N. 408 SENTENZA 24 ottobre - 3 novembre 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Misure cautelari personali - Termini di durata -
  Computo  - Pluralita' di ordinanze emesse per piu' reati non legati
  da  connessione  qualificata  -  Decorrenza dei termini dalla prima
  ordinanza,  in  caso  di  accertata sussistenza di idonei indizi di
  colpevolezza gia' al momento dell'emissione del primo provvedimento
  cautelare   -   Mancata  previsione  -  Denunciata  violazione  del
  principio  costituzionale  che riserva alla legge la determinazione
  della  durata dei termini di custodia preventiva - Dipendenza della
  durata  della  custodia  cautelare non da un fatto obiettivo, ma da
  una  valutazione  soggettiva  dei  titolari  del potere cautelare -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Cod. proc. pen., art. 297, comma 3.
- Costituzione, art. 13, comma quinto.
(GU n.45 del 9-11-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3,
del  codice di procedura penale, promossi con ordinanze del 25 giugno
e  del  16 ottobre  2003  dal  Tribunale  di  Napoli - sezione per il
riesame  sugli  appelli  proposti  da  R.  F. e da L. P., iscritte ai
nn. 1031 del registro ordinanze 2003 e 13 del registro ordinanze 2004
e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 49, 1ª
serie   speciale,   dell'anno 2003   e   n. 8,   1ª  serie  speciale,
dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 maggio 2005 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Tribunale  di  Napoli,  sezione  per  il  riesame  dei
provvedimenti  restrittivi  della liberta' personale e dei sequestri,
con  ordinanza depositata in cancelleria il 25 giugno 2003 (reg. ord.
1031  del  2003), ha chiesto dichiararsi, in riferimento all'art. 13,
quinto  comma,  della  Costituzione,  l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 297,  comma 3,  del codice di procedura penale, nella parte
in  cui  non  prevede  che  la norma stessa si applichi anche a fatti
diversi,  in  connessione  non  qualificata  ai  sensi  dell'art. 12,
comma 1,  lettere b) e c), del codice di procedura penale, oggetto di
ordinanze  emesse  nei  confronti  dello  stesso  soggetto  in  tempi
diversi, sempre che si accerti in modo incontestabile la sussistenza,
a  disposizione  dell'autorita'  giudiziaria,  di  idonei  indizi  di
colpevolezza  gia'  al momento dell'emissione del primo provvedimento
cautelare.
    Il   giudice   rimettente   riferisce   di   essere   chiamato  a
pronunciarsi,  in funzione di giudice del riesame e quale giudice del
rinvio,   a   seguito  dell'annullamento  da  parte  della  Corte  di
cassazione  dell'Ordinanza  emessa  il  Tribunale di Napoli che aveva
accolto  l'appello  di  F.  R.  avverso l'ordinanza dal giudice delle
indagini preliminari del 4 luglio 2000, con la quale veniva rigettata
l'istanza  di  declaratoria  di  inefficacia  della  misura cautelare
applicata,   nei   confronti  dello  stesso  R.,  con  ordinanza  del
16 febbraio 2000.
    La Corte di cassazione aveva annullato il provvedimento impugnato
enunciando   il  principio  secondo  cui  «come  si  desume  in  modo
inequivoco  dal  tenore letterale e logico della norma richiamata, il
divieto della contestazione a catena opera - nel caso (come quello di
specie)  in  cui  sia  stata  disposta con piu' ordinanze la medesima
misura   cautelare   per   fatti   diversi   commessi   anteriormente
all'emissione  della prima ordinanza - sempre che in relazione a tali
fatti  sussista  connessione  ai  sensi  dell'art. 12,  primo  comma,
lettere b)  e  c,)  del  codice di procedura penale, limitatamente ai
casi di reati commessi per eseguire gli altri, e sempre che si tratti
di  fatti  desumibili  dagli atti del procedimento prima del rinvio a
giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione».
    Aggiungeva  il  rimettente  di  avere ritenuto, con ordinanza del
21 agosto   2001,   non   manifestamente   infondata,   in  relazione
all'art. 13,  quinto  comma,  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 297,  comma 3,  del codice di
procedura  penale,  ma  che  la  Corte  costituzionale, con ordinanza
n. 151 del 2003, aveva dichiarato la manifesta inammissibilita' della
questione   rilevando   che,   nell'ipotesi   in   cui   i   principi
costituzionali vengano invocati dal giudice di rinvio per contrastare
il principio di diritto affermato in fase di legittimita' ed evitarne
l'applicazione,   la   motivazione   della   rilevanza   deve  essere
particolarmente  rigorosa  e  che l'ordinanza di rimessione non aveva
motivato  adeguatamente le ragioni per le quali, pur essendo unica la
fonte  probatoria  (intercettazioni  ambientali),  tra  il delitto di
omicidio  oggetto  della  prima  ordinanza  e i delitti di omicidio e
associazione  per  delinquere, oggetto della seconda, non sussistesse
alcun rapporto di connessione qualificata.
    Il  rimettente  dunque  richiama  interamente  la  sua precedente
ordinanza   di   rimessione  e  la  intende  interamente  trascritta,
apportando ulteriori argomenti.
    Afferma  il  giudice  a  quo  che  del  primo delitto (un duplice
omicidio)  il  R.  e'  chiamato a rispondere in qualita' di mandante,
mentre   dei   secondi  (un  altro  omicidio  e  un'associazione  per
delinquere   di  stampo  mafioso)  risponde  come  autore  materiale.
Andrebbe   pertanto   esclusa   la   sussistenza  del  vincolo  della
continuazione,   posto   che   altro   e'   il   generico   programma
dell'associazione,  altro  e' il disegno criminoso di cui all'art. 81
cod.  pen.,  che  richiede  la rappresentazione, sin dall'inizio, dei
singoli   episodi  criminosi  individuati  almeno  nelle  loro  linee
essenziali,  e  che  e'  ravvisabile solo quando risulti che l'autore
abbia  gia'  previsto  e  deliberato  in  origine l'iter criminoso da
percorrere e i singoli reati attraverso cui si snoda (in questo senso
e'  la Cassazione, che ha ritenuto che un'associazione per delinquere
non puo' costituire, di per se' sola, prova dell'unicita' del disegno
criminoso  fra  i  reati  commessi  per  il perseguimento degli scopi
dell'associazione).
    Risulta,  inoltre, come dimostrato nella precedente ordinanza del
rimettente,  che  gia'  al  momento  dell'emissione  del primo titolo
custodiale  il  pubblico  ministero  procedente  aveva a disposizione
tutti  gli  elementi  necessari  e  sufficienti per contestare al Rea
anche il secondo delitto.
    Anche con riferimento all'imputazione associativa ex art. 416-bis
cod. pen., oggetto della seconda ordinanza, secondo il rimettente, il
pubblico  ministero era in possesso di tutti gli elementi necessari e
sufficienti  per  la  contestazione  del  reato  associativo  gia' al
momento  della  prima  ordinanza,  poiche'  gli omicidi oggetto della
prima ordinanza erano aggravati ex art. 7 del decreto legge 13 maggio
1991,   n. 152   (Provvedimenti   urgenti   in  tema  di  lotta  alla
criminalita'   organizzata   e   di   trasparenza  e  buon  andamento
dell'attivita'  amministrativa), convertito, con modificazioni, nella
legge   12 luglio   1991,   n. 203,   per   appartenere   il   R.  ad
un'organizzazione camorristica.
    Venendo alla non manifesta infondatezza della questione, sostiene
il  giudice  a  quo  che  l'applicazione  del  principio  di  diritto
enunciato  dalla  Cassazione impone al giudice di rinvio, obbligato a
rispettarlo, un'interpretazione dell'art. 297, comma 3, del codice di
procedura penale in contrasto con il dettato costituzionale (art. 13,
quinto comma, Cost.), che riserva alla legge la durata dei termini di
custodia,  giacche' lascerebbe arbitro il pubblico ministero, gia' in
possesso  degli  elementi sufficienti alla contestazione di reati non
legati  da  connessione  qualificata  con  quello oggetto della prima
ordinanza,  di  procrastinarne  la contestazione, cosi' prolungando a
sua  discrezione  il  termine,  certo  ed  invalicabile,  di custodia
stabilito  dalla  legge  (come e' avvenuto nel caso di specie, in cui
l'ordinanza cautelare per il reato associativo e per l'altro episodio
omicidiario    -    in   relazione   ai   quali   si   e'   accertato
incontestabilmente  che  il  pubblico ministero era in possesso degli
elementi necessari ad integrare le condizioni di cui all'art. 273 del
codice  di  procedura  penale  gia'  prima  dell'emissione  del primo
provvedimento cautelare - e' stata emessa un anno e quattro mesi dopo
la prima ordinanza relativa ad un duplice omicidio).
    2.  -  Il  Tribunale  di  Napoli,  sezione  per  il  riesame  dei
provvedimenti  restrittivi  della liberta' personale e dei sequestri,
con ordinanza depositata in cancelleria il 16 ottobre 2003 (reg. ord.
n. 13  del 2004), ha chiesto dichiararsi, in riferimento all'art. 13,
quinto  comma,  della  Costituzione,  l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 297,  comma 3,  del codice di procedura penale, nella parte
in  cui  non  prevede  che  la norma stessa si applichi anche a fatti
diversi,  in  connessione  non  qualificata  ai  sensi  dell'art. 12,
comma 1,  lettere b) e c), del codice di procedura penale, oggetto di
ordinanze  emesse  nei  confronti  dello  stesso  soggetto  in  tempi
diversi, sempre che si accerti in modo incontestabile la sussistenza,
a  disposizione  dell'autorita'  giudiziaria,  di  idonei  indizi  di
colpevolezza  gia'  al momento dell'emissione del primo provvedimento
cautelare.
    Il  rimettente  riferisce  di  essere chiamato a pronunciarsi, in
funzione  di giudice del riesame e quale giudice del rinvio a seguito
dell'annullamento  da  parte della Corte di cassazione dell'Ordinanza
emessa  il  Tribunale  di Napoli che aveva accolto l'appello di P. L.
avverso   l'ordinanza   dal  giudice  per  l'udienza  preliminare  il
12 luglio   2002,   con   la  quale  veniva  rigettata  l'istanza  di
declaratoria  di  inefficacia  della  misura  cautelare applicata nei
confronti dello stesso L. con ordinanza del 19 luglio 2001.
    Il  Tribunale  del  riesame  di  Napoli  aveva dichiarato cessata
l'efficacia  della  misura  cautelare  della  custodia in carcere nei
confronti  di  P.  L.,  ritenendo  la  circostanza  che  il  pubblico
ministero  fosse  gia'  in  possesso,  all'epoca dell'emissione della
prima  ordinanza,  di tutti gli elementi poi posti a fondamento della
seconda,  sufficiente a riconoscere l'applicabilita' della disciplina
dell'art. 297,  comma 3,  del  codice  di  procedura  penale, anche a
prescindere  dall'esistenza di un rapporto di connessione qualificata
tra i fatti oggetto delle due distinte ordinanze.
    La  Corte di cassazione aveva annullato l'ordinanza del Tribunale
del  riesame  di  Napoli  per  violazione  di  legge,  affermando  il
principio  che il divieto della contestazione a catena opera in tutte
le  situazioni  cautelari  riferibili  allo  stesso  fatto  o a fatti
diversi   in   relazione  ai  quali  sussista  connessione  ai  sensi
dell'art. 12, comma 1, lett. b) e c), del codice di procedura penale,
limitatamente  ai  casi  di  reati commessi per eseguire gli altri, a
nulla   rilevando   che   esse   emergano  nell'ambito  di  un  unico
procedimento  o  di  piu'  procedimenti  pendenti davanti allo stesso
giudice.
    Osserva il rimettente che l'applicazione del principio di diritto
enunciato   dalla   Corte   vincola   il   giudice   di   rinvio   ad
un'interpretazione della norma ad esso conforme.
    Nel  caso di specie le imputazioni di cui alle distinte ordinanze
non  consentono  di desumere ne' l'unicita' del disegno criminoso ne'
un  vincolo  teleologico  che  le  coinvolga.  Al  riguardo,  occorre
rilevare  che  con  la  prima ordinanza era stato contestato al L. un
duplice omicidio.
    Secondo  il  giudice a quo, la giurisprudenza sarebbe orientata a
negare  la  possibilita'  che  tra  un reato associativo (nel caso di
specie,  quello  oggetto  della seconda ordinanza) ed i singoli reati
compiuti    da   appartenenti   all'organizzazione   criminosa,   con
particolare  riferimento  ai  reati  di  omicidio  (di cui alla prima
ordinanza),  sia configurabile una correlazione di natura teleologica
o  giustificata  dall'identita'  del  disegno  criminoso rilevante ai
sensi dell'art. 297, comma 3, del codice di procedura penale.
    Per la giurisprudenza di legittimita' non potrebbe sostenersi che
la  commissione  di  omicidi  rientri  nel  generico  programma della
societas  sceleris, ne' che i diversi fatti di sangue siano consumati
«per  eseguire»  il  delitto  di  cui all'art. 416-bis cod. pen., dal
momento  che  tale  reato si commette con la semplice affiliazione al
sodalizio,  ed e' preesistente rispetto ai singoli reati di omicidio.
Questi  ultimi,  infatti,  pur  essendo certamente non inconsueti nel
panorama  di  attivita' criminosa della struttura delinquenziale, non
rappresentando  la  finalita'  per  la  quale l'associazione e' stata
costituita,  possono  essere  ideati  ed  attuati successivamente: la
natura permanente dell'associazione e la sua preesistenza rispetto ai
singoli episodi criminali, impedisce di collegare fra di loro i reati
in  modo tale da poter sostenere che questi ultimi siano compiuti per
eseguire il reato associativo.
    Esclusa,  dunque,  nel  caso  di  specie, la configurabilita' del
vincolo  della  connessione  qualificata  o della continuazione tra i
reati oggetto delle due ordinanze cautelari, conseguirebbe il rigetto
dell'appello dell'imputato.
    Aggiunge  il  rimettente  che  non  puo'  pero' non rilevarsi che
l'ossequio  al  principio  indicato  dal  giudice di legittimita' non
preclude  al  Tribunale  di  sollevare  la  questione di legittimita'
costituzionale   dell'art. 297,  comma 3,  del  codice  di  procedura
penale.
    Secondo  il  giudice  a  quo,  risulterebbe evidente la rilevanza
della  questione,  atteso che la decisione da adottarsi e' quella del
rigetto  dell'istanza  difensiva,  laddove  ad opposta conclusione si
perviene  ove  si  ritenga che la norma di cui all'art. 297, comma 3,
del  codice  di  procedura  penale  si  applichi anche all'ipotesi di
pregressa  conoscenza  da  parte  del pubblico ministero di tutti gli
elementi  posti  a base della seconda ordinanza gia' al momento della
richiesta di emissione della prima.
    Il  pubblico  ministero  era  in  possesso  di tutti gli elementi
necessari  e  sufficienti  per la contestazione del reato associativo
gia'  al  momento  dell'emissione  della  prima  ordinanza cautelare.
Infatti, oltre ad essere i delitti contestati con l'aggravante di cui
all'art. 7  del  decreto  legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti
urgenti   in  tema  di  lotta  alla  criminalita'  organizzata  e  di
trasparenza   e   buon   andamento   dell'attivita'  amministrativa),
convertito,  con  modificazioni,  nella legge 12 luglio 1991, n. 203,
per  essere stati posti in essere avvalendosi delle condizioni di cui
all'art. 416-bis   cod.  pen.,  va  sottolineato  come  gli  elementi
indiziari  relativi  al  reato  associativo  fossero desumibili dalle
emergenze  processuali  gia' a disposizione dell'autorita' inquirente
all'epoca   della   formulazione   della   precedente   richiesta  di
applicazione  della  misura della custodia in carcere. Ed invero, sia
le  dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia che
le  risultanze  delle intercettazioni telefoniche, poste a fondamento
della  seconda  ordinanza,  risultavano acquisite dagli investigatori
nel periodo antecedente l'emissione della prima ordinanza cautelare.
    Ristretto  l'ambito  di  operativita' dell'art. 297, comma 3, del
codice  di  procedura penale ai soli casi ricordati dalla Cassazione,
consegue,  ad avviso del Tribunale, un'interpretazione della norma in
contrasto  con  il  dettato  costituzionale  (art. 13,  quinto comma,
Cost.),  che  riserva  solo alla legge la previsione della durata dei
termini  di  custodia,  mentre  nel  caso  di specie sarebbe di fatto
rimesso  all'arbitrio  del pubblico ministero, gia' in possesso degli
elementi  sufficienti  alla  contestazione  di  reati  non  legati da
connessione  qualificata con quello oggetto della prima ordinanza, il
procrastinare di fatto la contestazione di addebiti sui quali fondare
un'ordinanza  cautelare,  cosi' venendosi a prolungare, a discrezione
del  requirente, il termine di custodia, invece certo e invalicabile,
stabilito dalla legge (nel caso in esame, nonostante si sia accertato
che  il  pubblico  ministero,  come  gia'  riferito,  fosse  gia'  in
possesso,  al  momento  dell'emissione  della  prima ordinanza, degli
elementi  necessari  per  l'emissione  dell'ordinanza  per  il  reato
associativo, quest'ultima e' stata emessa a distanza di ben otto mesi
dalla prima).
    3.  - In questo secondo giudizio e' intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
infondata,  avuto  riguardo  all'attivita'  di interpretazione svolta
dalla  Corte  di cassazione allo scopo di individuare con certezza il
termine  di  decorrenza  della  misura  cautelare, in modo da evitare
ricadute   discriminatrici  dell'art. 297,  comma 3,  del  codice  di
procedura penale.
    Secondo    l'Avvocatura    generale    dello    Stato,   infatti,
l'orientamento  della giurisprudenza di legittimita', prescindendo da
qualche  interpretazione  piu'  restrittiva,  e'  certamente volto ad
applicare  l'interpretazione garantista della norma in esame invocata
dal  ricorrente,  deponendo  in  tal  senso  numerose  sentenze della
Cassazione, secondo cui la norma in questione troverebbe applicazione
anche  a fatti diversi non legati da connessione qualificata, purche'
di  detti  fatti  si  accerti  in modo incontestabile che, al momento
dell'emissione del primo provvedimento, a disposizione dell'Autorita'
giudiziaria vi erano gia' idonei indizi di colpevolezza.
    Il  criterio  interpretativo  statuito  dalla  giurisprudenza  di
legittimita'  consentirebbe, pertanto, il superamento di quei profili
di  irragionevolezza  della  norma  che  hanno determinato in passato
l'introduzione  di analoghe questioni di legittimita' costituzionale,
e,  del  pari,  il  rigetto  delle stesse per manifesta infondatezza.
Osserva,   pertanto,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che  tale
interpretazione  permette  una  lettura  costituzionalmente  corretta
della   norma  impugnata,  che  la  stessa  Corte  costituzionale  ha
ritenuto,  in  una  valutazione  di ragionevolezza in base all'art. 3
della  Costituzione,  in  grado  di  soddisfare  le  esigenze  di cui
all'art. 13, quinto comma, della Costituzione, perche' il legislatore
ha  ricondotto  il  sistema all'interno di un alveo contrassegnato da
garanzie di obiettivita'.

                       Considerato in diritto

    1.  - Con due distinte ordinanze, il Tribunale di Napoli, sezione
per il riesame dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale
e   dei   sequestri,   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 297, comma 3, del codice di procedura penale
nella  parte  in  cui esclude che la norma stessa si applichi anche a
fatti  diversi, in connessione non qualificata ai sensi dell'art. 12,
comma 1,  lettere b) e c), del codice di procedura penale, oggetto di
ordinanze  emesse  nei  confronti  dello  stesso  soggetto  in  tempi
diversi,  sempre  che  in  relazione  ad  essi  si  accerti  in  modo
incontestabile la sussistenza, a disposizione del pubblico ministero,
di  idonei  indizi di colpevolezza gia' al momento dell'emissione del
primo  provvedimento  cautelare,  per violazione dell'art. 13, quinto
comma,  della  Costituzione, che riserva alla legge la durata massima
dei  termini  di  custodia preventiva, giacche' lascerebbe arbitro il
pubblico  ministero  di  prolungare  a  sua discrezione il termine di
custodia stabilito dalla legge.
    2.  - In considerazione dell'identita' della materia, nonche' del
profilo  di  illegittimita'  costituzionale  fatto  valere, i giudizi
vanno riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia.
    3. - La questione e' fondata.
    3.1.  -  Il  problema  posto  dalle  ordinanze  e'  quello  della
conformita'  a  Costituzione della inapplicabilita' del divieto della
c.d.  «contestazione a catena» in rapporto a provvedimenti coercitivi
emessi  per  fatti  diversi  non  in connessione qualificata ai sensi
dell'art. 12,  comma 1,  lettere b)  e  c),  del  codice di procedura
penale.
    La  formula  «contestazione a catena» individua, in via generale,
il  fenomeno  dell'adozione,  in  tempi successivi, di piu' ordinanze
applicative  di misure cautelari in rapporto al medesimo fatto ovvero
a   una  pluralita'  di  fatti  gia'  noti  ab  initio  all'autorita'
giudiziaria. La diluizione nel tempo dei titoli custodiali puo' avere
l'effetto  di  aggirare  la  disciplina  dei  termini di durata della
custodia cautelare, prolungandoli artificiosamente.
    Al  riguardo, l'art. 297, comma 3, del codice di procedura penale
-  che  disciplina  il  c.d.  divieto  di  contestazioni  a  catena -
stabilisce  che  «se  nei  confronti  di un imputato sono emesse piu'
ordinanze  che  dispongono  la  medesima misura per uno stesso fatto,
benche'  diversamente  circostanziato o qualificato, ovvero per fatti
diversi commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza in
relazione  ai  quali  sussiste  connessione  ai  sensi  dell'art. 12,
comma 1, lettere b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per
eseguire  gli  altri,  i termini decorrono dal giorno in cui e' stata
eseguita   o   notificata  la  prima  ordinanza  e  sono  commisurati
all'imputazione  piu'  grave».  La  stessa norma poi aggiunge che «la
disposizione  non  si  applica relativamente alle ordinanze per fatti
non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il
fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma».
    In  sostanza  il  legislatore  ha  introdotto  un  meccanismo  di
decorrenza  unitaria dei termini di custodia, pur in presenza di piu'
titoli  cautelari,  che  opera  ove ricorrano tre condizioni relative
segnatamente: a) alla data di commissione del fatto, nel senso che il
reato  oggetto  della  seconda ordinanza custodiale deve essere stato
commesso  anteriormente alla data di emissione della prima ordinanza;
b)  al  rapporto  di connessione qualificata fra i due fatti; c) alla
data  di  emissione della seconda ordinanza custodiale, nel senso che
questa deve essere anteriore al rinvio a giudizio per il primo reato.
    3.2.  - Va innanzitutto rilevato che non puo' essere seguita, per
definire  il  presente  giudizio, la tesi prospettata dall'Avvocatura
generale  dello  Stato per la quale, ai fini della infondatezza della
questione,   potrebbe   farsi   riferimento  alla  giurisprudenza  di
legittimita'  secondo  cui la norma impugnata troverebbe applicazione
anche  con  riguardo  a  fatti  diversi  non  legati  da  connessione
qualificata  purche'  in  relazione  a detti fatti si accerti in modo
incontestabile    che,    al   momento   dell'emissione   del   primo
provvedimento,  a  disposizione  dell'Autorita'  giudiziaria vi erano
gia' idonei indizi di colpevolezza.
    La   tesi   in   questione,  infatti,  si  risolve  nell'eccepire
l'irrilevanza della questione nei giudizi «a quibus»: irrilevanza che
deve  escludersi  non  soltanto  perche' in tali giudizi i rimettenti
sono  vincolati  al  principio  di  diritto  enunciato dalla Corte di
Cassazione  -  opposto a quello recentemente affermato dalla sentenza
del  10  giugno 2005, n. 21957 delle Sezioni unite - ma anche perche'
non  puo'  dirsi che l'orientamento da ultimo espresso dalle predette
Sezioni unite costituisca «diritto vivente».
    3.3  - Il novellato comma 3 dell'art. 297 del codice di procedura
penale  -  come  sostituito  dall'art. 12  della legge 8 agosto 1995,
n. 332   (Modifiche   al  codice  di  procedura  penale  in  tema  di
semplificazione  dei  provvedimenti, di misure cautelari e di diritto
di  difesa)  ha  rappresentato  -  come  affermato  dalla  menzionata
sentenza  delle  Sezioni  unite della Corte di Cassazione - «non gia'
una  rottura,  ma  uno  sviluppo coerente, con un aumento dei casi di
retrodatazione  automatica»,  tant'e' che puo' ritenersi, che, per il
resto,  «la  nuova  disposizione  ha  lasciato immutata la situazione
normativa  preesistente,  frutto di una giurisprudenza consolidata da
epoca  di molto anteriore all'entrata in vigore del vigente codice di
rito».
    Sotto  il  vigore  del  codice di procedura penale del 1930 - che
nella  versione  originaria ignorava la materia - la disciplina della
contestazione  a  catena e' rimasta affidata alla giurisprudenza, che
aveva  riconosciuto,  in via interpretativa, l'esistenza di eccezioni
al principio di autonoma decorrenza dei termini in rapporto a ciascun
titolo  cautelare,  di cui all'art. 271, secondo comma, del codice di
procedura   penale   del  1930,  intese  specificamente  ad  arginare
possibili  abusi  da parte dell'autorita' giudiziaria, tanto nel caso
di  successive  contestazioni  del medesimo fatto, quanto nel caso di
artificiose diluizioni delle contestazioni di piu' fatti diversi.
    Nella  prima  ipotesi - plurime contestazioni successive di fatto
unico  -  la Corte di cassazione riteneva che la pluralita' di titoli
non avesse alcuna influenza sulla decorrenza dei termini di custodia,
che restava comunque ancorata alla prima misura.
    Nella seconda ipotesi - contestazione successiva di fatti diversi
-  la  Corte  di  cassazione  subordinava  la configurabilita' di una
«contestazione  a  catena»  alla  condizione  che i fatti, oggetto di
contestazione    successiva,   fossero   conosciuti   o   conoscibili
dall'autorita'  giudiziaria  ordinaria  gia' al momento dell'adozione
della prima misura: ipotesi nella quale il secondo titolo custodiale,
pur  valido,  doveva  considerarsi inidoneo a fare decorrere un nuovo
termine di custodia preventiva.
    Rompendo  il  lungo  silenzio  normativo, il legislatore ritenne,
peraltro,  di  dovere dare una regolamentazione positiva alla materia
con  la  legge  28 luglio  1984,  n. 398,  nel quadro di una generale
modifica,  in  senso  garantista,  della  disciplina  della  custodia
cautelare.  L'art. 271  cod.  proc.  pen.  del 1930 venne modificato,
introducendovi    una    disciplina    che   prevedeva   l'automatica
retrodatazione  del  dies a quo dei termini di custodia al momento di
adozione  della  prima  misura  nel  caso di contestazioni successive
relative  sia al medesimo fatto che a fatti integranti una ipotesi di
concorso formale di reati, con la precisazione che, in questo secondo
caso,  il  termine  di  custodia  doveva  comunque essere commisurato
all'imputazione  piu'  grave.  In  tale cornice, la giurisprudenza di
legittimita'  continuo'  ad  affermare,  negli  anni  successivi,  il
proprio  precedente  indirizzo, in tema di contestazioni a catena per
fatti diversi.
    Il    codice    di   procedura   penale   del   1988   confermo',
sostanzialmente,  l'impostazione  della  legge  del 1984, con l'unica
variante dell'espressa estensione della retrodatazione dei termini di
custodia - oltre che nei casi di contestazioni successive relative al
medesimo fatto o ad ipotesi di concorso formale - anche ad ipotesi di
aberratio  delicti  e  aberratio  ictus  plurioffensive,  le quali si
traducono, peraltro, in fattispecie «qualificate» di concorso formale
(originario art. 297, terzo comma, del codice di procedura penale).
    Con la riforma del 1995 e' stata introdotta la disciplina in tema
di  divieto  di  contestazione  a  catena  per fatti diversi, ma tale
disciplina,  risultando  applicabile  solo per fatti diversi commessi
anteriormente  alla  emissione  della prima ordinanza in relazione ai
quali   sussiste   connessione  qualificata  ai  sensi  dell'art. 12,
comma 1,   lettere b)   e   c),   del  codice  di  procedura  penale,
limitatamente  ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, puo'
determinare,   in   tema   di  reati  non  connessi,  un  illegittimo
prolungamento  dei  termini  di  custodia  cautelare  se  il pubblico
ministero  diluisce  nel  tempo  le  contestazioni dei singoli reati,
anche allorche' risulti che gli elementi per emettere la nuova misura
fossero  gia'  desumibili dagli atti al momento della emissione della
precedente ordinanza.
    L'esclusione  della  retrodatazione  dei  termini  di  durata  in
relazione  a  reati diversi non avvinti da una connessione cosiddetta
«qualificata»,   risulta  pertanto  del  tutto  ingiustificata  nelle
ipotesi  in  cui,  al  momento  dell'emissione della prima ordinanza,
erano  gia'  desumibili dagli atti gli elementi che hanno legittimato
l'emissione delle ordinanze successive.
    In  una  cornice  normativa,  quale  e'  quella dianzi delineata,
attenta  a  calibrare l'intera disciplina dei termini di durata delle
misure limitative della liberta' personale, e di quelle custodiali in
particolare,   sulla   falsariga   dei  valori  della  adeguatezza  e
proporzionalita',  nessuno  spazio puo' residuare in capo agli organi
titolari del «potere cautelare» di scegliere il momento a partire dal
quale  possono essere fatti decorrere i termini custodiali in caso di
pluralita'  di  titoli  e  di fatti reato cui essi si riferiscono. Se
dunque  il legislatore, in perfetta aderenza con i valori di certezza
e  di  «durata minima» della custodia cautelare (v. art. 13, primo ed
ultimo comma, Cost., nonche' art. 5, comma 3, Convenzione europea dei
diritti  dell'uomo),  ha  ritenuto  di  dover  stabilire - come si e'
dianzi accennato - meccanismi legali di retrodatazione automatica dei
termini,  in  presenza  di  certe  condizioni,  nel caso in cui tra i
diversi  titoli sussista l'indicato nesso di connessione qualificata,
a  fortiori  l'identico  regime di garanzia dovra' operare in tutti i
casi  in  cui,  pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere
adottati   in  un  unico  contesto  temporale,  per  qualsiasi  causa
l'autorita'  giudiziaria  abbia  invece prescelto momenti diversi per
l'adozione  delle  singole  ordinanze. La durata della custodia viene
cosi'  a dipendere non da un fatto obiettivo (rispettoso, dunque, del
canone   dell'uguaglianza   e  della  ragionevolezza),  quale  quello
dell'acquisizione  di  elementi  idonei  e sufficienti per adottare i
diversi  provvedimenti cautelari, ma da una imponderabile valutazione
soggettiva degli organi titolari del «potere cautelare».
    Va,    pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 297,  terzo  comma,  del  codice di procedura penale, nella
parte  in  cui  non  si  applica  anche a fatti diversi non connessi,
quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano
gia'   desumibili   dagli  atti  al  momento  della  emissione  della
precedenza ordinanza.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3,
del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui non si applica
anche  a  fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi
per  emettere  la nuova ordinanza erano gia' desumibili dagli atti al
momento della emissione della precedente ordinanza.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 24 ottobre 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                      Il redattore: Finocchiaro
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 3 novembre 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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