N. 64 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 ottobre 2005

Ordinanza  emessa  il  26  ottobre  2005 dal tribunale di Trieste nel
procedimento penale a carico di Bercea Delia Lenuta

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro
  anni   -   Lesione   del   principio   di   ragionevolezza   e   di
  proporzionalita'  della pena - Disparita' di trattamento rispetto a
  fattispecie  analoghe  -  Lesione  del  principio  della  finalita'
  rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  primo    periodo,    sostituito    dall'art. 1,   comma 5-bis   del
  decreto-legge    14 settembre   2004,   n. 241,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.11 del 15-3-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  processo  nei  confronti  di  Bercea  Delia  Lenuta, nata in
Romania il 22 giugno l986, ha emesso la seguente ordinanza.
    1. - In data 19 ottobre 2005 Bercea Delia Lenuta veniva tratta in
arresto  dalla  Polizia,  perche' trovata sul territorio nazionale in
violazione del decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Genova il
25 giugno 2005 dell'ordine a lasciare il territorio nazionale entro i
successivi  cinque  giorni  emesso  il 25 giugno 2005 dal Questore di
Genova. Il pubblico ministero chiedeva la convalida dell'arresto e la
celebrazione  del  giudizio  direttissimo;  fissata  l'udienza del 20
ottobre  2005, l'arresto veniva convalidato, dopo di che il difensore
chiedeva  termine  ex  art. 558,  settimo  comma,  c.p.p., che veniva
accordato.  All'udienza  del 26 ottobre 2005, il difensore depositava
procura  speciale  in forza della quale formulava istanza ex art. 444
c.p.p.,  nella  misura  finale  di  mesi  sei  di  reclusione,  cosi'
determinata:  pena  base  anni  uno  di  reclusione;  ridotta, per la
concessione  delle  attenuanti  generiche  alla  pena di mesi nove di
reclusione;  ulteriormente  ridotta  per  il  rito  alla  pena finale
menzionata.
    Il  p.m. nel prestare il proprio consenso, produceva il fascicolo
relativo  agli  atti di indagine preliminare. Orbene, alla luce della
richiesta  di  pena  formulata con il rito speciale adito, si impone,
preliminarmente,  la  valutazione  dovuta  in ordine alla conformita'
alla  carta costituzionale delle previsioni edittali stabilite per il
reato  in  esame,  peraltro  nei  limiti  in  cui tale valutazione e'
consentita  dall'art.  1  della legge costituzionale 9 febbraio 1948,
n. 1  e  dall'art. 23,  comma  3 della legge 11 marzo 1953, n. 87. In
relazione  ad identica fattispecie, tra gli altri, anche il Tribunale
di  Trieste, in altra composizione monocratica, ha proposto questione
di  legittimita'  costituzionale,  il  cui contenuto questo tribunale
condivide appieno e che qui si riporta, facendolo proprio.
    2.  -  Il  testo  originario  dell'art.  14  non prevedeva alcuna
sanzione   penale   per  lo  straniero  che  non  avesse  ottemperato
all'ordine   emesso   dal  questore  in  esecuzione  del  decreto  di
espulsione del prefetto.
    La  fattispecie  penale di cui trattasi e' stata introdotta dalla
legge   n. 189/2002,   come   reato  contravvenzionale  punibile  con
l'arresto  da sei mesi a un anno, prevedendo per tale reato l'arresto
obbligatorio;
    Con la sentenza n. 223 del 15 luglio 2004 la Corte costituzionale
ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma
5-quinquies  per  contrasto con gli art. 3 e 13 Cost. «nella parte in
cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo
art. 14  e'  obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del fatto», per la
manifesta  irragionevolezza  della  previsione di misura precautelare
non  suscettibile  di  sfociare in alcuna misura cautelare in base al
vigente ordinamento processuale;
    E' quindi intervenuto il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241,
che non modificava per la fattispecie in esame la pena prevista dalla
legge  n. 189/2002,  ma  riformulava  il  testo  dell'art. 14,  comma
5-quinquies  limitando  l'arresto  obbligatorio all'ipotesi di cui al
comma 5-quater (reingresso nel territorio dello Stato dello straniero
espulso),  gia'  prevista  come delitto punibile con la reclusione da
uno a quattro anni;
    In  sede  di conversione del decreto-legge citato il reato di cui
all'art. 14, comma 5-ter veniva previsto come delitto punibile con la
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  (ad  eccezione dell'ipotesi di
espulsione  motivata  dall'essere  scaduto  il permesso di soggiorno,
ipotesi  per  la  quale  veniva mantenuta la pena dell'arresto da sei
mesi a un anno); veniva nuovamente stabilito l'arresto obbligatorio.
    3.  -  E' dunque intervenuto un notevole inasprimento della pena,
della cui proporzionalita' e ragionevolezza si dubita.
    Deve  essere  qui  richiamato  il criterio costantemente adottato
dalla    Corte    costituzionale,    che,    pur    riservando   alla
«discrezionalita'   del  legislatore  stabilire  quali  comportamenti
debbano essere puniti, determinare quali debbano essere la qualita' e
la   misura   della  pena  ed  apprezzare  parita'  e  disparita'  di
situazioni»,   ha   pero'   affermato   che   «l'esercizio   di  tale
discrezionalita'  puo'  essere  censurato quando esso non rispetti il
limite  della  ragionevolezza e dia quindi luogo ad una disparita' di
trattamento  palese  e  ingiustificata»  (sentenza  25  del  1994; il
principio   e'   richiamato   anche  nella  sentenza  333  del  1992,
nell'ordinanza  220 del 1996, nella sentenza 84 del 1997). Ancora, e'
stato  chiarito  (sentenza  n. 409  del  1989)  che  il  principio di
uguaglianza,  di cui all'art. 3, primo comma, Cost. esige che la pena
sia  proporzionata  al disvalore del fatto illecito commesso, in modo
che  il  sistema  sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di
difesa  sociale  ed  a quella di tutela delle posizioni individuali».
Tale  funzione  non verrebbe adempiuta qualora non venisse rispettato
il  limite  della  ragionevolezza.  A  cio' si aggiunge (sempre nella
sentenza  citata) che il principio di proporzionalita' porta a negare
legittimita'  alle  «incriminazioni  che,  anche  se  presumibilmente
idonee  a  raggiungere  finalita' statuali di prevenzione, producono,
attraverso   la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi  diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi  ottenuti  (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei
beni  e  dei  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni». Questo
principio  e' ora recepito anche dalla Costituzione europea («le pene
inflitte   non  devono  essere  sproporzionate  rispetto  al  reato»,
art. II-109).
    Inoltre, la Corte ha ripetutamente affermato (sentenze n. 313 del
1995 e n. 343 del 1993) che la manifesta mancanza di proporzionalita'
rispetto  ai  fatti  reato  vanifica  il  fine rieducativo della pena
sancito dall'art. 27, comma 3 Cost.
    4.  -  In  primo  luogo,  poiche'  il dubbio di costituzionalita'
riguarda  un inasprimento della pena, non puo' omettersi di ricordare
quanto   affermato   dalla   Corte   costituzionale  su  un'eccezione
concernente l'elevazione nel 1991 del minimo edittale per il reato di
cui   all'art. 629   c.p.  Nel  dichiarare  manifestamente  infondata
l'eccezione,  la Corte (ordinanza n. 368 del 1995) ritenne rispettato
il  limite  della ragionevolezza rilevando che l'inasprimento in quel
caso   non   dava  luogo  «a  macroscopiche  differenze  rispetto  al
trattamento   sanzionatorio   previsto   per   il   reato  di  rapina
-fattispecie  peraltro  non  del  tutto  assimilabile  a quella della
estorsione».
      La questione oggi in esame e' totalmente diversa per due ordini
di ragioni.
    Innanzitutto,   l'inasprimento  e',  in  questo  caso  certamente
macroscopico.  il massimo edittale della pena detentiva in precedenza
prevista  per  lo  stesso  fatto,  qualificato  come contravvenzione,
corrisponde ora al minimo edittale previsto per il delitto.
       In  secondo  luogo,  l'aumento  di  pena  per  il  delitto  di
estorsione, come rileva tra le righe la Corte con il riferimento alla
«difficile  individuazione  in  concreto dell'aggravante di far parte
dell'associazione   di  tipo  mafioso»,  costituiva  la  risposta  al
fenomeno  del  «pizzo»  emerso  con  particolare  gravita'  in alcune
regioni nel corso degli anni ottanta e, quindi, a decenni di distanza
(e  quindi  in  un  contesto  sociale  certamente  diverso) da quando
vennero scritte le sanzioni per la rapina e l'estorsione.
    Una   simile   ragione   non   e'   invece   dato  rinvenire  per
l'inasprimento  di pena per lo straniero che non ottempera all'ordine
del  questore.  Nei soli due anni che intercorrono tra legge n. 189 e
la  legge  n. 271,  il  fenomeno  dell'immigrazione  clandestina (per
contrastare  il quale vennero scritte le norme della legge n. 189 del
2002) non ha subito variazioni tali da giustificare la conversione in
delitto    dell'inottemperanza    dello   straniero   all'ordine   di
allontanamento  del  questore  e  l'elevazione  macroscopica  di pena
introdotta   in  sede  di  conversione  in  legge  del  decreto-legge
n. 241/2002. Ne' una tale giustificazione si rinviene nella relazione
all'emendamento  del  decreto-legge n. 241/2004 che ha introdotto una
sanzione  cosi'  elevata,  posto  che  i  relatori  fanno riferimento
soltanto  alla  necessita' di adeguarsi alla sentenza n. 223 del 2004
della  Corte  costituzionale,  intendendo  tale  adeguamento  come un
inasprimento  della  pena, cosi' da consentire l'arresto obbligatorio
per  coloro  che  non ottemperino all'ordine del questore. Che questo
fosse  l'unico  fine  per  il  quale e' stata elevata in misura cosi'
rilevante  la  sanzione  e'  confermato  dall'essere  la  stessa pena
prevista  per  il  fatto di chi rientra nel territorio nazionale dopo
un'espulsione  disposta  dal  giudice  (fatto  evidentemente ben piu'
grave,  in  quanto presuppone la commissione di un reato o quantomeno
la   pendenza   di  un  procedimento  penale).  E'  evidente  che  la
trasposizione   di   un'esigenza   processuale   nel  diritto  penale
sostanziale non integra il criterio della ragionevolezza e si pone in
contrasto con i principi costituzionali posti dagli art. 3 e 27 comma
3, Cost.
    5.  -  Per  valutare  se  l'inasprimento di pena introdotto dalla
legge n. 271/2004 sia compatibile con l'art. 3 Cost. si deve poi fare
riferimento  a  norme  incriminatrici  poste  a  tutela  degli stessi
interessi   (individuati   nell'ordine  pubblico  e  nella  sicurezza
pubblica)  con  previsione  di  analoghe  modalita' di condotta. Ta1e
comparazione  e'  stata effettuata dalla Corte costituzionale al fine
di  valutare  la  proporzionalita'  e  la  ragionevolezza  della pena
prevista  per  il reato di cui all'art. 8, comma 2, legge n. 772/1972
(sentenza  n. 409 del 1989) e della pena prevista per il reato di cui
all'art. 341 c.p. (sentenza n. 341 del 1994).
    In  questo  caso,  deve essere preso in considerazione l'art. 650
c.p.  che punisce con l'arresto fino a tre mesi o con la sola ammenda
l'inottemperanza  ad  un provvedimento legalmente dato dall'autorita'
per ragioni di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico. Ancora, sempre
alla  tutela  dell'ordine  pubblico  e  della  pubblica  sicurezza e'
ispirata  la  fattispecie di cui all'art. 2 della legge n. 1423/1956.
Anche qui vi e' un ordine della pubblica autorita' (il Questore, come
nella  fattispecie  di  cui  all'art. 14,  comma  4-ter)  concernente
persone  ritenute  «pericolose per la sicurezza pubblica» (si osserva
che  si  tratta non di una pericolosita' «potenziale» quale e' quella
dello  straniero  clandestino,  ma  di  una pericolosita' concreta) e
anche  qui  l'inottemperanza  configura  una  contravvenzione, per la
quale  e'  previsto  l'arresto  da  uno  a sei mesi. Marginalmente si
osserva  che  completamente  diversa  e'  la  fattispecie del delitto
previsto  dall'art. 9  della legge citata. Si tratta della violazione
da  parte  del  sorvegliato  speciale  dell'obbligo  o del divieto di
soggiorno  impostogli dal tribunale e, sebbene gli interessi tutelati
dalla   norma   siano   ancora  quelli  della  sicurezza  pubblica  e
dell'ordine  pubblico  non soltanto vi e' una valutazione in concreto
della   pericolosita'   sociale   (effettuata  dal  tribunale  e  non
dall'autorita'   amministrativa),  ma  soprattutto  e'  prevista  una
condotta  attiva  dell'autore  consistente  nella  violazione  di  un
obbligo o di un divieto (anche questo imposto dal tribunale) al quale
e' gia' stata data esecuzione a cura del questore (art. 7 legge cit.)
e  quindi nell'allontanamento dal luogo di soggiorno obbligato ovvero
nel  ritorno  nel  territorio  per  il  quale  sussiste  il  divieto.
L'ipotesi  in  questione  potrebbe  quindi  costituire  parametro  di
riferimento  per il delitto previsto dall'art. 14, comma 5-quater del
d.lgs. n. 286/1998 (reingresso dello straniero espulso nel territorio
dello  Stato),  ma non per la norma oggetto della presente questione,
norma  che  sanziona la mera inosservanza di un ordine dell'autorita'
di polizia.
    Coerentemente  con le sanzioni dettate per analoghe violazioni il
legislatore del 2002 aveva previsto come contravvenzione l'ipotesi di
cui  all'art. 14, comma 5-ter, potendo a maggiore pena (da sei mesi a
un  anno di arresto) dettata per lo straniero (inottemperante, ma non
necessariamente  pericoloso) trovare giustificazione nell'esigenza di
contrastare  il  fenomeno  dell'immigrazione clandestina, inesistente
all'epoca   della   redazione   del   codice  penale  e  della  legge
n. 1423/1956.  Sussiste invece una rilevante sproporzione tra le pena
ora  prevista  per  la  stessa ipotesi, configurata come delitto e le
sanzioni  penali dettate per le contravvenzioni (ad essa analoghe) di
cui agli artt. 650 c.p. e 2 legge n. 1423/1956.
    L'irragionevolezza  sussiste  dunque  sotto  un duplice profilo e
cioe'  sia con riferimento alla pena che il legislatore solo due anni
prima   aveva  ritenuto  congrua  per  l'iotesi  in  esame,  sia  con
riferimento alle pene previste per analoghe fattispecie.
    Come  si  e'  visto,  la  Corte  ha  ripetutamente  affermato che
l'art. 3  Cost.  impone  che  il  bilanciamento  tra gli interessi da
tutelare  e  il  bene  della liberta' personale (che, se si tratta di
straniero,  non  e'  per  questo  di  rango  inferiore  a  quello del
cittadino)  venga  effettuato  con riferimento alle sanzioni previste
per condotte analoghe, che minacciano gli stessi interessi e che solo
quando   la   sanzione  penale  viene  stabilita  con  la  necessaria
proporzionalita'  la  pena  puo' avere la funzione rieducativa di cui
all'art. 27, comma 3 Cost.
    Fermo  restando  che  non si intende anticipare in questa sede la
valutazione  in  ordine alla responsabilita' dell'imputato (ovvero in
ordine  alla congruita' della specifica pena concordata dalle parti),
va   notato  che  il  presente  giudizio  non  puo'  venire  definito
indipendentemente    dalla    risoluzione   della   questione   sopra
evidenziata,  apparendo  che  - in caso di condanna - necessariamente
dovrebbe farsi riferimento alla vigente previsione edittale.
      Per  le  ragioni  sopra  indicate,  questo  giudice ritiene non
manifestamente   infondata   l'esposta   questione   di  legittimita'
costituzionale.
    Il processo percio' deve venire sospeso e gli atti immediatamente
trasmessi   alla  Corte  costituzionale,  per  la  risoluzione  della
questione.
    Va ordinata altresi', a cura della cancelleria, la notifica della
presente  ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la sua
comunicazione ai Presidenti delle Camere.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante  e non manifestante infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14  comma  5-ter prima parte,
d.lgs. n. 286/1998 come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, legge 12
novembre  2004,  n. 271 (che ha convertito in legge con modificazioni
il d.l. 14 settembre 2004, n. 241) nella parte in cui prevede la pena
della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis, in riferimento agli art. 3 e 27, comma 3 della Costituzione;
    Dispone  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per
la risoluzione della questione;
    Sospende il giudizio nei confronti dell'imputato;
    Dispone  la  notifica  della  presente  ordinanza,  a  cura della
cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri;
    Dispone  la  comunicazione della presente ordinanza, a cura della
cancelleria, ai Presidenti delle Camere;
    Manda alla cancelleria per gli altri adempimenti di competenza.
        Trieste, addi' 26 ottobre 2005
                        Il giudice: Gianelli
06C0201