N. 21 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 26 gennaio 2006

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato  in  cancelleria il 26 gennaio 2006 (della Corte d'appello
di Venezia)

Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale a carico
  dell'on.   Vittorio   Sgarbi   per   il   reato   di   diffamazione
  pluriaggravata  per  le  dichiarazioni da questi rese, nel corso di
  trasmissioni televisive, nei confronti del magistrato Raffaele Tito
  -  Deliberazione  di  insindacabilta'  della  Camera dei deputati -
  Conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato sollevato dalla
  Corte  di  appello  di  Venezia, quarta sezione penale - Denunciata
  mancanza  di  nesso  funzionale  tra opinioni espresse ed attivita'
  parlamentari.
- Deliberazione della Camera dei deputati del 7 ottobre 2003.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.6 del 8-2-2006 )
    Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato
avverso la delibera della Camera dei deputati in data 7 ottobre 2003,
relativa  all'insindacabilita'  delle  opinioni espresse dal deputato
Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Raffaele Tito.

    1. - Va premesso in fatto:
        Vittorio  Sgarbi,  all'epoca  ed  attualmente  deputato,  era
imputato   di  diffamazione  pluriaggravata  per  avere,  in  quattro
trasmissioni  televisive  della  serie  «Sgarbi  quotidiani», diffuse
dall'emittente  «Canale  5»  i giorni 10, 14 e 18 gennaio e 24 luglio
1997 e da lui condotte, offeso la reputazione del magistrato Raffaele
Tito,  con  riferimento  alla  sua attivita' di sostituto procuratore
della  Repubblica  presso  il  Tribunale di Pordenone in relazione ai
procedimenti  penali  contro  il  deputato  Michelangelo Agrusti e il
sindaco  del Comune di Buia Molinaro. La quarta trasmissione segue la
presentazione di querela per le prime tre, e la commenta.
      In  estrema  sintesi,  la  contestazione dava conto dell'accusa
rivolta al magistrato, con le parole e le espressioni riportate nelle
due  imputazioni in epigrafe (originariamente oggetto di due distinti
procedimenti  poi  riuniti),  di  avere  approfittato della relazione
sentimentale  con la dott.ssa Fasan, magistrato che svolgeva funzioni
di g.i.p. nel medesimo ufficio giudiziario (relazione che si assumeva
in  corso all'epoca dei fatti denunciati), per ottenere provvedimenti
restrittivi   e  decisioni  giurisdizionali  compiacenti.  Attesa  la
formulazione  del capo d'imputazione del procedimento originariamente
recante  il  n. 22/99  R.G.,  che  utilizza la locuzione «i cui testi
devono  intendersi  tutti  integralmente  riportati»,  fin  d'ora  va
disposta  l'allegazione  al  presente  ricorso,  di cui costituiscono
parte  integrante, delle non controverse trascrizioni dei testi delle
tre trasmissioni 10, 14 e 18 gennaio 1997.
    La  vicenda aveva tratto origine da un memoriale del marito della
Fasan,  Danilo  Da  Re,  consegnato  all'Agrusti e da questi diffuso,
anche  ad  organi  di  stampa. Su di essa il 22 dicembre del 1996 era
stata  presentata un'interrogazione parlamentare dal deputato Armando
Veneto.
    In  relazione al contenuto delle quattro trasmissioni erano state
proposte  due  querele  autonome,  da  parte  del  dott. Tito e della
dott.ssa  Fasan;  secondo  le  regole  sulla  competenza territoriale
(avendo  riguardo al domicilio delle persone querelanti ed in ragione
del  luogo  d'esercizio  dell'attivita' professionale del dott. Tito)
erano  iniziati  due  processi,  a Treviso per la dott.ssa Fasan ed a
Venezia per il dott. Tito.
    Il   processo   di   Treviso  si  e'  definito  con  sentenza  di
proscioglimento  ex art. 129 c.p.p. in relazione all'art. 68 Cost. In
data 24 febbraio 1999 infatti la Camera dei deputati, cui apparteneva
lo  Sgarbi, deputato, aveva deliberato che i fatti per i quali era in
corso  il  processo  concernevano  opinioni espresse da un membro del
Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni. Il Tribunale di Treviso
aveva sollevato conflitto d'attribuzioni tra i poteri dello Stato, ma
il  ricorso  era  stato  dichiarato inammissibile una prima volta per
questioni  formali  (la  mancata  adeguata  indicazione del petitum).
Riproposto  il  medesimo  conflitto con atto che recepiva la censura,
con  ordinanza  12 dicembre  2003,  n. 358  la  Corte  costituzionale
dichiarava  inammissibile  anche  il  nuovo  ricorso  per una diversa
questione,  sempre in rito: confermando la propria giurisprudenza sul
punto,  la Corte ribadiva «l'esigenza costituzionale che il giudizio,
una  volta instaurato, sia concluso in termini certi non rimessi alle
parti    configgenti»,    non    essendo    ammissibile    «mantenere
indefinitivamente    in    sede   processuale   una   situazione   di
conflittualita'   tra   poteri,   protraendo   cosi'  ad  libitum  il
ristabilimento   della   «certezza   e  definitivita'  di  rapporti»,
essenziale   ai  fini  di  un  regolare  svolgimento  delle  funzioni
costituzionali.
    1.1. - Con sentenza del 23 marzo - 13 giugno 2001 il Tribunale di
Venezia  ha  dichiarato lo Sgarbi responsabile dei reati ascrittigli,
uniti  nella  continuazione, e, negate le attenuanti generiche, lo ha
condannato  alla  complessiva pena di un anno un mese di reclusione e
lire   tre   milioni   di  multa.  Gli  ha  concesso  la  sospensione
condizionale della pena. Ha altresi' condannato lui e il responsabile
civile  Reti  Televisive  Italiane  S.p.A. a risarcire in solido alla
parte  civile  Tito  il  danno,  liquidato  in via definitiva in lire
trecento milioni, e le spese di lite.
    Il  giudice  lagunare innanzi tutto argomentava proprio sul punto
del  perche'  dovesse  escludersi  nella  fattispecie  l'immunita' ex
art. 68  Cost. Lo Sgarbi aveva reso quelle dichiarazioni extra moenia
e  fuori  del  contesto  d'iniziative parlamentari; l'occasione delle
propalazioni era stato l'esercizio di mera attivita' professionale di
natura giornalistica che «nulla ha obiettivamente a che vedere con la
prerogativa  accordata  dall'art. 68.1  della  Costituzione»;  le sue
dichiarazioni   non   potevano   essere  connesse  con  alcuna  forma
d'esercizio di funzioni parlamentari, non essendo individuabile alcun
atto  parlamentare  specifico  da lui adottato quale deputato; vi era
solo  una  «vaga  comunanza tematica» con atti (parlamentari) altrui,
tuttavia  «neppure  indirettamente  richiamati»  in  occasione  della
propalazione oggetto d'imputazione.
    In  particolare,  confrontando  espressamente  i  contenuti degli
interventi  televisivi  e  dell'interrogazione  del  deputato Armando
Veneto,  il  tribunale  tra l'altro argomentava che «le dichiarazioni
diffamatorie   rese   dallo   Sgarbi-conduttore   televisivo  neppure
lontanamente  appaiono  essere  riproduttive  di  quelle  pronunciate
nell'interpellanza»;  il  raffronto  evidenziava appunto solo qualche
comunanza  tematica  in  se'  inidonea a ricondurre le prime a quelle
insindacabili e protette; specialmente il dep. Veneto si esprimeva in
forma  dubitativa  in  ordine  alla  verita'  dei  fatti  e  chiedeva
all'interlocutore  istituzionale  di  volerla  accertare,  mantenendo
prudenza  nei  confronti  della  fonte (il memoriale del marito della
dott.ssa  Fasan)  e  continenza  ed adeguatezza espositiva, mentre lo
Sgarbi  consegnava  il  resoconto  al  pubblico come verita' in senso
rigorosamente  oggettivo,  senza  alcun  dubbio,  e  in  un  contesto
espositivo    dove   «la   denigrazione   gratuita   risulta   essere
oggettivamente   prevalente   rispetto   a   qualsivoglia   contenuto
informativo».
    1.2.  -  Sul  punto  i  motivi d'appello, richiamata la pronuncia
della  Camera  per  il  ramo  trevigiano del processo, deducevano che
invece   sussisteva   il   nesso   con   l'esercizio  delle  funzioni
parlamentari,  da  riconoscersi  anche quando il deputato «trasporti»
extra  moenia  il  senso  di  un  dibattito  politico sviluppatosi in
Parlamento,  indipendentemente  dal fatto che sia stato quel medesimo
deputato  ad  affrontare  la  questione  nella sede istituzionale. La
difesa  osservava  che  nel  caso  di specie nella trascrizione della
trasmissione  10 gennaio  1997  si  leggeva  un  esplicito richiamo a
precedente   interpellanza   del  deputato  Armando  Veneto  (fg.  34
appello).  Sarebbe  stata  poi  irrilevante  la diversita' del tenore
delle  rispettive  affermazioni (interrogazione Veneto e trasmissioni
Sgarbi),  posto  che  ai fini del riconoscimento del nesso funzionale
dovrebbe sussistere non un linguaggio asettico e acritico, bensi' una
comunanza  d'argomenti,  seppur  non  nella  forma della riproduzione
integrale: cio' perche' la prerogativa dell'art. 68 Cost non potrebbe
che entrare in gioco quando le espressioni siano astrattamente lesive
della  reputazione  altrui.  In  terzo  luogo l'analisi del contenuto
dell'interrogazione  del  deputato  Veneto  imporrebbe di concludere,
diversamente  da  quanto fatto dal tribunale, che anche quel deputato
ha   in   tale  atto  sviluppato  una  profonda  critica,  censurando
pesantemente  le  condotte  dei  due  magistrati  e  non esprimendosi
affatto  -  secondo  l'appellante -  in forma dubitativa (non potendo
giungersi a tale valutazione solo valorizzando i continui riferimenti
al memoriale).
    1.3.  - In data 7 ottobre 2003 e' intervenuta delibera con cui la
Camera  dei  deputati  ha  dichiarato  «che i fatti per i quali e' in
corso  il  procedimento di cui al Doc. IV quater n. 19 (quelli per il
reato   di   diffamazione  aggravata  pendenti  presso  questa  Corte
d'appello)  concernono opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi
nell'esercizio   delle   sue  funzioni,  ai  sensi  del  primo  comma
dell'art. 68 della Costituzione».
    2. - In rito.
    A  norma  dell'art. 3  della  legge 20 giugno 2003, n. 140 questa
Corte   dovrebbe  provvedere  immediatamente  con  sentenza  a  norma
dell'art. 129 del codice di procedura penale.
    Con  sentenza  16 aprile  2004, n. 120 la Corte costituzionale ha
gia'  avuto  occasione  di  affermare  che  la nuova normativa non ha
innovato  la  predetta  disposizione  costituzionale,  limitandosi  a
renderne  esplicito  il  contenuto,  confermando  la necessita' della
connessione  alla  funzione  parlamentare  degli  atti  tipici  o non
tipici, a prescindere dal criterio della localizzazione.
    Va  subito  chiarito  che  il  precedente  specifico  per il ramo
trevigiano del processo (quello in cui era persona offesa la dott.ssa
Fasan)  non  ha  alcuna  rilevanza  poiche',  come riferito, la Corte
costituzionale  ha  definito  quella  procedura con pronuncia in rito
sicche'   la   questione   che  si  affronta  e'  rimasta  del  tutto
impregiudicata nel suo merito.
    3. - Nel merito.
    Va confermato innanzitutto che l'unica questione da affrontare in
questa  sede  e'  quella  se  nelle  quattro  trasmissioni televisive
indicate  nelle  due  imputazioni  lo  Sgarbi  abbia svolto attivita'
connessa alla funzione parlamentare. In particolare esulano del tutto
le    diverse    questioni   dell'eventuale   natura   oggettivamente
diffamatoria  di  talune  espressioni  o  del  contesto espositivo di
alcune o tutte le trasmissioni e, poi, dell'eventuale sussistenza del
diritto  di  critica  o  del  diritto  di  cronaca  o  dell'esercizio
d'attivita'  o  critica politica, anche solo putativi, tali questioni
afferendo  il  merito del processo di cui questa Corte e' investita a
seguito  e  nei  limiti devolutivi degli atti d'impugnazione e di cui
dovra' occuparsi nel caso il processo possa proseguire.
    Nella  gia'  richiamata  importante  sentenza  n. 120 del 2004 la
stessa  Corte ha insegnato e statuito «una volta per tutte ed in modo
esaustivo»  (cosi'  testualmente  nella  sentenza) il contenuto della
prerogativa parlamentare prevista nel primo comma dell'art. 68 Cost.,
che  segna  i  confini  oltre  i  quali  la  giurisdizione  non  puo'
spingersi,  chiarendo  in  via  definitiva  che  la  connessione  con
l'esercizio  di  funzioni  parlamentari  (intese  come  riferibili in
astratto  ai  lavori parlamentari prescindendo dalla «localizzazione»
dell'atto)  e' il presidio delle prerogative parlamentari e, insieme,
del principio d'eguaglianza e dei diritti fondamentali dei terzi lesi
sicche',  anche  dopo la legge n. 240/2003, non «ogni espressione dei
membri  delle  Camere, in ragione del rapporto rappresentativo che li
lega  agli  elettori,  e'  per  cio'  solo  assistita  dalla garanzia
dell'immunita».
    L'espressione  dei  membri  delle  Camere  partecipa  quindi  dei
diritti  propri  d'ogni  cittadino  (appunto,  esercizio  del diritto
d'attivita'  politica,  di critica, di cronaca, di manifestazione del
pensiero),  ottenendo le tutele previste per tali tipi di diritti, ma
gode  dell'immunita'  solo quando sia connessa non alla mera qualita'
soggettiva   di   parlamentare   ma  al  dato  oggettivo  dei  lavori
parlamentari:  altrimenti  la  prerogativa  dell'insindacabilita'  si
trasformerebbe in privilegio personale.
    Sul punto la Corte costituzionale ha significativamente ricordato
la  giurisprudenza  recente della Corte europea dei diritti dell'uomo
(decisioni    30 gennaio   2003)   sull'esigenza   di   una   stretta
interpretazione dell'immunita' ogni qualvolta manchi un chiaro legame
tra  opinione  espressa  ed esercizio delle funzioni parlamentari, in
ragione  dell'effetto di negazione del diritto essenziale di agire in
giudizio per il cittadino soggetto leso.
    Solo  il  riferimento in astratto ai lavori parlamentari consente
pertanto  di  individuare  il  nesso funzionale. Con due importanti e
consolidate  precisazioni:  che  si  prescinde  da  ogni  criterio di
«localizzazione»  (sicche'  possono  rientrare  nell'immunita'  anche
attivita'  svolte  all'esterno  del «sito» Parlamento); che non vi e'
automatica   equivalenza   tra  atto  non  previsto  dai  regolamenti
parlamentari e atto estraneo alla funzione parlamentare.
    Ulteriore  importante  chiarimento  si  evince tra le altre dalla
sentenza  n. 508  del  2002  (proprio  nell'ambito  di quella che con
suggestiva  espressione  potrebbe  definirsi  ormai la giurisprudenza
sgarbiana  della  Corte  costituzionale,  attesi  gli  ormai  davvero
numerosi  precedenti  specifici  relativi  all'odierno  imputato): il
richiamo   ai   lavori   parlamentari   deve   essere   specifico   e
circostanziato,  non  bastando un generico riferimento all'«occuparsi
quotidianamente  dei  problemi  della  giustizia e del contrasto alla
malagiustizia».
    Il  richiamo necessario a specifici lavori parlamentari trova una
sua  ragionevole  ed  essenziale  spiegazione, pure evidenziata dalla
Corte (per tutte sent. 25 luglio 2001, n. 289): la soggezione di tali
lavori alle regole proprie del diritto parlamentare; cosi' da un lato
si  evita  un'immunita'  legibus  soluta, dall'altro si garantisce la
pienezza  della  salvaguardia  delle prerogative parlamentari essendo
appunto  i  relativi  controlli  ed interventi attribuiti agli stessi
organi    parlamentari.    Ecco   perche'   per   il   riconoscimento
dell'operativita' dell'immunita' e' indispensabile un rigoroso legame
tra  le  espressioni  di  pensiero  di  colui  che  ha la qualita' di
parlamentare  e  i  lavori  parlamentari:  perche'  solo  tale legame
assicura  che  il  contenuto  dell'attivita'  sia stato gia' valutato
nella  sede costituzionalmente competente; altrimenti, come avvertito
dalla  Corte  l'immunita'  si risolverebbe in un privilegio personale
che  annienta  diritti  di rango costituzionale altrui senza che cio'
risponda a specifiche e prevalenti esigenze sistematiche.
    3.1.  -  Attraverso  le  parole  della  relatrice  la  Camera cui
appartiene   lo   Sgarbi  argomenta  la  delibera  d'insindacabilita'
sostanzialmente con tre rilievi.
    Il  primo:  lo  Sgarbi  nelle  trasmissioni si sarebbe limitato a
«formulare  una  precisa  denuncia nei confronti della mala giustizia
riproducendo  un  fatto  relativo  a  un  pubblico  ministero e ad un
g.i.p.,  precisamente  il dott. Tito, il denunciante relativamente al
caso che ci occupa, e la dott.ssa Fasan, entrambi in carico presso il
Tribunale  penale  di  Pordenone», fatti che traevano «origine da una
denuncia ufficialmente realizzata dal marito della dott.ssa Fasan che
denunciava  l'esistenza  di  una  relazione sentimentale tra il dott.
Tito  e la dott.ssa Fasan e riportava fatti, dichiarazioni specifiche
e  incontri  avvenuti  tra  questi  due magistrati nei quali si aveva
l'abitudine  di discutere di questioni giudiziarie in corso presso il
Tribunale  di  Pordenone, quindi fatti che agli stessi erano affidati
nel  loro  ruolo  specifico, rispettivamente, di g.i.p. e di pubblico
ministero»;  lo Sgarbi «non faceva altro che denunciare un gravissimo
episodio   di   malagiustizia,  ricollegandosi  peraltro  a  fatti  e
iniziative    parlamentari   specifiche»   e   il   riferimento   era
all'interrogazione   presentata   dall'on. Armando  Veneto  sul  caso
Agrusti.  Aggiungeva  sul  punto  la  relatrice che «si tratta di una
denuncia   ("motivata   e   documentata   circa  un  fatto  realmente
increscioso  per la nostra giustizia") che l'on. Sgarbi ha fatto bene
a  portare  a  conoscenza  dei  cittadini  e  del  pubblico  e che e'
strettamente  connessa all'attivita' e alla funzione parlamentare che
l'on. Sgarbi svolgeva e svolge ancora oggi».
    Il secondo rilievo era infatti che «si tratta di un'attivita' che
l'on. Sgarbi  svolge  sovente  perche' egli si occupa quotidianamente
dei problemi della giustizia, del contrasto alla malagiustizia».
    Il  terzo  rilievo era al «precedente» sugli stessi fatti, per il
procedimento  separato  di  Treviso  con  persona  offesa la dott.ssa
Fasan;  cosi'  si  esprimeva sul punto la relatrice: «Il Tribunale di
Treviso  sollevo'  al  riguardo  un  conflitto di attribuzione che la
Corte costituzionale rigetto».
    Il  secondo  ed  il terzo rilievo non sono pertinenti, per quanto
anche  gia'  argomentato:  il ricorso del Tribunale di Treviso non e'
stato  rigettato ma dichiarato inammissibile per ragioni afferenti il
rito.  Il  riferimento  generico  ad  attivita'  di  «contrasto della
malagiustizia» e' inidoneo a costituire il nesso funzionale.
    Nessuno  di  questi  due  rilievi pertanto e' idoneo a costituire
presupposto legittimo per una valutazione di insindacabilita'.
    3.2.  - Il primo rilievo e' invece quello sicuramente decisivo, e
pone due problemi in diritto ed uno in fatto.
    3.2.1.  -  In  questo  caso,  infatti, il collegamento tra quanto
detto dallo Sgarbi nelle quattro trasmissioni e i lavori parlamentari
e'  costituito  dall'interrogazione presentata da altro parlamentare,
interrogazione  che  nel  processo  di primo grado non si e' in alcun
modo  documentato  abbia  avuto seguito e, tantomeno, abbia su quella
specifica   tematica  coinvolto  durante  i  lavori  parlamentari  il
deputato  Sgarbi.  Sul  punto  la  difesa aveva chiesto di sentire il
deputato  Veneto,  ed  e'  pendente  questione in rito specificamente
riproposta  nei  motivi  d'appello,  ma appare evidente che essendo i
lavori  parlamentari  documentati  congruamente il tema poteva essere
oggetto di prova anche documentale.
    Cio'  pone  la  questione «se un deputato possa giovarsi, ai fini
della   non   sindacabilita'  di  sue  dichiarazioni,  dell'attivita'
ispettiva  posta  in  essere  sul medesimo tema da altri membri delle
Camere».  Si  tratta  di  questione  che piu' volte e' stata allegata
dalla  Camera  dei  deputati  in  precedenti  giudizi su conflitti di
attribuzione, anche relativi allo stesso odierno imputato appellante,
ma  la  Corte  nei  procedimenti  sgarbiani non ha finora ritenuto la
necessita' di trattarla compiutamente al fine del decidere le singole
questioni  propostele,  per  l'assorbente  considerazione che in quei
casi  il  riferimento sarebbe stato comunque inidoneo, in ragione del
suo  contenuto,  ad  offrire copertura parlamentare alle affermazioni
dello  Sgarbi (in tal senso, per tutte, sent. 4 dicembre 2002, n. 508
e la gia' ricordata sent. n. 289/2001).
    Il  secondo  problema  in  diritto  riguarda  la riconoscibilita'
dell'immunita'  anche  nei  casi  in  cui  la divulgazione in ipotesi
diffamatoria  (eppero',  sempre in ipotesi, riproduttiva di contenuto
di  lavori  parlamentari sia pure con protagonisti attivi diversi dal
successivo «esternatore») avvenga durante una trasmissione televisiva
in  cui  chi  «parla»  non  e' colui che interviene come parlamentare
ospite  e per riferire dei «suoi» lavori parlamentari o, comunque, di
«lavori  parlamentari», ma chi conduce le trasmissioni, sulla base di
un   rapporto   contrattuale  retribuito  con  l'editore  televisivo,
rapporto  che  nulla  ha  in  se'  a  che vedere con il temporalmente
contestuale svolgimento del mandato parlamentare. In altri termini la
questione  e'  se chi e' pagato da un terzo per scegliere cosa dire e
poi  effettivamente dire, con retribuzione che e' altro rispetto alla
(sola)  indennita'  prevista  dall'art. 69  Cost  per  i  membri  del
Parlamento, quando parla pagato dal terzo possa comunque godere delle
prerogative  parlamentari, quasi realizzandosi una sorta di esercizio
di  funzione  parlamentare a richiesta retribuita da soggetto diverso
dallo Stato.
    Anche  questo aspetto non risulta ancora espressamente affrontato
dalla  Corte  costituzionale,  che  pure  in  piu'  occasioni  vi  ha
accennato,  e  sempre  per  la mancanza di una rilevanza decisiva nei
casi concreti gia' trattati.
    3.2.2.  -  Quanto  al  secondo  aspetto  la  Corte ritiene che la
prestazione  di un'attivita' lavorativa retribuita da terzi, da parte
di  chi  e'  pure  parlamentare,  non  sia  in se' elemento idoneo ad
influire  sulla  applicabilita'  o  meno  dell'immunita' ex art. 68.1
Cost.  Una  volta  infatti  chiarito  che l'immunita' non riguarda la
persona  del  parlamentare  in quanto tale, non essendo un privilegio
personale  connesso  oggettivamente  al  mero fatto della qualita' di
eletto,  non  appare  esservi  una ragione sistematica (in assenza di
puntuali  disposizioni  normative  sul  punto)  per  differenziare la
posizione del parlamentare che intervenga in un comizio piuttosto che
in  un  dibattito  o  in  una  trasmissione  televisiva (sia ospite o
conduttore,  anche professionalmente retribuito). La problematica del
doppio  lavoro  del  parlamentare  e  del contesto in cui l'attivita'
lavorativa  personale si affianca all'attivita' lavorativa funzionale
di  parlamentare  e'  certo attuale, ma allo stato della legislazione
puo'  rilevare  sotto  l'aspetto dell'opportunita', dell'etica, della
fedelta'  al  mandato  chiesto  e  ottenuto  dai  cittadini elettori,
dell'efficacia  del  suo  adempimento,  non  avendo  invece incidenza
dirimente  in  questa sede. Perche' la conclusione cui, per quanto si
e'  argomentato alla stregua degli insegnamenti ricordati della Corte
costituzionale,  si  deve pervenire e' che, quale che sia il contesto
logisticamente estraneo alle mura parlamentari, cio' che solo importa
e'  che  l'opinione  che  e'  manifestata  fuori  sia  funzionalmente
connessa ai lavori parlamentari.
    3.2.3.  -  Per il primo e in realta' fondamentale aspetto, appare
certamente  legittima  (e  piu'  appropriata)  l'interpretazione  che
limiti  l'immunita'  alle  sole  proprie opinioni espresse nei lavori
parlamentari:   l'immunita'  e'  istituto  eccezionale,  scopo  della
salvaguardia  e' la liberta' di opinione del singolo parlamentare nei
relativi lavori, e tale finalita' si realizza e si consuma garantendo
al  singolo  parlamentare  di poter manifestare le opinioni che vuole
con  il  solo  limite  dei  controlli  e  degli interventi propri del
diritto  parlamentare.  In  tal  contesto  interpretativo,  riferirsi
all'opinione   resa   da  un  altro  parlamentare  durante  i  lavori
parlamentari   atterrebbe   sempre,   chiunque   sia   l'autore   del
riferimento, a diritto di cronaca, a diritto di critica, ad esercizio
di   attivita'   politica,  mai  potrebbe  costituire  partecipazione
all'immunita' che garantisce quello specifico e diverso parlamentare.
    Ed invero, applicando le generali positive regole ermeneutiche il
significato  proprio  delle  parole  secondo la loro connessione e la
natura   eccezionale  della  previsione  costituzionale  dell'art. 68
(significativamente riconosciuta dalla piu' consolidata dottrina come
costitutiva  e non dichiarativa o ricognitiva) limitano l'immunita' a
colui  che  l'opinione  ha  manifestato  o  ha dato il voto. Anche la
giurisprudenza  della  Corte  europea,  gia'  ricordata,  concorre al
medesimo risultato ermeneutico.
    Aderendo  a  questa  interpretazione, nel caso di specie, poiche'
l'atto  parlamentare  cui  si  fa  riferimento e' di soggetto diverso
dall'imputato,  difetta questo essenziale presupposto per l'esercizio
dello  speciale  potere  attribuito dall'art. 68.1. Cost. alla Camera
dei deputati.
    Deve  a  questo  punto prendersi atto che con la recente sentenza
15-19  novembre  2004,  n. 347  la Corte costituzionale, decidendo il
conflitto di attribuzioni sorto tra il Tribunale di Roma ed il Senato
della Repubblica relativamente ad affermazioni rese dal sen. Marcello
Pera  nel  2001  nei  confronti  dei  magistrati  Caselli,  Teresi ed
Ingroia,  ha  motivatamente scelto questa interpretazione, insegnando
che  «anche l'estensione dell'immunita' (operata dalla giurisprudenza
della   Corte)   alle   dichiarazioni  rese  all'esterno  della  sede
parlamentare,   riproduttive   e   divulgative  di  atti  costituenti
esercizio  di funzioni parlamentari, non puo' che riferirsi agli atti
che  il medesimo parlamentare riproduce e divulga, con la conseguente
irrilevanza  di  quelli  posti  non  da  lui,  ma da altri membri del
Parlamento».
    3.2.4.  -  Nella  fattispecie,  comunque,  conduce  alla medesima
conclusione anche l'adesione ad interpretazione che «estenda» a tutti
i   parlamentari   l'immunita'   prevista   per  chi  ha  manifestato
l'opinione.  Tale  interpretazione,  in  definitiva, riconoscerebbe a
tutti   gli   altri  parlamentari  la  copertura  in  relazione  alla
divulgazione all'esterno dell'opinione di un determinato parlamentare
nell'ambito  dei  lavori parlamentari; cio' ovviamente anche nel caso
in  cui  gli  altri  parlamentari non siano personalmente intervenuti
sullo  specifico  tema  oggetto dell'opinione, nel corso del medesimo
dibattito  o in tempi successivi, e comunque nell'ambito di attivita'
riconducibili ai lavori parlamentari.
    E'  infatti  da ritenere che pure in questo caso debba sussistere
il  limite  oggettivo  che  vale  per  il  medesimo  parlamentare che
quell'opinione   abbia   espresso:   deve  trattarsi  di  sostanziale
ripetizione  e  non  anche  di integrazione o modificazione di quella
espressa nell'ambito dei lavori parlamentari.
    Si  tratta  di limite su cui concordano dottrina e giurisprudenza
della   Corte  costituzionale  (numerose  sono  le  decisioni,  anche
sgarbiane,  nelle  quali  e' stato affermato essere necessario che vi
sia  quantomeno «una sostanziale corrispondenza di significati tra le
dichiarazioni   rese  al  di  fuori  dell'esercizio  delle  attivita'
parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni gia' espresse
nell'ambito  di  queste ultime»: per tutte, sent. n 257 del 20 giugno
2002).
    Si  noti,  a  questo  punto,  che  proprio  l'ovvia necessita' di
rispettare  questo  limite finisce con l'introdurre altro argomento a
favore  dell'interpretazione  «restrittiva»  esposta  per  prima:  se
infatti   il   parlamentare   che  «esterna»  l'opinione  di  diverso
parlamentare   e'  tenuto  comunque  al  rispetto  della  sostanziale
corrispondenza  di significati con il contenuto di quell'opinione, in
realta' egli viene a trovarsi nelle stesse condizioni di un qualunque
cronista,  critico,  politico,  finanche cittadino gia' legittimato a
riferire  dei  pubblici lavori parlamentari e soggetto ai soli usuali
obblighi di rispetto del contenuto e della continenza espositiva.
    Potrebbe argomentarsi che permarrebbe comunque una differenza tra
cronista,  critico,  politico non parlamentare e cittadino, tenuti al
rispetto  dei  limiti imposti all'esercizio dei rispettivi diritti, e
il  parlamentare,  invece  non  soggetto  al  limite della continenza
espositiva,  e  che  tale differenza potrebbe giustificare l'adozione
dell'interpretazione  estensiva.  Ma  ci  si  potrebbe  chiedere se -
obbligata  la connessione oggettiva ai lavori parlamentari (di altri)
-  si  giustifichi l'immunita' sulle sole modalita' espositive, cosi'
individuando in esse un valore-bene di rilievo costituzionale tale da
giustificare  l'estensione dell'applicazione di una norma eccezionale
di tale rilievo da comportare l'immunita' penale.
    3.2.4.1.  -  Orbene, l'interrogazione del deputato Armando Veneto
e'  stata  presentata  nella  seduta  122  del 22 dicembre 1996 (e va
disposta  l'allegazione  anche di tale testo come parte integrante di
questo  ricorso  per  gli  immediati  riscontri  che esso consente ed
agevola), quindi prima delle quattro trasmissioni televisive. E nella
prima di queste, quella del 10 gennaio 1997, come esattamente dedotto
in  uno  dei  due  atti d'appello ed invece non considerato dal primo
giudice,  lo  Sgarbi  ebbe a richiamarla espressamente («... E queste
cose  le dico io? No: non potro' essere querelato, perche' sono dette
in  una  interrogazione  parlamentare  ...  Tutte  queste  cose  sono
riassunte in un'interpellanza parlamentare, presentata al Ministro di
grazia e giustizia dal deputato Armando Veneto, del PDS».
    Si  tratta  allora,  ed  ecco  infine  il  problema  in fatto, di
verificare  se vi sia quella sostanziale corrispondenza tra contenuto
dell'interrogazione  e  dichiarazioni televisive dello Sgarbi per cui
sono  state presentate dal dott. Tito le due querele originanti i due
procedimenti oggi riuniti e per cui pendono le specifiche imputazioni
gia' valutate dal tribunale lagunare.
    A   giudizio   di  questa  Corte  distrettuale  tale  sostanziale
corrispondenza   non   vi  e'  (e  va  ancora  precisato  che  questa
valutazione  attiene  esclusivamente  al  punto  della procedibilita'
ulteriore dell'azione penale, lasciando impregiudicati - nell'ipotesi
che  la Corte adita dovesse accogliere questo ricorso - gli ulteriori
punti  della  sussistenza  eventuale  dei  diritti  di  critica anche
politica,  o di cronaca, o addirittura di una putativa convinzione di
agire  in  condizioni  di  immunita'  - invero i motivi d'appello non
contestano  la  natura  oggettivamente diffamatoria delle espressioni
usate  nei  confronti  del dott. Tito, punto della decisione pertanto
ormai precluso ad ulteriori valutazioni - ).
    L'interrogazione  del deputato Veneto si richiama sostanzialmente
alla  dichiarazione del marito della dott.ssa Fasan, Danilo Da Re, il
cui contenuto segue sinteticamente punto per punto.
    3.2.4.2.  - Bene, in tale dichiarazione non si parla mai del caso
Molinaro    (sindaco    di    Buia);    ed    effettivamente    anche
nell'interrogazione del deputato Veneto di tale caso non si parla. Ma
il  capo  di  imputazione  relativo  al  procedimento originariamente
recante  il  n. 706/98  contesta anche le espressioni relative a quel
caso e in primo grado e' intervenuta motivata condanna anche per esse
(si tratta della trasmissione del 24 luglio 1997).
    Di  tutta  evidenza  appare pertanto che la delibera della Camera
contro  cui  qui  si ricorre abbia in ogni caso e comunque esorbitato
dai   poteri   attribuiti   a  quel  Potere  dello  Stato,  imponendo
all'autorita'  giudiziaria una sentenza di improcedibilita' anche per
un'autonoma  ipotesi  di  reato  per  cui  in primo grado vi e' stata
condanna   e  che  questa  Corte  dovrebbe  ulteriormente  conoscere,
nell'ambito  dei  poteri  giurisdizionali  che le sono dati a seguito
della  rituale  impugnazione  anche su tale capo della sentenza, e di
cui mai si e' specificamente trattato in lavori parlamentari.
    3.2.4.3.  -  Per  quanto riguarda le altre affermazioni, relative
alle  vicende  del  deputato Michelangelo Agrusti, la lettura dei due
documenti-parametro (l'interrogazione del deputato Armando Veneto, le
trascrizioni  delle  quattro  trasmissioni)  impone di condividere in
particolare una delle valutazioni gia' operate dal tribunale e di cui
si e' prima dato conto.
    L'interrogazione  richiama  l'esposto-dichiarazione  del Da Re e,
indicandone  i  vari passaggi, se commenta trattarsi di comportamenti
gravi  evidenzia  pero'  contestualmente la necessita' di un rigoroso
«accertamento»,  parlandosi  di fatti che «potrebbero costituire piu'
gravi reati e che solo una approfondita indagine potra' evidenziare».
L'esposizione  del  contenuto della dichiarazione del Da Re e' sempre
preceduto,  punto  per  punto,  da  locuzioni  tipo  «si  legge»,  «a
leggere»,  «in  particolare  pare  che»,  «che  sarebbe  stata frutto
dell'accordo», «aggiunge il Da Re», «prosegue il Da Re».
    In  particolare l'interrogazione conclude la parte espositiva con
questa  specifica  opinione:  «il racconto del sig. Da Re e' denso di
particolari  ed  individua  fonti  di  prova  utili  per accertare la
verita', a condizione che si agisca con immediatezza, prima cioe' che
il  potere del quale sono dotati i personaggi da investigare valga ad
inquinare  le  prove»  e  «i  riscontri  alle dichiarazioni del Da Re
serviranno,  non solo per conoscere i fatti, ma anche per saggiare la
credibilita'  dello  stesso che, tuttavia, pare essere in possesso di
conoscenze particolareggiate e riscontrabili anche attraverso l'esame
dei  fascicoli  processuali  citati;  primo fra tutti quello relativo
alla  vicenda  Agrusti, conclusasi con l'assoluzione dell'imputato in
grado  d'appello, dopo che la sentenza, a firma della dott.ssa Fasan,
aveva interpretato i dati probatori in senso accusatorio».
    Chiaro  appare il senso ed il contenuto dell'interrogazione: sono
denunciati  comportamenti  gravi,  la  fonte pare molto informata, e'
necessario  accertare con rapidita' come stanno i fatti, investigando
efficacemente anche saggiando l'attendibilita' della fonte, per poter
eventualmente  adottare  i consequenziali provvedimenti per garantire
la   dignita'   dell'esercizio   delle  funzioni  giurisdizionali  in
Pordenone.
    Si  rivela  cosi'  infondata  la  doglianza dei motivi di appello
relativa  alla valutazione che anche il tribunale ha fatto del tenore
dell'interrogazione:  non  si  tratta  di  aver esasperato i richiami
continui  al  Da  Re  come  autore  delle  affermazioni, e' lo stesso
interrogante  che  (e  doverosamente!  per rispetto dei fatti e della
propria funzione) parla espressamente di accertamento della verita' e
di  saggiare la credibilita' della fonte (che, non si dimentichi, era
marito animato da pur comprensibili volonta' di rivalsa).
    Nelle   affermazioni   documentate   nelle  quattro  trasmissioni
televisive,  invece,  lo  Sgarbi  «si  appropria  del  resoconto  che
proviene immediatamente dall'on. Veneto e mediatamente da altre fonti
di  informazione,  lo  rielabora  grossolanamente  e,  alteratolo, lo
consegna  all'opinione  pubblica  come  narrazione di fatti realmente
accaduti,  come descrizione di una sequenza di accadimenti quali sono
stati  e  sono  nella  realta',  come  verita' in senso rigorosamente
oggettivo,   mai  come  "una"  delle  verita'  possibile»  (cosi'  il
tribunale a pag. 7 della motivazione della prima sentenza di merito).
    In  altri  termini,  la  pur  astrattamente verosimile ipotesi da
verificare  (ancorche' con le anche condivisibili stigmatizzazioni di
gravita'  ed  urgenza)  del  deputato Armando Veneto diviene il fatto
accertato  e come tale meritevole di censura. L'opinione parlamentare
del  deputato  Veneto  nell'esternazione  dello  Sgarbi diviene altro
fatto, altra opinione, opinione integrata e modificata.
    Basta  leggere  il  contenuto  dei  capi  di  imputazione (con le
espressioni  che  per  rispetto della Corte adita non si rinnovano in
questa  parte del testo del ricorso, ma che sono anche negli allegati
che il ricorso integrano, come avvertito) per cogliere che l'opinione
partecipata  al  pubblico  televisivo  dallo  Sgarbi  e'  che  i  due
magistrati hanno avuto un legame sentimentale e sessuale fin da prima
dell'inizio dei procedimenti interessanti l'Agrusti, dando vita ad un
contesto  dove  il  sesso e il lavoro si compenetravano ed il secondo
era strumentalizzato e dipendente dal primo. Un fatto, una situazione
differente - dall'ipotesi da verificare con urgenza, al fatto storico
accertato  e  verificato  -  che  significativamente  allo  stato  il
tribunale  ha  escluso  sussistere, avendo collocato il sorgere della
non  contestata  relazione  sentimentale tra i due magistrati dopo la
trattazione dei procedimenti oggetto della dichiarazione del Da Re (e
dell'interrogazione  Veneto).  Ed  e'  significativo  che  gli stessi
motivi  d'appello,  pur  contestando  tale  ricostruzione  del  primo
giudice  del merito, tuttavia non giungano a dedurre che la relazione
debba,  o  possa,  essere retrodatata a prima del compimento di tutti
gli atti procedimentali riguardanti l'Agrusti.
    4.  - Per le ragioni ora esposte deve essere proposto ricorso per
conflitto  d'attribuzione  tra Poteri dello Stato avverso la delibera
della  Camera  dei  deputati  che in data 7 ottobre 2003 ha stabilito
l'insindacabilita'   delle   dichiarazioni  di  Vittorio  Sgarbi  nei
confronti  di  Raffaele  Tito,  per le quali e' in corso procedimento
penale  davanti  a  questo giudice, risultando tale delibera adottata
senza che ricorrano i presupposti per l'applicabilita' dell'art. 68.1
Cost.
    Va da ultimo rilevato che questa Corte d'appello e' legittimata a
sollevare  conflitto,  poiche'  organo  giurisdizionale, in posizione
d'indipendenza  costituzionalmente garantita, competente a dichiarare
definitivamente, per il procedimento di cui e' investito, la volonta'
del  Potere cui appartiene, e che altresi' sussiste la legittimazione
della  Camera  dei  deputati  ad essere parte nel presente conflitto,
quale  organo  competente  a dichiarare in modo definitivo la propria
volonta'  in ordine all'applicabilita' dell'art. 68 primo comma della
Costituzione.
    5.  -  Infine,  poiche'  la Corte costituzionale ha ripetutamente
insegnato   che   e'  onere  del  notificante  attivarsi  perche'  il
procedimento  di  notificazione si concluda con il ritorno degli atti
nella sua disponibilita' nel tempo utile per il rituale proseguimento
del  processo  (sentenze  nn. 247  e  278 del 2004), per osservare il
termine dei venti giorni per il successivo deposito, termine ritenuto
perentorio  nella giurisprudenza della Corte adita, vanno adottate le
disposizioni organizzative di cui al dispositivo che segue.
    Il presente processo penale deve pertanto essere sospeso, a norma
del  richiamo  operato  dall'art. 37.5,  legge  n. 87/1953  anche  al
precedente art. 23.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 68 Cost. 3, legge n. 140 del 20 giugno 2003, 37 e
38, legge n. 87 dell'11 marzo 1953.
    Chiede  che  la Corte costituzionale dichiari che non spetta alla
Camera dei deputati deliberare che i fatti per i quali e' in corso il
procedimento  penale  d'appello  nei  confronti del deputato Vittorio
Sgarbi, recante il n. 2587/01 R.G. App. e di cui al presente ricorso,
riguardano   opinioni   espresse   da   un   membro   del  Parlamento
nell'esercizio    delle   sue   funzioni   parlamentari,   ai   sensi
dell'art. 68,  primo  comma,  della  Costituzione  e,  per l'effetto,
annulli  la  deliberazione  di insindacabilita' adottata dalla Camera
dei deputati nella seduta del 7 ottobre 2003.
    Visti gli artt. 37.5 e 23, legge n. 87/1953 sospende il giudizio,
dando atto che del ricorso e' data lettura nel pubblico dibattimento.
    Visto  l'art. 26  delibera  Corte  costituzionale  16 marzo 1956,
recante   Norme   integrative   per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale,  dispone che il presente ricorso sia depositato nella
cancelleria  della  Corte costituzionale e, fin d'ora, dispone che il
dirigente  la  cancelleria  di  questa  Corte predisponga attivita' e
servizio  idonei  ad  assicurare  che  dopo  l'eventuale ordinanza di
ammissibilita'   del   proposto  ricorso,  il  medesimo  ricorso  sia
depositato  nella cancelleria della Corte costituzionale con la prova
delle notificazioni eseguite a norma dell'art. 37.4, legge n. 87/1953
entro  venti  giorni  dalla notificazione alla Camera dei deputati in
persona del suo Presidente.
    Dispone  l'allegazione  al  presente  ricorso  delle trascrizioni
delle   trasmissioni   10,   14   e   18 gennaio  1997  e  del  testo
dell'interrogazione parlamentare del deputato Armando Veneto.
        Venezia, addi' 12 aprile 2005
                       Il Presidente: Zampetti
                       L'estensore: Citterio
          Avvertenza:
              L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa
          con  ordinanza  n. 473/2005  e  pubblicata  nella  Gazzetta
          Ufficiale, 1ª s.s., n. 1 del 4 gennaio 2006.
06C0067