N. 540 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 2005

Ordinanza  emessa  il  16  maggio  2005  dal  tribunale di Genova sul
ricorso  proposto  da  Mera  Mendoza Carlos Javier contro Prefetto di
Genova

Straniero  -  Divieto  di espulsione - Estensione agli stranieri, pur
  non  in  regola  con  le norme disciplinanti il soggiorno, «giovani
  adulti»  ancora  a  carico  dei  familiari  per ragioni oggettive -
  Lesione del diritto fondamentale della persona - Irragionevolezza -
  Violazione  degli  artt. 8  e 12 della CEDU nonche' della normativa
  internazionale  e comunitaria in materia di diritti degli stranieri
  -  Violazione  del  principio di unita' familiare e di tutela della
  famiglia.
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 2.
- Costituzione, artt. 2, 3, 10, 29 e 30.
Straniero  -  Ricongiungimento  familiare - Limitazione ai soli figli
  maggiorenni   a   carico,   incapaci   di   provvedere  al  proprio
  sostentamento  a  causa  di  invalidita'  totale  -  Estensione  ai
  «giovani   adulti»  ancora  a  carico  dei  familiari  per  ragioni
  obiettive  -  Mancata  previsione - Lesione di diritto fondamentale
  della  persona  -  Irragionevolezza - Violazione degli artt. 8 e 12
  della  CEDU nonche' della normativa internazionale e comunitaria in
  materia  di  diritti  degli  stranieri - Violazione dei principi di
  tutela dell'unita' familiare e di tutela della famiglia.
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 29, comma 1, lett.
  b-bis).
- Costituzione, artt. 2, 3, 10, 29 e 30.
(GU n.46 del 16-11-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Sentiti   il   legale   di   parte   ricorrente  che  ha  chiesto
l'accoglimento del ricorso, ed il rappresentante dell'Amministrazione
che  ha chiesto il rigetto del medesimo, a scioglimento della riserva
di cui al verbale che precede, ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Il  cittadino ecuadoregno Mera Mendoza Carlos Javier ha impugnato
il  decreto  di  espulsione  del  Prefetto della Provincia di Genova,
emesso  e  a  lui  notificato in data 3 agosto 2004, con il quale gli
veniva  contestato  di  essere  entrato in Italia nel settembre 2001,
attraversando la frontiera di Torino, e di non avere mai richiesto il
permesso  di  soggiorno  entro  il termine di legge, permanendo cosi'
irregolarmente   sul  territorio  nazionale.  Sulla  base  di  quanto
evidenziato  dal  legale  del  ricorrente,  nel  capoluogo  ligure si
trovavano  gia'  i famigliari del ricorrente (il padre, la madre, e i
tre  fratelli  minori,  rispettivamente  di  14,  11  e 9 anni), come
risultava  dalla  documentazione versata in atti. Cosi' illustrata la
situazione famigliare del ricorrente, il suo difensore evidenziava il
gravissimo pregiudizio che sarebbe a lui derivato dall'allontanamento
dello Stato, e dal connesso divieto di rientro per dieci anni, atteso
che  in  tal  caso  egli  si  troverebbe immediatamente privato della
possibilita'  di  rimanere in Italia, e quindi di vivere con i propri
congiunti.  In  altre parole, secondo la tesi di parte ricorrente, il
prefetto   avrebbe   dovuto  tenere  in  considerazione  tali  legami
affettivi,  come  riconosciuti dalla sentenza della Corte europea dei
diritti  dell'uomo (III sezione del 13 febbraio 2001), ove si precisa
che, nel caso di «fondamentali rapporti familiari e sociali» radicati
nel Paese ospite, l'espulsione puo' avvenire «solo se la sua condotta
costituisce  una  minaccia  grave per l'ordine pubblico (...)», fermo
restando  che  la  tutela  dell'unita' familiare trova riconoscimento
anche  nella  nostra  Costituzione. Inoltre, secondo il difensore del
ricorrente,   sarebbero   state   violate   «molte   disposizioni  di
convenzioni  internazionali  tra  le  quali, in particolare, l'art. 8
della  Convenzione  per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali  che  tutela il diritto al rispetto della vita
privata  e  familiare,  il quale non puo' subire ingerenza se non per
ragioni  connesse  alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica,
al  benessere  economico,  alla difesa dell'ordine e alla prevenzione
dei  reati,  alla  protezione  della  salute  o  della  morale,  alla
protezione dei diritti e delle liberta' altrui». Veniva pure eccepita
la  violazione dell'art. 7 della legge 241/1990 e del Prot. n. 7 alla
Convenzione  di  Strasburgo  del 1984, recepita con legge n. 98/1990,
atteso  che  non  era  stata  comunicata  all'interessato l'avvio del
procedimento   amministrativo   di   espulsione  ex  art.  13  d.lgs.
n. 286/1998,   e   in  quanto  non  ricorrevano  nel  caso  in  esame
particolari   esigenze  di  celerita'.  Veniva  ancora  lamentata  la
violazione  dell'art.  13,  comma 7, nonche' dell'art. 2, comma 6 del
d.lgs.  286/1998,  e dell'art. 24 Cost., avuto riguardo alla asserita
mancata   traduzione   del  provvedimento  espulsivo  in  una  lingua
conosciuta  allo  straniero  dell'ordine di allontanamento, da cui la
asserita  radicale nullita' del provvedimento impugnato atteso che il
giudice del merito non aveva accertato la comprovata conoscenza della
lingua italiana da parte dell'interessato.
    Per  quanto  concerne il pure impugnato ordine di allontanamento,
veniva altresi' sottolineata l'asserita violazione della normativa di
settore (art. 3, comma 3 del Reg. 394/1999 e l'art. 3, comma 1, della
legge  241/1990) che prevede che ogni atto amministrativo deve essere
motivato,  con  la precisazione che, non avendo trovato realizzazione
nella  specie  l'accompagnamento  a  mezzo  forza pubblica, avrebbero
dovuto  essere  esplicitati  i motivi per cui tale allontanamento non
veniva eseguito.
    Nel  corso  della presente procedura l'Amministrazione versava in
atti  il  c.d.  modulo  plurilingue,  apparentemente sottoscritto dal
ricorrente in data 3 agosto 2004, ove la data dell'ingresso in Italia
veniva individuata esattamente nel 27 settembre 2001.
    All'esito  della  prima  udienza  questo  giudice  confermava  la
sospensione,  in  via cautelare, dell'efficacia esecutiva del decreto
di  espulsione  impugnato,  ed invitava il difensore del ricorrente a
documentare   l'inserimento   del   ricorrente   presso  la  famiglia
d'origine,   la   regolarita'  della  presenza  in  Italia  dei  suoi
congiunti,   e   lo   svolgimento   di  attivita'  lavorativa,  o  la
frequentazione della scuola, da parte dei parenti presenti in Italia.
    Tutto  cio'  premesso,  venendo  al merito della decisione rileva
questo  giudicante  che  non e' contestato il fatto che il ricorrente
sia  entrato  nel nostro Paese il 27 settembre 2001, come risulta dal
menzionato  modulo  plurilingue.  Cio'  comporta  l'essere pienamente
integrata  la  fattispecie  di cui all'art. 13, comma 2, lett. b) del
d.lgs.  n. 286/1998,  relativa  al  fatto  di  essersi  lo  straniero
trattenuto  nel  territorio  dello  Stato  senza  avere  richiesto il
permesso  di  soggiorno  nel termine previsto (otto giorni lavorativi
dall'ingresso,  ai  sensi  dell'art.  5,  comma  2,  del citato testo
normativo).  In  ordine  all'ipotesi  di un ritardo dovuto alla forza
maggiore  il  ricorrente  non solo non ha offerto alcuna prova in tal
senso, ma neppure ha fatto cenno a tale problematica.
    Sulla  base  di quanto sopra affermato consegue che le principali
doglianze  della  difesa  di  parte  ricorrente  volte a sostenere la
pretesa  illegittimita'  del  provvedimento  di  espulsione impugnato
appaiono  manifestamente infondate. Cosi' pure e' infondato il motivo
del  ricorso  collegato  al mancato avviso dell'avvio della procedura
all'odierno  ricorrente,  poiche' la giurisprudenza di questo Ufficio
e'  consolidata  nel  senso  che, a fronte del nuovo quadro normativo
determinato   dall'entrata   in   vigore   della  legge  n. 189/2002,
l'avvenuta  tipizzazione  delle  ipotesi di espulsione amministrativa
dello  straniero esclude l'esercizio di potere discrezionale da parte
dell'Autorita'  competente, la quale infatti, accertata la ricorrenza
di  una delle ipotesi previste dalla legge, e' tenuta alla automatica
emissione  del  decreto  di espulsione, senza necessita' di ulteriori
indagini volte a verificare caso per caso la sussistenza di ulteriori
circostanze.   In   sostanza,   proprio   in  ragione  del  carattere
obbligatorio   e  vincolato  sopra  delineato  del  provvedimento  di
espulsione,  previsto  ai sensi dell'art. 13, commi 2 e 3, dalla c.d.
legge Bossi-Fini, l'Amministrazione puo' dirsi esonerata dall'obbligo
di   cui  all'art. 7  della  legge  n. 241/1990,  ferma  restando  la
possibilita'  di  differire il pieno contraddittorio tra l'organo che
emette  il provvedimento e chi ne e' destinatario nel giudizio avanti
al  giudice  ordinario.  Va  inoltre  ritenuta priva di fondamento la
ulteriore  doglianza  legata  alla  mancata traduzione del decreto di
espulsione  e  dei  provvedimenti conseguenti, perche', nella specie,
come  si  evince  dalle  produzioni in atti, esiste una traduzione in
spagnolo   dell'impugnata  espulsione.  Quanto  agli  ulteriori  atti
conseguenti  che non risultano tradotti (cosi' ad esempio l'ordine di
lasciare   il  territorio  nazionale),  va  ricordato  il  prevalente
orientamento  della  giurisprudenza  di  merito  (condiviso da questo
giudice)   laddove   si  afferma,  ragionevolmente,  che  la  mancata
traduzione  di atti in una lingua non conosciuta dallo straniero, non
comporta   affatto   la   nullita'  del  provvedimento,  ma  solo  la
(eventuale)  non decorrenza dei termini perentori di impugnazione. La
stessa  Corte  costituzionale  (si v. sent. n. 198/2000) ha affermato
che,  poiche' la traduzione e' preordinata ad assicurare la effettiva
conoscibilita'   del   provvedimento   (essendo   essa   «presupposto
essenziale  per  l'esercizio  del  diritto  di  difesa»),  la mancata
traduzione,  o  la  traduzione  in  una  lingua  non  conosciuta  dal
destinatario  del  provvedimento»  determina,  appunto,  solo  la non
decorrenza del termine perentorio dell'impugnazione, il che si rivela
non  pertinente  alla  fattispecie in esame, in quanto il ricorrente,
presentando  tempestivo  ricorso  e  difendendosi  nel  merito per il
tramite  del suo legale, ha dimostrato di avere potuto ben verificare
il contenuto di tutti gli atti emessi a suo carico.
    Devono   a   questo   punto   essere   affrontati  i  profili  di
incostituzionalita'   della   normativa   in   materia  di  stranieri
evidenziati  dal  difensore  del  ricorrente  che,  sia  pure  in via
subordinata,  ha  eccepito,  tra  l'altro,  anche  il  contrasto  del
provvedimento  impugnato  con  il  diritto  all'unita' della famiglia
tutelato  dalla  nostra Carta costituzionale. Al fine di una migliore
comprensione  di  tali  aspetti  appare  preliminare  dare atto delle
risultanze  di  fatto  emerse  nel corso della presente procedura per
quanto  concerne  il  nucleo parentale di riferimento del signor Mera
Mendoza.  Come  si  e'  anticipato,  risultano  essere  presenti  sul
territorio  nazionale  il padre, signor Mera Vargas Carlos Manuel, la
di  lui  madre,  signora  Mendoza  Bravo  Erelita, entrambi muniti di
regolare  permesso  di  soggiorno,  e i tre fratelli minori di cui il
ricorrente  risulta  occuparsi  durante  gli  impegni  di  lavoro dei
genitori. In definitiva il ricorrente e' un giovane ecuadoregno, che,
all'eta'  di  soli  19 anni, ha raggiunto in Italia i suoi familiari,
evidentemente  nella speranza di potere ricostituire nel nostro Paese
l'unita' del nucleo parentale esistente nella nazione di origine. Per
completezza  e' il caso di aggiungere che appare fuori discussione lo
stato  di  dipendenza, anche economica, del ricorrente dal suo nucleo
familiare,  atteso che egli non risulta svolgere attivita' lavorativa
e,  in  quanto  irregolare in Italia, egli non puo' aspirare a lavori
regolari.  Tutto  cio'  precisato  in linea di fatto, va ricordato in
punto  di  diritto il contenuto dell'art. 2 del d.lgs. n. 286/1998 il
quale  prevede  che  allo straniero «comunque presente sul territorio
dello  Stato» sono riconosciuti «i diritti Fondamentali della persona
umana  previsti  dalle  norme  di  diritto interno, dalle convenzioni
internazionali  in  vigore,  e dai principi di diritto internazionale
generalmente  riconosciuti».  Non puo' essere poi contestato il fatto
che   tra   i   diritti   fondamentali  della  persona,  riconosciuti
dall'art. 2  della  Carta  costituzionale, rientri a pieno titolo «il
diritto all'unita' familiare». Lo stesso giudice delle leggi ha avuto
modo di affermare la piena equiparazione degli stranieri ai cittadini
italiani  per  quanto concerne il godimento dei diritti in materia di
famiglia  (si  v.  ad  es.  le  sentenze n. 28/1995, n. 203/1997). In
particolare  la Corte, piu' recentemente (cfr. sent. n. 376/2000), ha
ribadito che la piu' ampia protezione riconosciuta alla famiglia «non
puo'  non  prescindere  dalla condizione, di cittadini o di stranieri
(dei  genitori),  trattandosi di diritti umani fondamentali, cui puo'
derogarsi  solo  in  presenza di specifiche e motivate esigenze volte
alla  tutela  delle  stesse  regole  della  convivenza democratica.».
Proprio  nella pronuncia da ultimo citata e' stato evidenziato come i
principi  di protezione dell'unita' familiare trovino riconoscimento,
non solo nella nostra Costituzione, ma anche in svariate disposizioni
dei  trattati internazionali ratificati dall'Italia (gli artt. 8 e 12
della   legge  4  agosto  1955,  n. 848  che  ha  reso  esecutiva  la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali; l'art. 10 del Patto internazionale relativo ai
diritti   economici,   sociali   e  culturali:  l'art. 23  del  Patto
internazionale  relativo ai diritti civili e politici, resi esecutivi
dalla  legge 25 ottobre 1977, n. 881). In particolare va sottolineato
che  il  diritto  all'unita'  della  famiglia, secondo la prospettiva
delineata  dall'art. 8  della CEDU, risponde all'esigenza che la vita
familiare  di  un  soggetto,  anche  non  cittadino,  possa  soffrire
ingerenza  da  parte  della  pubblica  autorita'  solo quando cio' si
riveli  necessario «per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il
benessere   economico   del  Paese,  la  prevenzione  dei  reati,  la
protezione  della  salute o della morale, la protezione dei diritti e
delle  liberta'  altrui». In argomento non pare irrilevante ricordare
che  le  norme  della  Convenzione  europea  per  la salvaguardia dei
diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali, fatte salve quelle
il  cui contenuto e' di genericita' tale da non delineare fattispecie
sufficientemente  puntualizzate,  hanno  valore  precettivo,  secondo
l'interpretazione  che  ne ha dato la suprema Corte (cfr. Cass., sez.
un., 8  maggio  1989,  n. 15),  nel  senso che esse sono di immediata
applicazione  nel  nostro  Paese e vanno concretamente valutate nella
loro  incidenza sul piu' ampio complesso normativo che si e' venuto a
determinare  in  conseguenza  del  loro  inserimento nell'ordinamento
italiano».
    Tornando  alla  fattispecie in esame, va ribadito il fatto che il
nucleo   familiare   del  giovane  ricorrente  sta,  necessariamente,
provvedendo  al  suo  mantenimento  e  alla  sua assistenza nel pieno
rispetto   della   previsione   dell'art. 30  della  Costituzione  (e
dell'art. 147  del nostro codice civile) che afferma, tra l'altro, il
diritto  e  il  dovere  dei  genitori  «di  mantenere  i figli». Tale
diritto-dovere,  che  ha  a  che  vedere con la necessita' di dare un
concreto  supporto  alla prole lungo tutto l'arco della sua crescita,
per  il  costante  orientamento della suprema Corte, non cessa con la
maggiore  eta' ma si protrae sino a che il figlio non sia in grado di
rendersi  autonomo,  a  meno  che  egli  non  sia responsabile per il
mancato  raggiungimento  dell'indipendenza  economica.  Sotto  questo
profilo,  in considerazione della giovane eta' del ricorrente, tenuto
conto della normativa costituzionale e internazionale in materia, non
pare possibile, in linea di principio, negare il diritto del predetto
a  convivere  con la propria famiglia legittima in Italia, atteso che
egli  solo  all'interno  del  suo  nucleo  parentale  originario puo'
soddisfare  non solo i suoi bisogni materiali, ma prima ancora quelli
di  natura affettiva e, quindi, morale. In altre parole, cio' che qui
si  vuole  sottolineare  e'  che il globale inserimento, lavorativo e
scolastico, dei congiunti del Mera Mendoza in Italia, rende del tutto
astratta  e,  come  tale,  non  proponibile  l'ipotesi  che  l'unita'
familiare possa essere realizzata dal ricorrente e dal suoi familiari
in  un  altro  Paese  diverso  dal nostro (in questa prospettiva cfr.
Trib.  Genova, decreto 22 marzo 2004, est. Martinelli, ric. Pico Diaz
Mercy  Elena).  Inoltre,  avuto  riguardo al fatto che quella vissuta
dall'opponente  e'  proprio la condizione in cui, di norma, versa una
gran  parte  dei  giovani  adulti  italiani  ancora conviventi con la
propria famiglia d'origine, appare possibile sostenere che sottoporre
un  ragazzo  straniero  ad  un  diverso trattamento comporterebbe una
discriminazione non giustificabile sulla base dei principi di diritto
in precedenza esposti.
    Con riguardo alla vigente normativa in tema di stranieri viene in
rilievo l'art. 19 del d.lgs. n. 286/1998, il quale nel disciplinare i
divieti  di  espulsione,  si  limita a prendere a fare riferimento al
figli  minori  di  stranieri  espulsi,  senza prendere minimamente in
considerazione  la posizione dei giovani adulti, titolari del diritto
all'unita'  familiare,  nella  misura  in  cui  si tratta di soggetti
ancora a carico di parenti coabitanti, questi ultimi in regola con il
permesso di soggiorno, con i quali potrebbero essere ricongiunti. Ma,
sempre con riferimento allo stesso testo normativo, in relazione alla
presente  fattispecie  e alla materia del ricongiungimento familiare,
e'  pure  rilevante  il  contenuto  dell'art. 29,  primo comma, lett.
b-bis), in forza del quale, proprio con riguardo all'ipotesi di figli
maggiorenni   «a   carico»,   lo   straniero   puo'   richiedere   il
ricongiungimento  con  i  predetti  soltanto «qualora non possano per
ragioni  oggettive  provvedere  al  proprio sostentamento a causa del
loro   stato   di  salute  che  comporti  invalidita'  totale».  Tale
previsione  fortemente  restrittiva appare irragionevole e gravemente
lesiva  di  quel  diritto  all'unita'  familiare  di cui, sussistendo
determinati  presupposti,  dovrebbe  poter godere anche lo straniero,
presente  sul  territorio  di  uno  Stato estero, ove si tratti di un
giovane  adulto  ancora  a  carico dei suoi familiari, per ragioni di
carattere   oggettivo   indipendenti,   quindi,  dalla  volonta'  del
soggetto.
    La  rilevanza  dei  riferimenti  normativi che precedono, ai fini
della  risoluzione  della presente decisione, appare indiscutibile in
quanto,  come  si  e'  accennato,  il  Prefetto  di  Genova ha potuto
pronunciare l'espulsione in esame proprio per la portata estremamente
riduttiva   delle  disposizioni  esaminate,  le  quali  non  appaiono
conformi  al  quadro costituzionale e alle convenzioni internazionali
in  materia.  In  definitiva,  per  tutte  le  ragioni indicate nella
motivazione che precede, le due norme da ultimo citate sembrano porsi
in  contrasto  con  gli  articoli  2,  3,  10,  29  e 30 della nostra
Costituzione. Conseguentemente, in quanto ritenute non manifestamente
infondate,   si   ritiene   di   dover   sollevare  la  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 19,  comma  2,  del  d.lgs. n. 286/1998,
nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione per i giovani
adulti   stranieri,   titolari   del  diritto  all'unita'  familiare,
conviventi  con  parenti  regolarmente  soggiornanti e a loro carico,
nonche'   dell'art.   29,  primo  comma,  lett.  b-bis)  del  decreto
legislativo citato (cosi' come modificato dalla legge 30 luglio 2002,
n. 189), nella parte in cui, come si e' visto, limita la possibilita'
di  ricongiungirnento  familiare ai soli figli maggiorenni «a carico»
in  ragione di uno stato di salute che comporti «invalidita' totale»,
senza  estendere  tale  previsione  anche ai giovani adulti, ancora a
carico dei familiari per ragioni oggettive.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 1  della  legge costituzionale 9 febbraio 1948,
n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 7;
    Dichiara  la  rilevanza  e  la  non  manifesta infondatezza della
questione  di  costituzionalita' dell'art. 19 del d.lgs. n. 286/1998,
in  relazione  agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione, nella
parte  in  cui,  nel disciplinare i divieti di espulsione, non prende
minimamente  in  considerazione  la  posizione  dei  giovani  adulti,
titolari  del  diritto  all'unita'  familiare, nella misura in cui si
tratta  di  soggetti  ancora  a  carico di parenti coabitanti, questi
ultimi in regola con il permesso di soggiorno, con i quali potrebbero
essere  ricongiunti,  nonche' dell'art. 29, primo comma, lett. b-bis)
del  decreto legislativo citato (cosi' come modificato dalla legge 30
luglio  2002,  n. 189), sempre in relazione agli artt. 2, 3, 10, 29 e
30  della  Costituzione, nella parte in cui limita la possibilita' di
ricongiungimento  familiare  ai  soli  figli  maggiorenni  a  carico,
qualora  non  possano provvedere al proprio sostentamento a causa del
loro stato di salute che comporti invalidita' totale, senza estendere
tale  previsione  anche  ai  giovani  adulti,  ancora  a  carico  dei
familiari, per ragioni oggettive.
    Dispone  la  trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale e
sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa,  al  Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche'  comunicata  ai  Presidenti  delle  due Camere del
Parlamento.
    Si comunichi alle parti nelle forme di legge.
        Genova, addi' 12 maggio 2005
                         Il giudice: Galanti
05C1111