N. 42 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 2 dicembre 2005
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato in cancelleria il 2 dicembre 2005 (del Tribunale ordinario di Milano) Parlamento - Immunita' parlamentari - Deliberazione del Senato della Repubblica in data 23 luglio 2003, con la quale si dichiara che i fatti per cui si procede penalmente nei confronti del sen. Raffaele Iannuzzi per diffamazione aggravata nei confronti del dott. Giancarlo Caselli ed altri magistrati della Procura di Palermo concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato G.i.p. del Tribunale di Milano, per la ritenuta mancanza di nesso tra i fatti attribuiti e l'esercizio delle funzioni parlamentari. - Deliberazione del Senato della Repubblica del 23 luglio 2003. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.50 del 14-12-2005 )
Il giudice per le indagini preliminari, dott. Angela Scalise, letti gli atti del procedimento penale a carico del senatore Raffaele Iannuzzi, nato a Grottella (Avellino) il 20 febbraio 1928, indagato per i seguenti reati: A) delitto p. e p. degli articoli 595 c.p., 13 legge 8 febbraio 1948 n. 47, 61 n. 10, 99, comma 4, c.p., perche' autore dell'articolo intitolato «Pressione bassa e udienze infinite», pubblicato sul settimanale Panorama nel numero del 22 novembre 2001 ed il cui contenuto deve qui intendersi integralmente richiamato, offendeva la reputazione di Caselli Giancarlo, gia' Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Lo Forte Guido, Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Palermo, Scarpinato Roberto, Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Palermo e Natoli Gioacchino, Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Palermo, in particolare affermando: «In realta', secondo la ricostruzione della nuova edizione del Processo del secolo ( Oscar Mondadori, ottobre 2001 ) il processo ad Andreotti e' cominciato molto prima e fuori dalle aule giudiziarie, e' stato preparato e provocato, ne sono stati prediposti per tempo gli strumenti, a cominciare dai magistrati dell'accusa. Dalle prime accuse di Leoluca Orlando contro Lima e Andreotti alle false accuse del pentito Pellegrini, dagli attacchi a Giovanni Falcone all'assassinio di Salvo Lima, dal processo a Lima ( invece che ai suoi assassini) all'inchiesta di Luciano Violante, dall'assassinio di Falcone al processo ad Andreotti: questa e' la sequenza degli avvenimenti passando per la nomina di Caselli a procuratore di Palermo e dalla nomina di Gianni De Gennaro a capo della Dia. Forse non basta ancora per parlare di complotto politico e per sostenere che Lima e Falcone sono stati uccisi per processare Andreotti, ma e' certamente singolare che si continui a parlare in tutti i processi per le stragi di Capaci e di via D'Amelio di "mandanti occulti" e nessuno abbia ancora indagato nella direzione indicata da questa sequenza dei fatti. Al contrario hanno indagato per anni per scoprire se per caso i mandanti dell'assassinio di Falcone e Borsellino non siano stati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri»; ed aggiungendo nel medesimo articolo: «Basterebbe cominciare con una inchiesta seria sulla gestione dei "pentiti". Ci sono ormai decine di "pentiti" che sono stati dichiarati "inattendibili" nelle sentenze di assoluzione degli imputati da loro accusati: perche' non vengono processati per calunnia? Che cosa intendeva dire Balduccio Di Maggio, il pentito che aveva visto Andreotti baciare Toto' Riina e che intanto aveva ripreso ad uccidere e che non temeva di essere scoperto e punito perche' lui aveva "i cani attaccati"? E quando gli e' stato chiesto a chi alludeva, non ha esitato a indicare i magistrati Guido Lo Forte, Roberto Scarpinato e Gioacchino Natoli, i tre p.m. del processo di primo grado ad Andreotti: perche' Di Maggio era sicuro di "avere nelle mani" i p.m. del processo ad Andreotti?»; Con le aggravanti di aver arrecato l'offesa mediante l'attribuzione di fatti determinati e di aver commesso il fatto contro pubblici ufficiali a causa dell'adempimerto delle loro funzioni. Con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale. In Milano, il 22 novembre 2001. B) delitto p. e p. dagli artt. 595 c.p., 13 legge 8 febbraio 1948 n. 47, 61 n. 10, 99, comma 4, c.p., perche', quale autore dell'articolo intitolato «Il pentito? Ai p.m. piace double face», pubblicato sul settimanale Panorama nel numero del 29 novembre 2001 ed il cui contenuto deve qui intendersi, integralmente richiamato, offendeva la reputazione di Caselli Giancarlo, gia' Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Lo Forte Guido, Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Palermo, Antonio Ingroia, Sostituto Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Palermo e Natoli Gioacchino, Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Palermo, in particolare affermando: «Ma mai come questa volta l'avvocato Taormina, che notoriamente ha un temperamento vivace, ha avuto ragione. Che cosa dice Taormina? Che anche dalle motivazioni dell'assoluzione in appello di Bruno Contrada, depositate di recente, si evince che questa drammatica vicenda giudiziaria ( una via crucis durata 9 anni, quasi 4 anni di carcere, la condanna a 10 anni in primo grado) le maggiori responsabilita' sono dei magistrati piuttosto che dei "pentiti" arruolati per accusarlo. E come si fa a negarlo? Furono intanto i magistrati e in particolare il sostituto procuratore di Palermo Gioacchino Natoli a volerlo a tutti i costi arrestare, quando lo stesso Gianni De Gennaro, che allora dirigeva la Dia e arruolava i "pentiti", era favorevole a che Contrada fosse inquisito, incrinato e processato a piede libero (a lui bastava che Contrada fosse comunque tolto di mezzo). E sono stati i magistrati, i sostituti piu' dello stesso procuratore (Gian Carlo Caselli e' arrivato a Palermo piu' tardi) a gestire i "pentiti" di De Gennaro in maniera indecente e scandalosa. Basta rileggersi i verbali degli interrogatori dei tre "pentiti" di punta del processo: Rosario Spatola, Francesco Marino Mannoia e Tommaso Buscetta. Spatola, in un primo verbale, dichiara di aver visto Contrada pranzare a tavola nella saletta riservata di un noto ristorante di Palermo con il boss Rosario Riccobono. Gli avvocati di Contrada esibiscono ai magistrati la planimetria del ristorante e dimostrano che in quel locale non esistono salette riservate. E quelli della procura che ti fanno? Invece di screditare Spatola e di togliergli la patente di pentito, gli fanno sottoscrivere un nuovo verbale in cui si corregge e dichiara che non di una saletta riservata si trattava, ma di un angolino appartato dell'unico locale del ristorante, Contrada sedeva a tavola con Riccobono accanto alla porta dei cessi (in modo che lo potessero vedere tutti i clienti che andavano in bagno). Francesco Marino Mannoia, interrogato per due volte di seguito nel mese di aprile del 1993, dice ai magistrati di Caltanissetta e Palermo che non ha mai e poi mai sentito parlare di rapporti di' Contrada con la mafia. Sette mesi dopo, nel gennaio del 1994, richiamato a deporre e interrogato con insistenza, Mannoia "ricorda" improvvisamente che in Cosa nostra tutti dicevano che Contrada era pappa e ciccia con i boss Tommaso Buscetta, interrogato nel 1984 da Giovanni Falcone (un magistrato di tutt'altra razza), mette a verbale che negli ambienti di Cosa nostra Rosario Riccobono era tenuto in sospetto ed era chiamato «lo sbirro» perche' era sospettato di fare da confidente a Contrada. Dieci anni dopo, interrogato dagli indegni eredi di Falcone, rovescia la prima deposizione e dichiara che era lo sbirro Contrada che faceva da confidente a Riccobono e lo avvertiva quando stavano per emettere mandati di cattura per i suoi amici». Con le aggravanti di aver arrecato l'offesa mediante l'attribuzione di fatti determinati e di aver commesso il fatto contro pubblici ufficiali a causa dell'adempimento delle loro funzioni. Con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale. In Milano, il 29 novembre 2001. Rilevato che i magistrati Caselli Giancarlo, Lo Forte Guido, Scarpinato Roberto e Natoli Gioacchino hanno proposto querela nei confronti del predetto senatore Raffaele Iannuzzi nonche' del direttore pro tempore del settimanale «Panorama», ritenendo diffamatorie le affermazioni riportate poiche' nell'articolo indicato al capo A) si era propalata la tesi secondo cui, sostanzialmente, il processo al senatore Giulio Andreotti era stato instaurato per finalita' politiche; Rilevato che i magistrati Caselli Giancarlo, Lo Forte Guido, Antonio Ingoia e Natoli Gioacchino hanno proposto ulteriore querela nei confronti del predetto senatore Raffaele lannuzzi nonche' del direttore pro tempore del settimanale «Panorama», ritenendo diffamatorie le affermazioni riportate poiche' nell'articolo indicato al capo B) si era propalata la tesi che i predetti, nell'esercizio delle loro funzioni, avessero commesso abusi e illegalita' nella gestione dei collaboratori di giustizia; Rilevato che con lettera in data 25 marzo 2003 il senatore Raffaele Iannuzzi ha sottoposto al Senato della Repubblica la questione dell'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione al procedimento penale n. 7305/02 riunito al 7376/02 R.G.N.R., pendente nei suoi confronti a seguito della presentazione delle querele sopra richiamate; Rilevato che il Senato della Repubblica, nel corso della seduta del 23 luglio 2003, in accoglimento di conforme proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, ha riconosciuto ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione, l'insindacabilita' delle opinioni espresse dal senatore Raffaele Iannuzzi nell'ambito degli articoli di stampa oggetto del presente procedimento in quanto espresse nell'esercizio della funzione parlamentare; Rilevato che in data 21 ottobre 2003 il pubblico ministero ha separato la posizione del senatore Raffaele Iannuzzi da quella del direttore del settimanale «Panorama», Rossella Carlo e che, con richiesta del 23 ottobre 2003, pervenuta il 25 ottobre 2003, ha chiesto a questo giudice per le indagini preliminari l'archiviazione del procedimento nei confronti del senatore lannuzzi, previa valutazione degli elementi per sollevare conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato ai sensi dell'articolo 134 della Costituzione e degli articoli 37, 23, 25 e 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87 in relazione alla delibera IV-quater n. 14 assunta dal Senato della Repubblica nella seduta del 23 luglio 2003; Rilevato che in data 5 luglio 2004 questo giudice ha proceduto alla fissazione dell'udienza ex art. 409, secondo comma, c.p.p. Rilevato che all'udienza del 21 ottobre 2004 il p.m. si e' riportato alle conclusioni sopra richiamate, il difensore delle persone offese ha chiesto sollevarsi conflitto di attribuzione ai sensi dell' art. 37, il difensore dell'indagato ha insistito per l'accoglimento della richiesta di archiviazione e che il giudice ha riservato la decisione; Ritenuto, per i motivi di seguito esposti, che, nel caso di specie, appare necessario sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, conflitto ammissibile sia sotto il profilo soggettivo (questo giudice e' l'organo competente a decidere, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite, sulla asserita illiceita' della condotta ascritta all'indagato e quindi «a dichiarare la volonta' del potere cui appartiene, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione»: cfr. fra le altre, ordinanze Corte cost. n. 60 del 1999; nn. 469, 407, 261, 254 del 1998), sia sotto quello oggettivo, trattandosi della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68 primo comma della Costituzione e della lesione della propria sfera di attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantita, giacche' illegittimamente menomata dalla suindicata deliberazione del Senato della Repubblica; Occorre, innanzitutto rilevare che la giunta, nell'affrontare la problematica inerente all'ampiezza della prerogativa dell'insindacabilita' riconosciuta agli appartenenti alle Camere ha evidenziato che: «l'agire del parlamentare non puo' essere delimitato esclusivamente agli ambiti di esercizio usuale, ma deve essere esteso altresi' a quelle sedi "informali", quali ad esempio i mezzi di informazione, che ricoprono un ruolo sempre piu' rilevante nel dibattito politico ... data l'evoluzione che la figura del politico - parlamentare ha subito e continua a subire, non sembra nello spirito del principio costituzionale restringere le prerogative di insindacabilita' esclusivamente alle discussioni che si tengono all'interno delle Aule e che siano intimamente connesse alla funzione stessa. Il mandato elettorale, infatti, si esplica in tutte quelle occasioni nelle quali il parlamentare raggiunge il cittadino ed illustra la propria posizione anche, e forse tanto piu', quando questo avvenga al di fuori dei luoghi deputati all'attivita' legislativa in senso stretto e si espliciti invece nei mezzi di informazione, negli organi di stampa e in televisione». Dopo aver evidenziato alcuni giudizi espressi dai querelanti nei confronti del senatore Iannuzzi, la giunta ha ritenuto che «... la risposta data dal procuratore Grasso ad atti di sindacato ispettivo proposti in Parlamento, citata dai querelanti, e' sicuramente la piu' puntuale smentita dell'organo giudiziario in questione alle accuse rivoltegli ma, proprio per questo, dimostra che tali accuse (contenute nell'interrogazione Milio del 4 novembre 1999, 4 - 17031 della XIII legislatura) hanno dignita' ben superiore a quelle di "capziosa deformazione dei fatti" che i querelanti assumono essere l'unico scopo dell'articolo del senatore Iannuzzi, e possono ben rientrare nell'esercizio della funzione di denuncia e di critica politica propria di un rappresentante eletto dal popolo» ed ha, quindi, concluso, che «nel caso in questione, e' riscontrabile la fattispecie di opinioni espresse nel quadro di quelle attivita' che, nel loro complesso, possono ritenersi facenti parte dell'attivita' parlamentare, dal momento che si tratta dell'estrinsecazione, in un organo di stampa, della posizione di un senatore in relazione a rilevanti fatti pubblici». La conclusione adottata appare in contrasto con la costante giurisprudenza costituzionale. A titolo esemplificativo puo' essere evidenziato quanto affermato nelle sentenze numeri 10 e 11 dell'11 gennaio 2000 (alle quali si sono richiamate, tra le altre, le successive sentenze n. 52 del 27 febbraio 2002; n. 207 del 20 maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002). «... E' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifesta te nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea. Invece l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, della Costituzione. Nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' propri delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni. La linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della liberta' delle Camere, e, a tal fine, della liberta' di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, e' fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione, l'applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito e ai limiti della loro liberta' di manifestazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica. Discende da quanto osservato che la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le seconde. Tanto meno puo' bastare a tal fine la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca. Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a conferire carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni che siano oggettivamente ad essa estranee. Sarebbe, oltre tutto, contraddittorio da un lato negare - come e' inevitabile negare - che di per se' l'espressione di opinioni nelle piu' diverse sedi pubbliche costituisca esercizio di funzione parlamentare, e dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale carattere e valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita' parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere. In questo senso va precisato il significato del «nesso funzionale» che deve riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare. Non cioe' come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabiita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare ... nel caso di riproduzione all'esterno della sede parlamentare, e' necessario, per ritenere che sussista l'insindacabiita', che si riscontri la identita' sostanziale di contenuto fra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna. Cio' che si richiede, ovviamente, non e' una puntuale coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti... Nei casi in cui non e' riscontrabile esercizio di funzioni parlamentari, il valore della legalita' - giurisdizione non collide certo con quello dell'autonomia delle Camere e cosi si spiega che la giurisprudenza costituzionale abbia appunto stabilito che l'immunita' non vale per tutte quelle opinioni che «il parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito della politica». Alla luce di tale interpretazione si debbono pertanto ritenere, in linea di principio, sindacabili tutte quelle dichiarazioni, che fuoriescono dal campo applicativo del «diritto parlamentare» e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche se siano caratterizzate da un asserito «contesto politico» o ritenute, per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo. Questa forma di controllo politico rimessa al singolo parlamentare puo' infatti aver rilievo, nei giudizi in oggetto, soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previsti dai regolamenti parlamentari. Se dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento per il contenuto delle proprie dichiarazioni soltanto se concorre il contesto funzionale, il problema specifico, che non appare irrilevante in questo conflitto, della riproduzione all'esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni gia rese nell'esercizio di funzioni parlamentari si puo' risolvere nel senso dell'insindacabilita' solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche». L'orientamento della Corte costituzionale e' stato recentemente ribadito con la sentenza n. 120 del 16 aprile 2004; nel dichiarare infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate con riferimento all'art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140, si e' affermato che: «... Nonostante le evoluzioni subite, nel tempo, nella giurisprudenza di questa Corte, e' enucleabile un principio, che e' possibile oggi individuare come limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', e con cio' stesso delle virtualita' interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare». Per tale ragione l'itinerario della giurisprudenza della Corte si e' sviluppato attorno alla nozione del cd. «nesso funzionale», che solo consente di discernere le opinioni del parlamentare riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino nei limiti generali della liberta' di espressione, da quelle che riguardano l'esercizio della funzione parlamentare. Certamente rientrano nello sfera dell'insindacabilita' tutte le opinioni manifestate con atti tipici nell'ambito dei lavori parlamentari, mentre per quanto attiene alle attivita' non tipizzate esse si debbono tuttavia considerare «coperte» dalla garanzia di cui all'art. 68, nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti e procedure, anche «innominati», ma comunque rientranti nel campo di applicazione del diritto parlamentare, che il membro del Parlamento e' in grado di porre in essere e di utilizzare proprio solo e in quanto riveste tale carica (cfr. sentenze n. 56 del 2000, n. 509 del 2002 e n. 219 del 2003). Cio' che rileva, ai fini dell'insindacabilita', e' dunque il collegamento necessario con le «funzioni» del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se attuato in forma «innominata» sul piano regolamentare. Sotto questo profilo non c'e' percio' una sorta di automatica equivalenza tra l'atto non previsto dai regolamenti parlamentari e l'atto estraneo alla funzione parlamentare, giacche', come gia' detto, deve essere accertato in concreto se esista un nesso che permetta di identificare l'atto in questione come «espressione di attivita' parlamentare» (cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 379 e n. 219 del 2003). E' in questa prospettiva che va effettuato lo scrutinio della disposizione denunciata. Le attivita' di «ispezione di divulgazione, di critica e di denuncia politica» che appunto il censurato art. 3, comma 1, riferisce all'ambito di applicazione dell'art. 68, primo comma, non rappresentano, di per se', un'ipotesi di indebito allargamento della garanzia dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se non manifestate in atti «tipizzarti», debbono comunque, secondo la previsione legislativa e in conformita' con il dettato costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di funzioni parlamentari. E' appunto questo «nesso» il presidio delle prerogative parlamentari e, insieme, del principio di eguaglianza e dei diritti fondamentali dei terzi lesi.». Occorre, altresi', evidenziare che la legge n. 140/2003 non ha natura di legge costituzionale e, pertanto, non e' idonea a stravolgere i limiti delineati dalla Corte in relazione all'applicabilita' dell'art. 68 comma primo della Costituzione. Pertanto, si ritiene che anche il riferimento alle attivita' di «ispezione divulgazione, critica e denuncia politica», espletate fuori dal Parlamento che devono essere connesse alla «funzione di parlamentare» non possa prescindere dall'applicazione dei criteri delineati dalla Corte costituzionale sopra richiamati. La diversa interpretazione, diretta a ricomprendere nella sfera dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica posta in essere da parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi in contrasto con lo stesso art. 68 della Costituzione, determinerebbe, di fatto, la compromissione dei diritti all'onore ed alla reputazione, anch'essi costituzionalmente tutelati. La deliberazione adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 23 luglio 2003 appare in contrasto con i richiamati canoni interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto da cui poter desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i contenuti degli articoli oggetto delle querele e le opinioni gia' espresse dal senatore in specifici atti parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche e un generico riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici. L'interpretazione prospettata dalla decisione di cui trattasi comporta, di fatto, che l'istituto previsto dalla norma costituzionale si trasformi da «esenzione di responsabilita' legata alla funzione in privilegio personale» (cfr. sent. 11/00, gia' citata) con la conseguenza che le opinioni e le dichiarazioni manifestate da un parlamentare sarebbero sempre e comunque sottratte alla verifica giurisdizionale. Deve, pertanto, ritenersi che la condotta addebitabile al senatore Iannuzzi, astrattamente idonea, nella sua specificita' e gravita' ad integrare un illecito, esula dall'esercizio delle funzioni parlamentari e non presenta oggettivamente alcun legame con atti parlamentari neppure nell'accezione piu' ampia e come tale dovrebbe rientrare nella cognizione riservata al sindacato giurisdizionale. Le opinioni manifestate dal senatore lannuzzi non possono, per carenza del nesso funzionale, ritenersi rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi per esse non e' invocabile l'immunita', ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 37 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone la sospensione del giudizio in corso a carico di Iannuzzi Raffaele e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato e chiede che la Corte: dichiari ammissibile il presente conflitto, adottando ogni conseguente provvedimento ai sensi degli artt. 37 e ss. legge 87/1953 ed ogni altra norma applicabile; dichiari che non spettava al Senato della Repubblica la valutazione della condotta addebitabile al senatore Iannuzzi Raffaele, in quanto estranea alla previsione di cui all'art. 68, primo comma, Cost.; annulli la relativa delibera del Senato della Repubblica in data 23 luglio 2003 (delibera IV-quater n. 14). Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Milano, addi' 10 febbraio 2005 Il giudice per le indagini preliminari: Dott.ssa Angela Scalise Avvertenza L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 416/2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª serie speciale, n. 45 del 9 novembre 2005. 05c1190