N. 537 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 maggio 2005
Ordinanza emessa il 4 maggio 2005 dalla Corte dei conti, sez. giur.le per la Regione Siciliana sul ricorso proposto da Marino Nicola contro Ministero dell'economia e delle finanze Previdenza e assistenza sociale - Dipendenti della Regione Siciliana - Ratei pensionistici arretrati (nella specie: ratei relativi all'indennita' di contingenza dovuta, in caso di cumulo di pensioni, a seguito della sentenza della Corte n. 516/2000) - Termine prescrizionale quinquennale - Decorrenza, secondo la giurisprudenza della Sezione giurisdizionale d'appello presso la Regione Siciliana, costitutente «diritto vivente», dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, anziche' dalla data di richiesta dell'avente diritto, come ritenuto dalle Sezioni riunite della stessa Corte dei conti, nonche' dalla Corte di cassazione - Ingiustificato trattamento privilegiato dei crediti previdenziali rispetto ai crediti da lavoro. - Regio decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2, commi 2 e 4. - Costituzione, art. 3.(GU n.45 del 9-11-2005 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 266/2005 nel giudizio di pensione civile iscritto al n. 27230 del registro di segreteria promosso ad istanza di Marino Nicola, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo e Maurizio Guerra, nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze. Visto l'atto introduttivo del giudizio depositato il 6 agosto 2002. Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale. Uditi alla pubblica udienza del 18 aprile 2005 l'avv. Alessandro Maggio, su delega dell'avv. Paolo Guerra, per il ricorrente, ed il dott. Pietro Di Giovanni per il Ministero dell'economia e delle finanze. F a t t o L'odierno ricorrente, titolare di pensione privilegiata tabellare n. 4082652 concessa dal Ministero della difesa ed erogata dal Ministero dell'economia e delle finanze, con atto depositato il 6 agosto 2002 ha lamentato la mancata attribuzione, da parte di quest'ultimo, sul predetto trattamento di quiescenza, in godimento dal 1° febbraio 1979, dell'indennita' integrativa speciale nella misura intera e della 13ª mensilita' per il periodo di contemporaneo svolgimento di attivita' lavorativa presso IA.N.I.C. di Gela, dal 3 marzo 1975 sino al 31 gennaio 2003, data di collocamento a riposo. Il ricorso, per quanto riguarda la sola indennita' integrativa speciale, ha fatto seguito ad una prima istanza amministrativa del 20 marzo 1993, rigettata con nota n. 3634 del 20 marzo 1993. Nessuna istanza risulta presentata per la corresponsione della 13ª mensilita', prima del ricorso proposto innanzi a questa Corte. L'Amministrazione si e' costituita in giudizio con atto depositato il 24 marzo 2005 ed ha rilevato come per la 13ª mensilita' il presunto diritto scaturisca dalla sentenza n. 232/1992 del 27 maggio 1992 della Corte costituzionale - la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 97, primo comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui non determina la misura della retribuzione, oltre la quale non compete la tredicesima mensilita' - eccependo che il ricorrente «non avendo esercitato nell'arco dei 5 anni decorrenti da tale data, non puo' vantare alcuna pretesa in ordine alle somme maturate nel periodo precedente», eccependo, pertanto, entro tali limiti la relativa prescrizione. Per quanto riguarda l'indennita' integrativa speciale, poi, la prescrizione e' stata eccepita in modo generico - dopo pero' avere svolto le argomentazioni di cui sopra riferite alla 13ª mensilita' - per cui, radicandosi il diritto nella sentenza n. 566/1989 la quale ha dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 36 Cost., l'art. 99, quinto comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui dispone la sospensione dell'indennita' integrativa speciale nei confronti dei pensionati che prestino opera retribuita presso lo Stato, le amministrazioni pubbliche e gli enti pubblici, in quanto non stabilisce il limite dell'emolumento per le attivita' alle quali si riferisce, dovendosi ritenere ammissibile, al di sotto di tale limite, il cumulo integrale fra trattamento pensionistico e retribuzione, senza che sia sospesa la corresponsione dell'indennita' integrativa - e dovendosi applicare gli stessi criteri di perimetrazione dell'eccezione di prescrizione indicati dall'amministrazione per la precedente fattispecie, dovrebbero essere dichiarati prescritti i ratei maturati prima del 22 dicembre 1989. Alla pubblica udienza del 18 aprile 2005 l'avv. Alessandro Maggio, su delega dell'avv. Paolo Guerra, per il ricorrente, ha insistito per l'accoglimento del ricorso, mentre il dott. Pietro Di Giovanni ha confermato le richieste di cui all'atto scritto. D i r i t t o La giurisprudenza di questa Corte e' ormai assolutamente costante e consolidata, in termini tali da potersi ormai parlare di diritto vivente, nel senso della fondatezza della domanda di corresponsione dell'I.I.S. nella misura intera in costanza di cumulo tra un trattamento pensionistico ed un trattamento di attivita' di servizio, cosi' come anche quella afferente la 13ª mensilita' (cfr. Corte dei conti, ss.rr. n. 14/QM/03; Idem, sez. giurisdiz. d'appello per la Regione Siciliana; nn.190/A e 188/A del 22 dicembre 2000; Idem, sez. giurisdiz. Sicilia, 19 maggio 1998, n. 151; Idem, sez. giurisdiz. Lazio, 27 agosto 1997, n. 445). Ne consegue che il ricorso, nel merito, deve considerarsi manifestamente fondato e da cio' deriva anche il diritto alla corresponsione degli arretrati ed accessori di legge, dalla data di maturazione di ogni singolo rateo di pensione. Ma proprio su quest'ultimo aspetto, quello del diritto ai ratei arretrati, l'Amministrazione ha sollevato eccezione di prescrizione quinquennale. Per quanto riguarda la 13ª mensilita' e' stata formulata eccezione di prescrizione quinquennale con la precisazione che sono da considerarsi prescritti i ratei maturati prima della sentenza n. 232/1992 della Corte costituzionale, mentre per quel che riguarda la prescrizione quinquennale sui ratei di I.I.S. l'Amministrazione si e' limitata ad una generica eccezione, dopo, pero', avere svolto le suddette argomentazioni. Orbene, l'accertamento in ordine alla rituatita' della proposizione dell'eccezione di prescrizione costituisce, come l'interpretazione del contenuto del ricorso introduttivo del giudizio, oggetto di una indagine di fatto del giudice del merito, non soggetto a sindacato di legittimita' tranne che per vizi di motivazione, ed in tale operazione ermeneutica il giudice deve tener conto, ai sensi degli art. 1362 e ss. c.c., della volonta' della parte in relazione al diritto fatto valere per il quale viene eccepita la prescrizione, tenendo conto, tra gli altri, del criterio secondo cui, ove l'eccezione riguardi una specifica prescrizione, il giudice non puo' applicarne d'ufficio una diversa e che per la ritualita' dell'eccezione non e' necessaria ne' l'adozione di formule rituali, ne' l'indicazione della disposizione di legge invocata, occorrendo peraltro che la parte manifesti chiaramente l'intenzione di avvalersi della prescrizione dando le indicazioni di fatto necessarie per rendere comprensibile ed individuabile la relativa eccezione (Cass. civ., sez. lav., 2 marzo 1995, n. 2412). Alla luce di tali canoni ermeneutica l'eccezione di prescrizione proposta dall'Amministrazione deve intendersi come estintiva quinquennale e riferita, per la 13ª mensilita', come testualmente indicato, ai soli ratei maturati prima della sentenza costituzionale n. 232/1992 (e quindi, con prescrizione dei ratei maturati prima del 27 maggio 1992). Si tratta, in quest'ultimo caso, di una rinuncia tacita alla prescrizione per incompatibilita' assoluta tra il comportamento del debitore e la volonta' del medesimo di avvalersi della causa estintiva del diritto altrui: cioe' nel comportamento del debitore e' necessariamente insita, senza possibilita' di una diversa interpretazione, l'inequivocabile volonta' di rinunciare alla (parte) della prescrizione gia' maturata e, quindi, di considerare come tuttora esistente e azionabile quel diritto che si era invece estinto (Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2002, n. 14909). Tale rinuncia, pero', a parita' di condizioni normative e fattuali, non puo' non ritenersi implicita anche per quel che riguarda i ratei dell'I.I.S., essendo chiara l'intenzione dell'Amministrazione di rinunciare alla prescrizione per quei ratei maturati dopo le sentenze di incostituzionalita' ma non prima e, poiche' nel caso dell'I.I.S. la sentenza e' intervenuta il 22 dicembre 1989, si sarebbe invece realizzata la condizione che l'amministrazione ha evidenziato non essersi concretizzata per la 13ª mensilita' e, cioe', la proposizione di una domanda in via amministrativa entro il quinquennio successivo alla sentenza di incostituzionalita' (e precisamente il 20 marzo 1993), cosi' che tale idoneo atto interruttivo sarebbe, in ipotesi, sufficiente a radicare il diritto agli arretrati sin dal 3 marzo 1975, attesa la rinuncia agli effetti della prescrizione, da parte dell'Amministrazione, per tutti i ratei maturati dopo la sentenza di incostituzionalita'. Si pone, quindi, il problema di stabilire la decorrenza del termine prescrizionale, se, cioe', esso debba decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza n. 566/1989 della Corte costituzionale per tutti i ratei maturati in data antecedente (ed in questo caso la rinuncia operata dall'amministrazione determinerebbe, alla luce dell'istanza del 1993, il diritto ai ratei arretrati sin dal 3 marzo 1975) o se, a prescindere dalla suddetta sentenza, esso debba decorrere per ogni rateo comunque dalla data di maturazione, anche se precedente alla citata sentenza (ed in questo caso sussisterebbe il diritto ai ratei arretrati dal 20 marzo 1988, quinquennio precedente all'istanza del 1993). Va a tal proposito sin da subito evidenziato che la vicenda (nella fattispecie assai complessa per l'esegesi sull'eccezione di prescrizione formulata dall'Amministrazione in termini di parziale rinuncia agli effetti medesimi della prescrizione) e' solo una delle tantissime che (in presenza di regolari e tempestivi atti periodici interrottivi della prescrizione) ha investito questa giurisdizione a seguito delle citate sentenze di incostituzionalita' e, da ultimo, per quel che riguarda la Regione Siciliana, della n. 516/2000 e che, alla luce di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale della Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana di questa Corte, rischiano seriamente (per la quantita' del contenzioso e gli importi ad essi relativi) di alterare i gia' precari equilibri finanziari dei bilanci statale e regionale. Nel merito, la Corte suprema di cassazione ha ripetutamente affermato il principio che il vizio di illegittimita' costituzionale non ancora dichiarato dalla Corte costituzionale, non determinando un impedimento legale all'esercizio del diritto, ma ponendo in essere una mera difficolta' di fatto, non incide sulla decorrenza della prescrizione che, pertanto, ha inizio dal giorno in cui il diritto stesso poteva essere fatto valere, pur con il necessario giudizio incidentale di legittimita' costituzionale (Cass. civ., sez. lav., 3 giugno 2000, n. 7437; Cass. civ., sez. lav., 1° giugno 2000, n. 7289; Cass., 11 febbraio 1985, n. 1165). Sulla stessa linea si e' da tempo attestata la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto che al fine di stabilire la data di decorrenza della prescrizione dei ratei pensionistici da attribuire all'avente diritto a seguito della declaratoria di incostituzionalita' di una disposizione di legge, debba ritenersi che il vizio di illegittimita' costituzionale non ancora dichiarato costituisca una mera difficolta' di fatto all'esercizio del diritto assicurato dalla norma depurata dall'incostituzionalita', e pertanto non impedisce il decorso della prescrizione (art. 2935 c.c.), restando esclusa la possibilita' di far decorrere il termine prescrizionale dalla pubblicazione della pronunzia di incostituzionalita', atteso che anche tale sentenza non e' creatrice di una nuova norma, ma solo liberatrice di un contenuto normativo gia' presente, sia pure in nuce, nella disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima; e, pertanto, la data di insorgenza oggettiva del diritto ai maggiori assegni pregressi, da attribuirsi al personale in pensione, a seguito della declaratoria di incostituzionatita' di una disposizione di legge, viene a coincidere con quella, diversa da caso a caso, del giorno in cui ogni avente titolo, con la presentazione della propria richiesta, ha consolidato il diritto alla riliquidazione del proprio trattamento pensionistico ed al suo quantum, ed e' quindi da tale data che deve essere computato, a ritroso, il quinquennio prescrizionale, dato che con essa - e da essa - sorge il subordinato diritto alla liquidazione dei maggiori assegni arretrati (Corte dei conti, Friuli-Venezia Giulia, sez. giurisdiz, 17 aprile 1996, n. 49). Nello stesso senso si sono pronunciate le sezioni riunite di questa Corte, investite per definizione di questione di massima, con sentenze n. 8/2000/QM e n. 16/2003/QM. Tuttavia, la sezione giurisdizionale d'appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana, con giurisprudenza ormai assolutamente costante (tra le tante vedi Corte dei conti, sez. giur. d'appello Sicilia, nn. 218/2004, 219/2004, 227/2004, 2/2005 e 4/2005), disattendendo sia l'orientamento della suprema Corte di cassazione, sia quello delle sezioni riunite che delle altre sezioni d'appello centrali della Corte dei conti, e' dell'avviso che tale tesi non possa trovare immediato ingresso in materia pensionistica e che il termine prescrizionale debba, quindi, decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza di dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale, con conseguenti oneri finanziari per l'erario di non trascurabile entita': basti solo rilevare come il ricorrente di cui al presente giudizio, in caso di accoglimento della tesi fatta propria dai giudici d'appello siciliani, avrebbe diritto alla percezione di oltre 30 anni di arretrati, a decorrere dal marzo 1975. Ad avviso dei giudici d'appello l'istituto pensionistico sarebbe configurabile come una situazione giuridica complessa, nella quale la realizzazione del diritto risulta necessariamente subordinata all'emanazione di un provvedimento amministrativo o ad una specifica disposizione di legge che esplicitamente attribuisca il diritto stabilendone misura e modalita' di erogazione. Conclusivamente, i giudici d'appello affermano che, mentre la norma non ancora dichiarata incostituzionale che vieta l'attribuzione di una prestazione pensionistica, in assenza dei suddetti presupposti, impedisce la realizzazione del diritto, con l'intervenuta declaratoria di incostituzionalita' della norma la pretesa patrimoniale viene a concreta esistenza, con la conseguenza che solo allora, divenendo concretamente azionabile il diritto, possono decorrere i termini prescrizionali. Orbene, tale interpretazione offerta dai giudici d'appello siciliani, per la stessa struttura del processo innanzi a questa Corte che non prevede ulteriori gravami alle sezioni riunite, sia pure solo per motivi di diritto, ne' l'efficacia vincolante in punto di diritto delle sentenze emesse dalle sezioni riunite su questioni di massima nell'esercizio della loro funzione nomofilattica, deve ritenersi che abbia acquisito, sia pure limitatamente ai giudizi pensionistici relativi ai ricorrenti residenti in Sicilia e che nella sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana individuano il giudice d'appello precostituito per legge, la dignita' e le caratteristiche del c.d. diritto vivente, del quale questo giudice non puo' non prendere atto ai fini della pronuncia sul punto controverso, atteso che ogni eventuale decisione di segno contrario verrebbe inevitabilmente gravata di appello dalla parte interessata e conseguentemente cassata dai giudici del gravame. Cosi' come, peraltro, costituisce diritto vivente nel restante territorio nazionale l'interpretazione opposta, offerta dalla Corte suprema di cassazione e valida per i crediti di lavoro (alla cui tutela si ispira quella dei crediti pensionistici), sia per gli stessi crediti pensionistici, cosi' come prospettato dalla unanime giurisprudenza della Corte dei conti con l'eccezione qui indicata. Tale situazione, pero', genera una palese disparita' di trattamento, sotto un duplice profilo, l'uno intrinseco alla norma interpretata e l'altro che potremmo definire «di sistema». Sotto il primo profilo deve rilevarsi come l'art. 2, commi e 4, del r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, secondo l'interpretazione costituente diritto vivente per questo giudice, farebbero decorrere il termine di prescrizione quinquennale, nell' ipotesi di credito sorgente da una sentenza di illegittimita' della Corte costituzionale, dalla data di pubblicazione della sentenza medesima. Si tratta, come di tutta evidenza, di una condizione del tutto singolare ed eccezionale rispetto ai principi generali fatti propri dalla giurisprudenza di tutte le giurisdizioni sul punto e relativi ad ogni altro tipo di credito, ivi inclusi quelli da lavoro dipendente (oltre a quelli sempre pensionistici ma di competenza, in sede di appello, delle altre sezioni della Corte dei conti) per i quali opera il principio diametralmente opposto secondo cui l'incostituzionalita' della norma non costituisce impedimento legale all'esercizio del diritto. Tale eccezione non trova alcuna ragionevole giustificazione, creando, invece, una palese condizione di disparita' di trattamento a discapito di tutti gli altri crediti di ogni natura, inclusi quelli da lavoro dipendente e previdenziali, per i quali la norma non si applica, con violazione, quindi, dell'art. 3 della Costituzione. Sotto altro profilo, che si e' gia' definito «di sistema», il sopravvivere di questo diritto vivente nei termini sopra descritti, fondato su basi territoriali liberamente predeterminabili dall'interessato (la competenza territoriale di primo grado e' determinata solo sulla base della residenza del ricorrente alla data di proposizione del ricorso), comporta un'irragionevole quanto ingiustificata disparita' di trattamento fra i cittadini italiani che in relazione al giudice d'appello (da essi stessi peraltro opzionabile attraverso lo spostamento di residenza al momento di proposizione del ricorso) si vedono applicati due diversi quanto contrastanti diritti viventi, con palese violazione dell'art.3 della Costituzione. Non appare, quindi, palesemente infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 2 e 4, del r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, nella parte in cui prevede, secondo l'interpretazione costituente diritto vivente nell'ambito della giurisdizionale contabile siciliana, che il termine prescrizionale per i ratei dell'indennita' di contingenza o altre analoghe da corrispondersi sui trattamenti pensionistici decorra, se impedita dalla legge, dalla data di pubblicazione delle sentenze di illegittimita' della Corte costituzionale. La questione e' rilevante al fine del decidere, poiche' dall'accoglimento o dal rigetto della questione di costituzionalita' nei termini qui prospettati deriverebbe una notevole diversificazione nel diritto agli arretrati dei ricorrenti. Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e gli atti rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio di competenza.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 2 e 4, del r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, in relazione all'art. 3 della Costituzione, nei termini di cui in parte motiva. Ordina la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la presente ordinanza sia, a cura della segreteria, notificata al ricorrente, al Ministero dell'economia e delle finanze ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Palermo, nella Camera di consiglio del 18 aprile 2005. Il giudice unico: Zingale 05C1108