N. 23 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 novembre 2005
Ordinanza emessa il 3 novembre 2005 dal tribunale di Gorizia nel procedimento penale a carico di Georgieva Zhana Robertinova ed altro Straniero - Espulsione amministrativa - Rientro senza autorizzazione nel territorio dello Stato dello straniero espulso - Trattamento sanzionatorio - Limite minimo edittale di un anno di reclusione - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento tra cittadini - Lesione dei diritti inviolabili dell'uomo - Violazione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, modificato dall'art. 1, comma 2-ter, del decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella legge 12 novembre 2004, n. 271. - Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27, comma terzo.(GU n.6 del 8-2-2006 )
IL TRIBUNALE Nel giudizio direttissimo incardinato, a seguito dell'arresto eseguito addi 8 ottobre 2005 d'iniziativa della Stazione Carabinieri di Gorizia Principale, ai sensi dell'art. 13, comma 13-ter del d.lgs. n. 286/1998 come modificato dalla legge 12 novembre 2004 n. 271, nei confronti dei cittadini stranieri extracomunitari Georgieva Zhana Robertinova e Zhelyazkov Emil Samuilov (di nazionalita' bulgara) per il reato di cui all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998, come sostituito dalla legge 12 novembre 2004, n. 271. A scioglimento della riserva presa all'udienza del 10 ottobre 2005; Rilevato che entrambi gli imputati hanno richiesto, all'udienza del 10 ottobre 2005 applicazione di pena ex artt. 444 ss. c.c.p. sulla quale il p.m. ha espresso il proprio consenso; Ritenuto che dall'esame degli atti del fascicolo non emergano, a fronte dell'istanza di patteggiamento elementi su cui fondare un eventuale proscioglimento degli imputati ai sensi dell'art. 129 c.p.p.; Ritenuto che peraltro debba essere sollevata d'ufficio questione di legittimita' costituzionale, in rel. all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 - come sostituito dalla legge 12 novembre 2004, n. 271 - nella parte in cui prevede il limite minimo edittale di un anno di reclusione per lo straniero espulso che rientri nel territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro dell'interno, norma in concreto applicabile alla fattispecie per cui si procede, ha pronunciato la seguente ordinanza. In fatto ed in diritto E' pregiudiziale rispetto a ogni altro profilo la risoluzione del dubbio di costituzionalita', sollevato dalla difesa e che questo giudice, condividendolo, reputa di dover comunque specificare ed integrare d'ufficio circa la norma di cui all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 - come sostituito dalla legge 12 novembre 2004, n. 271 - nella parte in cui prevede il limite minimo edittale di un anno di reclusione per lo straniero espulso che rientri nel territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro dell'interno, per contrasto con gli articoli 2, 3, 10 e 27 comma 3 della Costituzione. Va rilevato che non essendo state richieste misure cautelari gli imputati sono stati posti in stato di liberta' dopo la convalida dell'arresto e che prima dell'apertura del dibattimento gli imputati hanno chiesto l'applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. nei seguenti termini: pena base anno uno di reclusione, ridotta per le attenuanti generiche a mesi otto di reclusione, ulteriormente ridotta a mesi cinque e giorni dieci di reclusione, pena sospesa. Il p.m. ha prestato il consenso. Va ritenuto preliminarmente di dover escludere il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. in quanto: il provvedimento di espulsione appare legittimo, con riguardo ad entrambi gli imputati e risulta eseguito - previa convalida del giudice di pace mediante accompagnamento alla frontiera aerea di Milano Malpensa dell'imputata Georgieva, avendo invece l'imputato Zhelyazkov ottemperato spontaneamente all'intimazione del questore pedissequa al decreto di esplusione lasciando il territorio dello Stato; risulta altresi' provato il rientro di entrambi i sunnominati in Italia senza autorizzazione. Il vaglio dell'istanza di patteggiamento impone peraltro di effettuare anche una valutazione di congruita' della sanzione, concordata dalle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p. In proposito va richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 313 dd. 26 giugno 1990 giusta cui la valutazione di congruita' demandata al giudice del patteggiamento, costituisce diretta espressione del «...parametro costituzionale di cui all'art. 27, terzo comma, che impone al giudice di valutare l'osservanza del principio di proporzione fra quantitas della pena e gravita' dell'offesa, e quindi il concreto valore rieducativo della pena in relazione alla sua pregnante finalita». Nel caso in esame, va quindi senz'altro dato atto che le parti hanno correttamente determinato la pena, concordando sia la concedibilita' delle attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p., sia la massima riduzione consentita per il rito ex art. 444 c.p.p., ma hanno effettuato il computo muovendo, comunque, da una pena base rigidamente fissata sul limite edittale minimo di un anno di reclusione. Cio' che precede parendo senz'altro integrare la rilevanza della questione (data dalla necessita' di determinare in concreto la pena congrua da applicarsi per il fatto accertato) si osserva quanto segue. I dubbi di costituzionalita' in ordine alla norma di cui all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 (nella parte in cui prevede il limite minimo edittale di un anno di reclusione), paiono trovare in primo luogo fondamento nei principi giurisprudenziali costituzionali elaborati in materia di discrezionalita' del legislatore nella determinazione della quantita' e qualita' della sanzione penale. In particolare la Corte costituzionale, in diverse pronunce richiamate e ribadite nella sentenza n. 341/1994, dopo aver riaffermato il principio secondo cui appartiene alla discrezionalita' del legislatore la determinazione della quantita' e qualita' della sanzione penale e non spetta quindi alla Corte stessa rimodulare le scelte punitive effettuate dal legislatore, ne' stabilire quantificazioni sanzionatorie, ha pero' evidenziato come «alla Corte rimane il compito di verificare che l'uso della discrezionalita' legislativa in materia rispetti il limite della ragionevolezza». Detto principio e' stato cosi' testualmente esplicitato e ricostruito in prosieguo della sentenza n. 341/1994: «Con la sentenza n. 409 del 1989 la Corte ha definitivamente chiarito che "il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali; ... le valutazioni all'uopo necessarie rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore, il cui esercizio puo' essere censurato, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza" (v. pure nello stesso senso sentenze nn. 343 e 422 del 1993). Infatti, piu' in generale, "il principio di proporzionalita' ... nel campo del diritto penale equivale a negare Iegittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionalmente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni" (seritenza n. 409 del 1989). In altre recenti decisioni, inoltre, la Corte ha maturato la convinzione che la finalita' rieducativa della pena non sia limitata alla sola fase dell'esecuzione, ma costituisca "una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue"; tale finalita' rieducativa implica pertanto un costante "principio di proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra (sentenza n. 313 del 1990; v. pure sentenza n. 343 del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993). In applicazione di questi principi le sentenze da ultimo ricordate sono giunte a dichiarare costituzionalmente illegittime, come palesemente irragionevoli, diverse previsioni di sanzioni penali giudicando che la loro manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai fatti-reato si traduceva in arbitrarie e ingiustificate disparita' di trattamento, o in violazioni dell'art. 27, terzo comma, Cost.. In particolare la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che "la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale" provocata dalla previsione di una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell'illecito "produce ... una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione"». Tutto cio' premesso, va osservato - che nella specie - la discrezionalita' del legislatore non pare esplicata secondo i parametri sopra richiamati. Si deve premettere come la mera disamina della vicenda legislativo-giurisprudenziale che ha portato - nel novembre 2004 - all'inasprimento della sanzione penale in questione, denoti che l'intervento del legislatore, benche' abbia riguardato norme sostanziali, direttamente incidenti sulla liberta' personale, sia stato ispirato da valutazioni ed esigenze di natura essenzialmente processuale. In proposito va osservato in primis che dagli stessi lavori preparatori della legge 271/2004 non emerge alcuna enunciazione di ragioni supportanti l'inasprimento delle sanzioni penali (tra l'altro di recente introduzione, nella misura precedente alla modifica, ex legge 189/2002) che siano riconducibili a scelte di politica criminale esercitate discrezionalmente innanzi all'insorgenza, in concomitanza con l'intervento legislativo de quo, di situazioni particolari legate al fenomeno dell'immigrazione, venendo invece piu' volte rimarcata espressamente, la necessita' di superare le censure mosse dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 222 e 223 del 2004 (cfr. A.C.5369 discussione d.d. 2 novembre 2004 sul testo approvato in Senato il 20 ottobre 2004, repliche del relatore alla legge). Va in proposito rammentato che le sentenze della Corte costituzionale n. 222 e 223 del 2004 hanno avuto ad oggetto norme diverse - rispettivamente, l'art. 13, comma 5-bis, e l'art. 14, comma 5-quinquies del d.lgs. n. 286/1998 - dalla fattispecie della cui legittimita' si verte. In particolare, la sentenza n. 223 ha dichiarato l'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998 (nel testo integrato dalla legge n. 189/2002) illegittimo nella parte in cui stabiliva l'arresto obbligatorio per la contravvenzione prevista al comma 5-ter dello stesso articolo. A seguito di cio', il legislatore del novembre 2004 ha inteso intervenire a modifica del presupposto su cui si fondava la sentenza n. 223/2004. Piu' precisamente, la fattispecie di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/1998 - gia' contravvenzionale - e' stata trasformata in delitto (prima parte), e stata sanzionata con la reclusione da uno a quattro anni, ed e' stata nuovamente individuata come fattispecie per la quale e' previsto l'arresto obbligatorio (gia' ritenuto illegittimo in relazione alla precedente previsione contravvenzionale atteso che detta limitazione della liberta' personale non era comunque suscettibile di trasformarsi in qualsiasi misura coercitiva... e percio' ...privo di qualsiasi sbocco processuale: cfr. sent. 223/2004). In sostanza, tale intervento legislativo ha reso possibile - in astratto - l'applicazione alla fattispecie delle misure coercitive secondo i limiti previsti dall'art. 280, comma 2 c.p.p. Del tutto simile e' stato l'intervento legislativo operato sulla norma della cui ragionevolezza qui si dubita, una tale modifica dell'art. 13, comma 13, d.lgs. 286/1998 avendo evidentemente assunto carattere preventivo rispetto ad eventuali censure di incostituzionalita'. In particolare, l'art. 1, comma 2-ter lett. a), c), legge 12 novembre 2004, n. 271: ha trasformato la fattispecie da contravvenzione in delitto, irrogando la sanzione della reclusione da uno a quattro anni, in luogo dell'arresto da sei mesi ad un anno (sanzione che era stata a sua volta aggravata dalla legge 189/2002, rispetto all'originario testo del d.lgs. 286/1998, che prevedeva l'arresto da due a sei mesi); ha previsto l'arresto obbligatorio anche fuori dai casi di flagranza, in luogo dell'arresto facoltativo in flagranza; ha cosi' esteso anche a detta fattispecie, per effetto dell'innalzamento della pena massima edittale, l'ambito di operativita' del sistema generale di applicabilita' delle misure coercitive, ai sensi dell'art. 280 comma 2 c.p.p. Alla luce di quanto sopra esposto, si ravvisano plurimi profili per dubitare della ragionevolezza dell'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998, come sostituito dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui e stato introdotto il minimo edittale di un anno di reclusione. Anche a prescindere da quanto gia' osservato in ordine all'insussistenza di ragioni contingenti, individuate a supporto di un aggravamento sanzionatorio di portata cosi' rilevante (consistito, di fatto, nel raddoppio del precedente minimo edittale oltre che nella trasformazione in delitto dell'illecito gia' contravvenzionale), detta sanzione non sembra fondata su un ponderato bilanciamento tra la tutela dei sottesi interessi dell'ordine e sicurezza pubblica da un lato e quello della liberta' personale del soggetto agente dall'altra e, pertanto, non pare conforme al criterio di ragionevolezza, sotto i profili della proporzione ex art. 3 e della finalita' rieducativa della pena ex art. 27, terzo comma Cost. come delineati nelle decisioni menzionate in precedenza. Una tale sproporzione risulta peraltro evidente dal semplice raffronto con le analoghe ipotesi di reato esistenti nel vigente ordinamento nelle quali, similmente alla fattispecie oggetto della presente ordinanza, e' cioe' sanzionata una condotta di inottemperanza ad un ordine dell'autorita' amministrativa in particolare: con la contravvenzione prevista dall'650 c.p (inosservanza dei provvedimenti dell'autorita), sanzionata con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206,00, nonche' con la contravvenzione prevista dall'art. 2, legge 27 dicembre 1956/1423 (inosservanza di provvedimenti del questore da parte di persone pericolose) sanzionata con l'arresto da uno a sei mesi. Sotto altro profilo, con riferimento alla sanzione in esame, non e' dato neppure poter ravvisare la ratio piu' volte rimarcata in sede di adozione del d.l. 241/2004 e di approvazione della legge di conversione 271/2004, ovvero la necessita' di «rimodulare il testo della norma censurata» (ed invero, le declaratorie di illegittimita' costituzionale hanno investito altre norme (gli artt. 13, comma 5-bis e 14, comma 5-quinquies del d.lgs. n. 286/1998) e, segnatamente, in relazione all'art. 14, comma 5-quinques la declatoria di illegittimita' ha riguardato la previsione dell'arresto obbligatorio, previsione allora non contemplata (neppure a seguito della legge 189/2001) per la fattispecie che qui si esamina ed invece introdotta dalla legge 271/2004 anche fuori dai casi di flagranza. La previsione di un minimo edittale cosi elevato, sembra comunque irragionevole anche nell'ottica della stessa ratio posta essenzialmente alla base dell'inasprimento sanzionatorio complessivo, vale a dire dell'esigenza di rendere la fattispecie in esame compatibile con il sistema generale di applicazione delle misure coercitive, invero disegnato in relazione al parametro dei massimi edittali inderogabili (cfr. 274, lett. c), e 280, comma 2 c.p.p.), non assumendovi invece alcun rilievo i minimi edittali di pena. Oltre che rispetto ai profili sin qui evidenziati, la norma in oggetto pare altresi' in contrasto con gli artt. 3 e 2, in rel. all'art. 10 della Costituzione (cio' anche al di la' della significativita' dello stesso art. 3 Cost. gia' ritenuta dalla Corte costituzionale in relazione all'art. 27 c.p. a fondamento del parametro della proporzionalita). Va infatti considerato che tali articoli sanciscono e delineano i principi fondamentali di uguaglianza davanti alla legge e pari diginita' sociale, nonche' di garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo tra i quali rientra evidentemente il diritto alla liberta' individuale, e non pare dubitamente che, in ragione dell'art. 10 della Costituzione, tali principi fondamentali spieghino piena vigenza anche nei confronti degli stranieri presenti sul territorio della Repubblica. Ed alla luce di tali principi non pare ragionevolmente giustificata la sostanziale disparita' di trattamento data dalla sottoposizione dei cittadini stranieri extracomunitari ad una pena minima edittale di un anno di reclusione per la violazione di un ordine amministrativo, quando le gia' citate fattispecie del tutto analoghe suscettibili di applicazione ai cittadini italiani (vale a dire gli artt. 650 c.p. e 2, legge 27 dicembre 1956/1423) sono invece sanzionate con pene di natura contravvenzionale e di entita' di gran lunga inferiori a quella prevista dalla norma oggetto della presente ordinanza (l'art. 650 c.p. prevedendo addirittura la possibilita' di comminare la sola pena pecuniaria). Gli argomenti che precedono, confermando la rilevanza ai fini del decidere della questione proposta e la non manifesta infondatezza della stessa, inducono questo giudice a rimettere gli atti alla Corte costituzionale per le valutazioni di competenza.
P. Q. M. Visto l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritiene che ai fini del presente procedimento non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 - come sostituito dalla legge 12 novembre 2004, n. 271 - nella parte in cui prevede il limite minimo edittale di un anno di reclusione per lo straniero espulso che rientri nel territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro dell'interno, per contrasto con gli articoli 2, 3, 10 e 27, comma 3 della Costituzione secondo quanto esposto nella motivazione; Ritiene che la stessa sia rilevante ai fini del decidere; Sospende il procedimento in corso per giudizio direttissimo, nei confronti di Georgieva Zhana Robertinova e Zhelyazkov Emil Samuilov; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina altresi' che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata agli imputati, al difensore, al p.m. in sede nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; inoltre che la stessa venga comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Gorizia, il 3 novembre 2005. Il giudice: Nicoli 06C0062