N. 554 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 maggio 2005

Ordinanza   emessa   il   6   maggio   2005   (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  15  novembre  2005)  dal  tribunale di Modena sul
ricorso   proposto   da  Azienda  Casa  Emilia-Romagna  (ACER)  della
Provincia di Modena

Edilizia popolare ed economica - Alloggi assegnati in locazione dagli
  IACP  -  Morosita' del conduttore - Facolta' dell'Istituto locatore
  di  avvalersi di uno speciale procedimento di ingiunzione e sfratto
  -   Compressione   della  tutela  processuale  dell'assegnatario  -
  Preclusione  della possibilita' di sanare la morosita' - Disparita'
  di  trattamento  rispetto  ai  conduttori  di  private abitazioni -
  Contraddittorieta'  rispetto alla tutela sostanziale accordata alle
  categorie   economicamente   bisognose  -  Richiamo  alle  sentenze
  nn. 419/1991 e 203/2003 della Corte costituzionale.
- Regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165, art. 32.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.47 del 23-11-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Tabellarmente   preposto   alla  trattazione  e  decisione  delle
controversie  previste  dall'art. 447-bis  c.p.c.,  sul  ricorso  per
ingiunzione  e  sfratto  (ex  art. 32  r.d.  28 aprile 1938, n. 1165)
depositato   in   data   6 aprile  u.s.  da  parte  di  Azienda  Casa
Emilia-Romagna  (ACER)  della  Provincia  di Modena, nei confronti di
Giammona  Emanuela  e  Rejeb  Abdelhamid  Ben Abdelkade, inquilini di
alloggi  di  proprieta' del Comune di Modena, morosi nel pagamento di
alcune  rate  del  canone  di  locazione,  dubita  della legittimita'
costituzionale  dell'art. 32,  r.d.  28  aprile  1938,  n. 1165,  per
violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
    I)  L'art. 32  r.d.  cit.  attribuisce,  per ius singularae, agli
Istituti  autonomi  delle  case  popolari,  «nelle ipotesi di mancato
pagamento  di  rate  di  fitto»,  il  diritto  di chiedere lo sfratto
dell'inquilino  moroso  con  ricorso da rivolgere al conciliatore, al
pretore  o  al presidente del tribunale, previa attestazione da parte
del  presidente  dell'Istituto  «della  morosita' dell'inquilino». Il
terzo  comma  prevede, poi, che, il giudice, mediante decreto apposto
in calce al ricorso, ingiunga al debitore di pagare, entro il termine
di  40  giorni  dalla  notificazione, «trascorso il quale, in caso di
inadempienza, si procede allo sfratto».
    Preliminarmente,  in  ordine  alla  competenza  per  materia alla
pronunzia   dell'ingiunzione   in  oggetto,  sembra  richiamabile  il
criterio  emergente  dopo la soppressione dell'ufficio di pretura (di
cui  al  d.lgs. n. 51/1998), individuabile nell'ufficio del tribunale
in  formazione  monocratica;  esclusa,  cosi',  ogni  competenza  del
giudice di pace.
    II)  La  Corte costituzionale (C. cost. 19 novembre 1991, n. 419)
rigettando  l'eccezione  di legittimita' costituzionale dell'art. 32,
r.d.  n. 1165/1938 sollevata dal Tribunale di Roma con ord. 29 giugno
1990  (est.  Lazzaro),  ritenuta  la  non  perfetta adeguatezza della
normativa  in  questione al diritto sociale di abitazione, invece, di
convenire  sull'illegittimita'  costituzionale sollevata della datata
disciplina  normativa  forni'  un'interpretazione  costituzionalmente
adeguatrice.
    Secondo   la   Corte,  il  perseguimento  di  scopi  di  pubblico
interesse,   da   parte  degli  istituti  autonomi,  giustificava  la
diversita'  di  trattamento  normativo  e  di  tutela processuale tra
inquilini  di  una  privata  abitazione ed inquilini non abbienti cui
venivano  concesse abitazioni a canoni non remunerativi. Dato atto di
cio',  la  Corte  indirizzato  un  monito  al  legislatore  affinche'
riformasse  la  normativa  in  oggetto  «con  altra  piu'  rispettosa
dell'odierna  rilevanza  costituzionale  del  diritto  di abitazione»
proponeva  per  intanto  la  riferita  interpretazione adeguatrice da
sperimentare  nell'eventuale  fase  di  opposizione,  che l'inquilino
moroso puo' esperire.
    Ebbene,  a  distanza  di oltre dieci anni dal riferito autorevole
«monito»  costituzionale  al  legislatore ordinario per l'adeguamento
della disciplina processuale, la situazione non e' stata innovata, di
talche' gli Istituti autonomi case popolari ben possono continuare ad
avvalersi del procedimento speciale di che trattasi (ben s'intende in
alternativa  agli strumenti processuali di diritto comune). Pertanto,
sembra   piu'   che   mai   legittimo  continuare  a  dubitare  della
legittimita' costituzionale della normativa de qua.
    Assodato  che  il  rapporto  che  tramite  il  procedmento di cui
all'art.  32  cit.  l'ente  pubblico  vuole  risolvere  ha  natura di
locazione  (Cass.,  sez.  un.,  25  ottobre  1978,  n. 4827), v'e' da
domandarsi  se  una diversita' di trattamento (ex artt. 3 e 24 Cost.)
tra  conduttori  privati  e  conduttori pubblici appaia giustificata,
bastando   a  validare  la  procedura  in  oggetto  l'interpretazione
costituzionalmente  adeguatrice  fornita  dalla  richiamata pronunzia
costituzionale  e  riferita  al  giudizio  di opposizione. Secondo la
Corte,  in caso di opposizione proposta dal conduttore, «l'esecuzione
sarebbe sospesa non su istanza ma su semplice presentazione dell'atto
introduttivo, per decreto e non con ordinanza e soprattutto quando la
gravita'   concerne  non  i  motivi  ma  il  caso  inteso  nella  sua
globailta». Diventando necessario, secondo il pensiero della Corte, e
non  solo  opportuno,  per  il  giudice  dell'opposizione, sospendere
l'esecutivita'  del  decreto, che, diversamente da quanto avviene nel
procedimento  ordinario  ex  art. 649  c.p.c., diverrebbe in tal caso
ormai ordinaria regola del giudicare.
    Questo  modo  di ragionare, sembra, pero', invertire gli elementi
del giudizio (di costituzionalita), che la Corte era stata chiamata a
valutare.   In   altre   parole,   prima   di   fornire  una  lettura
costituzionalmente  adeguata  del giudizio di opposizione, successivo
alla  pronunzia  del  decreto  d'ingiunzione e sfratto, sarebbe stato
necessario   preliminarmente  domandarsi  se,  rebus  sic  stantibus,
l'inquilino  di  un alloggio economico popolare abbia la possibilita'
di adeguatamente tutelarsi contro il decreto esecutivo di ingiunzione
e sfratto, senza che la pronunzia possa in qualche modo ledere i suoi
diritti di difesa in giudizio.
    Ebbene, in forza proprio della previsione dell'art. 32 r.d. cit.,
sembra  che quest'ultimo inquilino venga a trovarsi in una condizione
deteriore,  rispetto  a quella di un conduttore di abitazione privata
(con  conseguente  lesione  dell'art. 3  Cost.)  e senza che sussista
un'adeguata  giustificazione  di tale disparita' di trattamento; come
pure,  che  il  medesimo conduttore sconti pure il rischio di neppure
potersi  adeguatamente  difendere  contro  il decreto d'ingiunzione e
sfratto, in forza delle considerazioni che dianzi si esporranno.
    III) Innanzitutto, ogni altro conduttore moroso nel pagamento dei
canoni,  prima  di  essere  sfrattato,  ossia  prima  della pronuncia
dell'ordinanza di convalida, beneficia di congrue garanzie difensive,
peraltro,  recentemente  potenziate  ed  accresciute, dopo le riforme
processuali degli anni 90-95.
    Lo  stesso viene convenuto in giudizio (provocatio ad opponendum)
con  citazione  per  intimazione  ad un'udienza che deve essere stata
fissata  dal  difensore  dell'intimante  nel  rispetto  del termine a
comparire  di  20  giorni  dalla  notificazione  (art. 660,  comma 4,
introdotto  dalla  legge  n. 534/1995),  e  non  piu' nell'«incivile»
termine  di  tre  giorni (di cui all'art. 313 c.p.c., oggi abrogato);
ne'  si trova a dovere opporre un decreto, in tal caso, reso inaudita
altera parte, senza previa instaurazione del contraddittorio.
    All'udienza  del  procedimento  di sfratto, il convenuto-intimato
ha,  poi,  la  possibilita'  di  opporsi  alla  domanda  del locatore
costituendosi  in  giudizio  con  comparsa  di  risposta  e, percio',
tramite   difensore);   oppure,   puo',  alternativamente,  comparire
personalmente   per   svolgere,   senza  bisogno  del  difensore,  ma
personalmente  e  senza  spese, le attivita' difensive previste dalla
fase   speciale  per  convalida  (art. 660,  comma  5  e  6,  c.p.c.,
introdotti  dalla  legge n. 534/1995). Viceversa, l'inquilino di casa
popolare ha solo la possibilita' di difendersi proponendo opposizione
(evidentemente  con  ricorso  in  opposizione  a  decreto  ingiuntivo
tramite il difensore tecnico. Disciplina quest'ultima, a quanto pare,
poco  giustificabile  (sempre  per  i  denunciati profili) se solo si
consideri che siffatti inquilini, economicamente bisognosi, in quanto
titolari  di  modesti  redditi annui, che proprio in quanto tali sono
assegnatari  di  immobili  costruiti con finanziamenti pubblici e che
beneficiano di canoni sociali, nel breve termine di opposizione (oggi
di   40   giorni  dalla  notificazione  del  decreto),  difficilmente
potrebbero  fruire  del  patrocinio  a spese dello Stato (artt. 119 e
ss.,  d.P.R.  n. 115/2002);  in quanto il Consiglio dell'ordine degli
avvocati,   chiamato   a  pronunciarsi  sull'istanza  di  ammissione,
difficilmente  avrebbe  il tempo di decidere l'ammissione in un cosi'
breve  spatium  temporis. Cio' che, appunto, determina concretamente,
il   rischio,   per   queste   categorie  «protette»,  di  non  poter
tempestivamente  esercitare  il  diritto  costituzionale di difesa in
giudizio  sub  specie  di  opposizione  al  decreto  di ingiunzione e
sfratto.
    Senza   contare,   poi,  che  neppure  e'  data  la  possibilita'
all'inquilino   moroso   di  proporre  opposizione  tardiva;  rimedio
ordinario  che,  invece,  in forza dei principi generali, e', invece,
riconosciuta  all'inquilino  di  abitazione  privata (artt. 650 e 668
c.p.c.).
    IV)  Qualora  il  conduttore  intenda  mantenere un atteggiamento
remissivo,  di  non  opposizione alla domanda di rilascio, intendendo
sanare  la  morosita'  (banco  iudicis, o in un concedendo termine di
grazia: art. 55, legge n. 392/1978 tali facolta' sono riconosciute al
solo  conduttore di abitazione privata, non anche all'assegnatarro di
un immobile di edilizia popolare. In questo ultimo caso, mancando una
provocatio  ad  opponendum  da  parte sua (ai sensi dell'art. 32 r.d.
cit.),   non   e'   tecnicamente  configurabile  la  sanatoria  della
morosita', dal momento che la stessa puo' esplicarsi solo in udienza.
    Di recente questa stessa Corte (C. cost. 11 giugno 2003, n. 203),
ha  affermato  l'inapplicabilita' della sanatoria della morosita', ai
sensi  dell'art.  55,  legge  n. 392/1978, alle locazioni di edilizia
residenziale pubblica.
    Va,  pero',  considerato  che,  l'art. 26,  lett.  b) e c), legge
n. 392/1978,  che espressamente escludeva l'applicabilita' del titolo
I  della  legge,  e  quindi  anche  dell'art. 5 (e dell'art. 55 della
stessa  con  esso  strettamente  collegato),  e'  stato espressamente
abrogato dall'art. 14, legge n. 431/1998.
    Pertanto,  la  limitazione  in  parola,  che  da  cio'  era  dato
desumere,  dell'applicabilita' degli artt. 5 e 55 alle sole locazioni
soggette alla disciplina dell'equo canone e non anche a quelle ad uso
diverso  dall'abitazione  ed a quelle abitative non soggette all'equo
canone  (Cass., sez. un., 28 aprile 1999, n. 272. FI, 1999, I, 1174),
sembra caduta.
    La  nuova  disciplina dettata per le locazioni abitative esclude,
poi,  espressamente  (art.  1,  comma 2, lett. b), legge n. 431/1998)
l'applicazione  alle  locazioni  di edilizia residenziale pubblica di
talune  disposizioni previste dalla nuova legge (ex artt. 2, 3, 4, 7,
13),  sicche'  la  regolamentazione  di  tali  rapporti e' data dalla
specifica legislazione statuale e regionale di settore.
    Tuttavia,   la   nuova   legge   (legge  n. 431/1998)  non  vieta
l'applicazione  degli  artt. 5 e 55, legge n. 392/1978 alle locazioni
di  edilizia  residenziale  pubblica  (o  ne limita, in qualche modo,
l'applicazione,  in  forza  di  alcuna sua disposizione). Nell'ambito
della  normativa  dettata  per nello specifico settore locatizio, gli
arti.  5  e  55,  legge  cit., hanno acquisito un carattere generale,
sicche'  appaiono  astrattamente  applicabili  alla fattispecie della
locazione abitativa senza distinzione alcuna.
    E'   stato,   quindi,   condivisibilmente,   osservato   che   e'
ragionevolmente  possibile  affermare  che l'art. 5 (come pure l'art.
55)   della  legge  n. 392/1978  e'  norma  applicabile  a  tutte  le
fattispecie di locazione abitativa.
    In seguito all'abrogazione dell'art. 26 della legge n. 392/1978 e
dell'intero sistema dell'equo canone, l'art. 5 (e quindi anche l'art.
55  della  legge)  trova(no)  quale  un'unica limitazione applicativa
nell'intitolazione  del  titolo I,  capo  I,  che  si  riferisce alle
«locazioni  abitative»,  senza  distinzioni  di sorta, tra abitazioni
pubbliche ed abitazioni private.
    Va,  poi,  anche  considerato  che quest'ultima disposizione, per
effetto  della  nuova disciplina dell'uso abitativo, sembra acquisire
una  nuova e maggiore forza espansiva, essendo stata resa applicabile
anche  in fase esecutiva, una volta cessato il contratto di locazione
(art. 6, comma 6, legge n. 431/1998).
    A  cio'  aggiungasi, ancora, un ulteriore significativo argomento
esegetico.
    L'art.   1,   comma  2,  lett.  b),  legge  n. 431/1998,  tra  le
disposizioni  inapplicabili  alle  locazioni di edilizia residenziale
pubblica,  non  eccettua,  significativamente,  l'art. 14 della legge
stessa.  Cio'  che  sembra  evidenziare  che le disposizioni generali
contenute  nel  titolo  I  della  legge  n. 392/1978 (e non abrogate)
quali,  gli  artt. 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 55), per esclusione,
sono,  astrattamente,  applicabili  anche  alle locazioni di immobili
pubblici.
    Tra  queste  previsioni vi sono, appunto, in stretta connessione,
gli  artt. 5  e  55, legge n. 392/1978; disposizioni che, percio', si
applicano  anche  ai  conduttori  morosi,  assegnatari di immobili di
edilizia residenziale pubblica.
    D'altro  canto,  la  mancata  previsione  di  tali  modalita'  di
sanatoria,  in  tale ultimo caso, risulterebbe lesiva dei diritti dei
conduttori   morosi.  Siffatta  previsione  sembra  doverosamente  da
applicare  proprio  alle locazioni di edilizia residenziale pubblica,
tenuto  conto  del  fatto che «le condizioni di difficolta» economica
del  conduttore  moroso (ex art. 55, legge n. 392/1978), in relazione
alla  notoria  esiguita'  dei  redditi degli assegnatari, potrebbero,
probabilmente,   ritenersi   sussistenti  in  re  ipsa,  senza  cioe'
necessita'  di dimostrazione, volta per volta, da parte dell'istante,
come  si  richiede, invece, nel regime ordinario. L'impossibilita' di
far  godere  a  tali conduttori, per definizione economicamente molto
deboli,  di  un  beneficium  che,  in  caso  di  positiva previsione,
sarebbe,  probabilmente,  sempre  concesso da parte del giudice della
convalida  dello  sfratto  per  morosita', rende ancor piu' manifesta
l'intensa  carica  di  lesivita'  (sotto  il profilo della violazione
degli  artt. 3 e 24 Cost.) di cui e' portatrice la procedura prevista
dall'art. 32 r.d. cit.
    La  specifica  situazione  giuridica dedotta in giudizio da parte
dell'ente  ricorrente  chiarisce,  nei fatti, quanto in precedenza e'
stato evidenziato.
    Nel  caso  di  specie,  come  risulta  dal  ricorso  di  ACER,  i
conduttori  sono  morosi per il mancato pagamento dei canoni locatizi
relativi  al periodo luglio 2004-marzo 2005, ammontante a complessivi
Euro 531.  Questo  significa  che  il  canone mensile, risultante dal
contratto  di locazione, e' di 66,57 mensili; importo questo che, pur
nella  sua  oggettiva esiguita', evidentemente, i resistenti non sono
in  grado  di  corrispondere  all'ente pubblico, probabilmente per la
situazione  di  gravissima  crisi  di  liquidita'  in  cui gli stessi
versano.
    V)  In definitiva, non sembra consentito, senza che l'ordinamento
giuridico  entri  in  contraddizione  con  se'  stesso, garantire una
peculiare   tutela   di  natura  sostanziale  ai  rapporti  locatizi,
riguardanti persone economicamente bisognose, che, proprio in ragione
di  cio',  possono  accedere  al  «bene  casa»  a canoni estremamente
agevolati  (c.d.  canoni  sociali)  rispetto a quelli di mercato; nel
contempo,  pero',  privando  tali persone, in veste di conduttori, di
effettivi  strumenti  di  tutela,  sotto il profilo processuale, onde
contrastare  la  pretesa  di rilascio dell'ente assegnatario; ovvero,
ancora,  ad  essi precludendo la sanatoria della morosita'; morosita'
verificatasi  a  causa  delle  condizioni  di  gravissima difficolta'
economica  in  cui  gli stessi possono essere incorsi, tanto gravi da
impedire  la  corresponsione  dei  normalmente  molto  esigui  canoni
sociali previsti dalla normativa in materia.
    In sostanza, per gli evidenziati profili (ex artt. 3 e 24 Cost.),
sembra  doveroso dubitare della legittimita' costituzionale dell'art.
32 r.d. cit., invocata da ACER.
    VI)  La  questione prospettata, oltre a non essere manifestamente
infondata,  per  le  considerazioni  dianzi  esposte,  risulta essere
rilevante,  avendo  ACER invocato la tutela offerta dall'art. 32 r.d.
cit.,   e  va,  di  conseguenza,  rimessa  al  giudizio  della  Corte
costituzionale,  previa  sospensione  del  giudizio  d'ingiunzione in
corso.
                              P. Q. M.
    Dispone,  pertanto,  che,  a  cura della cancelleria, la presente
ordinanza  sia  comunicata  ad  ACER, al Presidente del Consiglio dei
ministri, nonche', ai Presidenti delle due Camere del parlamento, con
successiva  trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale (art.
23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
        Modena, addi' 5 maggio 2005.
                          Il gudice: Masoni
05C1148