N. 527 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 giugno 2005

Ordinanza  emessa  l'8  giugno 2005 dal giudice di pace di Genova sul
ricorso proposto da Bouallacci Lofti contro Prefetto di Genova

Straniero  -  Divieto di espulsione per straniero legato da relazione
  affettiva  a  donna  in stato di gravidanza, con la quale sia stato
  concepito  il nascituro, e avente, in ogni caso, necessita' di cure
  mediche  e/o  di terapie adeguate nonche' di assistenza materiale e
  morale  -  Mancata  previsione - Violazione di diritto fondamentale
  della persona - Incidenza sul diritto alla salute.
- Decreto  legislativo  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 19,  comma 2,
  lett. d).
- Costituzione, artt. 2 e 32.
Straniero  -  Divieto di espulsione per straniero legato da relazione
  affettiva  a  donna in stato di gravidanza e con la quale sia stato
  concepito  il  nascituro, al fine di assicurare tutela e assistenza
  morale e materiale al nascituro - Mancata previsione - Incidenza su
  diritto  fondamentale  della  persona - Violazione del principio di
  tutela dei figli naturali.
- Decreto  legislativo  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 19,  comma 2,
  lett. d).
- Costituzione, artt. 2 e 30.
(GU n.44 del 2-11-2005 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Nel   proc.   n. 265/05  R.G.  Affari  non  cont.,  promosso  dal
Bouallacci  Lofti,  nato  in  Tunisia il 7 aprile 1973, elettivamente
domiciliato  in  Genova, in via Gavotti n. I/6, presso e nello studio
dell'avv.  Gianfranco  Pagano,  che  lo rappresenta e difende come da
mandato a margine del ricorso, ricorrente.
    Contro   Prefettura   di   Genova   in  persona  del  funzionario
amministrativo  sig.  Davide  Verri,  delegato  dalla  Prefettura  di
Genova,  resistente,  avverso il decreto di espulsione n. 055361/Cat.
II/Uff.  Imm.  emesso  p.  il Prefetto di Genova dal vice Prefetto in
data  11 maggio  2005,  con  il quale, esaminati gli atti in possesso
della  Questura  di Genova, dai quali risultava che il ricorrente, in
Italia  senza  regolare  dimora,  avente  la  cittadinanza  tunisina,
sedicente, aveva dichiarato su apposito modulo plurilingue, di essere
entrato  nel  territorio  dello  Stato  attraversando  il  confine di
«sconosciuto»  nel  periodo  di 5 novembre 2004, privo del prescritto
visto  d'ingresso,  sottraendosi ai controlli di frontiera e comunque
non  aveva  richiesto  il  permesso  di  soggiorno  entro otto giorni
lavorativi,  e,  considerato che, esigenze di celerita' impedivano di
comunicare l'avvio del procedimento in quanto l'interessato era privo
di  permesso  di  soggiorno  e  avrebbe potuto rendersi irreperibile,
decretava  l'espulsione  dal  territorio  nazionale (visto l'art. 13,
comma  2,  lettere  a)  e  b)  del  d.lgs.  n. 286/1998  e successive
modifiche),  informandolo  degli  obblighi e facolta' spettantegli, a
cui  faceva  seguito  lo  stesso giorno: 11 maggio 2005 il verbale di
notifica del decreto di espulsione precitato, da parte della Questura
di Genova - Ufficio immigrazione, informandolo degli obblighi e delle
facolta'  spettantegli,  e  a  cui  faceva  seguito lo stesso giorno:
11 maggio  2005 il provvedimento del Questore di Genova con il quale,
rilevato che non era possibile eseguire con immediatezza l'espulsione
mediante  accompagnamento alla frontiera essendo necessario procedere
ad  accertamenti  supplementari  in  ordine all'identita/nazionalita'
dello straniero, essendo necessario acquisire un valido documento per
l'espatrio,  e,  visto  l'art. 14,  d.lgs.  n. 286/1998  e successive
modifiche,  e, considerato che il Dipartimento della Polizia di Stato
aveva  indicato  quale Centro piu' vicino con disponibilita' di posti
il   Centro  di  permanenza  temporanea  e,  assistenza  di  Crotone,
disponeva   che  fosse  trattenuto  ivi  per  il  tempo  strettamente
necessario  alla rimozione degli impedimenti all'accompagnamento alla
frontiera, informandolo degli incombenti previsti.
    Il   giudice  di  pace,  a  scioglimento  della  riserva  assunta
all'udienza del giorno: 6 giugno 2005.
    Premesso   che   il  decreto-legge  14  settembre  2004,  n. 231,
convertito in legge n. 271/2004, in data 12 novembre 2004, pubblicato
in  Gazzetta  Ufficiale  del  13  novembre  2004,  con  le  modifiche
apportate,  che  ha  attribuito  la competenza in subiecta materia al
giudice di pace, ha conservato la struttura di procedimento camerale,
in   quanto,   pur  non  reintroducendo  l'applicazione  della  norma
corrispondente  al  rito  suddetto,  ex art. 737 c.p.c., inserita dal
comma  3,  d.lgs.  13 aprile 1999, n. 115, poi abrogato dall'art. 12,
comma 1,  lett. f) della legge 30 luglio 2002, n. 189, specificamente
prevede  all'art. 13,  comma 4, che la «decisione non e' reclamabile,
ma  impugnabile  per  Cassazione»,  mutuando, in tal guisa, caratteri
costitutivi della procedura suindicata;
        che,  in  dipendenza  di  cio', la decisione qui assumenda ha
natura  di decreto a motivazione necessaria, ossia, non ampia come la
sentenza,  ne'  succinta  come  l'ordinanza,  bensi'  sommaria, e per
l'effetto,  limitata all'indicazione dei fatti posti dal Pronunciante
alla  base  dell'iter  logico-giuridico  del suo convincimento (Cass.
civ., sez. I, 25 agosto 1997, n. 7958, Vari c. Rampini RV507071);
        che,   tale   normativa,   esemplifica,   precipuamente,   un
procedimento,  la cui materia del contendere e' afferente alla tutela
di  un  diritto  soggettivo  incardinato  nell'ambito  di  una  causa
devoluta  al g.o., in quanto inerente a questione di diritto civile o
politico (inerente la persona), indipendentemente dalla posizione del
titolare  del  diritto «comunque possa essere interessata la pubblica
amministrazione»  (art. 2, legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E). Nel
caso  in  esame,  il  decreto  di  espulsione  rientra nel novero dei
provvedimenti  amministrativi  (segnati  dai  requisiti  loro  propri
dell'autoritarieta'  e  dell'esecutorieta)  definiti quali «ordini di
polizia»;
        che,  in  relazione a quel che si e' appena detto, la disputa
circa  la  prospettata  violazione di una norma di azione - mirante a
disciplinare  i  rapporti  intersoggettivi,  delimitando  le funzioni
stesse,  in  correlazioni  con  posizioni  giuridiche  altrui  -  non
sottende  la  configurabilita' di un giudizio «sul rapporto» (proprio
del   diritto   civile),  bensi'  «sull'atto»  (specifico  di  quello
amministrativo)     avente-ossia-natura    impugnatoria    di    tipo
«demolitorio»   del   provvedimento   in   oggetto;   cio'  comporta,
ineluttabilmente,  il  restringimento  sia dell'attivita' istruttoria
del  Pronunciante,  per  cui il di lui sindacato non puo' fuoriuscire
dai  confini in cui opera, in tema di valutazione della sussistenza o
meno dei presupposti per l'emanazione dell'atto controverso, perche',
diversamente  agendo,  ossia,  esorbitando dai cardini impostigli dal
rispetto  della  sfera  di  giurisdizione spettantegli, ed, esondando
dagli   argini   in  cui  deve  incanalarsi  la  verifica  giudiziale
incombentegli,  egli  valicherebbe  le barrierede de quibus e sarebbe
censurabile  per  «straripamento di potere» per avere invaso un campo
riservato  ad  altra autorita' (quella amministrativa); prova di cio'
e'  incarnata,  indefettibilmente,  dalla  previsione della novellata
disciplina,  qui  applicanda, che permette al decidente di far luogo,
solo, all'eventuale annullamento dell'atto opposto e non alla riforma
dello stesso;
        che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionali  debbono
essere  risolte,  per  quanto possibile, in via preliminare (sent. C.
cost. n. 279/2001);
        che  l'accertamento della pregiudiziale e' il risultato di un
delicato «itinerario logico» (sent. Corte cost. n. 137/1983);
        che   per  la  proposizione  della  questione  costituzionale
debbono coesistere questi requisiti:
          1) «la rilevanza»;
          2) la «non manifesta infondatezza»;
          3)  l'impossibilita'  all'esito del tentativo esperito - di
pervenire ad un «interpretazione adeguatrice»;
        che   la   «rilevanza»   definibile   come  probabilita'  che
l'eventuale  pronuncia  della Corte sia in grado di incidere/influire
sul  processo  principale  concretamente  (cd.  assenza  del  difetto
relativo di rilevanza), viene sempre piu' considerata sotto l'aspetto
dell'applicabilita'   della   norma   (sentt.   nn.  115-125-149-180-
255/2001,  240/2002):  per  cio'  sembra preferibile che il giudice a
quo,  nell'impossibilita'  della  certezza, sia convinto almeno della
ragionevole probabilita' che la norma costituzionalmente dubbia venga
applicata e motivi di conseguenza la sua decisione (la Corte parla di
«ragionevole possibilita» sent. n. 227/1998);
        che la lettura dell'art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953,
fa  esplicito  riferimento  all'ipotesi  che il caso non possa essere
deciso    indipendentemente   dalla   risoluzione   della   questione
principale;
        che  la  «non  manifesta infondatezza», dapprima racchiusa in
termini che richiamano il dubbio carico di sospetto ed incertezza del
vulnus   al   dettato   costituzionale   (sent.  n. 171/1977),  quale
condizione  psicologica,  pur minima, per l'emanazione dell'ordinanza
di   rinvio,   allo   stato,   e'   contraddistinta   -  sempre  piu'
frequentemente  - da espressioni quali «certo», «palese», «evidente»,
«insanabile»;
        che   l'impossibilita'   a   giungere   a   l'interpretazione
adeguatrice,  da  parte del giudice a quo, e' sussumibile quando Egli
non sia in grado di a tanto provvedere anche in presenza del «diritto
vivente»;
        che, anche quando la questione di legittimita' costituzionale
sia   avanzata   dalla   parte,  e,  non,  ex  officio  dal  giudice,
quest'ultimo   conserva   la   funzione   di   «soggetto  di  impulso
processuale, ben potendo modificare e trasformare (in senso riduttivo
o     ampliativo),     anche,     all'occorrenza,    attraverso    la
"reinterpretazione"  del  contenuto  della  domanda de qua, l'oggetto
dell'impugnativa adeguandolo a "parametro" della violazione».
    Cio' premesso, rilevato che questo giudice di pace ritiene muniti
dei  requisiti  della rilevanza, non manifesta infondatezza e che non
ritiene    possibile   sciogliere   il   nodo   in   punto   mediante
interpretazione adeguatrice, i termini delle questioni de quibus come
infra  spiegando,  per  cui  fin  d'ora indica quanto oggetto del suo
provvedimento, ossia:
        a)    solleva,    d'ufficio,    questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 286/1998
e  successive  modifiche, in relazione agli artt. 2 e 32 Cost., nella
parte  in  cui  la  norma  denunciata non prevede anche che non debba
essere  eseguito  -  al  fine  di  permettere  alla donna in stato di
gravidanza  e  richiedente,  in ogni caso, necessita' di cure mediche
e/o  terapie adeguate, di ricevere assistenza materiale e morale - il
decreto  di  espulsione  di  straniero  alla  stessa  legato  da  una
relazione   affettiva,  e,  con  la  quale  sia  stato  concepito  il
nascituro;
        b)    solleva,    d'ufficio,    questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 286/1998
e  successive  modifiche, in relazione agli artt. 2 e 30 Cost., nella
parte  in  cui  la  norma  denunciata non prevede anche che non debba
essere  eseguito  -  al  fine  di  assicurare  tutela  ed  assistenza
materiale e morale al nascituro il decreto di espulsione di straniero
legato alla donna in stato di gravidanza da una relazione affettiva e
con la quale sia stato concepito il nascituro.
    In linea di fatto risulta:
        che l'interessata: M. V., di nazionalita' italiana, residente
a  Genova,  nubile,  studentessa,  di  anni  venti  d'eta', e' legata
affettivamente  e  stabilmente  -  per  sua ammissione (dichiarazione
scritta del 18 maggio in atti) al ricorrente, e, che da circa un mese
e'   in  stato  di  gravidanza  avendo  concepito  con  l'istante  il
nascituro;
        che  tale  condizione  e'  acclarata  dai  documenti  clinici
allegati al ricorso;
        che,  in  particolare, da essi evincesi che il 14 maggio 2005
la  partoriente  e'  stata  ricoverata  al  Pronto  soccorso S. Carlo
Regione  Liguria ASL 3 - Presidio Ponente, in conseguenza dello stato
morboso  meglio  descritto  in  relativo  certificato,  ov'e' stilata
prognosi di giorni tre salvo complicazioni.
    In punto di diritto e' sussumibile:
        che l'art. 16, dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
(New  York,  10 dicembre 1948), riconosce il diritto dell'individuo a
fondare  una  famiglia,  considerando a riguardo - il matrimonio come
una  scelta  possibile,  in  assenza  della quale, non e' pretermesso
alcun diritto alla tutela della famiglia definita semplicemente quale
«nucleo  naturale  e  fondamentale della societa», avente «diritto ad
essere protetta dalla societa' e dallo Stato» senz'altra enunciazione
tassativa afferente il vincolo matrimoniale;
        che  l'art. 8  della  Convenzione europea per la salvaguardia
dei  diritti  dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma
il  4 novembre  1950,  ratificata  in Italia con legge 4 agosto 1955,
n. 848,  sancendo  il  diritto  al  rispetto  della  vita  privata  e
familiare  amplia  la  sfera  di  tutela  dell'individuo  rispetto al
modello di cui al regime matrimoniale;
        che  l'art. 2  Cost.  garantisce i diritti fondamentali dello
straniero  (Corte  cost.  18 luglio  1986, n. 199, Foro it., 1988, I,
2803);
        che il valore costituzionale della salute garantita dall'art.
32  Cost.,  come diritto inviolabile, non puo' soffrire limitazioni o
esclusioni  del  corrispondente  dovere  inderogabile di solidarieta'
(cfr. sul principio generale: C. cost. 17 giugno 1987, n. 226, Giust.
civ. 1987, I, 2457);
        che,  in  base  a  quanto  detto,  l'espulsione  in questione
costituisce grave nocumento per la madre del nascituro;
        che,  operando un giudizio di bilanciamento tra gli interessi
in  contesa: quelli dello Stato e quelli dell'individuo, si da' corpo
al   problema   che   giustifica   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata al capo a);
        che  la  riforma  del  1975,  nell'intento  di  equiparare la
filiazione  legittima  e naturale, pur non potendosi ritenere la qual
cosa completamente realizzata, ha dato protezione al figlio naturale;
        che  l'art. 30  tende ad eliminare posizioni giuridicamente e
socialmente  deteriori  per  i  figli  naturali (C. cost. 16 febbraio
1963, n. 7, in Foro it., 1963, I, 471);
        che  la  tutela  dei  figli,  nati  fuori  dal matrimonio, e'
assicurata  proprio  dal  cennato art. 30 Cost. (C. cost. 28 dicembre
1970, n. 205, Foro it., 1971, I, I; Giur. Cost., 1970, 2257);
        che  il  riconoscimento  la  difesa  dei  diritti  del figlio
naturale  (C.  cost. 14 aprile 1969, n. 79, in Foro.it 1969, I, 1033,
Giur.  cost.,  1969,  I, 113; C. cost. 30 aprile 1973, n.50, Foro it.
1973,  I,  1684), e' in correlazione coi doveri dei genitori naturali
verso la prole;
        che,  di  conseguenza,  il provvedimento espulsivo per cui e'
controversia  vanifica i diritti del nascituro - figlio naturale, ed,
impedisce  l'adempimento dei doveri del genitore - naturale passibile
del provvedimento amministrativo opposto.
    Queste  considerazioni  motivano  la  questione  di  legittimita'
costituzionale del capo b).
    Considerato  che  ai  sensi  dell'art. 295  c.p.c. l'incidente di
legittimita'  costituzionale  determina la sospensione necessaria del
processo  nel  quale  il  medesimo  e' sollevato (Cass. civ., sezioni
unite 3 giugno 1983, n. 3783, Minarellic. Inadel);
        che,  da  cio',  e'  adottabile  la  misura della sospensione
dell'esecuzione del decreto espulsivo opposto;
                              P. Q. M.
    Dispone  la sospensione dell'esecuzione del decreto di espulsione
opposto fino alla decisione della Corte costituzionale adita;
    Solleva:
        a)   d'ufficio,   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 19,  comma  2,  lett.  d) del d.lgs. n. 286/1998 successive
modifiche,  in  relazione agli artt. 2 e 32 Cost., nella parte in cui
la norma denunciata non prevede anche che non debba essere eseguito -
al   fine   di  permettere  alla  donna  in  stato  di  gravidanza  e
richiedente,  in  ogni  caso,  necessita' di cure mediche e/o terapie
adeguate,  di  ricevere assistenza materiale e morale - il decreto di
espulsione   di   straniero  alla  stessa  legato  da  una  relazione
affettiva, e con la quale sia stato concepito il nascituro;
        b)   d'ufficio,   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 19,  comma  2, lett. d) del d.lgs. n. 286/1998 e successive
modifiche,  in  relazione agli artt. 2 e 30 Cost., nella parte in cui
la norma denunciata non prevede anche che non debba essere eseguito -
al  fine  di  assicurare  tutela  ed assistenza materiale e morale al
nascituro  il decreto di espulsione di straniero legato alla donna in
stato  di  gravidanza  da  una relazione affettiva e con la quale sia
stato concepito il nascituro.
    Manda la cancelleria di notifica alle parti nonche' al Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  e  di  comunicarla ai Presidenti della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
        Genova, addi' 8 giugno 2005
                     Il giudice di pace: Cattani
05C1089