mo Collegio dalla stessa odierna ricorrente. Va ricordato, a tale riguardo, che la Regione del Veneto con ricorso per conflitto di attribuzione datato 16 giugno 2005, ha chiesto a codesta ecc.ma Corte di dichiarare che non spetta allo Stato, e nel caso al Tribunale amministrativo regionale Veneto, ritenere implicitamente abrogata la legge regionale Veneto n. 27 del 1993 e, di conseguenza, di annullare la sentenza 21 aprile 2005, n. 1735 della sez. II del Tribunale amministrativo regionale del Veneto per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost. Infatti, con la sentenza 21 aprile 2005, n. 1735 il Tribunale amministrativo regionale del Veneto decideva due distinti ricorsi proposti dalla societa' Panizzon Bruno & Figli per l'annullamento, con il primo, del provvedimento dirigenziale di diniego di concessione edilizia e della delibera consiliare di adozione della variante generale al p.r.g. del Comune di Schio (VI) e, con il secondo, del provvedimento dirigenziale di diniego di permesso di costruire: nell'accogliere il secondo dei due sopra menzionati ricorsi, il tribunale amministrativo regionale, assumendo di far applicazione del disposto di cui all'art. 10 della legge n. 62 del 1953, dichiarava che «a seguito dell'entrata in vigore della legge quadro n. 36 del 2001 completata a regime con l'emanazione del d.P.C.m. 8 luglio 2003 per quanto riguarda i valori soglia per le emissioni elettromagnetiche, la normativa da applicare doveva essere quella nazionale, non residuando alcuna possibilita' di applicazione per la pregressa normativa regionale, come tale, per il principio sopra richiamato, da ritenersi implicitamente abrogata.». Nel precedente ricorso si lamentava la lesione dell'autonomia della Regione del Veneto, con uno sconfinamento assoluto dalla giurisdizione, in violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost., proprio in conseguenza della dichiarata abrogazione della normativa regionale, da parte del Tribunale amministrativo regionale 3. - In considerazione della forma semplificata in cui e' stata resa la pronuncia del Tribunale amministrativo regionale Veneto e, in conseguenza, della sua succinta motivazione, si possono qui brevemente riassumere i passaggi argomentativi seguiti dal giudice amministrativo. La societa' ricorrente assumeva di essere proprietaria nel Comune di Vazzola di un'area che il p.r.g. include in zona D1-3 (zona industriale di espansione), parte in «Sottozona Dl-3/3» parte in «Sottozona Dl 3/P.I. P.». I precedenti proprietari dell'area avevano presentato un piano di lottizzazione per l'attuazione delle previsioni del p.r.g., approvato con delibera del Consiglio comunale n. 20 del 20 luglio 2002, a cui aveva fatto seguito la convenzione stipulata il 12 settembre 2002. L'area oggetto della lottizzazione e' pero' attraversata da una linea elettrica da 220 kw ed e', di conseguenza, vincolata alla relativa fascia di rispetto. Ora, la legge regionale veneta n. 27 del 1993 vieta qualsiasi destinazione urbanistica residenziale all'interno delle distanze di rispetto dagli elettrodotti, determinate in modo che il campo elettrico misurato all'esterno delle abitazioni e dei luoghi di abituale prolungata permanenza non superi il valore di 0,5 kv/m ed il campo magnetico non sia superiore a 0,2 microtesla. Poiche' la medesima legge regionale ha previsto che gli strumenti urbanistici generali e le loro varianti approvati dopo la propria entrata in vigore fossero tenuti a recepire le distanze di rispetto ivi indicate, con l'approvazione della variante n. 2 al p.r.g., impugnata, il comune ha introdotto un art. 53-bis, con cui prescrive nello strumento urbanistico i limiti di rispetto e di tutela degli elettrodotti, adeguandosi alla normativa regionale. Nel ricorso introduttivo del giudizio si lamentava la violazione dell'art. 4 della legge quadro statale n. 36 del 2001 e dell'art. 4 del d.P.C.m. 8 luglio 2003 e si eccepiva, in subordine, la illegittimita' costituzionale della legge regionale n. 27 del 1993 per violazione degli artt. 117, commi 2 e 3, Cost. In estrema sintesi la ricorrente rilevava come i valori della fascia di rispetto indicati nella tabella allegata alla D.G.R.V. n. 1526 dell' 11 aprile 2000 - determinati in modo che il campo elettrico ed il campo magnetico misurati all'esterno delle abitazioni e dei luoghi di abituale e prolungata permanenza non superi i 0,2 microtesla - contrastassero con il d.P.C.M. 8 luglio 2003 - che fissa in 3 microtesla il medesimo valore - con la conseguenza che la legge regionale n. 27 del 1993 doveva ritenersi abrogata in forza dell'art. 10 della legge Scelba e dell'art. 4 della legge n. 36 del 2001. Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza in epigrafe, respingendo le argomentazioni svolte dalla Regione del Veneto, ha ritenuto di «far proprio l'indirizzo tracciato dalla sentenza n. 1735/2005» e di «riaffermare che in seguito alla sopravvenienza della normativa statale di principio in materia di protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (legge n. 36/2001) e della disciplina applicativa d.P.C.M. 8 luglio 2003) avente valore su tutto il territorio nazionale, le norme regionali precedentemente in vigore, che fissano valori diversi e superiori, incompatibili con quelli introdotti dalla legge quadro, devono ritenersi abrogate ai sensi dell'art. 10 della legge n. 62/53». Si sostiene nella pronuncia in discorso che la regola posta dalla legge Scelba circa la soluzione del conflitto tra norme regionali e norme statali di principio sopravvenute permarrebbe anche nel nuovo assetto costituzionale poiche' - a differenza di quanto sostenuto dalla difesa della Regione del Veneto - l'art. 10 della legge n. 62 del 1953 non risulterebbe abrogato dalla legge n. 131 del 2003, non avendo quest'ultima introdotto «alcuna innovazione sostanziale nel rapporto tra le leggi regionali e le norme statali di principio». Richiamando la sentenza n. 307 del 2003 di codesto ecc.mo Collegio, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha ritenuto che «in caso di sopravvenienza di norme di principio in materie di legislazione "concorrente" il giudice puo' dichiarare, ove sia in grado di riconoscere ed affermare l'incompatibilita' delle norme preesistenti con i nuovi principi, l'abrogazione delle prime, senza necessita' di sollevare la questione di costituzionalita', la quale avrebbe peraltro, nella specie, esito scontato». Quanto all'eccezione formulata dalla difesa regionale circa la contrarieta' a Costituzione della previsione di un effetto abrogativo sulla normativa regionale ad opera di norme di rango secondario, il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto operare nella specie un rinvio recettizio ed ha, quindi, deciso il ricorso sostenendo di far applicazione di quanto affermato implicitamente nella sentenza n. 307 del 2003 di codesto ecc.mo Collegio, gia' citata. 4. - Con la pronuncia che si e' ora richiamata nei suoi passaggi piu' significativi tribunale amministrativo regionale, decidendo sulla base della supposta abrogazione della normativa regionale, ha posto in essere uno sconfinamento dalla giurisdizione in violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione, cosi' ledendo l'autonomia regionale. Il giudice amministrativo, dubitando della legittimita' costituzionale della legge regionale n. 27 del 1993, contrastante con la legge-quadro statale, avrebbe dovuto sollevare la questione davanti a codesta ecc.ma Corte costituzionale - e sospendere il giudizio - piuttosto che accogliere il ricorso, non applicando la normativa regionale. Del resto «uno dei principi basilari del nostro sistema costituzionale e' quello per cui i giudici sono tenuti ad applicare le leggi», e, ove dubitino della loro legittimita' costituzionale, devono adire la Corte costituzionale «che sola puo' esercitare tale sindacato, pronunciandosi, ove la questione sia riconosciuta fondata, con sentenze aventi efficacia erga omnes. Questo principio non puo' soffrire eccezione alcuna» (sent. n. 285 del 1990). Va preliminarmente precisato come non valga il richiamo fatto dal giudice amministrativo alla sentenza n. 307 del 2003 di codesto ecc.mo Collegio in quanto oggetto di quel giudizio di legittimita' costituzionale in via principale erano tutte disposizioni dileggi regionali (l.r. Marche, 13 novembre 2001, n. 25, l.r. Campania, 24 novembre 2001, n. 13, 1.r. Puglia, 8 marzo 2002, n. 5, l.r. Umbria, 14 giugno 2002, n. 9) successive alla legge statale 22 febbraio 2001, n. 36, «legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici». Ne' vale - sotto altro profilo - il riferimento alla sentenza n. 302 del 2003 in cui tutti i ricorsi erano stati scrutinati alla luce delle disposizioni costituzionali sulla competenza vigenti nel momento in cui gli atti impugnati erano stati adottati, a nulla rilevando il successivo mutamento dei parametri conseguenti all'entrata in vigore del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, mutamento - al contrario - determinante per la decisione del giudizio introdotto col presente ricorso. Del resto, nel quadro dei principi del nostro sistema costituzionale risulta assolutamente paradossale che un tribunale amministrativo regionale possa dichiarare abrogata una legge regionale in vigore a seguito dell'emanazione di un d.P.C.m., atto di natura regolamentare, per quanto attuativo della legge quadro della materia. Lo stesso disposto dell'art. 10 della legge Scelba e' sempre stato interpretato da codesto ecc.mo Collegio nel senso che solo la diretta incompatibilita' delle norme regionali con i sopravvenuti principi e norme fondamentali della legge statale poteva essere in grado di determinare la grave conseguenza dell'abrogazione delle prime ad opera dei secondi (cfr. sentenze. nn. 302 del 2003, 153 del 1995, 497 e 498 del 1993, 50 del 1991, 151 del 1974). La legge n. 36 del 2001, del resto, all'art. 4, comma 5, prevede che le regioni «adeguino la propria legislazione ai limiti di esposizione» previsti dai decreti di cui al comma 2 dello stesso art. 4, con cio' semplicemente imponendo alle regioni di porre in essere una normativa conforme al dettato statale, il che, ovviamente, esclude che l'antinomia creatasi tra fonti possa risolversi con l'implicita abrogazione della legislazione regionale. Anche a non voler considerare le osservazioni critiche ora formulate - che appaiono difficilmente superabili - e' utile chiedersi se la legge Scelba, applicata dal giudice amministrativo veneto, sia ancora in vigore, come afferma, ma non dimostra, il medesimo giudice. Infatti, nella sentenza n. 3200 del 2005 del Tribunale amministrativo regionale del Veneto - che, violando la sfera di autonomia regionale costituzionalmente garantita, ha dato origine al presente conflitto - l'abrogazione della normativa regionale viene fatta operare richiamandosi all'art. 10 della legge n. 62 del 1953, in forza del quale, come e' noto, «le leggi della Repubblica», che modificano i principi fondamentali nelle materie di competenza legislativa concorrente, «abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse». Pur sottolineando ancora una volta come anche la legge Scelba faccia discendere l'abrogazione della normativa regionale unicamente all'entrata in vigore di disposizioni di rango legislativo e non gia' regolamentare, si impongono alcune considerazioni in ordine alla compatibilita' di questa disciplina con l'attuale quadro costituzionale. L'art. 10 della legge n. 62 del 1953, della cui costituzionalita' si era a lungo dubitato in passato, appare certo in diretto contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo V della nostra Costituzione a seguito delle modifiche operate con la legge costituzionale n. 3 del 2001 e con la normativa ordinaria di adeguamento. La novella costituzionale ha certamente voluto ampliare l'autonomia legislativa riconosciuta alle regioni, ridisegnando tutto l'ambito e la natura delle competenze statali e regionali e i loro rispettivi rapporti. Non e' necessario, naturalmente, ricordare quali siano le significative novita' poste dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 in materia di potesta' legislativa regionale anche di tipo concorrente; la difesa della Regione del Veneto ricorda solo come codesta ecc.ma Corte, nell'interpretare il nuovo testo dell'art. 117, comma 3, Cost., abbia avuto modo di chiarire come i principi fondamentali della materia possano essere ricavati dalla legislazione statale gia' in vigore, qualora non ne vengano dettati di nuovi (cfr. sentenze n. 282 del 2002, n. 201 e 353 del 2003 - in conformita', sotto questo profilo, alla propria giurisprudenza elaborata in sede di prima attuazione dell'ordinamento regionale previsto dal Titolo V della Costituzione nella sua originaria formulazione - ), fermo restando che «la nuova formulazione dell'art. 117, terzo comma, rispetto a quella previgente dell'art. 117, primo comma, esprime l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina». Anche la potesta' legislativa concorrente delle regioni va, dunque, intesa in modo tale da valorizzare il mutato rapporto con la potesta' legislativa statale, dovendo entrambe essere esercitate, ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost., «nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». A tal fine e' utile ricordare che l'entrata in vigore della novella costituzionale ha determinato la necessita' di adottare una legge - la n. 131 del 2003, c.d. legge La Loggia - che dettasse disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla l. cost. n. 3 del 2001. In particolare, l'art. 1 della legge La Loggia ha ad oggetto proprio l'«attuazione dell'art. 117, primo e terzo comma della Costituzione, in materia di legislazione regionale». Basterebbe considerare la breve premessa che si e' ora svolta o semplicemente leggere la rubrica dell'art. 1 della legge La Loggia, che ora si e' riportata, per comprendere come sia insostenibile l'affermazione del tribunale amministrativo regionale veneto secondo cui quest'ultima legge «non ha introdotto alcuna innovazione sostanziale nel rapporto tra le leggi regionali e le norme statali di principio». Al contrario, si ragiona di una disciplina di carattere generale necessariamente destinata a sostituirsi alla vecchia disciplina - quale la legge Scelba - dettata nei primi tentativi di attuazione dell'ordinamento regionale: la legge n. 131 del 2003 si occupa, infatti, proprio del passaggio dal sistema di competenze previsto dall'originario testo costituzionale all'attuale. Il comma secondo della legge ora citata stabilisce, nel primo periodo, che «le disposizioni normative statali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna regione, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia, fermo quanto previsto al comma 3, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale» e nel secondo periodo che «le disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale». Particolarmente significativa, in questa sede, risulta anche la disposizione dell'art. 1, comma 3, della legge La Loggia, che, in conformita' all'orientamento di codesta ecc.ma Corte, prevede testualmente: «nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le regioni esercitano la potesta' legislativa nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti». Come si puo' agevolmente notare, nessuna delle norme ora richiamate ha riprodotto il testo dell'art. 10 della legge Scelba o vi ha fatto rinvio. Al contrario, quando la legge n. 131 del 2003 ha voluto stabilire limiti all'applicazione della normativa regionale a seguito dell'entrata in vigore della competente legislazione statale lo ha fatto esplicitamente, come nella seconda parte del comma 2, dedicato alle materie appartenenti alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato. L'art. 10 della legge n. 62 del 1953 - per quanto si e' detto - e' da ritenersi abrogato, dunque, a seguito dell'introduzione del nuovo testo del Titolo V della Costituzione o, a tutto concedere, a partire dall'entrata in vigore della legge 5 giugno 2003, n. 131, che ha ridisciplinato la materia. La conseguenza necessaria di questo ragionamento e' che il tribuna1e amministrativo regionale veneto non aveva il potere di ritenere abrogata la normativa regionale relativa ai valori di campo magnetico alle fasce di rispetto degli elettrodotti, e che, come si e' gia' anticipato, il giudice amministrativo avrebbe al limite solo potuto sollevare la questione di legittimita' costituzionale. Ritenendo abrogata la disciplina regionale, dunque, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha esercitato un potere che non gli spettava - essendosi determinato uno sconfinamento assoluto di giurisdizione - cosi' ledendo l'autonomia regionale riconosciuta dagli artt. 5, 114 e 117 della Costituzione. Qualora, per altro, l'ecc.ma Corte costituzionale non ritenesse operata l'abrogazione della disposizione di cui all'art. 10 della legge n. 62 del 1953 ne' a seguito della novella costituzionale del 2001 ne' a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 131 del 2003, la difesa della Regione del Veneto chiede che Ella sollevi la questione di legittimita' costituzionale del medesimo art. 10 della legge Scelba avanti a se' stessa per contrasto con gli artt. 5, 114 e 117 Cost.
P. Q. M. Chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale: dichiari che non spetta allo Stato, e nel caso al Tribunale amministrativo regionale Veneto, ritenere implicitamente abrogata la legge regionale Veneto n. 27 del 1993; e, di conseguenza, annulli la sentenza 19 agosto 2005, n. 3200 della sez. I del Tribunale amministrativo regionale del Veneto per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost. Padova - Roma, addi' 6 ottobre 2005 Avv. Prof. Mario Bertolissi - Avv. Romano Morra - Avv. Andrea Manzi 05C1080