N. 31 SENTENZA 23 gennaio - 1 febbraio 2006

Giudizio per conflitto di attribuzione tra Enti.

Agenzia  del  demanio  -  Alienazione di aree appartenenti al demanio
  idrico  dello  Stato  - Procedimento - Partecipazione della Regione
  interessata  - Mancata previsione - Ricorso della Regione Lombardia
  -   Illegittima  menomazione  della  sfera  di  attribuzioni  della
  ricorrente  in  violazione  del principio di leale collaborazione -
  Non spettanza allo Stato della potesta' in contestazione in assenza
  di  partecipazione  della  Regione  territorialmente  interessata -
  Annullamento  della  circolare dell'Agenzia del demanio impugnata -
  Assorbimento  di  altri  profili  di  illegittimita' - Assorbimento
  della richiesta di sospensione dell'atto.
- Circolare   dell'Agenzia   del  demanio,  Direzione  generale,  del
  23 settembre 2003, prot. 2003/35540/NOR.
- Costituzione, artt. 5, 114, 117, 118 e 119.
(GU n.6 del 8-2-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito
della  circolare  dell'Agenzia  del  demanio, Direzione generale, del
23 settembre  2003,  prot. 2003/35540/NOR, avente ad oggetto «Decreto
legge  24  giugno 2003  n. 143  convertito  con  legge 1° agosto 2003
n. 212   recante  «Disposizioni  urgenti  in  tema  di  versamento  e
riscossione  di  tributi,  di  fondazioni  bancarie e di gare indette
dalla  Consip  S.p.A., nonche' di alienazione di aree appartenenti al
Patrimonio  e  al  Demanio  dello  Stato»  pubblicato  nella Gazzetta
Ufficiale  n. 185  dell'11 agosto  2003  s.o. n. 131/L», promosso con
ricorso   della   Regione  Lombardia  notificato  il  3 luglio  2004,
depositato in cancelleria il successivo 12 luglio 2004 ed iscritto al
n. 10 del registro conflitti 2004.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  29 novembre  2005  il giudice
relatore Gaetano Silvestri;
    Uditi l'avvocato Giuseppe Franco Ferrari per la Regione Lombardia
e  l'avvocato  dello  Stato  Franco  Favara  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato  il 3 luglio 2004 e depositato il
12 luglio  successivo,  la Regione Lombardia ha promosso conflitto di
attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri,
chiedendo  che  sia  dichiarato che non spetta allo Stato, attraverso
l'Agenzia del demanio, disciplinare l'alienazione di aree situate nel
territorio della stessa Regione Lombardia, appartenenti al patrimonio
e  al  demanio dello Stato, nei termini e secondo le modalita' di cui
alla  circolare  dell'Agenzia  del  demanio,  Direzione generale, del
23 settembre  2003,  prot. 2003/35540/NOR, avente ad oggetto «Decreto
legge  24  giugno 2003  n. 143  convertito  con  legge 1° agosto 2003
n. 212   recante  «Disposizioni  urgenti  in  tema  di  versamento  e
riscossione  di  tributi,  di  fondazioni  bancarie e di gare indette
dalla  Consip  S.p.A., nonche' di alienazione di aree appartenenti al
Patrimonio  e  al  Demanio  dello  Stato»  pubblicato  nella Gazzetta
Ufficiale  n. 185  dell'11 agosto  2003  s.o.  n. 131/L».  Secondo la
ricorrente,  che  ha  sollecitato l'annullamento - previa sospensione
dell'esecuzione - dell'atto impugnato, sarebbero nella specie violati
il  principio  di leale collaborazione e gli artt. 5, 114, 117, 118 e
119 della Costituzione.
    La  circolare  richiamata concerne l'applicazione dell'art. 5-bis
del  d.l.  n. 143  del  2003,  introdotto  dalla  relativa  legge  di
conversione.  La  norma  prevede  la cessione di aree appartenenti al
patrimonio  e  al demanio dello Stato (escluso quello marittimo), che
non  siano  sottoposte  a  tutela  come  beni culturali e ambientali,
quando  risultino  interessate dallo sconfinamento di opere eseguite,
entro  il 31 dicembre 2002, su fondi attigui di proprieta' altrui, in
forza di concessioni edilizie o altri titoli legittimanti. Oggetto di
alienazione  puo'  essere  in  particolare,  nella  ricorrenza  delle
condizioni  indicate,  un'area eccedente di tre metri il limite delle
opere sconfinate nel fondo di appartenenza pubblica.
    Secondo  la  ricorrente,  la  circolare  dell'Agenzia del demanio
vincola  gli  uffici  periferici  ad  alienazioni  che  non sarebbero
consentite  dal  dettato  normativo,  e comunque descrive il relativo
procedimento escludendo qualunque coinvolgimento dell'ente regionale,
sebbene  la  gestione del demanio lacuale e idroviario, al di la' del
profilo  dominicale,  spetti  in  misura  preponderante  proprio alle
Regioni.   Anche   sotto   questo   aspetto,   il   provvedimento  si
discosterebbe   dalle  previsioni  di  legge:  e'  vero  infatti  che
l'art. 5-bis  del  d.l.  n. 143  del  2003 disciplina il procedimento
senza  far riferimento ad interventi dell'ente regionale, ma la norma
non    precluderebbe,   ed   anzi   presupporrebbe,   meccanismi   di
consultazione e raccordo.
    Nel  ricorso  si  premette,  a tale proposito, come l'art. 86 del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e
compiti  amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali,
in   attuazione   del  capo I  della  legge  15 marzo  1997,  n. 59),
stabilisca  che  alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono
le  Regioni  e  gli  enti  locali  competenti per territorio, e che i
canoni  ricavati  dalla  utilizzazione  di  quei beni sono introitati
dalla  Regione.  In  specifica relazione a tale norma (richiamata nel
preambolo),  in  data  20 giugno 2002, la Conferenza unificata di cui
all'art. 8   del   decreto   legislativo   28 agosto   1997,   n. 281
(Definizione   e  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le Regioni e le Province
autonome  di  Trento  e  Bolzano  e  unificazione,  per  i compiti di
interesse  comune  delle Regioni, delle Province e dei comuni, con la
Conferenza  Stato-citta'  e  autonomie  locali),  ha convenuto quanto
segue: «risultando in alcuni casi particolarmente attive le procedure
di  "sdemanializzazione"  (vendita  al privato di aree demaniali), il
provvedimento finale di sdemanializzazione potra' essere assunto solo
a  seguito  di  parere  favorevole delle Regioni e Province autonome,
tenuto anche conto degli indirizzi delle Autorita' di bacino».
    Secondo  la  ricorrente,  una  lettura  dell'art. 5-bis  del d.l.
n. 143   del  2003  che  ne  facesse  discendere  una  deroga  od  un
superamento  del citato accordo del 2002 comporterebbe una violazione
del  principio  di  leale  collaborazione  ed  una  menomazione delle
attribuzioni regionali di cui agli artt. 5, 114, 117, 118 e 119 Cost.
Una   interpretazione   costituzionalmente   orientata,   di  contro,
consentirebbe  di  raccordare  la disposizione alle norme applicative
del  principio  di  leale collaborazione, dando luogo alle necessarie
forme di interlocuzione dell'ente regionale.
    L'impugnata  circolare  dell'Agenzia  del  demanio,  sollecitando
procedure  applicative  di  totale disconoscimento delle attribuzioni
regionali  in  materia  di  tutela,  vigilanza e gestione del demanio
della   navigazione   interna,   violerebbe   tutte  le  disposizioni
richiamate  e  «potrebbe  assumere  il  significato  di  una forma di
usurpazione di funzioni regionali».
    1.1.  -  Si  assume  nel  ricorso  che  lo Stato, mediante l'atto
impugnato, avrebbe violato il principio di leale collaborazione sotto
un  duplice  profilo.  Il  primo  consisterebbe nella disapplicazione
dell'accordo  stipulato  il  20  giugno 2002  in  sede  di Conferenza
unificata:  un  accordo  tanto  piu'  rilevante, nella prospettazione
della ricorrente, in quanto strumentale anche all'assicurazione delle
forme  di intesa e coordinamento previste dall'art. 118, terzo comma,
Cost. in materia di tutela dei beni culturali.
    Un secondo e piu' generale profilo di violazione del principio di
leale  collaborazione  consisterebbe nel totale disconoscimento delle
attribuzioni  spettanti  alle  Regioni in materia di demanio idrico e
lacuale.  Al  riguardo  e'  richiamato l'art. 117, terzo comma, Cost.
quanto  alla  potesta'  legislativa concorrente in materia di governo
del  territorio,  protezione  civile,  porti, valorizzazione dei beni
culturali  e ambientali, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali. A tali competenze si affiancherebbero quelle in materia
di  tutela dell'ambiente, di assetto idrogeologico, risorse idriche e
difesa  del  suolo,  di  lavori  pubblici  pertinenti  a  materie  di
legislazione   concorrente.   Le   Regioni   vantano   poi,  a  norma
dell'art. 117,  quarto comma, Cost., competenza esclusiva a proposito
di  navigazione  interna,  turismo,  agricoltura, oltre che di lavori
pubblici afferenti a dette materie.
    La  ricorrente  assume  che  l'interlocuzione  regionale  sarebbe
imposta  sia dal principio di leale collaborazione sia dall'art. 118,
terzo  comma,  Cost.,  anche  alla luce delle funzioni amministrative
progressivamente  conferite  all'ente  regionale,  con riferimento ai
beni  demaniali  in  questione,  in  materia  di navigazione lacuale,
fluviale,  lagunare  e  sui  canali navigabili ed idrovie, nonche' in
materia di porti lacuali e di porti di navigazione interna (artt. 4 e
5  del  d.P.R.  14 gennaio  1972,  n. 5,  recante «Trasferimento alle
regioni  a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in
materia  di tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale e
di  navigazione  e porti lacuali e dei relativi personali ed uffici»;
artt. 97  e 98 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione
della  delega  di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»;
art. 105  del  d.lgs.  n. 112 del 1998). Vengono nel ricorso evocate,
inoltre, le competenze regionali riguardo al litorale marittimo, alle
aree  immediatamente  prospicienti ed alle aree del demanio lacuale e
fluviale  che  siano destinate ad uso turistico e ricreativo, nonche'
in  tema  di  sicurezza dei natanti addetti alle linee di navigazione
interna  (rispettivamente,  art. 59  e  art. 86 del d.P.R. n. 616 del
1977).  Analogo  richiamo  concerne  le opere idrauliche, parte delle
dighe,  la  polizia  idraulica,  le  concessioni estrattive dai corsi
d'acqua  e  di  spiagge,  la  difesa  delle coste (art. 89 del d.lgs.
n. 112 del 1998). Si rammenta dalla ricorrente, infine, che l'art. 86
del  citato  d.lgs.  n. 112 del 1998 assegna alle Regioni e agli enti
locali  competenti  per  territorio la gestione del demanio idrico, e
che  i  canoni  ricavati dalla relativa utilizzazione sono introitati
dalla Regione.
    In coerenza con tale ultima disposizione, la Regione Lombardia ha
regolato  con  l'art. 11  della legge 29 ottobre 1998, n. 22 (Riforma
del  trasporto  pubblico  locale  in  Lombardia), la destinazione dei
canoni  di  concessione,  riferendola  in parte ai Comuni a titolo di
corrispettivo per le funzioni amministrative delegate, ed in parte al
finanziamento  del  programma  degli interventi regionali sul demanio
delle  acque  interne.  Cio'  premesso,  nella  prospettazione  della
ricorrente  l'abbattimento del gettito ricavabile dai beni oggetto di
cessione,  in  base  all'applicazione dell'art. 5-ter del d.l. n. 143
del  2003,  sarebbe  suscettibile  di compromettere l'esercizio delle
funzioni trasferite e l'autonomia finanziaria della Regione.
    Nel  ricorso  viene  infine  declinato un ulteriore e particolare
aspetto    dell'asserita    violazione   del   parametro   di   leale
collaborazione.  Nella  circolare  impugnata l'Agenzia del demanio ha
sostenuto   che  la  procedura  di  sdemanializzazione  debba  essere
«comunque»  applicata  nel  caso  di  opere  «che  abbiano causato un
irreversibile mutamento dello stato dei luoghi tale da rendere l'area
inutilizzabile  per  finalita' pubbliche». Secondo la ricorrente (che
prospetta  anche l'illegittimita' sostanziale della prescrizione), la
perdurante utilita' per il pubblico interesse delle aree impegnate da
sconfinamenti  non  potrebbe essere valutata che dalla Regione, cosi'
come sarebbe del resto stabilito, per la Lombardia, da numerose norme
di  legge (ed in particolare dagli artt. 3, 11, 11-bis e 11-quinquies
della  citata  legge  regionale  n. 22  del  1998).  Neppure per tali
fattispecie, tuttavia, la circolare impugnata prevede tempi e modi di
consultazione dell'ente regionale.
    1.2.   -  La  circolare  dell'Agenzia  del  demanio,  secondo  la
ricorrente,  incide  sull'autonomia  finanziaria e, conseguentemente,
legislativa  e  amministrativa  della  Regione,  assumendo  specifico
rilievo,  data  la  qualita'  e  quantita'  delle  funzioni regionali
concernenti  il demanio idrico, nella prospettiva dell'art. 119 Cost.
(oltre  che  degli artt. 117 e 118 Cost.). Sarebbe infatti violato il
principio  di corrispondenza e contestualita' tra funzioni trasferite
e attribuzione delle risorse necessarie al relativo assolvimento.
    Si  illustra  nel ricorso come i proventi ricavati dalla gestione
del  demanio  idrico  siano  posti  in compensazione delle risorse da
trasferire dal bilancio dello Stato per l'esercizio delle funzioni di
cui  al  Titolo  III  del  d.lgs.  n. 112  del 1998, in misura che, a
decorrere dal 2001, e' stata fissata in 300 miliardi di lire per anno
(art. 2  del  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
12 ottobre  2000,  recante  «Individuazione  dei beni e delle risorse
finanziarie,  umane,  strumentali  e organizzative da trasferire alle
Regioni  ed  agli  enti  locali  per l'esercizio delle funzioni e dei
compiti amministrativi in materia di demanio idrico»). La quota della
riduzione  concernente  le  singole  Regioni  e' stata indicata nella
tabella  A  in  allegato  al decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 13 novembre 2000 (Criteri di ripartizione e ripartizione tra
le  Regioni  e  tra  gli  enti  locali per l'esercizio delle funzioni
conferite  dal  decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in materia
di demanio idrico).
    Un   tale   sistema  di  finanziamento,  secondo  la  ricorrente,
evidenzia  la  pertinenza  dei canoni ricavati dalle aree del demanio
idrico all'insieme delle corrispondenti funzioni regionali, cosicche'
la  doglianza  concernente  la  riduzione  di  gettito  connessa alla
dismissione  non  potrebbe  essere  dequalificata  a  mera vindicatio
rerum, con conseguente sua inammissibilita'.
    1.3.  -  Una ulteriore doglianza, che specificamente attiene alla
cessione  di  aree  interessate  da  vincoli di carattere culturale e
ambientale,  e'  prospettata  con  riguardo  alla  pretesa violazione
dell'art. 118, terzo comma, Cost.
    L'ultimo   periodo  dell'art. 5-ter  del  d.l.  n. 143  del  2003
stabilisce   che  la  normativa  sull'alienazione  «non  si  applica,
comunque,  alle  aree  sottoposte  a  tutela ai sensi del testo unico
delle  disposizioni  legislative  in  materia  di  beni  culturali  e
ambientali,  di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e
successive modificazioni». La circolare impugnata recita: «qualora il
vincolo gravante sull'area statale interessi anche l'area del privato
e  su questa sia stata legittimamente realizzata l'opera, il rilascio
del  relativo  titolo edilizio, presupponendo l'acquisizione di tutte
le  autorizzazioni  e  dei pareri favorevoli delle autorita' preposte
alla tutela, estende l'efficacia di queste ultime anche alla porzione
di  area  di  proprieta' statale che pertanto potra' essere acquisita
dal privato».
    Secondo  la  ricorrente, una tale disposizione aggira il disposto
dell'art. 146  del  testo  unico approvato con il decreto legislativo
29 ottobre  1999,  n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative
in  materia  di  beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1
della   legge   8 ottobre  1997,  n. 352),  che  presume  l'interesse
paesaggistico  delle sponde dei laghi e delle rive dei fiumi, e viola
l'art. 27  del  decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni
urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento
dei  conti  pubblici),  convertito,  con  modificazioni,  nella legge
24 novembre  2003, n. 326, per il quale i beni di rilievo culturale o
ambientale  sono  assoggettati  ai relativi vincoli fino a quando non
sia  stata  effettuata,  dalle competenti soprintendenze, la concreta
verifica    di   sussistenza   dell'interesse   artistico,   storico,
archeologico o etnoantropologico.
    1.4.   -   Un  ultimo  profilo  di  violazione  del  primo  comma
dell'art. 118  Cost.  viene  denunciato  in relazione al principio di
sussidiarieta'.   La  ricorrente  sostiene  che  la  convergenza  tra
l'interesse  dei  privati  all'acquisizione  e  la  ristrettezza  dei
termini  legali  di  conclusione  del  procedimento, nella carenza di
interlocuzione dei soggetti titolari dei poteri di tutela e vigilanza
del  demanio  idrico  e  della  navigazione, possa implicare concrete
lesioni   degli   interessi   pubblici   per   effetto  di  errori  o
comportamenti fraudolenti.
    2.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  dello  Stato,  si  e' costituito in giudizio
chiedendo  il rigetto della istanza di sospensione e la dichiarazione
di inammissibilita' o di non fondatezza del ricorso in questione.
    Il  ricorso  sarebbe  inammissibile  in quanto proposto contro un
provvedimento di mera interpretazione ed applicazione dell'art. 5-bis
del  d.l. n. 143 del 2003, dal quale deriverebbero i presunti effetti
lesivi  delle prerogative regionali, e che pero' non e' stato oggetto
di  tempestiva  impugnazione da parte della Regione. Altra ragione di
inammissibilita'  consisterebbe  nella  evocazione  di parametri (per
altro  non  indicati)  non pertinenti o comunque non utilizzati nella
esposizione dei motivi.
    Il  ricorso  sarebbe  poi  inammissibile,  in particolare, per le
doglianze   che   prospettano  un'incidenza  della  disciplina  della
cessione  sul gettito derivante dai canoni delle aree interessate. Il
resistente, dopo aver premesso che in genere gli sconfinanti non sono
concessionari dei fondi di proprieta' pubblica, sostiene che le somme
ricavate  dalla gestione delle aree vengono dedotte dai trasferimenti
in  favore della Regione, e che dunque non vi sarebbe un interesse ad
agire  per i canoni non piu' riscossi a seguito delle cessioni, posto
che  alla  diminuzione di gettito corrisponderebbe, per il meccanismo
della compensazione, un aumento dei trasferimenti statali.
    Nel  merito,  il  ricorso sarebbe infondato, essendo la normativa
pertinente  a  beni  di  scarso valore. La stessa Regione, secondo il
resistente,  limita  la  materia  del  contendere ad aree del demanio
idrico,  che comunque sono interessate da piccoli sconfinamenti e non
possono  eccedere  di  oltre  tre metri i relativi confini. In questi
termini, la materia non attiene realmente alla «gestione» del demanio
idrico,  cui si riferisce l'accordo siglato tra Stato e Regioni il 20
giugno 2002.  Tale  accordo,  in  ogni caso, concerne la gestione dei
beni  de  quibus,  e  non  riguarderebbe  dunque  il relativo assetto
proprietario.
    Non  sussisterebbero,  infine,  le  condizioni  legittimanti  una
sospensiva dell'atto impugnato.
    3.   -   Con   produzioni  effettuate  in  data  2 novembre  2005
l'Avvocatura  dello  Stato  ha  reso  noto  il contenuto di ulteriori
provvedimenti  assunti  dall'Agenzia del demanio, Direzione generale,
in  rapporto  alle  prescrizioni  dell'art. 5-bis del d.l. n. 143 del
2003.
    In  una  circolare  indirizzata  ai  Direttori  centrali  ed alle
Filiali dell'Agenzia, del 10 marzo 2004, prot. 2004/9777/NOR, accanto
ad altre specificazioni, si e' affermato che, per opere realizzate su
aree  gravate  da  vincoli culturali o paesaggistici, il rilascio del
titolo  edilizio,  «sia  per  la  parte  delle  opere ricadenti nella
proprieta'   privata  sia  per  quelle  sconfinate  nella  proprieta'
statale»,  presuppone  il  rilascio  anche di tutte le autorizzazioni
(paesaggistiche)  e  dei  pareri  favorevoli delle autorita' preposte
alla  tutela  del  vincolo,  con  conseguente alienabilita' dell'area
interessata.
    Con  nota in data 28 maggio 2004, prot. 2004/19961/NOR, l'Agenzia
del  demanio ha fornito «chiarimenti» alla Regione Lombardia su parte
delle  questioni poste ad oggetto dell'odierno ricorso, ribadendo che
l'art. 5-bis  del d.l. n. 143 del 2003 «non prevede l'acquisizione di
pareri  di  carattere  tecnico  da  parte  di  Amministrazioni locali
operando  la sdemanializzazione ope legis delle aree in questione», e
che   ogni  considerazione  sulla  legittimita'  dell'opera  dal  cui
sconfinamento  consegue la cessione del bene demaniale e' rimessa, ab
origine,  agli  organi  preposti  al  rilascio  del  titolo  edilizio
legittimante.
    4.  -  In  prossimita'  dell'udienza, l'Avvocatura dello Stato ha
depositato memoria volta ad ulteriormente contestare l'ammissibilita'
e la fondatezza del ricorso.
    Con  l'art. 5-bis  del  d.l.  n. 143  del  2003  lo Stato avrebbe
compiuto un mero atto di disposizione patrimoniale su cespiti ad esso
appartenenti,  posto  che  la cessione presuppone la conformita' alla
normativa  urbanistica  delle opere sconfinate, come verificata dagli
enti  locali  e da quelli preposti alla vigilanza sul paesaggio e sui
beni  culturali.  La  circolare  impugnata, in ogni caso, avrebbe una
portata  meramente  illustrativa  della norma di legge da applicare a
cura   degli  uffici  destinatari.  La  stessa  eventualita'  che  il
provvedimento  contenga  disposizioni eccedenti o contrastanti con la
norma citata non sarebbe sufficiente a rendere ammissibile il ricorso
della  Regione  Lombardia,  posto  che il giudizio costituzionale non
puo'  costituire alternativa a quello comune in punto di legittimita'
dell'atto amministrativo.
    Le  fonti  normative  in materia di consultazione e cooperazione,
che  nella  prospettazione  della  ricorrente  dovrebbero  affiancare
l'art. 5-bis  del d.l. n. 143 del 2003, sarebbero in realta' prive di
rilevanza.  Gli  artt. 4  e 9, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 281
del   1997,   non   imporrebbero   affatto   che   ogni  procedimento
amministrativo  debba  presentare passaggi «cooperativi», e l'accordo
del  20 giugno 2002 non e' richiamato dalla norma cui si riferisce la
circolare impugnata.
    Osserva  l'Avvocatura  che,  se  anche lo Stato avesse errato nel
trascurare   le  intese  sottoscritte  in  precedenza,  non  potrebbe
rimproverarsi  all'Agenzia  del  demanio di non essersi sostituita al
legislatore,  aggiungendo  alla disciplina aspetti procedimentali non
previsti.  D'altra  parte,  se  una  legge  nuova  prevale  su quella
anteriore,  un  tale  effetto si manifesterebbe a maggior ragione nel
rapporto tra una legge ed un atto non legislativo, come l'accordo del
20  giugno 2002.  L'ipotesi  di  un  coordinamento  tra  le due fonti
sarebbe  oltretutto foriera di singolari effetti nel merito, dato che
imporrebbe  addirittura  un  parere  favorevole  della  Regione quale
condizione per la vendita delle aree appartenenti allo Stato.
    Infine,  a  parere del resistente, le conseguenze finanziarie che
la  Regione attribuisce alla circolare (e cioe' una diminuzione delle
somme da portare in compensazione) si collegano ancora una volta alla
legge. Si ammette nella memoria (e sotto questo aspetto espressamente
si  emenda  l'originaria  eccezione  di  carenza di interesse) che la
cessata  riscossione dei canoni per le aree sdemanializzate ridonda a
carico  dell'ente  regionale, posto che, sulla scorta dei decreti del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  del  12 ottobre 2000 e del
13 novembre 2000, la detrazione operata sui trasferimenti dello Stato
riguarda un importo «stabilizzato», di poco eccedente gli 84 miliardi
di  lire.  La  riduzione  prevedibile  del  gettito  sarebbe tuttavia
trascurabile, e dunque irrilevante ai fini del ricorso.
    5. - In data 14 novembre 2005 l'Avvocatura erariale ha depositato
«Nota  informativa»,  secondo  la  quale,  in  Lombardia,  sono state
presentate  1239  istanze ex art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003, con
798  provvedimenti  di diniego (80 dei quali sub iudice), e con somme
introitate per complessivi Euro 3.497.630.
    6.  -  Con  memoria  depositata  in  prossimita' dell'udienza, la
ricorrente,  nel  ribadire le ragioni a sostegno del proprio assunto,
ha  osservato che l'appartenenza allo Stato dei beni di cui si tratta
non  comporterebbe  quella  «competenza esclusiva» che di fatto viene
rivendicata  dalla difesa erariale, tanto che i canoni di concessione
delle  aree  del demanio marittimo devono essere determinati d'intesa
con le Regioni.
    Le  forzature  della circolare impugnata rispetto alla disciplina
effettivamente  dettata  dal legislatore varrebbero ad escludere che,
nella  specie,  si  tenti  di  superare  la preclusione connessa alla
intervenuta scadenza dei termini per una questione di legittimita' in
merito  all'art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003. Si contesta inoltre,
dalla  ricorrente,  che la norma citata contempli ipotesi di cessione
ope  legis  dei  beni  appartenenti allo Stato: la stessa Agenzia del
demanio,  nella  misura  in  cui  ipotizza  la dismissione delle aree
divenute  non utilizzabili per finalita' pubbliche, prospetterebbe la
rilevanza  di valutazioni tecniche e discrezionali, indiscutibilmente
spettanti alla Regione.
    In   ogni   caso,  la  circolare  impugnata  non  avrebbe  dovuto
ipotizzare una «traslazione» delle autorizzazioni concernenti vincoli
paesaggistici  e culturali dall'area del privato sconfinante all'area
demaniale  oggetto di parziale occupazione. Piu' radicalmente ancora,
l'Agenzia  del  demanio  non  avrebbe dovuto prevedere la cessione di
beni  del  demanio idrico e della navigazione, posto che l'art. 5-bis
piu'  volte  citato  esclude, «comunque», le aree sottoposte a tutela
secondo  il  d.lgs.  n. 490  del  1999, e che l'art. 146 del relativo
testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in  materia  di  beni
culturali  e ambientali comprende indiscriminatamente tutte le sponde
dei laghi e dei fiumi.
    Riguardo  alla  fonte  delle  procedure di consultazione ignorate
dalla circolare impugnata, la ricorrente osserva che un provvedimento
amministrativo  non  puo'  disapplicare  un accordo Stato-Regioni, il
quale  comunque,  nella  specie,  non  e' indebitamente proposto come
parametro  rilevante  per  l'interpretazione  adeguatrice (cosi' come
preteso  dall'Avvocatura  erariale),  posto  che  tale  parametro  e'
rappresentato, piuttosto, dal principio di leale collaborazione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Con  ricorso  notificato  il 3 luglio 2004 e depositato il
12 luglio  successivo,  la Regione Lombardia ha promosso conflitto di
attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri,
chiedendo  che  sia  dichiarato che non spetta allo Stato, attraverso
l'Agenzia  del  demanio,  disciplinare l'alienazione di aree, situate
nel  territorio della stessa Regione, appartenenti al patrimonio e al
demanio  dello  Stato, nei termini e secondo le modalita' di cui alla
circolare   dell'Agenzia   del   demanio,   Direzione  generale,  del
23 settembre  2003,  prot. 2003/35540/NOR, avente ad oggetto «Decreto
legge  24  giugno 2003  n. 143  convertito  con  legge 1° agosto 2003
n. 212   recante  «Disposizioni  urgenti  in  tema  di  versamento  e
riscossione  di  tributi,  di  fondazioni  bancarie e di gare indette
dalla  Consip  S.p.A., nonche' di alienazione di aree appartenenti al
Patrimonio  e  al  Demanio  dello  Stato»  pubblicato  nella Gazzetta
Ufficiale  n. 185  dell'11 agosto  2003  s.o.  n. 131/L».  Secondo la
ricorrente,  che  ha  sollecitato l'annullamento - previa sospensione
dell'esecuzione - dell'atto impugnato, sarebbero nella specie violati
il  principio  di leale collaborazione e gli artt. 5, 114, 117, 118 e
119 della Costituzione.
    2. - Il presente conflitto di attribuzione ha per oggetto un atto
dell'Agenzia   del  demanio,  la  quale  -  definita  «ente  pubblico
economico»  dall'art. 61,  comma 1, del decreto legislativo 30 luglio
1999,  n. 300  (Riforma  dell'organizzazione  del  Governo,  a  norma
dell'art. 11  della  legge  15 marzo  1997,  n. 59),  come modificato
dall'art. 1    del   decreto   legislativo   3 luglio   2003   n. 173
(Riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze e delle
agenzie  fiscali,  a  norma dell'articolo 1 della legge 6 luglio 2002
n. 137)  -  esercita  tuttora  le  funzioni  che  erano proprie della
Direzione generale del demanio e delle direzioni compartimentali. Con
riferimento  a queste funzioni, tipiche dell'amministrazione pubblica
statale, si deve ritenere che gli atti posti in essere dalla suddetta
Agenzia siano riferibili allo Stato, inteso, secondo quanto affermato
dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte, non come persona giuridica,
bensi' come sistema ordinamentale (sentenza n. 72 del 2005) complesso
e   articolato,  costituito  da  organi,  con  o  senza  personalita'
giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso
posti in rapporto di strumentalita' in vista dell'esercizio, in forme
diverse, di tipiche funzioni statali.
    Il  termine Stato deve ritenersi impiegato dall'art. 134 Cost. in
un duplice significato: piu' ristretto quando viene in considerazione
come  persona  giuridica, che esercita le supreme potesta', prima fra
tutte  quella  legislativa; piu' ampio, quando, nella prospettiva dei
rapporti con il sistema regionale, si pone come conglomerato di enti,
legati  tra  loro  da  precisi  vincoli  funzionali  e  di indirizzo,
destinati  ad  esprimere,  nel  confronto  dialettico  con il sistema
regionale,  le  esigenze unitarie imposte dai valori supremi tutelati
dall'art. 5 Cost.
    Questa  Corte ha precisato che la proprieta' e disponibilita' dei
beni  demaniali  spettano  -  sino  all'attuazione  dell'ultimo comma
dell'art. 119 Cost. - allo Stato «e per esso all'Agenzia del demanio»
(sentenza n. 427 del 2004). Nei rapporti con il sistema ordinamentale
regionale,  l'Agenzia  del  demanio  e' pertanto parte integrante del
sistema  ordinamentale  statale.  L'uno  e l'altro insieme formano il
sistema  ordinamentale  della  Repubblica.  Al  suo  interno  possono
verificarsi  conflitti  tra  organi  e soggetti, statali e regionali,
agenti   rispettivamente   per  fini  unitari  o  autonomistici,  che
attingono il livello costituzionale se gli atti o i comportamenti che
li  originano  sono  idonei a ledere, per invasione o menomazione, la
sfera   di  attribuzioni  costituzionalmente  garantita  del  sistema
statale  o  di  quello  regionale,  anche se non provengono da organi
dello  Stato  o  della  Regione  intesi in senso stretto come persone
giuridiche.
    E'  compito della giurisdizione di costituzionalita' mantenere un
costante  equilibrio  dinamico tra i due sistemi, perche' le linee di
ripartizione tracciate dalla Costituzione siano rispettate nel tempo,
pur  nel  mutamento  degli  strumenti organizzativi che lo Stato e le
Regioni sceglieranno via via di adottare per conseguire i propri fini
nel modo ritenuto piu' adatto, secondo i diversi indirizzi politici e
amministrativi.
    Nel caso di specie, e' innegabile che l'impugnata circolare della
Direzione  generale  dell'Agenzia del demanio si pone sul confine tra
le  sfere di competenza statale e regionale in materia di governo del
territorio,  in  quanto  incide  contemporaneamente  sulla gestione e
sulla   disponibilita'  di  beni  demaniali  destinati  a  soddisfare
interessi  pubblici  delle  comunita'  amministrate,  nel  quadro dei
principi   fondamentali  posti  a  tutela  dell'intera  collettivita'
nazionale.  Essa  e' pertanto atto idoneo, sotto i profili soggettivo
ed  oggettivo,  a  far  sorgere  un  conflitto di attribuzione tra la
Regione  Lombardia  e  lo  Stato,  cui  sostanzialmente  puo'  essere
riferito il citato atto dell'Agenzia del demanio.
    3.  -  L'Avvocatura  dello Stato eccepisce l'inammissibilita' del
ricorso  regionale,  in quanto l'impugnata circolare dell'Agenzia del
demanio  non  avrebbe  alcun carattere innovativo, limitandosi a dare
puntuale   esecuzione   all'art. 5-bis  del  d.l.  n. 143  del  2003,
convertito con modificazioni dall'art. 1 della legge n. 212 del 2003.
L'eventuale  lesione  della  sfera  di attribuzioni regionali sarebbe
pertanto  -  ove  esistente  -  effetto  della  legge e non dell'atto
amministrativo  in  questione. Ogni doglianza in questa sede da parte
della Regione Lombardia sarebbe di conseguenza preclusa dalla mancata
impugnazione,   entro   il   termine   costituzionale,   della  norma
legislativa statale sopra citata.
    3.1. - L'eccezione non puo' essere accolta.
    3.2.  -  L'art. 5-bis  del  d.l.  n. 143  del  2003 disciplina il
procedimento  di  alienazione di aree appartenenti al patrimonio e al
demanio  dello Stato, escluso il demanio marittimo, interessate dallo
sconfinamento  di  opere  eseguite entro il 31 dicembre 2002 su fondi
attigui  di  proprieta'  altrui. L'alienazione deve avvenire mediante
vendita  diretta  in  favore  del  soggetto legittimato che ne faccia
richiesta  e  puo'  riguardare  una superficie che, oltre a quella di
sconfinamento, non vada al di la' di tre metri dai confini dell'opera
eseguita.  La  disposizione  detta  le  modalita'  della  domanda  di
acquisto  e  la  documentazione  relativa,  da  prodursi  a  cura del
soggetto richiedente.
    La norma sopra ricordata non puo' essere interpretata al di fuori
del contesto normativo e istituzionale in cui si inseriscono tutte le
disposizioni  riguardanti beni pubblici destinati, per loro natura, a
soddisfare interessi ricadenti negli ambiti di competenza dei diversi
enti  preposti  dalla  Costituzione  e  dalla  legge  al  governo del
territorio.  Il  concreto regime giuridico di un bene appartenente al
demanio  o  al  patrimonio dello Stato o di altri enti pubblici e' la
risultante  di  un  intreccio  di  potesta' pubbliche, che sottendono
altrettanti   interessi   meritevoli   di   tutela   delle  comunita'
amministrate. Gli atti di gestione e di disposizione riguardanti tali
beni possono assumere, secondo scelte diverse del legislatore, natura
pubblicistica   o   privatistica,  ma  la  qualita'  degli  interessi
collettivi tutelati, la loro esistenza, rilevanza e attualita' devono
essere previamente apprezzati dai soggetti istituzionali competenti.
    4. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    4.1.  -  La  necessaria  valutazione  ponderata  degli  interessi
pubblici    coinvolti   esclude   che   possa   procedersi   ad   una
sdemanializzazione  ope  legis  di  aree  non  identificate ne' dalle
amministrazioni   competenti   ne'   dallo   stesso  legislatore,  ma
individuate  solo  per la loro contiguita' ad opere eseguite mediante
sconfinamento  su terreni demaniali. L'intento del legislatore, fatto
palese  dalla  norma  prima  ricordata,  e'  quello  di accelerare la
cessione ai soggetti richiedenti di aree non piu' utilizzabili per le
finalita'   pubblicistiche  originarie,  a  causa  dell'irreversibile
mutamento  dello  stato dei luoghi derivante dall'esecuzione di opere
sconfinate  in  terreno  demaniale.  Lo stesso legislatore ha cura di
escludere   in   modo   assoluto  e  incondizionato  dalla  procedura
accelerata di alienazione il demanio marittimo e le aree sottoposte a
tutela  ai  sensi  del  testo  unico  in  materia di beni culturali e
ambientali  (oggi  «Codice  dei  beni  culturali e del paesaggio», ai
sensi  dell'art. 10  della legge 6 luglio 2002, n. 137, approvato con
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).
    Non  emerge  dalla  norma  statale  in  questione una volonta' di
generale  declassificazione  di aree demaniali, da cedere ai soggetti
sconfinanti   dietro  mera  richiesta  e  pagamento  del  prezzo.  Al
contrario, il legislatore statale mostra particolare attenzione a non
pregiudicare  interessi collettivi primari collegati ai beni pubblici
oggetto  della  specifica  disciplina  dettata per l'alienazione. Non
appare  ragionevole  un'interpretazione  della  norma  in  esame  che
presuppone,  accanto all'esclusione generalizzata di alcune categorie
di  beni,  ispirata  ad  una  logica di forte garanzia dell'interesse
pubblico,   un   altrettanto  generalizzato  abbandono  di  tutte  le
rimanenti  aree demaniali, esclusa ogni valutazione concreta da parte
delle  amministrazioni locali competenti, ispirato all'opposta logica
della   dismissione   incontrollata   del   patrimonio  pubblico.  Un
consolidato  insegnamento ermeneutico impone che, prima di constatare
una   contraddizione   intrinseca   nel  corpo  di  una  disposizione
normativa,   si   esplori   la  possibilita'  di  dare  al  testo  da
interpretare   un   significato   coerente   e   ragionevole  e  solo
nell'ipotesi  di  esito  negativo  di  tale  ricerca  si concluda per
l'irreparabile irragionevolezza della stessa.
    Nel  caso  oggetto  del  presente  giudizio l'interpretazione con
esiti  contraddittori  del citato art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003
non  e'  una  strada  obbligata,  giacche'  e'  ben  possibile,  anzi
necessario, interpretare la medesima disposizione come disciplina dei
rapporti  tra  l'amministrazione  statale  ed i soggetti richiedenti,
fermo  restando il quadro normativo e istituzionale preesistente, che
non  risulta  superato  o  alterato  da  alcuna  delle  norme in essa
contenute.  Di tale quadro fanno parte i rapporti tra Stato e Regioni
in  materia di governo del territorio, con particolare riferimento al
demanio  idrico,  sul  quale  deve  concentrarsi  l'analisi giuridica
necessaria  ai  fini  dello  scrutinio di costituzionalita' dell'atto
impugnato.
    4.2.  -  L'art. 86  del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento  di  funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni  ed  agli  enti  locali, in attuazione del capo I della legge
15 marzo 1997, n. 59) dispone che «Alla gestione dei beni del demanio
idrico  provvedono  le  Regioni  e  gli  enti  locali  competenti per
territorio»;  il  secondo  comma  aggiunge:  «I  proventi  dei canoni
ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico sono introitati dalla
Regione». I successivi artt. 89 e 105 elencano in modo dettagliato le
funzioni conferite alle Regioni e agli enti locali.
    Alla  luce  del  nuovo testo dell'art. 118 Cost., dopo la riforma
del Titolo V della Parte II, l'attribuzione alle Regioni ed agli enti
locali  delle  funzioni  amministrative  in  materia  e' sorretta dal
principio di sussidiarieta', che implica l'allocazione delle funzioni
amministrative  al livello di governo il piu' possibile prossimo alle
comunita' amministrate. D'altronde, l'esercizio dei poteri dominicali
dello   Stato   nei  confronti  dei  beni  del  demanio  idrico  deve
necessariamente  ispirarsi anche al principio costituzionale di leale
collaborazione,   proprio  perche'  occorre  in  concreto  bilanciare
l'interesse   dello   Stato   proprietario   e  gli  interessi  delle
collettivita' locali fruitrici dei beni.
    Questa Corte ha costantemente affermato che il principio di leale
collaborazione  deve  presiedere  a tutti i rapporti che intercorrono
tra  Stato  e  Regioni:  la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo
rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti
in   questione,   attenuando   i   dualismi   ed  evitando  eccessivi
irrigidimenti.  La  genericita'  di  questo parametro, se utile per i
motivi  sopra  esposti,  richiede  tuttavia  continue  precisazioni e
concretizzazioni.   Queste  possono  essere  di  natura  legislativa,
amministrativa  o  giurisdizionale,  a  partire  dalla  ormai copiosa
giurisprudenza  di  questa Corte. Una delle sedi piu' qualificate per
l'elaborazione  di  regole  destinate ad integrare il parametro della
leale  collaborazione  e'  attualmente  il  sistema  delle Conferenze
Stato-Regioni  e  autonomie  locali.  Al  suo  interno si sviluppa il
confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in
esito  al  quale  si  individuano  soluzioni  concordate di questioni
controverse.
    In  materia di demanio idrico, in sede di Conferenza unificata e'
stato  sottoscritto,  nella  seduta  del  20  giugno 2002, un accordo
rilevante  per  l'oggetto della presente controversia: «Risultando in
alcuni     casi    particolarmente    attive    le    procedure    di
«sdemanializzazione»  (vendita  al  privato  di  aree  demaniali), il
provvedimento finale di sdemanializzazione potra' essere assunto solo
a  seguito  di  parere  favorevole delle Regioni e Province autonome,
tenuto anche conto degli indirizzi della Autorita' di bacino».
    Accordi  come  quello  appena citato rappresentano la via maestra
per  conciliare  esigenze unitarie e governo autonomo del territorio,
poteri  dominicali  e  interessi delle collettivita' amministrate. Il
principio  di  leale collaborazione, anche in una accezione minimale,
impone  alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede
istituzionale di tener fede ad un impegno assunto.
    La   via   di   concretizzazione   del   parametro   della  leale
collaborazione che passa attraverso gli accordi in sede di Conferenza
Stato-Regioni  appare anche la piu' coerente con la sistematica delle
autonomie   costituzionali,  giacche'  obbedisce  ad  una  concezione
orizzontale-collegiale dei reciproci rapporti piu' che ad una visione
verticale-gerarchica degli stessi.
    Una  norma  legislativa,  come  l'art. 5-bis  del d.l. n. 143 del
2003,  intervenuta  ad  un anno di distanza dal citato accordo, senza
che  sul  punto  ci  fossero  state  altre  forme  di  interlocuzione
ufficiali  ed  istituzionali  tra  Stato  e Regioni, si inserisce nel
quadro  sopra  tracciato  e deve essere letta al suo interno. Solo in
estrema   ipotesi  si  potrebbe  concludere  per  una  deliberata  ed
unilaterale  deroga  all'accordo  da parte dello Stato, a mezzo della
norma  citata.  Come  gia'  detto  prima,  tale  conclusione  non  e'
autorizzata  dal testo della disposizione in parola, che nulla dice a
proposito  dei  rapporti  tra  istituzioni  e  si limita a fissare le
regole  procedurali  che  devono  disciplinare la presentazione delle
domande   ed   i   rapporti   tra   privati  e  Agenzia  del  demanio
territorialmente competente.
    4.3.  -  L'acquisizione del parere della Regione si colloca in un
altro  circuito  di  rapporti, che attiene alla valutazione ponderata
degli interessi pubblici in gioco, rispetto ai quali viene in rilievo
la  competenza  regionale  in  materia di gestione del demanio idrico
stabilita  dall'art. 86 del d.lgs. n. 112 del 1998, rispetto al quale
l'accordo  del  2002  si  pone  esplicitamente in funzione attuativa.
Nella  premessa del suddetto accordo si legge infatti che «in sede di
verifica  dell'attuazione  dell'art. 86 del [...] decreto legislativo
n. 112  del  1998  sono  emersi alcuni problemi connessi alla piena e
corretta attuazione delle disposizioni di cui allo stesso articolo 86
del  d.lgs.  n. 112 del 1998, esaminati con l'ufficio del Commissario
straordinario   del   Governo   per  l'attuazione  del  decentramento
amministrativo».  Il  titolo  stesso dell'accordo conferma lo stretto
legame   con   la  norma  generale  di  conferimento  delle  funzioni
amministrative  sopra citata: «Accordo tra lo Stato, le Regioni e gli
Enti  locali  in  materia di demanio idrico ai sensi dell'art. 86 del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
    In  mancanza  di una chiara e inequivocabile volonta' legislativa
contraria,   si  deve  ritenere  che  un'interpretazione  sistematica
dell'art. 86  del  d.lgs. n. 112 del 1998, dell'accordo Stato-Regioni
del 20 giugno 2002 e dell'art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003 conduca
alla  conclusione della perdurante attualita' del ruolo della Regione
nell'apprezzare  la  sussistenza  di  eventuali ragioni ostative alla
cessione  a  terzi  dei  beni del demanio idrico. Al riguardo occorre
infatti  tener  conto  della  precipua destinazione di tali beni alla
soddisfazione  di  interessi  delle comunita' regionali e locali, che
non   possono   essere   sacrificati  in  partenza  da  una  generale
sdemanializzazione,  legata  soltanto  all'interesse  particolare dei
privati   sconfinanti   ed  all'interesse  finanziario  dello  Stato,
realizzato peraltro in misura modesta.
    Il  senso  dell'art. 86  piu'  volte  citato e' proprio quello di
attribuire  all'ente  esponenziale  della comunita' regionale, con la
gestione   del  demanio  idrico,  tutte  le  funzioni  amministrative
inerenti   agli   interessi   pubblici   delle  collettivita'  locali
soddisfatti  dai  beni  del  suddetto.  E'  irragionevole,  pertanto,
un'interpretazione dell'art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003 nel senso
che lo stesso introduca un'innovazione particolare rispetto al regime
giuridico generale precedente, escludendo in modo radicale la Regione
da  ogni  interlocuzione  nelle procedure di vendita a terzi dei beni
del demanio idrico.
    4.4. - L'impugnata circolare dell'Agenzia del demanio si discosta
da  questo  quadro  normativo  e  istituzionale  conforme ai principi
costituzionali ed omette ogni riferimento alla Regione nello scandire
le  fasi  del  procedimento che porta all'atto finale di cessione del
bene  demaniale  al  soggetto  richiedente.  Il  diritto all'acquisto
dell'area  statale interessata dallo sconfinamento e' collegato dalla
circolare in questione «esclusivamente all'esistenza di un titolo che
legittimi  sotto il profilo edilizio la realizzazione dell'opera». E'
agevole  notare  che  invece  l'art. 5-bis sopra citato non introduce
questa  esclusivita',  ma  si  limita ad individuare i presupposti in
base  ai  quali  il  privato puo' richiedere allo Stato la vendita di
beni  appartenenti al demanio statale, senza nulla disporre in merito
all'eventuale  intervento  di  altri  enti nel procedimento, peraltro
legato  al  tipo  di  demanio  di  cui  trattasi. Appare evidente che
l'esistenza  o  meno  di  un  potere  consultivo  della Regione nella
materia  specifica del demanio idrico, nei sensi precisati dal citato
accordo   del   20   giugno 2002,  non  incide  sui  presupposti  che
legittimano il proprietario dell'area che abbia sconfinato in terreno
demaniale  a  chiedere  la cessione in proprieta' dell'area occupata,
nei limiti stabiliti dalla stessa disposizione di legge. Si tratta di
due  profili  distinti,  che  finiscono  per essere sovrapposti dalla
trasformazione  di un procedimento accelerato di vendita a privati di
porzioni di terreno demaniale in una generalizzata sdemanializzazione
ope  legis,  che  annulla ogni potere di apprezzamento da parte della
Regione  sulla  sottrazione  all'uso  pubblico di beni affidati dalla
legge alla sua gestione.
    L'intento   di  escludere  l'interlocuzione  di  altri  enti  nel
procedimento  risulta evidente in un altro passo dell'atto impugnato,
nel quale testualmente si legge, con riferimento al citato art. 5-bis
del  d.l.  n. 143  del  2003:  «Per  effetto  di tale norma i beni di
demanio  pubblico  interessati  dallo sconfinamento che costituiranno
oggetto    di    alienazione   sono   da   considerarsi   tacitamente
sdemanializzati  senza  necessita'  di  apposito provvedimento che ne
sancisca  il passaggio al Patrimonio dello Stato e di acquisizione di
ulteriori  diversi  pareri». Viene pure stabilito, nella circolare in
questione,   che   «devono   ritenersi  automaticamente  sospesi  gli
eventuali    procedimenti    amministrativi   di   sdemanializzazione
interessanti  tali  beni  ancora pendenti stante l'effetto conseguito
ope legis».
    Non  spetta a questa Corte, ma al giudice competente, valutare la
legittimita'  dell'atto  in  relazione  alla  legislazione  ordinaria
vigente  ed in particolare allo stesso art. 5-bis del d.l. n. 143 del
2003,   di   cui  l'atto  stesso  si  pone  come  attuazione.  Uguale
affermazione  deve  farsi  a  proposito  della previsione, ampiamente
censurata  dalla  ricorrente  Regione,  di  una  sorta  di automatico
effetto  traslativo  delle  autorizzazioni  e dei pareri ottenuti dal
privato  sconfinante per il proprio terreno sulla porzione di terreno
demaniale  occupato,  ancorche'  lo  stesso  sia  gravato dal vincolo
paesaggistico  e ambientale, considerato dal medesimo art. 5-bis come
ostativo  all'inclusione  dei  beni  ad esso sottoposti nel novero di
quelli cedibili a terzi con la procedura accelerata prevista.
    Cio' che invece deve essere censurato in questa sede e' la totale
esclusione   della   Regione  dal  procedimento  delineato  dall'atto
impugnato.  Tale  esclusione  non  e'  conseguenza  necessaria  della
legislazione  ordinaria  vigente,  che  al  contrario  richiede  come
indispensabile  la  partecipazione della Regione in quanto portatrice
di  interessi costituzionalmente protetti delle collettivita' locali.
La  chiusura unilaterale del procedimento prescritto dell'Agenzia del
demanio  menoma pertanto in modo illegittimo la sfera di attribuzioni
della  ricorrente  e  si  pone  in  violazione del principio di leale
collaborazione tra Stato e Regioni.
    5.  -  Per i motivi illustrati nei punti precedenti, si riscontra
la  menomazione  della sfera di attribuzioni della Regione ricorrente
solo  con riferimento ai beni appartenenti al demanio idrico compresi
nel  territorio  regionale.  Restano  pertanto  assorbiti  gli  altri
profili di illegittimita' prospettati dalla Regione ricorrente.
    6.   -   La  rilevata  illegittima  menomazione  della  sfera  di
attribuzioni  costituzionalmente  protetta  della  Regione  Lombardia
impone,   come   necessaria   conseguenza,  l'annullamento  dell'atto
impugnato  nella  parte  in cui esclude l'intervento della stessa nel
procedimento  di  alienazione di aree appartenenti al demanio idrico.
Detto  annullamento  assorbe  la  richiesta  di sospensione dell'atto
stesso.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  che  non  spetta allo Stato, e per esso all'Agenzia del
demanio,  escludere  la  partecipazione delle Regioni al procedimento
diretto  all'alienazione  di aree situate nel territorio della stessa
Regione  e  appartenenti  al demanio idrico dello Stato, disciplinato
dalla  circolare  dell'Agenzia  del  demanio, Direzione generale, del
23 settembre  2003,  prot. 2003/35540/NOR, avente ad oggetto «Decreto
legge  24  giugno 2003  n. 143  convertito  con  legge 1° agosto 2003
n. 212   recante  «Disposizioni  urgenti  in  tema  di  versamento  e
riscossione  di  tributi,  di  fondazioni  bancarie e di gare indette
dalla  Consip  S.p.A., nonche' di alienazione di aree appartenenti al
Patrimonio  e  al  Demanio  dello  Stato»  pubblicato  nella Gazzetta
Ufficiale    n. 185    dell'11 agosto    2003   s.o.   n. 131/L»,   e
conseguentemente
    Annulla,   per   quanto   di   ragione,   la  predetta  circolare
dell'Agenzia del demanio.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2006.
                        Il Presidente: Marini
                       Il redattore: Silvestri
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 1° febbraio 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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