N. 37 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 2006

Ordinanza   emessa   il   16   maggio   2006  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  17  gennaio  2007)  dal  tribunale di Gorizia nel
procedimento penale a carico di Rusi Vullnet

Straniero  - Espulsione amministrativa - Rientro senza autorizzazione
  nel  territorio  dello  Stato dello straniero espulso - Trattamento
  sanzionatorio  -  Limite minimo edittale di un anno di reclusione -
  Irragionevolezza  -  Disparita'  di  trattamento  tra  cittadini  -
  Lesione   dei   diritti  inviolabili  dell'uomo  -  Violazione  del
  principio della finalita' rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 13, comma 13,
  modificato dall'art. 1, comma 2-ter, del decreto legge 14 settembre
  2004,  n. 241,  convertito  con  modificazioni in legge 12 novembre
  2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27, comma terzo.
(GU n.8 del 21-2-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Visti  gli  atti  del  proc.  penale  con  rito  direttissimo nei
confronti  di  Rusi  Vullnet  alias  Koka Mentor, cittadino albanese,
arrestato il 22 settembre 2005 per violazione dell'art. 13, comma 13,
del  d.lgs.  n. 286/1998  come  modificato dalla legge n. 12 novembre
2004,   n. 271,   perche'   espulso   dal  territorio  nazionale  con
provvedimento   del  Prefetto  di  Napoli  di  data  26  maggio  2005
notificato  ed  eseguito  in  pari data, faceva rientro in territorio
italiano senza una speciale autorizzazione del ministro dell'interno,
fatto accertato in Gorizia i1 22 settembre 2005
    Rilevato   che  non  essendo  state  richieste  misure  cautelari
l'imputato   e'   stato   rimesso   in  liberta'  dopo  la  convalida
dell'arresto,  che  prima  dell'apertura  del dibattimento imputato e
difensore  hanno  chiesto  termine  a difesa e quindi il difensore in
virtu' di procura speciale ha chiesto e ottenuto l'ammissione al rito
abbreviato.
    Ritenuta  provata la responsabilita' dell'imputato e legittimo il
provvedimento  di  espulsione, tradotto in lingua inglese, francese e
spagnola  per impossibilita' di reperire in tempo utile un interprete
di    lingua    albanese,    considerata    la   regolare   convalida
dell'accompagnamento  coattivo alla frontiera da parte del giudice di
pace  e  ritenuto  provato dal certificato del Casellario centrale di
identita'  in atti che l'imputato e' la stessa persona espulsa con il
nome di Koka Mentor, va valutata la pena da applicare.
    Trattandosi  di  soggetto  incensurato  pare congruo applicare la
pena  nel  minimo  edittale: pena base un anno di reclusione, ridotta
poi  per le attenuanti generiche a 8 mesi di reclusione e per il rito
a 5 mesi e 10 giorni di reclusione, pena sospesa.
    Considerato  che  tale pena va inflitta per un fatto che e' nella
sostanza  una inottemperanza ad un ordine amministrativo, come, nella
sostanza,  un  art. 650  cp.,  per  un cittadino italiano, si pongono
fondati,  e  rilevanti  per  la decisione, dubbi di costituzionalita'
della  norma  da  applicare sotto il profilo della eccessivita' della
pena come determinata dal.legislatore nel minimo edittale.
    Piu'  precisamente  appare  rilevante  il  dubbio di legittimita'
costituzionale,  eccepito  anche  dalla  difesa,  della  norma di cui
all'art. 13,  comma  13,  d. lgs. n. 286/1998 - come sostituito dalla
legge  n. 12  novembre  2004,  n. 271 - nella parte in cui prevede il
limite  minimo  edittale  di  un  anno di reclusione per lo straniero
espulso  che  rientri  nel  territorio  dello Stato senza la speciale
autorizzazione   del   Ministro   dell'interno,   norma  in  concreto
applicabile  alla fattispecie per cui si procede, per i motivi che di
seguito si espongono.
    Tale norma e' poi rilevante per la decisione del caso concreto in
quanto  pare  equa  una  pena base nel minimo edittale trattandosi di
soggetto  incensurato,  del  primo  episodio  di questo tipo commesso
dall'imputato,  e  di  fatto  che  non  ha  creato rilevante danno ad
alcuno.
    Dunque se la norma e' conforme ai principi costituzionali la pena
base  da applicare in concreto non potra' essere inferiore ad un anno
di  reclusione  ma  se  la  norma venisse ritenuta costituzionalmente
illegittima  laddove  determina  il  minimo  edittale  in  un anno di
reclusione  il  giudice  potrebbe  adeguare  la  pena  rispetto  alla
concreta  offensivita' sociale e alla modesta gravita' della condotta
diminuendola  molto  al  di  sotto  di un anno di reclusione, sino ad
equiparare  la  sanzione a quella che subirebbe un cittadino italiano
che  viola  un  ordine legalmente dato dalla autorita' amministrativa
per  motivi  di  ordine  pubblico,  cosi'  rispettando l'art. 3 della
Costituzione.
    La norma da applicare appare invero contrastare con i principi di
cui  agli artt. 2, 3, 10 e 27 comma 3 della Costituzione per i motivi
che di seguito si esporranno.
    I  dubbi di costituzionalita' in ordine alla norma di cui all'art
13,  comma  13,  d.  lgs.  n. 286/1998 (nella parte in cui prevede il
limite  minimo  edittale di un anno di reclusione), paiono trovare in
primo  luogo fondamento nei principi giurisprudenziali costituzionali
elaborati  in materia di limiti alla discrezionalita' del legislatore
nella  determinazione  della  quantita'  e  qualita'  della  sanzione
penale.
    In  particolare  la  Corte  costituzionale,  in  diverse pronunce
richiamate   e   ribadite   nella  sentenza  n. 341/1994,  dopo  aver
riaffermato il principio secondo cui appartiene alla discrezionalita'
del  legislatore  la  determinazione della quantita' e qualita' della
sanzione  penale  e non spetta quindi alla Corte stessa rimodulare le
scelte   punitive   effettuate   dal   legislatore,   ne'   stabilire
quantificazioni  sanzionatorie, ha pero' evidenziato come «alla Corte
rimane  il  compito  di  verificare  che l'uso della discrezionalita'
legislativa in materia rispetti il limite della ragionevolezza.».
    Detto   principio  e'  stato  cosi'  testualmente  esplicitato  e
ricostruito nella sentenza n. 341/1994:
        "Con  la sentenza n. 409 del 1989 la Corte ha definitivamente
chiarito  che  «il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo
comma,  Cost.,  esige  che la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia
nel  contempo  alla  funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali; ... le valutazioni all'uopo necessarie
rientrano  nell'ambito  del  potere discrezionale del legislatore, il
cui   esercizio   puo'  essere  censurato,  sotto  il  profilo  della
legittimita'  costituzionale,  soltanto nei casi in cui non sia stato
rispettato  il  limite  della  ragionevolezza»  (v. pure nello stesso
senso sentenze nn. 343 e 422 del 1993). Infatti, piu in generale, «il
principio  di  proporzionalita'  ...  nel  campo  del  diritto penale
equivale  a  negare  leggittimita'  alle incriminazioni che, anche se
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi  diritti  fondamentali,  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere, da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza n. 409 del 1989).
    In  altre  recenti  decisioni,  inoltre,  la Corte ha maturato la
convinzione  che la finalita' rieducativa della pena non sia limitata
alla  sola  fase  dell'esecuzione, ma costituisca «una delle qualita'
essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo contenuto
ontologico,   e   l'accompagnano   da   quando  nasce,  nell'astratta
previsione  normativa,  fino  a quando in concreto si estingue»: tale
finalita'  rieducativa  implica  pertanto  un  costante «principio di
proporzione» tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e
offesa, dall'altra (sentenza n. 313 del 1990; v. pure sentenza n. 343
del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993).
    In   applicazione  di  questi  principi  le  sentenze  da  ultimo
ricordate  sono  giunte  a dichiarare costituzionalmente illegittime,
come palesemente irragionevoli, diverse previsioni di sanzioni penali
giudicando   che  la  loro  manifesta  mancanza  di  proporzionalita'
rispetto  ai  fatti-reato si traduceva in arbitrarie e ingiustificate
disparita' di trattamento, o in violazioni dell'art. 27, terzo comma,
Cost..  In  particolare  la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che
«la  palese  sproporzione  del  sacrificio  della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  «produce  ...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione».
    Tutto  cio'  premesso,  va  osservato  che  -  nella  specie - la
discrezionalita'   del  legislatore  non  pare  esplicata  secondo  i
parametri sopra richiamati.
    Premesso  che  l'inasprimento  della sanzione penale in questione
nel  novembre  2004,  benche'  abbia  riguardato  norme  sostanziali,
direttamente  incidenti  sulla liberta' personale, appare ispirato da
valutazioni ed esigenze di natura essenzialmente processuale.
    Infatti  emerge dai lavori preparatori della legge n. 271/2004 la
mancanza  di  riferimenti  a  particolari  fenomeni  nuovi o gravi da
contrastare  attraverso  un  inasprimento di pene quanto piuttosto la
dichiarata  necessita'  di  superare  le  censure  mosse  dalla Corte
costituzionale  con  le  sentenze  n. 222  e  223 del 2004 alla legge
n. 189/2002:
    ... Sul cammino della Bossi-Fini si e' abbattuta la mannaia della
Corte  costituzionale ... Ritengo che con il d.l. in esame il Governo
ed  il  Parlamento  siano intervenuti correttamente per rispondere ai
rilievi  della  Corte  ...» (A.C. 5369 discussione dd 2 novembre 2004
sul  testo  approvato  in  Senato  il  20  ottobre 2004, repliche del
relatore alla legge).
    Va   in   proposito   rammentato  che  le  sentenze  della  Corte
costituzionale  n. 222  e  223  del 2004 hanno avuto ad oggetto norme
diverse  -  rispettivamente  l'art 13, comma 5 bis, e l'art 14, comma
5-quinquies, del d.lgs. n. 286/1998.
    In  particolare, la sentenza n. 223 ha dichiarato l'art. 14 comma
5  quinquies  d.  lgs.  n. 286/1998  (nel testo integrato dalla legge
n. 189/2002)  illegittimo  nella  parte  in  cui  stabiliva l'arresto
obbligatorio  per  la  contravvenzione  prevista al comma 5-ter dello
stesso articolo.
    A  seguito  di  cio',  il legislatore del novembre 2004 ha inteso
intervenire  a modifica del presupposto su cui si fondava la sentenza
n. 223/2004,  rendendo  possibile  con la trasformazione in delitto e
l'inasprimento delle pene - in astratto - l'applicazione delle misure
coercitive  secondo  i  limiti previsti dall' art. 280, secondo comma
c.p.p.  sia  al  reato  di cui all'art. 14, comma 5 ter, che a quello
dell'art. 13, comma 13, oggetto della presente valutazione.
    La  previsione  di  un  minimo edittale cosi' elevato: un anno di
reclusione,   innanzitutto  non  pare  ragionevole  neppure  ai  fini
dichiarati  del  legislatore: l'esigenza di rendere la fattispecie in
esame  compatibile  con  il  sistema  generale  di applicazione delle
misure  coercitive: infatti a tali fini e' rilevante il parametro dei
massimi edittali inderogabili (cfr. 274, lett. c e 280, secondo comma
c.p.p.),  non essendo invece di nessun interesse i minimi edittali di
pena.Inoltre  giustificare  una  scelta di diritto penale sostanziale
con  una  esigenza  processuale  non  pare rispondente ai principi di
ragionevolezza   e   proporzionalita'   della   pena   rispetto  alla
offensivita'  della condotta con conseguente violazione degli artt. 3
e 27, III comma, Cost.
    Appare  poi  nella sostanza evidente la disparita' di trattamento
in  tal  modo  attuata  tra  cittadini  extracomunitari  e  cittadini
comunitari  che  violino  ordini amministrativi dati per finalita' di
sicurezza  o  ordine  pubblico: mentre i cittadini comunitari vengono
sanzionati  per  tale condotta solo con una contravvenzione (art. 650
c.p.)  addirittura oblabile o definibile con una condanna a pena solo
pecuniaria  anche se socialmente pericolosi (contravvenzione prevista
dall'art. 2    legge   27   novembre   1956/1423:   inosservanza   di
provvedimenti del questore da parte di persone pericolose, sanzionata
con  l'arresto da uno a sei mesi), i cittadini extracomunitari per lo
stesso  tipo  di  violazione vengono puniti con una pena minima di un
anno di reclusione.
    E'  dunque  evidente  che il legislatore nel bilanciare la tutela
degli  interessi dell'ordine e sicurezza pubblica da un lato e quello
della  liberta'  personale  del  soggetto agente dall'altra non abbia
rispettato  il  criterio  della  parita' di trattamento di situazioni
analoghe-eguali, sancito dall'art. 3 della Costituzione.
    Otto mesi di reclusione appaiono pertanto una pena sproporzionata
in  eccesso  per  non  aver  rispettato  l'ordine di non rientrare in
Italia  in  confronto  alla sanzione massima possibile di tre mesi di
arresto   per   un  cittadino  italiano  che  ad  esempio  non  abbia
ottemperato   all'ordine  di  demolizione  di  edificio  pericolante,
condotta  oggettivamente  piu' pericolosa per la pubblica incolumita'
di quella oggetto del presente giudizio
    La  norma  di  cui  all'art. 13, comma 13 d. lgs. n. 286/1998 non
pare pertanto neppure conforme ai principi di ragionevolezza, sotto i
profili  della  proporzione  tra  la pena e il disvalore per il fatto
illecito  commesso  ex  artt. 3  e 27, terzo comma Cost. impedendo al
giudice  di determinare la pena ex art. 133 c.p. anche al di sotto di
tale limite minimo per i casi di gravita' minima come il presente con
proporzionalita' rispetto alla gravita' concreta del fatto
    La  norma  appare dunque in contrasto, nella parte in cui prevede
un  minimo edittale di un anno di reclusione, con gli artt. 3 e 2, in
rel.  all'art. 10  della  Costituzione  che  sanciscono e delineano i
principi  fondamentali  di  uguaglianza  davanti  alla  legge  e pari
dignita'   sociale,  nonche'  di  garanzia  dei  diritti  inviolabili
dell'uomo  tra i quali rientra evidentemente il diritto alla liberta'
individuale, e non pare dubitabile che, in ragione dell'art. 10 della
Costituzione,  tali  principi  fondamentali  spieghino  piena vigenza
anche  nei  confronti  degli  stranieri presenti sul territorio della
Repubblica.
    La  norma  citata appare infine in contrasto con l'art. 27, terzo
comma  Cost.  anche  sotto il profilo della mancanza di soggettivita'
criminale  da  rieducare,  in  relazione  a  condotte determinate con
evidenza  da  pressanti  esigenze economiche nel paese di origine che
spingono  alla emigrazione, senza dolo criminale o volonta' di creare
danno a terzi, sia sotto il profilo della impossibilita' materiale di
attuazione  della  finalita' rieducativa della pena per una categoria
di  soggetti  come  gli  extracomunitari presenti clandestinamente in
Italia  e gia' oggetto di legittima espulsione, infatti, tenuto conto
delle  finalita'  e  della intera disciplina legislativa di contrasto
alla  immigrazione  clandestina,  queste  persone  non  potranno  mai
rimanere   in  Italia,  dunque  non  ha  senso  parlare  di  un  loro
inserimento   sociale   in   Italia-Europa,   l'unico  rilevante  per
l'ordinamento.
    La  questione  della  illegittimita' costituzionale dell'art. 13,
comma  13,  d.  lgs.  n. 286/1998 come sopra illustrata appare quindi
rilevante  per  la  decisione e non manifestamente infondata e induce
pertanto la giudicante a rimettere gli atti alla Corte costituzionale
per le valutazioni di competenza.
                              P. Q. M.
    Visto l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87
    Ritenuto   che  ai  fini  della  presente  decisione  non  appare
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 13,  comma  13,  d.lgs. n. 286/1998 - come sostituito dalla
legge  12 novembre 2004 n. 271 - nella parte in cui prevede il limite
minimo edittale di un anno di reclusione per lo straniero espulso che
rientri  nel  territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione
del  Ministro dell'interno, per contrasto con gli articoli 2, 3, 10 e
27   comma   3   della  Costituzione  secondo  quanto  esposto  nella
motivazione;
    Ritenuto che la stessa sia rilevante ai fini del decidere;
    Sospende  il procedimento in corso per giudizio direttissimo, nei
confronti  di  Rusi  Vullnet nato il 13 agosto 1982 a Shupenze Dibert
(Albania), alias Koka Mentor;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale;
    Ordina  altresi'  che,  a  cura  della  cancelleria,  la presente
ordinanza  sia  notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e
che  la  stessa  venga  comunicata ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento.
    La lettura in udienza equivale a notifica alle parti presenti.
         Gorizia, addi' 16 maggio 2006
                     La giudice: Bigattin Nagin
06C0182