N. 38 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 dicembre 2005

Ordinanza  emessa  il  14  dicembre  2005  dal  tribunale di Roma nel
procedimento  civile  vertente  tra  Cuozzo  Gaetano contro Ministero
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca

Amministrazione pubblica - Incarichi dirigenziali di livello generale
  e di direttore generale - Prevista cessazione entro sessanta giorni
  dall'entrata  in  vigore  della  legge  (c.d.  «spoil system»), con
  efficacia retroattiva e prevalenza su diverse disposizioni pattizie
  e di contrattazione collettiva - Incidenza sul diritto fondamentale
  di  liberta'  ed  autonomia  negoziale  - Violazione del diritto al
  lavoro  -  Lesione  del  principio di tutela del lavoro nonche' del
  principio  di retribuzione proporzionata ed adeguata - Indebito uso
  dello  strumento  legislativo  per  conseguire finalita' proprie di
  provvedimento  amministrativo  (revoca) - Incidenza sui principi di
  imparzialita'  e  buon  andamento  della pubblica amministrazione -
  Violazione  del  principio  del servizio esclusivo alla Nazione dei
  pubblici  impiegati  -  Riproposizione  di  questione  gia' oggetto
  dell'ordinanza   n. 398/2005   di   restituzione   atti   per   ius
  superveniens.
- Legge 15 luglio 2002, n. 145, art. 3, commi 1, lett. b), e 7.
- Costituzione, artt. 1, 2, 3, 4, 35, 97 e 98.
(GU n.8 del 22-2-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  ed  i  documenti di causa; a scioglimento della
riserva di cui all'udienza del 13 dicembre 2005; nella causa vertente
tra  Cuozzo  Gaetano, selettivamente domiciliato in Roma, via Bergamo
n. 3 presso lo studio dell'avv. A. Andreoni che lo rappresenta, anche
disgiuntamente,  con  gli avv. L. Torchia, V. Angiolini e T. Di Nitto
per  procura in atti; e Ministero dell'istruzione, dell'universita' e
della  ricerca,  i  persona del Ministro pro tempore, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello Stato presso i cui uffici in
Roma, via dei Poroghesi n. 12 e' per legge domiciliato;

                            O s s e r v a

    Con ricorso ex artt. 669-bis e 700 c.p.c. il dott. Gaetano Cuozzo
proponeva domanda cautelare avverso: a) la nota prot. n. 11278/MR del
24  settembre  2002,  nella parte in cui il M.I.U.R. disponeva la non
conferma  di  esso istante nell'incarico dirigenziale precedentemente
coperto  e  nella  parte  in  cui  disponeva  la  non attribuzione al
medesimo  di  un  incarico  di  funzione  e  di  livello  retributivo
equivalente;  b) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
dell'8 ottobre 2002 con il quale al dott. Massara era stato conferito
l'incarico   di   funzione   dirigenziale   generale   di   direttore
dell'Ufficio   sco1astico  regionale  della  Liguria,  in  precedenza
espletato  dal  ricorrente; c) i decreti del Presidente del Consiglio
dei  ministri  tutti  datati  8  ottobre  2002,  con i quali venivano
conferiti  a dirigenti di prima e seconda fascia del M.I.U.R. nonche'
a  soggetti  esterni  gia'  titolari  di  altri incarichi conferiti a
seguito  di  stipula di apposito contratto, incarichi dirigenziali di
livello funzionale e retributivo equivalente a quello precedentemente
svolto  da  esso  ricorrente;  d) la circolare del Dipartimento della
funzione pubblica del 31 luglio 2002 nella parte in cui prevedeva, in
merito  all'attribuzione al dirigente generale di un incarico diverso
da  quello in corso, che disponibilita' va verificata all'esito delle
altre  assegnazioni agli uffici di livello dirigenziale generale, non
essendo  configurabile  una sorta di prelazione del dirigente cessato
dall'incarico  sui posti vacanti alla data di entrata in vigore della
legge.
    Rivolgeva,  in  sostanza, il gravame avverso tutti gli atti posti
in   essere   dal   M.I.U.R.  in  attuazione  dell'art. 3,  comma  7,
n. 145/2002    per    la    mancata    riattribuzione   dell'incarico
precedentemente  svolto  e per la mancata attribuzione di un incarico
di  livello  retributivo  equivalente;  chiedeva,  pertanto,  in  via
d'urgenza   la   reintegra  ne1l'incarico  precedentemente  ricoperto
prospettando  l'incostituzionalita' dell'art. 3, comma settimo, legge
n. 145/2002  nella  parte  in  cui dispone la cessazione di tutti gli
incarichi  dirigenziali  a  decorrere  dal  sessantesimo giorno dalla
entrata  in  vigore  della  legge e configurando l'attribuzione della
direzione  di  uffici  di  livello  dirigenziale  generale  come atto
conclusivo di una selezione di natura sostanzialmente concorsuale.
    A   sostegno   della   domanda   deduceva   che  l'operato  delle
amministrazioni  resistenti  era  viziato  per  invalidita'  derivata
dall'incostituzionalita'    dell'art. 3,    comma    settimo,   legge
n. 145/2002   ravvisata:   a)  nell'asserita  irragionevolezza  della
previsione, per una sola volta, all'atto dell'entrata in vigore della
n. 145/2002  della  cessazione  ope  legis  di tutti gli incarichi di
livello   dirigenziale   generale  e  non  solo,  secondo  il  regime
ordinario,  di quelli di segretario generale e capo dipartimento, con
discriminazione dei dirigenti generali di secondo livello in servizio
alla  data  dell'8  agosto  2002;  2)  nell'asserita  violazione  del
principio di stabilita' dei contratti individuali di lavoro; 3) nella
violazione  del  diritto alla personalita' professionale (artt. 1, 2,
3,  4  della  Costituzione)  in  quanto il dirigente pubblico avrebbe
diritto  a  non essere declassato come il dirigente privato; 4) nella
violazione  del diritto all'affidamento del cittadino avendo la norma
censurata  inciso su rapporti contrattuali liberamente stretti tra le
parti;   5)   l'asserita   violazione   degli  artt. 97  e  98  della
Costituzione    (principio   di   bun   andamento   e   imparzialita'
dell'Amministrazione);  6)  nell'eccesso  di  potere  legislativo  in
relazione  agli  artt. 70  e  97  della  Costituzione  in  quanto  il
Parlamento  avrebbe  adottato  una  legge con effetti che sono quelli
propri   di   un   atto   amministrativo  (revoca  dell'incarico  e/o
licenziamento).
    Sotto altro e distinto profilo, poi, veniva dedotta la violazione
dell'art. 3,  comma  settimo, legge n. 145/2002 e dell'art. 19 d.lgs.
n. 165/2001  nonche'  eccesso  di  potere  per  assoluta  carenza  di
istruttoria  e  difetto  di  motivazione e violazione della circolare
della PCM 31 luglio 2002 in quanto i provvedimenti adottati sarebbero
stati  assunti  senza  l'espletamento  di alcun tipo di istruttoria e
insufficientemente motivati.
    In  subordine, affermava l'illegittimita' del diniego di incarico
equivalente  per  carenza  di  istruttoria,  difetto di motivazione e
violazione    di    legge    e,    per   converso,   l'illegittimita'
dell'attribuzione  di  incarichi equivalenti ai controinteressati per
carenza   di   istruttoria   e   difetto   di   motivazione,  nonche'
illegittimita'  della  circolare  31  luglio  2002  per violazione di
legge;   sosteneva,  poi,  l'illegittimita'  della  mancata  conferma
dell'incarico  ricoperto  per  mancata  comunicazione  dell'avvio del
procedimento,  illegittimita' del diniego di incarico equivalente per
violazione degli artt. 7 e ss. n. 241/1990 e violazione del principio
del giusto procedimento ed, infine, l'illgittimita' dei provvedimenti
di   in   conferimento   di   incarico  dirigenziale  per  violazione
dell'art. 3,  legge n. 241/1990 per assoluta carenza di motivazione e
difetto dei presupposti.
    Le  amministrazioni  resistenti  si  costituivano resistendo alla
domanda cautelare con articolata memoria.
    Si   costituiva,  altresi',  il  controinteressato  chiedendo  la
reiezione del ricorso.
    La  domanda  cautelare di parte attrice, sia in prima istanza che
in sede di reclamo (ordinanza del 18 giugno 2003), veniva respinta.
      In  data  30  giugno  2003  il ricorrente presentava domanda di
dimissioni  dal  servizio  ritenendosi  gravemente  declassato e leso
nella propria immagine professionale.
    Con  ricorso  depositato  in  data  23  ottobre 2003, ritualmente
notificato,  il  ricorrente  conveniva in giudizio il M.I.U.R. in via
ordinaria  dinanzi  al  Tribunale di Roma, in funzione di giudice del
lavoro,   rassegnando   le   seguenti   conclusioni:   ritenute   non
manifestamente    infondate   le   questioni   di   costituzionalita'
dell'art. 3  comma  settimo  secondo periodo legge n. 145/2002, nella
parte  in  cui  ha  disposto  la  decadenza ope legis dagli incarichi
dirigenziali,   nonche'  dell'art. 3  comma  primo  lett.  B),  legge
n. 145/2002 nella parte in cui ha abrogato la durata minima garantita
degli  incarichi  dirigenziali,  sospendere  il  presente giudizio ed
all'esito positivo del procedimento avanti la Corte costituzionale:
        a)   accertare  e  condannare  il  Ministro  dell'istruzione,
dell'umversita'  e  della  ricerca a corrispondere al dott. Cuozzo il
risarcimento  del danno da dimissioni per giusta causa per differenze
retributive,  commisurato  alla  retribuzione convenuta nel contratto
stipulato  tra le parti il 1° febbraio 2001, come integrato dall'atto
del  1° giugno 2001 ovvero commisurato al diverso importo ritenuto di
giustizia, dal 1° ottobre 2003, giorno successivo alle dimissioni del
ricorrente,  al  31 gennaio 2006 ovvero alla diversa data ritenuta di
giustizia, dedotto quanto percepito medio tempore;
        b)   accertare   e   condannare   il   Ministro   medesimo  a
corrispondere  al  dott.  Cuozzo il risarcimento del danno subito per
effetto  del  demansionamento  inflittogli a decorrere dall'8 ottobre
2002,   in   misura   pari   ad  una  mensilita'  per  ogni  mese  di
demansionamento ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia;
        c)   accertare   e   condannare   il   Ministro   medesimo  a
corrispondere al dott. Cuozzo il risarcimento del danno da perdita di
chance  nell'accesso  ad incarichi dirigenziali subito dall'8 ottobre
2002  al  compimento  del  67° anno di eta', nella misura pari al 90%
della  retribuzione  convenuta  nel 2001 ovvero in quella ritenuta di
giustizia;
        d)   accertare   e   condannare   il   Ministro   medesimo  a
corrispondere  al  dott. Cuozzo il risarcimento del danno subito alla
propria   reputazione   personale,  al  prestigio  ed  alla  dignita'
professionale,  a  seguito  del  mancato ed immotivato reincarico, in
misura  pari  ad  Euro  120.000,00  o  nella  diversa  misura secondo
giustizia;
        e)   accertare   e   condannare   il   Ministero  medesimo  a
corrispondere  il danno da dimissioni per giusta causa per differenze
pensionistiche derivanti dalla minore retribuzione pensionabile;
        f)   accertare   e   condannare   il   Ministero  medesimo  a
corrispondere  al  dott.  Cuozzo  il risarcimento del danno biologico
subito a seguito del demansionamento, nella misura di giustizia.
    Si  costituiva il Ministero convenuto resistendo - con articolate
argomentazioni - al ricorso di cui chiedeva il rigetto.
    Il  procedimento  subiva  alcuni rinvii in attesa della pronuncia
della  Corte  costituziona1e  su  identiche questioni di legittimita'
preventivamente proposte in analoghi giudizio.
    Con  ordinanza  n. 398/2005  la  Corte costituzionale ordinava la
restituzione  degli atti ai giudici a quo affinche' venir valutata la
rilevanza  e  non  manifesta infondatezza delle questioni riguardanti
l'art.  3,comm  7, legge n. 145/2002 alla luce dell'entrata in vigore
dell'art. 14-sexies d.l. n. 115/2005 conv. in legge n. 168/2005.
    Ritiene questo giudicante che la questione di costituzionalita' -
proposta  dal  ricorrente  sin  dall'atto introduttivo del giudizio e
sostanzialmente  reiterata dopo l'ordinanza del Giudice delle leggi -
appare  rilevante nel presente giudizio, sebbene peculiare rispetto a
quelli  vertenti  su  questioni  analoghe in quanto avente ad oggetto
esclusivamente  rivendicazioni  economiche  e  risarcitorie anche con
riferimento alla asserita «giusta causa» delle dimissioni.
    Giova,  a questo punto, una separata disamina delle singole norme
oggetto di dubbio di costituzionalita'.
    1. - Art. 3, comma 7, legge n. 145/2002.
    La  norma  indicata  recita «Fermo restando il numero complessivo
degli  incarichi  attribuibili,  le  disposizioni  di cui al presente
articolo  trovano immediata applicazione relativamente agli incarichi
di  funzione  dirigenziale  generale e a quelli di direttore generale
degli enti pubblici vigilati dallo Stato ove e' prevista tale figura.
I  predetti  incarichi  cessano  il sessantesimo giorno dalla data di
entrata  in vigore della presente legge, esercitando i titolari degli
stessi  in  tale  periodo  esclusivamente  le  attivita' di ordinaria
amministrazione».
    Ai  fini  della deliberazione della domanda risarcitoria proposta
dal ricorrente non puo' prescindersi dalla applicazione di tali norme
che  precludono  l'accoglimento  della  domanda  stessa:  di  contro,
l'eventuale  dichiarazione  di  incostituzionalita'  di detta norma -
nella  parte  in  cui  dispone  per  legge  la  cessazione anticipata
dell'incarico  -  renderebbe  illegittimo  il provvedimento di revoca
dell'incarico  stesso,  fatto  storico dal quale e' derivata tutta la
vicenda  lavorativa  del  ricorrente, ivi comprese le dimissioni «per
giusta  causa»  rectius  imputabili  al  comportamento datoriale, con
tutte  le  conseguenze  economiche  prospettate nelle conclusioni del
ricorso.
    2. - Art. 3, comma1, lett. b) legge n. 145/2002.
    Detta  norma  risulta  rilevante li' ove impone la durata massima
triennale  per  gli  incarichi in essere: anche nel caso in cui fosse
dichiarata  incostituzionale l'art. 3, comma 7, gia' citato, comunque
limiterebbe  la  «quantificazione»  del  danno  risarcibile proprio a
causa    della    maggiore    durata    degli   incarichi   stabilita
convenzionalmente (alla quale il ricorrente ha pure fatto riferimento
nella detta quantificazione dei danni).
    3.  - Art. 14-sexies d.l. n. 115/2005 conv. in legge n. 168/2005:
ininfluenza  sulla rilevanza dell'art. 3, comma 1, lett. b) e comma 7
legge n. 145/2002.
    La  normativa  sopravvenuta  ha modificato la disciplina a regime
della  durata  degli  incarichi dirigenziali, reintroducendo per tali
incarichi  la  durata  minima  -  fissata in tre anni - e portando la
durata massima a cinque anni (v. art. 14-sexies, comma 1).
    Va  evidenziato,  pero',  che  il  comma  2 del citato art. 14 ha
precisato  che  «La  disposizione  non  si  applica agli incarichi di
direzione  di  uffici  dirigenziali resi vacanti prima della scadenza
dei  contratti  dei relativi dirigenti per effetto dell'art. 3, comma
7, legge n. 145/2002».
    Ebbene,   la   nuova  disciplina  sulla  durata  temporale  degli
incarichi  dirigenziali  in  esame  non puo' trovare applicazione nel
caso  in  esame,  non essendo operante nei confronti dei incarichi di
direzione  di  uffici dirigenziali' generali resi vacanti prima della
scadenza   dei   contratti  dei  relativi  dirigenti  a  causa  della
cessazione ex lege dell'incarico.
    Dunque, permane allo stato la rilevanza delle dette questioni nei
termini   gia'   sopra  espressi,  considerando  peraltro  che  nella
fattispecie  trattasi di «vecchio incarico» al quale non e' garantita
alcuna   durata   minima   contrariamente   a   quanto  ora  previsto
dall'art. 14-sexies  citato, circostanza rilevante ai fini della gia'
indicata misura risarcitoria richiesta dal ricorrente.
        Non manifesta infondatezza delle questioni sollevate
    Questo  giudicante  ritiene  di  dover  riproporre all'attenzione
della  Corte  costituzionale  il  contrasto  tra il sistema normativa
sopra   delineato   ed   alcuni  principi  di  rango  costituzionale,
condividendo le valutazioni dei altri giudici di questo Tribunale.
        a) Artt. 97 e 98 della Costituzione.
    La legge n. 145/2002 ha introdotto il principio della «cessazione
automatica»  per  i  dirigenti generali allo scadere del sessantesimo
giorno  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  in esame:
trattasi,  dunque,  di  risoluzione automatica anticipata di diritto,
prevista una tantum che consente di fatto solo al Governo attualmente
in  carica  di provvedere alla nomina di personale di propria fiducia
da collocare al vertice di tutti gli uffici.
    Tale   cessazione   per   legge   sembra  ledere  i  principi  di
imparzialita' e di servizio esclusivo dei pubblici impiegati a favore
della  Nazione: come gia' evidenziato da altri giudici remittenti, la
scelta   legislativa  tradisce  l'intento  di  affidare  la  gestione
amministrativa  a  persone scelte per affinita' ideologica, incidendo
sugli equilibri tra potere politico ed amministrazione.
    Inoltre  non  e' ragionevole ritenere che i dirigenti generali in
servizio  alla  data  di  entrata  in  vigore della legge n. 145/2002
avendo  ricevuto  l'incarico sotto la vigenza del precedente Governo,
non  avrebbero  con  professionalita'  e  competenza  perseguito  gli
obiettivi posti dalla nuova autorita' politica.
    In  ogni  caso,  se  cosi' non fosse stato, l'organo di indirizzo
avrebbe    comunque    potuto   revocare   l'incarico   per   mancato
raggiungimento  degli  obiettivi  ovvero  per inosservanza (anche non
grave) delle direttive impartite (v. art. 21, d.lgs. n. 165/2001).
    In  ogni  caso, qualora la cessazione ante tempus degli incarichi
sia  incostituzionale  e  il consequenziale diritto alla prosecuzione
del  rapporto fino alla naturale scadenza dei contratti originari sia
contra  legem  perche'  di  durata  superiore a quella legale massima
applicabile  alla  fattispecie,  la  questione  di  costituzionalita'
assume  rilevanza anche con riferimento all'art. 3, comma 1, lett. b)
legge n. 145/2002.
        b) Art. 3 della Costituzione.
    La cessazione una tantum degli incarichi e' disposta soltanto per
i  dirigenti  generali:  questi,  dunque,  subiscono  un  trattamento
deteriore  rispetto  a  quello  di regola riservato a tutti gli altri
lavoratori,  siano essi pubblici o privati, per i quali sono previsti
meccanismi  di  tutela  a  garanzia dell'immotivato ed ingiustificato
recesso dal contratto.
    Peraltro,  se  la  ratio  della deroga alle garanzie dirigenziali
risiede  nell'esigenza  di continuita' dei livelli decisionali non si
giustifica  l'uniformita'  di  regimi  tra  dirigenti generali e capi
dipartimento, segretari generali e figure equivalenti, rappresentanti
queste  ultime  categorie il vero anello di congiunzione tra la sfera
politica e quella amministrativa (v. Corte cost. n. 313/1996).
        c) Artt. 1, 2, 4 e 35 della Costituzione.
    La deroga ingiustiflcata al principio di stabilita' dei contratti
di  lavoro  -  pubblici  o  privati  -  viola i principi della libera
esplicazione  della  personalita'  professionale sul luogo di lavoro,
della  liberta'  negoziale,  che  possono  essere sacrificati solo in
presenza di doverose e ragionevoli motivazioni.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lett. b) e comma 7,
legge  n. 145/2002  in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 97 e 98
della Costituzione;
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale e
sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti e al Presidente del Consiglio e comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Roma, addi' 13 dicembre 2005
                       Il giudice: Delle Donne
06C0128