N. 1028 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 2004

Ordinanza  del  24  settembre  2004  emessa  dal  Giudice tutelare di
Venezia sez. distaccata di Chioggia atti relativi a F. A.

Capacita'  giuridica  e  di  agire  -  Amministrazione  di sostegno -
  Presupposti  di  applicabilita' ed effetti - Potenziale coincidenza
  con   quelli   dell'interdizione   e  dell'inabilitazione  (tuttora
  vigenti)  - Mancanza di chiari criteri di discriminazione del nuovo
  istituto  da  quelli  tradizionali - Irragionevolezza - Devoluzione
  all'arbitrio del giudice della scelta della misura di protezione da
  applicare   all'incapace  -  Incidenza  sulla  sfera  dei  rapporti
  economici e dei traffici giuridici.
- Cod. civ., artt. 404, 405, nn. 3 e 4, e 409.
- Costituzione, artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, e 42.
Capacita'  giuridica  e  di  agire  -  Amministrazione  di sostegno -
  Disciplina  -  Modalita'  di risoluzione delle eventuali divergenze
  fra   giudice   dell'interdizione  e  giudice  tutelare  in  ordine
  all'applicabilita'    dell'amministrazione   di   sostegno   ovvero
  dell'interdizione   -   Mancata  previsione  -  Irragionevolezza  -
  Contrasto con il principio di soggezione del giudice alla legge.
- Cod. civ., artt. 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma.
- Costituzione,  artt. 2,  3,  4,  41,  primo  comma, 42 e 101, comma
  secondo.
(GU n.2 del 12-1-2005 )
                         IL GIUDICE TUTELARE
    Letto  il provvedimento del 26 aprile 2004, adottato nel corso di
un procedimento per interdizione instaurato nei cfr. di A. F., con il
quale  il  G.I. presso il Tribunale di Venezia, con implicito rigetto
del  relativo  ricorso  introduttivo del 2 ottobre 2003, ha trasmesso
gli atti per l'apertura del procedimento ex art. 404 c.c., e un tanto
previa nomina di un amministratore provvisorio di sostegno, pronuncia
la seguente ordinanza:
        il  G.I.  argomenta la rimessione in parola sostenendo che la
F.   1)  e'  affetta  da  conseguenze  di  grave  patologia  in  eta'
perinatale, ma 2) conserva specificativa capacita' di rapportarsi con
familiari  e terzi, al punto che 3) e' in grado di svolgere attivita'
lavorativa/educativa  presso  la Coop. E. di Cavarzere, ed inoltre 4)
ha  la capacita' compiere in misura apprezzabile gli atti necessari a
soddisfare  le  esigenze della sua vita quotidiana pur con l'aiuto di
familiari.
    In  sintesi,  nel pensiero del giudice rimettente e' implicita la
conclusione  che ai fini della tutela della F. e in particolare sulla
base  delle  riferite  premesse in punto di fatto, non sia necessaria
una   misura   interdittiva   o  inabilitativa,  all'opposto  essendo
sufficiente  il  sostegno  di  un  amministratore di pubblica nomina,
secondo  le  modalita'  e  con  gli  effetti  del  nuovo  istituto di
protezione  delle  persone  prive  in  tutto o in parte di autonomia,
siccome  introdotto, a modifica del c.c., dalla legge 9 gennaio 2004,
n. 6.
    Dal  dispositivo del provvedimento di rimessione, con il quale si
assegna  all'amministratore  provvisorio  il potere di compiere medio
tempore,  in  nome  e per conto della beneficiaria, tutti gli atti di
ordinaria  e  straordinaria  amministrazione, emerge altresi' la tesi
implicita   che   gli   effetti   di  tutela  patrimoniale  garantiti
dall'amministrazione  di  sostegno possono essere anche molto ampi, e
persino   coincidere,   ove   necessario,   con   quelli   assicurati
dall'interdizione.
    E'  del  resto  proprio questa la conclusione esegetica che viene
accolta  presso  questo foro e in sede di formazione decentrata (cfr.
relazione incontro di studio 10 maggio 2004 c/o Tribunale di Venezia,
pag. 11).
    In    effetti,    la   norma   che   regola   l'interdizione   (e
l'inabilitazione)  e quella che regola l'amministrazione di sostegno,
sembrano  in  certa  misura  sovrapporsi,  fino  al  punto  da  poter
coincidere,  e un tanto sia dal lato della fattispecie condizionante,
sia dal lato della statuizione condizionata:
        a)  dal  lato della fattispecie: l'esegesi dell'art. 404 c.c.
consente  de  plano di affermare che l'amministrazione di sostegno e'
applicabile  (non  solo,  ma)  anche nel caso di incapacita' totale e
permanente  del  beneficiario  di  provvedere ai propri interessi per
infermita'  o  menomazione  psichica, secondo una formulazione che di
fatto  coincide  con quella della incapacita' di provvedere ai propri
interessi   indotta   da   abituale  infermita'  di  mente  richiesta
dall'art. 414 c.c. per l'interdizione.
        In   particolare,   posto   che  l'incapacita'  psichica  del
beneficiario  dell'amministrazione  di  sostegno  puo'  anche  essere
totale,  proprio come per l'interdetto, la maggiore o minore gravita'
dell'infermita'  psichica  non  discrimina  necessariamente tra i due
istituti.  Inoltre,  una  incapacita' psichica parziale o sicuramente
transeunte,  e  per questo meno grave, puo' dare ingresso, in difetto
di  ulteriori  elementi  differenziatori,  sia all'amministrazione di
sostegno sia (ex art. 415 c.c.) all'inabilitazione;
        b)  dal lato degli effetti: la nuova disciplina delle «misure
di  protezione»  fa  salvo il potere del beneficiario di compiere: 1)
gli  atti (giuridici e non?) necessari a soddisfare le esigenze della
propria  vita  quotidiana, 2) gli atti (giuridici) che non richiedono
l'assistenza     necessaria    o    la    rappresentanza    esclusiva
dell'amministratore   di   sostegno,   ma  secondo  l'interpretazione
corrente degli artt. 405, n. 3 e 4, e 409 c.c., interpretazione della
quale  il  provvedimento  di  rimessione  costituisce  sintomo  punto
isolato,  la  «protezione»  puo'  essere cosi' estesa da imporre, ove
necessario,  la  presenza  dell'amministratore di sostegno, vuoi come
rappresentante  vuoi  in  funzione  di  integrazione  della  volonta'
dell'assistito, in pressoche' tutti gli atti sub 2).
    Nel  caso  di  specie,  e  in altri analoghi che investono questo
stesso    g.t.,    il    provvedimento    di   rimessione   autorizza
l'amministratore  a  compiere,  in  nome  e  per  conto  del soggetto
beneficiario,   tutti   gli   atti   di   straordinaria  e  ordinaria
amministrazione  (per  questi  ultimi nei limiti in cui lo stesso non
sia  in grado di compierli da se' sola o almeno assistito) attraverso
i quali la persona fa esercizio di autonomia giuridica.
    E'  possibile  pertanto che i poteri conferiti all'amministratore
di  sostegno siano cosi' ampi da impedire al beneficiario di compiere
da se' solo (senza l'assistenza o la rappresentanza di quello) validi
atti giuridici.
    In  tale  caso,  gli  effetti  dell'amministrazione  di  sostegno
coincidono  (salvo  ovviamente  il  compimento  degli  atti giuridici
necessariamente  personali)  con quelli dell'interdizione, cosi' come
modulabili  ai  sensi  dell'art. 427,  primo  comma (introdotto dalla
legge n. 6/2004), c.c.
    Peraltro,  in  base  ad altra disposizione contenuta nel comma in
parola,   l'inabilitato  puo'  essere  autorizzato  a  compiere  atti
eccedenti   l'ordinaria   amministrazione   senza   l'assistenza  del
curatore.
    Anche  in  questo  caso,  gli effetti di due distinti istituti di
protezione - A. di S. e inabilitazione - possono di fatto coincidere:
posto  che  anche  il giudice tutelare, in presenza di una infermita'
psichica  non  grave  in  capo  al  beneficiario,  puo'  limitarsi  a
individuare   una   serie   ristretta   di   atti   di  straordinaria
amministrazione    per    i   quali   e'   sufficiente   l'assistenza
dell'amministratore  di  sostegno,  lasciando  per  il  resto intatta
l'autonomia giuridica del soggetto bisognoso di tutela.
    In  definitiva,  le disposizioni sopra richiamate danno luogo, in
assenza di criteri discriminanti espressi e chiaramente desumibili, a
tre  fattispecie  normative  che,  nella  misura  e nei termini sopra
precisati, irragionevolmente coincidono.
    E'  ben  vero,  peraltro,  che in forza dell'art. 414, cosi' come
modificato  dalla  legge n. 6/2004, la misura dell'interdizione (e si
deve   presumere  anche  quella  della  inabilitazione)  deve  essere
applicata  solo  quando  cio'  e'  necessario ed assicura all'infermo
adeguata protezione, ma si tratta di un criterio discriminante muto.
    In  effetti,  la  necessita'  di una misura di protezione si deve
valutare  apprezzando  la congruita' del mezzo (l'ampiezza tipologica
degli  atti che richiedono l'assistenza o la rappresentanza) rispetto
alla   situazione  (la  gravita'  dell'incapacita'  del  soggetto  di
provvedere ai propri interessi, ossia di compiere in modo consapevole
e ponderato quegli atti) cui deve sopperire.
    Nondimeno,  se  il presupposto della amministrazione di sostegno,
ove  consista  nella  totale  e  permanente  incapacita' psichica del
beneficiario,  e  i  relativi  effetti,  ove  al  beneficiario  venga
precluso  il compimento da se' solo (come sembra emergere nel caso di
specie  e nei limiti sopra precisati dal provvedimento di rimessione)
di  qualunque  atto  di ordinaria e straordinaria amministrazione, di
fatto   coincidono  con  quelli  dell'interdizione,  si  deve  allora
concludere che l'interdizione non e' mai necessaria.
    Mutatis    mutandis    (incapacita'    psichica    meno    grave,
amministrazione   di   sostegno   meno   invasiva  nei  suoi  effetti
preclusivi),   si   deve  pervenire  alla  medesima  conclusione  per
l'istituto dell'inabilitazione.
    In  sostanza,  ed  e'  proprio  questa  una  tesi  che  e'  stata
autorevolmente  sostenuta  in  dottrina,  la  novella,  piu'  che una
parziale  duplicazione di fattispecie, conterrebbe di fatto una sorta
di     abrogazione     non     dichiarata     dell'interdizione     e
dell'inabilitazione,   a   cui   sarebbe   assegnato   una   funzione
assolutamente  marginale  e  residuale,  dovendo  essere il giudice a
riempire di contenuti il muto criterio della «necessita».
    Quella  stessa  dottrina  ha in particolare suggerito la tesi che
l'interdizione  (e l'inabilitazione?) sarebbe necessaria, in presenza
ovviamente   degli  ulteriori  presupposti,  solo  nel  caso  in  cui
l'incapace risultasse titolare di un ingente patrimonio.
    Rileva  in  proposito  questo  giudice  che  la  dietrologia  (il
legislatore  non  ha avuto il coraggio di andar fino in fondo, non si
e'  sentito  di abrogare formalmente i vecchi istituti di tutela) non
puo'   costituire   il  filo  conduttore  dell'opera  interpretativa,
necessariamente  in  chiave  sistematica,  del  nuovo piu' articolato
sistema  di  protezione  degli incapaci (e di tutela della buona fede
dei terzi che vengono in relazione giuridica con gli stessi); e che a
tal  fine,  non  gli  e'  consentito  fare  finta  che  gli  istituti
dell'interdizione  e  dell'inabilitazione  siano  stati  praticamente
espulsi dal nostro ordinamento.
    Lo vieta infatti il principio istituzionale di legalita', che nel
nostro  ordinamento  costituzionalizzato regge come una architrave la
funzione giurisdizionale.
    Peraltro,   se  la  soggezione  del  giudice  alla  legge  impone
all'organo  giudicante  di  tener  conto,  in  concorso  dei relativi
presupposti, di tutti gli istituti di protezione degli incapaci privi
di autonomia introdotti, mantenuti o modificati dal legislatore, cio'
richiede  che  la scelta dello strumento di «tutela» da applicare non
sia  di  fatto  lasciato, in assenza di chiari confini tra le diverse
fattispecie,  al  libero  arbitrio  dell'organo  giurisdizionale,  in
particolare  in  una materia potenzialmente lesiva, e in sommo grado,
della sfera di liberta' e di autodeterminazione dei singoli.
    Ne   possono   infatti   risultare   compromessi  supremi  valori
costituzionali  quali quelli fissati negli artt. 2, 3 e 4 della Cost.
nonche'  violati  gli ulteriori parametri di principio con i quali di
seguito  la  Carta garantisce il pieno dispiegarsi della personalita'
nella sfera dei rapporti economici e dei traffici giuridici: art. 41,
primo comma, e 42, secondo comma.
    E  cosi'  tanto  piu'  in quanto il nuovo istituto di protezione,
dagli effetti potenzialmente simili a quelli dell'interdizione, anche
in  concorso  di  meno  gravi  presupposti,  sono stati affidati a un
giudice unico (g.t.) e a un provvedimento che non si consolida mai in
giudicato,  essendo  sempre  modificabile  (anche  in  peius sotto il
profilo  degli  effetti  preclusivi)  e  meramente reclamabile, cosi'
privando  il «beneficiario», con un risultato paradossalmente inverso
a  quello di maggior tutela prefissosi dal legislatore della novella,
delle maggiori garanzie, sia pure non di rango costituzionale, insite
nella   collegialita'  e  nell'appellabilita'  che  caratterizzano  i
procedimenti di interdizione e inabilitazione.
    Per  non  dire poi della circostanza che questo giudice unico non
si  limita  a  esprimere un parere in proposito, ma puo' direttamente
autorizzare  atti  di  disposizione del patrimonio del «beneficiario»
(ai  sensi  dell'art. 411,  primo comma, c.c., i provvedimenti di cui
agli artt. 375 e 376 c.c. sono emessi dal giudice tutelare).
    La  mancata indicazione di chiari criteri selettivi ha dato luogo
pertanto   a   una  duplicazione  irragionevole  di  fattispecie  che
risultano  parzialmente fungibili, e rendono piu' precaria e incerta,
di  fronte  al  potere  dell'organo  giurisdizionale  che e' tenuto a
somministrare la misura, la condizione del soggetto incapace privo di
autonomia.
    E'  evidente peraltro che la denunciata irragionevolezza verrebbe
meno  in  radice,  ove  fosse  possibile  interpretare  l'istituto in
parola,  ed  in particolare gli artt. 404, 405, n. 3 e 4, e 409 c.c.,
nel  senso  della  sua applicabilita' alle sole ipotesi di infermita'
psichica  meno  gravi  di quelle che giustificano l'interdizione e la
stessa       inabilitazione,      derivandone,      conseguentemente,
l'adottabilita',  da  parte  del  g.t.,  di  misure  limitative della
autonomia  giuridica del soggetto incapace non gia' ad ampio spettro,
all'opposto  davvero  mirate a specifiche categorie di atti se non ad
atti singoli.
    L'indirizzo  interpretativo  corrente, di cui il provvedimento di
trasmissione  degli atti in parola e' sintomatico, non consente pero'
questa  soluzione  esegetica,  e  rende rilevante nel caso di specie,
gia'  in  astratto, la sollevata questione di costituzionalita' delle
disposizioni in parola.
    Detta  rilevanza  puo',  peraltro,  essere  apprezzata  anche  in
concreto:  posto  che nella documentazione medica allegata al ricorso
per  interdizione  (come  sopra  implicitamente rigettato dal giudice
adito),  si legge, tra l'altro, che, per effetto della oligofrenia di
cui  risulta  affetta,  la  F. deve essere seguita in ogni atto della
vita quotidiana, derivandone ictu oculi un quadro clinico cosi' grave
che  lo stesso G.I. rimettente, come si e' gia' rilevato, ha ritenuto
necessario   precluderle,   nominando   all'uopo   un  amministratore
provvisorio con amplissimi poteri di rappresentanza ed assistenza, il
valido   compimento   da   se'   sola  pressoche'  di  ogni  atto  di
straordinaria e ordinaria amministrazione.
    Su  questa  base, chi scrive deve dunque decidere se ricorrono in
punto  di  fatto  i  presupposti  richiesti  per  l'A.  di  S.  o, in
alternativa,  se  una  interpretazione  costituzionalmente  orientata
dell'istituto  in  parola,  e  cosi' nei termini sopra precisati, gli
imponga  di  utilizzare  in  via  immediata  e preventiva i poteri di
sollecitazione  del  giudizio  (in  questo caso di un nuovo giudizio)
interdittivo attribuitigli dall'ultimo comma dell'art. 413 c.c.
    Vi  sono  peraltro, a parere di questo giudice, ulteriori profili
di  irragionevolezza,  potenzialmente  perniciosi per la liberta' del
soggetto  «incapace»,  e  dunque  per  i  valori  e i parametri sopra
richiamati, nella disciplina introdotta dalla novella.
    In particolare:
        a)  in  base  al  novellato  art. 418,  c.c.,  se  il giudice
dell'interdizione   e  dell'inabilitazione  ritiene,  nel  corso  del
relativo  procedimento,  che non esistono i presupposti per applicare
la  relativa  misura  di  protezione, ma gli appare opportuno che sia
applicata  l'amministrazione  di  sostegno, dispone, come nel caso di
specie,  la  trasmissione del procedimento al giudice tutelare e puo'
nominare  medio-tempore  un amministrazione di sostegno indicando gli
atti che e' autorizzato a compiere;
        b)  in  base all'ultimo comma del novellato art. 413 c.c., il
giudice  tutelare  provvede,  anche  d'ufficio, alla dichiarazione di
cessazione  della  materia  dell'amministrazione  di  sostegno quando
questa  a  suo  parere si sia rivelata inidonea a realizzare la piena
tutela  del  beneficiario, e in tale ipotesi, se ritiene che si debba
promuovere  giudizio  di interdizione o di inabilitazione, ne informa
il pubblico ministero, affiche' vi provveda.
    In  sostanza,  il  nuovo  sistema di protezione e' affidato a due
distinti  organi,  giudiziari  (il  giudice  dell'interdizione  e  il
giudice  tutelare)  che sono chiamati a gestire lo stesso caso umano,
ciascuno  sulla base della propria idea riguardo ai criteri selettivi
(quando  e'  necessaria  l'interdizione  o  l'inabilitazione?; quando
l'amministrazione    di    sostegno    non    e'    adeguata?)    che
contraddistinguono le fattispecie e relative misure rispettivamente e
autonomamente amministrate.
    Le  disposizioni  in  esame  non  indicano  pero'  quale  dei due
soggetti, in caso di divergenza, debba prevalere.
    Il  giudice  dell'interdizione  non  puo'  infatti  obbligare  il
giudice  tutelare  a  nominare  un amministratore di sostegno (ove il
g.t.  reputi  che tale misura sia inadeguata); a sua volta il giudice
tutelare   non   puo'   imporre   al   giudice   dell'interdizione  e
dell'inabilitazione l'adozione di tali misure (che il Presidente o il
g.t. o il collegio reputino non necessarie).
    Per  ovviare  al  corto  circuito giudiziario che tale situazione
puo'   produrre,   innescato   dalla  mancanza  di  una  disposizione
processuale  di  coordinamento  ad  hoc ed esasperata dall'assenza di
chiari criteri selettivi, si e' non a caso suggerito di introdurre la
prassi,   che  non  trova  peraltro  appiglio  in  nessuna  specifica
disposizione processuale, che uno dei due giudici in parola (nel caso
di  specie  ad  es.  il  G.I.)  acquisisca  preventivamente il parere
dell'altro  organo  (nel  caso  di  specie  il  g.t.)  in ordine alla
sussistenza,  secondo  lui,  dei presupposti richiesti per l'adozione
della  misura  che  gli  compete di somministrare (nel caso di specie
l'A. di S.).
    Come   dire:  una  concertazione  preventiva  che  da'  luogo  ad
un'inammissibile anticipazione di giudizio.
    Tale  suggerimento e' tuttavia il sintomo di un reale problema di
coordinamento,  atteso  che  in  questo  vuoto  omissivo (il g.t. non
nomina l'amministratore di sostegno, il giudice dell'interdizione non
interdice,   etc..),   puo'  finire  come  in  tritacarne  lo  stesso
«beneficiario!»,  sballottato  da  un  organo giudicante all'altro in
attesa di una decisione (relativamente definitiva) sul suo caso.
    Ne'  d'altra parte si vede per quale ragionevole motivo, salvo un
improponibile  stare decisis, il g.t. a cui siano stati trasmessi gli
atti,   come   nel   caso   di  specie  ai  sensi  dell'ultimo  comma
dell'art. 418 c.c., e che fin da subito reputi non adeguata la misura
dell'amministrazione  di  sostegno,  e  cosi'  sulla  base del quadro
diagnostico  dagli  stessi  emergente  ictu oculi, debba adottare per
intanto  una  misura  particolarmente incisiva, praticamente identica
negli  effetti  a  quelli derivanti dall'interdizione, una misura che
proprio  per questo egli reputi di non poter legittimamente adottare,
salvo   poi  avviare  in  un  momento  immediatamente  successivo  il
procedimento  sollecitatorio previsto dall'ultimo comma dell'art. 413
c.c.
    L'autorevole  dottrina,  che  pure suggerisce tale bizzarro modus
procedendi,  non  tiene  innanzi  tutto  conto  del  fatto  che detta
procedura  e'  pensata  in  funzione  di  un  giudizio sopravvenuto e
sperimentato  (si sia rilevata inidonea a realizzare la piena tutela)
della misura gia' adottata, in allora ricorrendovi i presupposti.
    Di piu'.
    Non tiene conto del fatto che una amministrazione di sostegno che
produca  sul  piano  degli  effetti  giuridici  la  stessa situazione
dell'interdizione,  precludendo  al beneficiario il valido compimento
da   se   solo   di  qualunque  atto  di  ordinaria  e  straordinaria
amministrazione, rende quella per definizione non necessaria.
    Infine,  la  trasmissione  degli  atti  al  p.m.  e il successivo
riesame  del  caso  umano  da  parte del giudice dell'interdizione, e
cosi'   ai   sensi   della   disposizione   per  ultima  citata,  non
necessariamente  da'  luogo  al  risultato auspicato dal G.T.: che si
vede  infine  costretto a tenere ferma una misura di protezione a suo
parere illegittima.
    In definitiva, anche le disposizioni ex art. 413, ultimo comma, e
418,  ultimo comma, c.c. appaiono irragionevoli, nella misura in cui,
una  volta  operata  la scelta organizzativa di non concentrare in un
unico  organo  la  gestione  del  medesimo  caso umano, non prevedono
tuttavia,  in  caso  di divergenza tra i due giudici, le modalita' di
risoluzione di eventuali divergenze: sia sull'interpretazione da dare
degli  istituti  in  parola, dei relativi presupposti e dell'ampiezza
dei  relativi  effetti,  sia sulla gravita' della deficienza psichica
del soggetto incapace.
    La  questione  appare  rilevante  nel  caso  di specie, in quanto
l'interpretazione che il giudice rimettente da' dell'Istituto dell'A.
di  S.,  tale da ricomprendere anche deficienze psichiche molto gravi
nonche'   provvedimenti  con  estesissimi  effetti  limitativi  della
autonomia  giuridica  dell'incapace,  pur  apparendo a questo giudice
tutelare   in   contrasto   con   i  parametri  costituzionali  sopra
evidenziati,  non  difetta  di  plausibilita'  esegetica,  e  non gli
lascerebbe  pertanto  altra strada che l'adozione di una misura a cui
il  codice civile, o meglio la sua interpretazione costituzionalmente
orientata, tuttavia non lo abilita.
    Ne  deriva  pertanto  un  pericolo  di  violazione  dello  stesso
principio   costituzionale  di  soggezione  del  giudice  alla  legge
(art. 101, secondo comma, della Carta).
    Il principio di legalita' in senso lato va infatti coordinato con
quello di legalita' costituzionale, ma al giudice di Civil Law non e'
consentito   disapplicare  direttamente  l'interpretazione  normativa
corrente  che egli reputi di dubbia legittimita' costituzionale, puo'
solo  sollevare  la  relativa  questione  in  quanto  a  suo dire non
manifestamente infondata nonche' rilevante.
    Come di fatto la solleva.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  la  rilevanza  e  la  non  manifesta infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale:
        a)  degli  artt. 404,  405,  n. 3  e  4,  e  409  del c.c. in
relazione  agli  artt. 2,  3,  4,  41,  primo comma, e 42 della Carta
costituzionale;
        b)  degli  artt. 413,  ultimo comma, e 418, ultimo comma, del
c.c.  in  relazione  agli  artt. 2,  3, 4, 41, primo comma, 42 e 101,
secondo comma, della Carta costituzionale.
    Sospende, pertanto, il presente giudizio, dispone la trasmissione
degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  e ordina che, a cura della
cancelleria,  la  presente ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e  sia  comunicata al Presidente del Senato
della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.
        Chioggia, addi' 20 settembre 2004
                   Il giudice tutelare: Ciampaglia
05C1425