N. 422 ORDINANZA 9 - 14 novembre 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Sanita'  pubblica  -  Dirigente  sanitario  - Opzione tra il rapporto
  esclusivo  alle  dipendenze  dell'ospedale  e  lo svolgimento della
  libera   professione  extra  moenia,  con  perdita  della  funzione
  dirigenziale  -  Termine  per l'opzione - Decorrenza dal momento di
  effettiva predisposizione delle strutture per la libera professione
  intra  moenia  - Mancata previsione - Denunciata irragionevolezza e
  contraddittorieta', lesione dei criteri di equita' e buon andamento
  della  pubblica amministrazione, nonche' della professionalita' del
  lavoratore   -   Sopravvenuto   mutamento  del  complessivo  quadro
  normativo - Restituzione degli atti al giudice rimettente.
- D.Lgs.  30 dicembre  1992,  n. 502, artt. 15-quater, 15-quinquies e
  15-sexies; d.lgs. 2 marzo 2000, n. 49, art. 1.
- Costituzione, artt. 3, 35 e 97.
(GU n.47 del 23-11-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 15-quater,
15-quinquies  e  15-sexies  del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 502  (Riordino  della  disciplina  in  materia  sanitaria, a norma
dell'art.  1  della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell'art. 1 del
decreto  legislativo 2 marzo 2000, n. 49 (Disposizioni correttive del
decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, concernenti il termine di
opzione  per  il rapporto esclusivo da parte dei dirigenti sanitari),
promosso  con ordinanza del 6 ottobre 2003 dal Tribunale di Grosseto,
nel  procedimento  civile vertente tra Sarnicola Vincenzo e l'Azienda
U.S.L.  n. 9  di  Grosseto, iscritta al n. 180 del registro ordinanze
2004  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13,
prima serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Sarnicola Vincenzo, della
Societa'   Oftalmologica  Italiana  -  Associazione  Medici  Oculisti
Italiani (SOI--AMOI), nonche' l'atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 12 ottobre 2005 il giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Ritenuto   che  il  Tribunale  di  Grosseto,  con  ordinanza  del
6 ottobre 2003, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
-  in  riferimento  agli  artt. 3, 35 e 97 della Costituzione - degli
artt. 15-quater,  15-quinquies  e  15-sexies  del decreto legislativo
30 dicembre  1992,  n. 502  (Riordino  della  disciplina  in  materia
sanitaria,  a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421),
e   dell'art. 1   del   decreto   legislativo   2 marzo  2000,  n. 49
(Disposizioni  correttive  del  decreto  legislativo  19 giugno 1999,
n. 229,  concernenti  il termine di opzione per il rapporto esclusivo
da parte dei dirigenti sanitari);
        che  il  Tribunale rimettente premette di essere stato adito,
in  funzione di giudice delle controversie individuali di lavoro, per
la  conferma  del  provvedimento  ex  art. 700 cod. proc. civ. con il
quale  erano stati sospesi gli effetti della opzione espressa in data
20 maggio  2000  -  a norma dell'art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del
1992  - dal dirigente della divisione oculistica presso l'ospedale di
Grosseto;
        che  il  giudice  a  quo  precisa  come il predetto dirigente
sanitario  abbia  conseguito  il provvedimento cautelare in questione
solo   dopo  aver  chiesto  al  medesimo  tribunale,  sempre  in  via
d'urgenza,  che  gli  fosse  consentito  di evitare l'esercizio della
opzione  -  prevista  dalla  norma sopra richiamata - tra il rapporto
esclusivo alle dipendenze dell'ospedale e lo svolgimento della libera
professione extra moenia;
        che,   difatti,   ai   sensi  del  combinato  disposto  degli
artt. 15-quater,  comma 3, e 15-quinquies, comma 5, del d.lgs. n. 502
del   1992   -   entrambi   introdotti  dal  decreto  legislativo  19
giugno 1999,  n. 229  (Norme  per  la  razionalizzazione del Servizio
sanitario  nazionale,  a  norma  dell'art.  1 della legge 30 novembre
1998,  n. 419)  - i dirigenti sanitari gia' in servizio alla data del
31 dicembre 1998 (tale e' la condizione del ricorrente nel giudizio a
quo) risultano tenuti a comunicare - entro un termine originariamente
stabilito nel novantesimo giorno successivo all'entrata in vigore del
suddetto  d.lgs.  n. 229  del  1999,  e  poi  fissato al 2 marzo 2000
dall'art. 1  del  d.lgs.  n. 49  del  2000  -  l'opzione in ordine al
rapporto   esclusivo,   cio'   che,  oltre  a  costituire  condizione
indefettibile  per  il  mantenimento  degli incarichi di direzione di
struttura,  semplice  o  complessa,  comporta  anche la necessita' di
limitare  l'attivita'  libero-professionale  esclusivamente  a quella
«intramuraria»;
        che  l'odierno  ricorrente,  espone  ancora il giudice a quo,
allo  scopo  di conseguire la sospensione giudiziale di tale obbligo,
aveva gia' adito in sede cautelare il Tribunale di Grosseto, il quale
aveva  sollevato  una  prima questione di legittimita' costituzionale
degli  artt. 15-quater, commi 2, 3 e 4, e 15-sexies del d.lgs. n. 502
del 1992, nonche' dell'art. 1 del d.lgs. n. 49 del 2000;
        che,  in  particolare,  era  stata censurata - gia' in quella
circostanza  -  la  previsione di un termine eccessivamente ristretto
entro  il  quale il ricorrente avrebbe dovuto esercitare la scelta in
favore   del   rapporto  di  lavoro  esclusivo,  nonche'  la  mancata
subordinazione  di  tale sua opzione alla preventiva predisposizione,
da  parte  dell'Azienda  sanitaria locale, delle strutture occorrenti
per lo svolgimento di quella attivita' «intramuraria» che costituisce
per  i  dirigenti  sanitari  -  come  detto  -  la  sola modalita' di
esercizio della libera professione;
        che,  prosegue il giudice a quo, all'esito di tale originario
incidente  di costituzionalita' era intervenuta l'ordinanza di questa
Corte  n. 309  del  2002,  la  quale  - sul presupposto dell'avvenuta
soppressione  dei  «rapporti  di  lavoro  a  tempo  definito  per  la
dirigenza  sanitaria»,  disposta  da  un  ius superveniens costituito
dall'art. 1  del  decreto-legge  7 febbraio  2002,  n. 8  (Proroga di
disposizioni relative ai medici a tempo definito, farmaci, formazione
sanitaria, ordinamenti didattici universitari e organi amministrativi
della  Croce  Rossa)  -  aveva ordinato la restituzione degli atti al
giudice  a  quo,  affinche'  valutasse  la perdurante rilevanza della
sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale, alla luce del
mutato quadro normativo di riferimento;
        che  - conclude sul punto l'odierno rimettente - il Tribunale
di Grosseto, a seguito dell'indicata decisione di questa Corte, aveva
definito  il  procedimento  cautelare  (instaurato,  come detto, «per
scongiurare  l'esercizio  dell'opzione»)  mediante  l'adozione di «un
provvedimento di "non luogo a provvedere" per sopravvenuto difetto di
interesse»;
        che,  tutto  cio'  premesso  in  punto di fatto, il Tribunale
rimettente ritiene che il dubbio di costituzionalita', ribadito anche
nell'odierno giudizio a quo, sia «tuttora rilevante»;
        che  il  rimettente - chiamato a giudicare della conferma del
provvedimento   d'urgenza   con   cui  sono  stati  sospesi,  in  via
interinale,  gli  effetti  dell'opzione  per  il  rapporto  di lavoro
esclusivo,  esercitata  a norma dell'art. 15-quater del d.lgs. n. 502
del   1992   (provvedimento   cautelare   adottato  a  seguito  della
«disapplicazione»  di  tale  articolo di legge, operata dal giudice a
quo sul presupposto della sua illegittimita' costituzionale) - rileva
come  il  giudizio  in  corso (temporaneamente sospeso, in attesa che
intervenisse   proprio   la   pronuncia  resa  da  questa  Corte  con
l'ordinanza   n. 309   del   2002)   non   possa   «essere   definito
indipendentemente  dalla  risoluzione della questione di legittimita'
costituzionale»;
        che,   difatti,   soltanto   attraverso  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale delle norme censurate «il provvedimento
cautelare   potrebbe  essere  confermato»,  e  dunque  il  ricorrente
«mantenere  l'incarico  dirigenziale»,  e  cio' in quanto «il giudice
della  causa  di  merito, a differenza del giudice della causa avente
natura cautelare, non puo' disapplicare una norma di legge»;
        che   secondo   il   Tribunale   di   Grosseto,  inoltre,  la
modificazione normativa sopravvenuta - che ha indotto questa Corte ad
adottare la gia' ricordata ordinanza di restituzione degli atti - non
avrebbe  inciso  «sull'oggetto  del  contendere»,  considerato, da un
lato,  che  l'odierno  ricorrente «e' sempre stato medico dirigente a
tempo pieno» (mentre il gia' menzionato art. 1 del decreto-legge n. 8
del  2002  ha sancito la soppressione esclusivamente del «rapporto di
lavoro   a  tempo  definito  della  dirigenza  sanitaria»),  nonche',
dall'altro,  che  il  predetto decreto-legge ha lasciato invariato il
testo degli impugnati artt. 15-quater e 15-quinquies;
        che per contro, prosegue il rimettente, difettano a tutt'oggi
«le  strutture  aziendali  idonee alla professione intra moenia», non
avendo   la   competente   azienda  ospedaliera  reperito  gli  spazi
sostitutivi,    in    strutture    alternative,   all'uopo   previsti
dall'art. 72,  comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure
di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo);
        che d'altra parte, conclude sul punto il rimettente, siffatto
inconveniente  neppure  appare interamente superabile alla stregua di
quanto  stabilito dall'art. 3 del decreto legislativo 28 luglio 2000,
n. 254   (Disposizioni   correttive   ed   integrative   del  decreto
legislativo  19  giugno 1999,  n. 229,  per  il  potenziamento  delle
strutture   per   l'attivita'   libero-professionale   dei  dirigenti
sanitari),  che  abilita  il  sanitario  -  in  caso  di  «carenza di
strutture  e  spazi  idonei» - alla «utilizzazione del proprio studio
professionale»;
        che,  a parte, infatti, il rilievo che la citata disposizione
concerne  unicamente  «le  attivita'  libero-professionali  in regime
ambulatoriale, con esclusione di quelle in regime di ricovero», resta
comunque  il  fatto  che il sistema delineato dalle norme impugnate -
cio'  che  vale  secondo  il  Tribunale  grossetano ad evidenziare la
perdurante  rilevanza  dei  prospettati  dubbi di costituzionalita' -
«costringe il medico ad esosi investimenti», e soprattutto gli impone
«un  salto  nel  buio, perche' se lo stesso esercitasse l'opzione per
l'attivita'   intra   moenia,  opzione  a  tutt'oggi  irreversibile»,
correrebbe  il  rischio  di  non  poter  «piu' svolgere adeguatamente
attivita'  libero-professionale», e cio' «se al luglio 2005 ancora le
strutture  aziendali  non  fossero  idonee», ovvero se il termine per
l'esercizio dell'opzione «non fosse ulteriormente prorogato»;
        che, cio' premesso sulla rilevanza della questione sollevata,
quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  stessa  il giudice
rimettente osserva quanto segue;
        che,  in  particolare,  in  relazione  al  fatto che le norme
denunciate «non consentono di distinguere tra l'ipotesi in cui vi sia
la  concreta  possibilita'  di  espletare  l'attivita' intra moenia e
quella in cui tale possibilita' non vi sia», il giudice a quo deduce,
innanzitutto, la violazione dell'art. 3 della Costituzione;
        che  siffatta  censura  risulta  prospettata sotto un duplice
concorrente  profilo,  e  cioe'  -  innanzitutto  - che la disciplina
recata   dalle   disposizioni   impugnate  sarebbe  «irragionevole  e
contraddittoria»,  prevedendo  l'equiparazione  delle  posizioni  del
dirigente «che eserciti una effettiva scelta tra due opzioni entrambe
praticabili»   (cio'   che   si   verifica   «allorche'  siano  state
concretamente  allestite  le  strutture  per  la  libera  professione
aziendale»)   e  del  dirigente  «a  cui  sia  in  concreto  preclusa
l'alternativa della libera professione intra moenia»;
        che in entrambi i casi, infatti, risulta prevista - del tutto
irrazionalmente  -  «la  perdita  dell'incarico  dirigenziale  e  del
trattamento aggiuntivo»;
        che,  d'altra  parte, la necessita' comunque di effettuare la
scelta «prima di sapere se, effettivamente, l'azienda predisporra' le
strutture  necessarie  all'esercizio  della  libera professione intra
moenia»  equivale  a  costringere  il  sanitario a compiere «al buio»
l'opzione per il rapporto esclusivo, oltretutto «irreversibile», cio'
che,  secondo  il  rimettente,  costituisce  l'ulteriore  profilo  di
irragionevolezza    che   inficia   la   disciplina   sospettata   di
illegittimita' costituzionale;
        che  il  Tribunale di Grosseto deduce, inoltre, la violazione
anche dell'art. 97 della Costituzione, giacche' la scelta legislativa
di  fissare  il termine per l'opzione non «in relazione al momento in
cui  il  datore  di  lavoro  abbia  apprestato  i  mezzi per il pieno
esercizio  della libera professione» appare in contrasto con «criteri
di equita' e buon andamento della pubblica amministrazione»;
        che,  infine,  il  rimettente  ipotizza il contrasto pure con
l'art. 35 della Costituzione, giacche' per effetto delle disposizioni
impugnate  si «comprime senza giustificazione la professionalita' dei
dirigenti  sanitari», come sarebbe stato, del resto, gia' «ampiamente
argomentato» nell'ordinanza emessa dal medesimo Tribunale di Grosseto
culminata nella pronuncia di questa Corte n. 309 del 2002;
        che  in  forza  di  tali rilievi il giudice a quo ha, dunque,
concluso  per  la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli
artt. 14-quater, 14-quinquies e 14-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992,
«laddove  comportano  la  perdita della funzione dirigenziale in ogni
caso   di  scelta  di  proseguire  l'attivita'  extra  moenia,  senza
distinguere  tra  l'ipotesi  in  cui  vi  fosse  l'alternativa  della
professione  intra  moenia  e  quella  in cui tale alternativa non vi
fosse»,  nonche'  dell'art. 1  del  d.lgs.  n. 49  del  2000, laddove
«assegna  un  brevissimo spatium deliberandi per effettuare l'opzione
e,  ancor  piu'  radicalmente, laddove non prevede che il termine per
l'opzione  debba  decorrere  dal  momento  in cui l'azienda sanitaria
abbia  effettivamente  predisposto le strutture per l'esercizio della
libera professione intra moenia»;
        che  e'  intervenuto  nel presente giudizio il ricorrente nel
processo principale;
        che  l'interessato,  richiamandosi alle argomentazioni svolte
dal   giudice  rimettente  sulla  rilevanza  e  sulla  non  manifesta
infondatezza  della questione di legittimita' costituzionale, rileva,
in  particolare,  come  soltanto  attraverso  il  suo accoglimento il
tribunale   potrebbe   pervenire   alla  conferma  del  provvedimento
cautelare, e dunque alla definitiva reintegrazione di esso ricorrente
nell'esercizio delle sue funzioni, unitamente al riconoscimento della
continuazione  della  facolta'  di esercizio della libera professione
«extramuraria»;
        che   il   predetto  interveniente  sottolinea,  inoltre,  le
penalizzazioni  di  carattere  economico  che  subisce  il  dirigente
sanitario il quale opti per il rapporto esclusivo;
        che  per effetto, infatti, del rinvio - contenuto nell'ultimo
comma  dell'art. 15-quinquies  -  all'art. 72  della legge n. 448 del
1998, l'opzione per la libera professione «extramuraria» comporta (ai
sensi   di   quanto   disposto  dal  comma 5  del  predetto  art. 72)
«l'immediata  penalizzazione economica del dirigente medico, il quale
perde  il  50 % della retribuzione variabile di posizione ed il 100 %
della retribuzione di risultato»;
        che  in  relazione, invece, alla censura che investe l'art. 1
del d.lgs. n. 49 del 2000, l'interveniente rileva, in primis, come il
suddetto  decreto  legislativo  sia  stato  pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  n. 58 del 10 marzo 2000, «vale a dire quattro giorni prima
della  scadenza del termine per l'opzione da esso stesso introdotto»,
donde  l'ipotizzata violazione del principio di ragionevolezza e buon
andamento della pubblica amministrazione;
        che  la mancata previsione di un adeguato spatium deliberandi
si  presenterebbe,  inoltre,  costituzionalmente illegittima anche in
ragione  della  sua contrarieta' al principio di «gradualita» sancito
nella  corrispondente legge delega, «la cui violazione comporta anche
contrasto con l'art. 76 della Costituzione»;
        che,    d'altra    parte,    risultando   avvenuta   siffatta
pubblicazione  senza che nel testo del decreto figurasse l'art. 2 (il
quale  ha  disposto  l'immediata  entrata  in  vigore di tale decreto
legislativo,  e  non  all'esito  dell'ordinario  periodo  di  vacatio
legis),  il  successivo avviso di rettifica pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  n. 61  del 14 marzo 2000, con il quale si e' dato conto di
quanto  stabilito  dal  citato  art. 2, indurrebbe a ritenere violato
anche  l'art. 73  della  Costituzione,  dovendo  escludersi  che  «un
semplice  comunicato  della  Presidenza del Consiglio dei ministri» -
tale  essendo  l'atto  con  il  quale  si  e'  proceduto all'indicata
rettifica - «possa servire ad introdurre una nuova norma di legge»;
        che   e'   intervenuta   in   giudizio   anche   la  Societa'
Oftalmologica   Italiana  -  Associazione  Medici  Oculisti  Italiani
(SOI-AMOI),  la  quale,  in via preliminare, ha chiarito di aver gia'
spiegato  intervento  ad adiuvandum a sostegno della pretesa azionata
dal  ricorrente  nel  giudizio  a quo, cio' che di per se' varrebbe a
legittimare la sua partecipazione all'odierno giudizio (e' richiamata
la sentenza di questa Corte n. 330 del 1999);
        che  nel  merito,  oltre  a  fare  propri  i  rilievi  di cui
all'ordinanza   di  rimessione,  la  predetta  societa'  si  sofferma
sull'ininfluenza  che  il mutato quadro normativo - rispetto a quello
vigente  al  momento  cui  risaliva  la  prima  ordinanza  emessa dal
Tribunale  grossetano  (quella  culminata  nella  pronuncia di questa
Corte n. 309 del 2002) - eserciterebbe rispetto ai gia' evocati dubbi
di costituzionalita';
        che,  difatti,  pur  all'esito  delle modifiche apportate dal
d.lgs.  n. 254  del  2000,  la  disciplina  in contestazione, oltre a
presentare  i  gia' denunciati vizi di costituzionalita', si porrebbe
in  contrasto  anche  con  l'art. 32  della  Costituzione, atteso che
l'esercizio  del diritto alla salute appare «indissolubilmente legato
alla  liberta'  di scelta del medico da parte del paziente», liberta'
evidentemente  compressa  dalla esistenza di limiti che circoscrivono
l'attivita'    libero-professionale,    svolta    dal    medico   con
responsabilita'  dirigenziali,  all'esercizio  unicamente  di  quella
«intramuraria»;
        che   su   tali   basi,   pertanto,   la   predetta  societa'
interveniente   insiste   «nel   sollevare   questione  rilevante  di
legittimita'  costituzionale  in  relazione agli artt. 3, 32, 41 e 76
della Costituzione», non solo delle norme indicate dal giudice a quo,
ma anche «dell'art. 3 del d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254»;
        che  e' intervenuto nel presente giudizio anche il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato;
        che  lo  stesso, peraltro, si e' limitato a richiedere che la
questione   di   legittimita'   costituzionale  «sia  dichiarata  non
fondata»,  riportandosi  integralmente alle argomentazioni svolte nel
corso  del  giudizio culminato nell'adozione dell'ordinanza di questa
Corte  n. 309  del 2002, e richiamando, oltre a tale pronuncia, anche
la successiva ordinanza n. 175 del 2003;
        che  all'approssimarsi  della camera di consiglio fissata per
la    discussione    della   presente   questione   di   legittimita'
costituzionale  tanto  il  ricorrente  nel  giudizio a quo, quanto la
societa'   interveniente,   hanno   depositato   memorie   presso  la
cancelleria   della   Corte,   insistendo  per  l'accoglimento  della
questione   di   legittimita'  costituzionale,  evidenziando  la  sua
perdurante  rilevanza  pur  alla  luce  delle  modifiche  legislative
apportate nella materia de qua, rispettivamente, dall'art. 2-septies,
comma 1,  del  decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti
per  fronteggiare  situazioni  di  pericolo  per la salute pubblica),
dall'articolo 1  della  legge  regionale della Toscana del 22 ottobre
2004,  n. 56,  recante  «Modifiche alla legge regionale 8 marzo 2000,
n. 22   (Riordino  delle  norme  per  l'organizzazione  del  servizio
sanitario  regionale)  in  materia  di  svolgimento delle funzioni di
direzione delle strutture organizzative».
    Considerato  che  il Tribunale di Grosseto ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 35 e 97
della  Costituzione - degli artt. 15-quater, 15-quinquies e 15-sexies
del  decreto  legislativo  30 dicembre  1992,  n. 502 (Riordino della
disciplina  in  materia  sanitaria,  a  norma dell'art. 1 della legge
23 ottobre  1992,  n. 421),  e  dell'art. 1  del  decreto legislativo
2 marzo  2000, n. 49 (Disposizioni correttive del decreto legislativo
19  giugno 1999,  n. 229,  concernenti  il  termine di opzione per il
rapporto esclusivo da parte dei dirigenti sanitari);
        che,  peraltro,  successivamente  all'iniziativa  assunta dal
giudice   rimettente,   il   legislatore  statale  e'  intervenuto  a
modificare  il  contenuto  di  una  delle  disposizioni  impugnate, e
segnatamente l'art 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992;
        che,  difatti,  l'art. 2-septies,  comma 1, del decreto-legge
29 marzo  2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni
di  pericolo  per  la  salute  pubblica)  ha  modificato il testo del
comma 4  del  predetto  art. 15-quater,  eliminando quel carattere di
«irreversibilita»  connotante,  in  origine,  la scelta in favore del
«rapporto  esclusivo» compiuta dai dirigenti sanitari, ed, anzi, piu'
in   generale   addirittura   escludendo   che   il  principio  della
«esclusivita» del rapporto di lavoro continui a costituire condizione
indispensabile  per  accedere  alla direzione di struttura semplice e
complessa;
        che,  per  contro, una scelta diametralmente opposta e' stata
compiuta  dal legislatore regionale con intervento ancora posteriore,
sostanziatosi,  dapprima,  nell'art. 1  della  legge  regionale della
Toscana 22 ottobre   2004,   n. 56,  recante  «Modifiche  alla  legge
regionale   8 marzo   2000,   n. 22   (Riordino   delle   norme   per
l'organizzazione  del  servizio  sanitario  regionale)  in materia di
svolgimento    delle    funzioni   di   direzione   delle   strutture
organizzative»,   nonche'   successivamente   (cioe'   a   dire  dopo
l'abrogazione  di tale legge, operata dall'art. 144, comma 1, lettera
f),  della  legge  regionale  della  Toscana 24 febbraio 2005, n. 40,
recante  «Disciplina del servizio sanitario regionale»), nell'art. 59
della  medesima  legge  regionale  n. 40  del  2005  (che della norma
abrogata riproduce, infatti, integralmente il contenuto);
        che,  infatti, il legislatore regionale ha stabilito che «gli
incarichi  di  direzione  di  struttura,  semplice  o  complessa, del
servizio  sanitario  regionale  sono  conferiti  ai  dirigenti di cui
all'art. 15-quater,   commi 1,   2   e  3,  del  decreto  legislativo
30 dicembre  1992,  n. 502  (Riordino  della  disciplina  in  materia
sanitaria,  a  norma  dell'articolo 1  della  legge  23 ottobre 1992,
n. 421),  in  regime di rapporto di lavoro esclusivo da mantenere per
tutta la durata dell'incarico»;
        che, pertanto, alla luce di tali sopravvenienze legislative -
le  quali  hanno  mutato  il  complessivo  quadro normativo che fa da
sfondo  al  dubbio  di  costituzionalita'  avanzato  dal Tribunale di
Grosseto   -   appare  necessario  restituire  gli  atti  al  giudice
rimettente,  affinche' lo stesso valuti la perdurante rilevanza della
sollevata questione di legittimita' costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Grosseto.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2005.
                        Il Presidente: Marini
                       Il redattore: Quaranta
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 14 novembre 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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