N. 135 SENTENZA 23 - 31 marzo 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Eccezione  di inammissibilita' - Difetto di rilevanza della questione
  - Reiezione.
Agricoltura  -  Aziende  agricole  e  zootecniche  danneggiate  dalla
  eccezionale  siccita'  verificatasi nell'annata agraria 1989-1990 -
  Contributo   una   tantum   -   Erogazione,  da  parte  degli  enti
  territoriali  interessati,  fino  al  limite  di lire 2 milioni per
  ettaro  e  comunque  entro i previsti limiti dell'autorizzazione di
  spesa  e  nell'ambito  della  quota  destinata  a  ciascun  ente  -
  Denunciata   irrazionale   retroattivita'   della  norma  censurata
  introdotta   in   sede   di  conversione,  lesione  della  funzione
  giurisdizionale,  violazione  del  principio dell'affidamento nella
  certezza  dell'ordinamento giuridico, lesione del diritto di difesa
  - Non fondatezza della questione - Assorbimento di censure.
- D.l.  28 maggio  2004, n. 136 (convertito, con modificazioni, dalla
  legge  27 luglio  2004,  n. 186),  art. 8-septies, introdotto dalla
  legge di conversione 27 luglio 2004, n. 186.
- Costituzione, artt. 3, 24, 101, 102 e 104.
(GU n.14 del 5-4-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 8-septies del
decreto-legge  28 maggio  2004,  n. 136,  (Disposizioni  urgenti  per
garantire   la   funzionalita'   di  taluni  settori  della  pubblica
amministrazione),   convertito,   con   modificazioni,   dalla  legge
27 luglio  2004,  n. 186, promosso con ordinanza del 10 febbraio 2005
dal  Tribunale  di  Brindisi,  sezione  distaccata  di  Mesagne,  nel
procedimento  civile vertente tra la Regione Puglia e Iolanda Capraro
ed altri, iscritta al n. 291 del registro ordinanze 2005 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 23, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  Iolanda  Capraro e l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 7 marzo 2006 il giudice relatore
Luigi Mazzella;
    Uditi l'avvocato Vincenzo Vitale per Iolanda Capraro e l'avvocato
dello  Stato  Antonio  Palatiello per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  del  giudizio d'appello promosso dalla Regione
Puglia  contro la sentenza con la quale il Giudice di pace di Mesagne
l'aveva  condannata a pagare a Iolanda Capraro ed altri le differenze
tra  gli importi loro riconosciuti negli elenchi degli aventi diritto
ai  benefici di cui all'art. 2, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre
1990,  n. 367  (Misure  urgenti  a  favore  delle  aziende agricole e
zootecniche   danneggiate  dalla  eccezionale  siccita'  verificatasi
nell'annata  agraria 1989-1990), convertito, con modificazioni, dalla
legge  30 gennaio  1991,  n. 31, e le somme effettivamente erogate da
essa  Regione,  il  Tribunale  di  Brindisi,  sezione  distaccata  di
Mesagne,  con  ordinanza  del  10 febbraio  2005,  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt. 3,  24,  101,  102 e 104 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 8-septies  del
decreto-legge   28 maggio  2004,  n. 136  (Disposizioni  urgenti  per
garantire   la   funzionalita'   di  taluni  settori  della  pubblica
amministrazione),  introdotto  dalla  legge  di conversione 27 luglio
2004, n. 186.
    Il  giudice rimettente ha ricordato che originariamente l'art. 2,
comma 2,  del  d.l. n. 367 del 1990 stabiliva, a favore delle aziende
olivicole   e   viticole   del  Mezzogiorno  colpite  dalla  siccita'
nell'annata agraria 1989-90 che avessero subito un danno superiore al
cinquanta  per cento della produzione lorda vendibile, l'attribuzione
di «un contributo una tantum di lire 2 milioni per ettaro, e comunque
entro  il  limite  massimo  di cinquanta milioni ad azienda» e che la
Corte  di  cassazione  si  e'  sempre  pronunciata  nel  senso  della
giurisdizione  del  giudice ordinario, riconoscendo natura di diritto
soggettivo al contributo in oggetto in considerazione del fatto che i
presupposti   e  la  misura  dello  stesso  non  erano  sottoposti  a
valutazioni discrezionali da parte della pubblica amministrazione.
    Il Tribunale ha aggiunto che successivamente e' entrato in vigore
l'art. 8-septies  del d.l. n. 136 del 2004, introdotto dalla legge di
conversione  n. 186  del 2004, il quale, da un lato, ha stabilito che
il contributo una tantum in questione deve intendersi erogabile dagli
enti  territoriali  interessati entro i limiti dell'autorizzazione di
spesa di cui all'art. 11 del d.l. n. 367 del 1990 e nell'ambito della
quota destinata a ciascun ente, e, dall'altro, ha modificato il testo
dell'art. 2,  comma 2,  del medesimo decreto-legge, stabilendo che le
parole «di lire» siano sostituite da «fino a lire».
    Un  simile  intervento  da  parte  del legislatore comporterebbe,
secondo  il  giudice a quo, la degradazione del diritto soggettivo al
contributo  a mero interesse legittimo poiche' la norma attribuirebbe
all'ente  territoriale  la discrezionalita' nel determinare la misura
del  contributo  il  quale,  ricorrendo  i  presupposti di legge, non
sarebbe  piu' pari in ogni caso a lire due milioni per ettaro, bensi'
andrebbe  riconosciuto  fino a lire due milioni per ettaro e comunque
entro  i  limiti  dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 11 del
d.l.  n. 367  del  1990  e della quota destinata a ciascun ente. Cio'
renderebbe  l'art. 8-septies  del  d.l.  n. 136  del 2004 illegittimo
sotto vari profili.
    In  primo  luogo esso violerebbe l'art. 3 Cost. per contrasto con
il   principio   di   ragionevolezza.  Infatti,  secondo  il  giudice
rimettente,  la norma rappresenterebbe l'interpretazione autentica di
una  disposizione  (l'art. 2,  comma 2, del d.l. n. 367 del 1990) che
non  ha  dato  adito  ad alcun dubbio interpretativo, dal momento che
indicava  chiaramente  i  requisiti  e  le condizioni dei richiedenti
nonche'  l'ammontare del contributo, ed era sempre stata intesa dalla
Corte di cassazione come attributiva di un diritto soggettivo.
    Ulteriore profilo di contrasto con il principio di ragionevolezza
e'  individuabile,  a parere del Tribunale, considerando che la norma
censurata  sarebbe  destinata  ad  operare solo in via retroattiva su
vicende  collegate  ad  un evento calamitoso occorso quattordici anni
prima,  i  cui effetti pregiudizievoli si sono ormai esauriti, per il
quale sono decorsi i termini per la presentazione delle domande volte
alla   erogazione   del   contributo   ed   i  relativi  procedimenti
amministrativi sono ormai conclusi.
    L'art. 8-septies  contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 101, 102
e  104 Cost. perche' avrebbe il precipuo (se non addirittura il solo)
fine   di  vincolare  il  giudice  all'adozione  di  una  determinata
decisione  in specifiche ed individuate controversie, assumendo cosi'
un carattere provvedimentale.
    Il  giudice  rimettente  censura  infine la norma con riferimento
agli artt. 3 e 24 Cost. per violazione del principio dell'affidamento
nella   certezza   dell'ordinamento   giuridico   perche'  la  chiara
formulazione  dell'art. 2,  comma 2,  del  d.l.  n. 367  del 1990 non
poteva  che indurre i titolari delle aziende colpite dalla siccita' a
confidare  nella  certezza  di  aver  diritto al contributo ed al suo
esatto  ammontare.  Al  riguardo  occorrerebbe  anche considerare che
coloro  che  domandavano  il  contributo una tantum rinunciavano alla
possibilita'  di richiedere altre forme di contributo che dalla legge
erano  ritenute  incompatibili  con il primo. Secondo il Tribunale la
degradazione  da diritto soggettivo ad interesse legittimo avrebbe di
fatto  comportato  anche  una  lesione  del diritto di difesa, avendo
ridotto  gli strumenti e la portata dei mezzi di tutela giudiziaria a
disposizione degli interessati.
    Quanto  alla  rilevanza della questione, il rimettente sottolinea
che  la  controversia sottoposta al suo esame, concernendo la pretesa
dei titolari delle aziende agricole di ottenere la condanna dell'ente
regionale  al  pagamento  della  differenza  tra  la somma risultante
dall'applicazione  della  misura  stabilita  dall'originaria versione
dell'art. 2,  comma 2,  del d.l. n. 367 del 1990 ed il minore importo
effettivamente  erogato  dalla Regione Puglia, non puo' essere decisa
indipendentemente  dalla  risoluzione  della prospettata questione di
legittimita' costituzionale.
    2.  -  Si  e'  costituita nel giudizio Iolanda Capraro, parte del
giudizio  a  quo,  la  quale  ha  eccepito  l'irrilevanza della norma
censurata  nel  rapporto  tra  i titolari delle aziende agricole e la
Regione.
    Secondo   la  parte  privata,  anche  dopo  l'entrata  in  vigore
dell'art. 8-septies  del  d.l.  n. 136  del  2004,  la  sua posizione
giuridica  in  materia  di  contributo  una  tantum si configura come
diritto  soggettivo  in  virtu' del provvedimento a suo tempo emanato
dal comune. Infatti l'ente locale, a seguito di apposita istruttoria,
aveva  redatto  gli  elenchi  degli aventi diritto, determinando, per
ciascuno  di  essi,  l'ammontare del relativo contributo che, essendo
stato  calcolato  in  misura pari a lire due milioni per ettaro, deve
considerarsi  conforme anche al nuovo testo dell'art. 2, comma 2, del
d.l.  n. 367  del  1990,  il  quale  consente che il contributo possa
arrivare fino al limite dei due milioni per ettaro.
    La  Capraro  ha  aggiunto  che  la  somma  di  lire  165 miliardi
assegnata  dallo  Stato alla Regione Puglia sarebbe stata sufficiente
al  pagamento  per  intero  del contributo cosi' come originariamente
quantificato,  posto che la stessa Regione aveva indicato in lire 148
miliardi il fabbisogno di spesa per la provvidenza di cui all'art. 2,
comma 2, del d.l. n. 367.
    Ne',  d'altro  canto,  l'art. 8-septies potrebbe incidere su quel
diritto  soggettivo,  poiche'  la  Regione  agirebbe  in virtu' di un
rapporto  di delegazione amministrativa intersoggettiva con lo Stato,
onde  risponderebbe  del pagamento delle provvidenze con tutto il suo
patrimonio.  Il  fatto,  poi,  che i fondi siano forniti alla Regione
dallo   Stato,   non  inciderebbe  sulla  concreta  attuazione  degli
interventi  e  l'art. 8-septies potrebbe avere l'unica conseguenza di
impedire  che  la Regione possa conseguire dallo Stato il rimborso di
quanto versato ai privati.
    Sul  merito  della  questione,  la parte privata ha sostenuto che
all'art. 8-septies   deve   essere   negata   natura   di   norma  di
interpretazione  autentica  sia  perche'  esso  ha riscritto la norma
originaria  (sostituendo  le parole «di lire» con «fino a lire»), sia
perche'  ha  introdotto  per  la  prima  volta  un  limite alla spesa
complessiva.
    Ha  aggiunto  che  nella fattispecie l'intervento del legislatore
avrebbe travalicato i limiti entro i quali, secondo la giurisprudenza
della Corte costituzionale, possono essere emanate norme retroattive.
Infatti,  poiche' la pubblicazione degli elenchi degli aventi diritto
al  contributo  ha  concluso definitivamente il relativo procedimento
amministrativo  e  nessuna  azienda agricola puo' piu' avanzare nuove
richieste  per  ottenere il contributo in questione, l'art. 8-septies
avrebbe  l'unico  scopo  di  incidere intenzionalmente sui giudizi in
corso   al  fine  di  interrompere  l'orientamento  giurisprudenziale
favorevole  alle  parti  private, con violazione degli artt. 24, 101,
102   e   104   Cost.  Inoltre,  poiche'  il  contributo  contemplato
dall'art. 2,  comma 2,  del d.l. n. 367 del 1990 era alternativo alle
provvidenze previste dal precedente comma 1 dello stesso articolo, il
titolare   dell'azienda   agricola,   optando   per   il   primo,  ha
implicitamente  rinunciato  alle  seconde e pertanto l'intervento del
legislatore,  che  aveva ridotto l'entita' del contributo e non anche
quella  delle  altre  provvidenze,  si  porrebbe  in  contrasto con i
principi di ragionevolezza e di tutela dell'affidamento.
    3.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   invocando   il   rigetto  della  questione  di  legittimita'
costituzionale per manifesta infondatezza.
    Ha  evidenziato,  al  riguardo,  che  il  d.l.  n. 367  del 1990,
all'art. 11,  aveva  valutato  in complessivi 900 milioni di lire gli
oneri derivanti dalla sua applicazione e non aveva previsto ulteriori
mezzi per far fronte ad una spesa maggiore. Ne conseguirebbe che gia'
dalla  disciplina del 1990 risultava che il contributo avrebbe potuto
essere  concesso  solamente  nei  limiti  della copertura finanziaria
prevista  dall'art. 11  del d.l. n. 367 del 1990 e dello stanziamento
assegnato alle singole Regioni, onde l'art. 8-septies del d.l. n. 136
del 2004 non avrebbe alcun contenuto innovativo.
    L'interveniente  ha  aggiunto  che,  comunque,  la giurisprudenza
costituzionale  e' consolidata nel senso che la retroattivita' di una
norma legislativa non costituisce di per se' motivo di illegittimita'
costituzionale  se  non  si  ponga  in  contrasto con il principio di
ragionevolezza   o  con  altri  valori  ed  interessi  costituzionali
specificamente  protetti.  Nella  fattispecie la norma deve ritenersi
giustificata dall'esigenza di assicurare la concreta attuazione delle
finalita'  del  contributo  una  tantum nei limiti dello stanziamento
disposto  dall'art. 11  del  d.l.  n. 367  del  1990, in applicazione
dell'art. 81, quarto comma, Cost.
    Ne',  secondo l'Avvocatura dello Stato, e' ipotizzabile un vulnus
alla  potestas iudicandi perche' il legislatore si e' mosso sul piano
generale ed astratto delle fonti.
    4.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri ha depositato
successivamente  altra  memoria nella quale ha ribadito la fondatezza
delle  tesi  esposte nel proprio atto di intervento, aggiungendo che,
secondo  una  recentissima  giurisprudenza della Corte di cassazione,
gia'  l'originaria  disciplina  normativa  del  contributo  di cui si
discute doveva essere interpretata nel senso che la somma di lire due
milioni  per  ettaro  poteva  essere erogata a favore dei coltivatori
danneggiati  nella misura in cui vi fosse capienza negli stanziamenti
disposti  a  favore della Regione dal Fondo di solidarieta' nazionale
in   agricoltura   e,  dunque,  solamente  in  quota  matematicamente
riproporzionata  sulla base di quegli stanziamenti. Conseguentemente,
la disposizione oggetto del presente giudizio non avrebbe fatto altro
che  ribadire  quanto  gia'  risultava  dal testo della normativa del
1990.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  di Brindisi, sezione distaccata di Mesagne,
dubita,  in  riferimento  agli  artt. 3,  24,  101,  102  e 104 della
Costituzione,  della  legittimita' costituzionale dell'art. 8-septies
del  decreto-legge  28 maggio  2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per
garantire   la   funzionalita'   di  taluni  settori  della  pubblica
amministrazione),  introdotto  dalla  legge  di conversione 27 luglio
2004, n. 186, nella parte in cui prevede che il contributo una tantum
contemplato  dall'art. 2, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 1990,
n. 367  (Misure urgenti a favore delle aziende agricole e zootecniche
danneggiate   dalla  eccezionale  siccita'  verificatasi  nell'annata
agraria   1989-1990),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge
30 gennaio   1991,   n. 31,  deve  intendersi  erogabile  dagli  enti
territoriali  interessati entro i limiti dell'autorizzazione di spesa
di  cui  all'art. 11  del  medesimo decreto-legge e nell'ambito della
quota destinata a ciascun ente, e nella parte in cui ha modificato il
testo  dell'art. 2, comma 2, del d.l. n. 367 del 1990, stabilendo che
le parole «di lire» siano sostituite da «fino a lire».
    2.   -   La   parte   privata   nel   giudizio  a  quo  eccepisce
preliminarmente  il  difetto  di rilevanza della questione perche' il
suo  diritto  a  ricevere  dalla Regione proprio l'importo risultante
dalla  moltiplicazione  di  lire  due milioni per il numero di ettari
rientranti  nella  zona danneggiata discenderebbe dal provvedimento a
suo  tempo  emanato  dal competente comune rispetto al quale la norma
censurata  sarebbe  ininfluente  poiche':  a)  la Regione agirebbe in
virtu'  di  un rapporto di delegazione amministrativa intersoggettiva
con  lo Stato e dunque risponderebbe del pagamento dei contributi con
tutto  il  suo  patrimonio;  b)  anche  il  nuovo tenore dell'art. 2,
comma 2,  del  d.l.  n. 367 del 1990 consente che il contributo possa
essere  riconosciuto  nella  misura (massima) di lire due milioni per
ettaro;  c) la somma trasferita dallo Stato alla Regione Puglia (pari
a  lire  165  miliardi)  era  comunque  sufficiente per far fronte al
pagamento  in  misura  integrale  del  contributo, dal momento che la
Regione stessa aveva quantificato in lire 148 miliardi il complessivo
fabbisogno di spesa relativo a quel contributo.
    L'eccezione e' infondata.
    Il  provvedimento sul quale fa leva la parte privata (vale a dire
l'approvazione  delle liste degli aventi diritto da parte del comune)
non  e'  costitutivo di alcun diritto, ma solamente ricognitivo della
sussistenza  di determinate circostanze di fatto poiche' la fonte del
diritto  rivendicato  dagli  agricoltori  e'  la  norma  di  legge, e
precisamente  l'art. 2,  comma 2,  del  d.l.  n. 367  del  1990, che,
escludendo l'intervento discrezionale della pubblica amministrazione,
definisce   i   presupposti   della   concessione   del   contributo.
Conseguentemente,  una  volta appurato che l'ammontare del contributo
esposto in quel provvedimento comunale sia stato calcolato in maniera
errata, la Regione non puo' ritenersi da esso vincolata.
    Che,  poi,  in  astratto  la  Regione sia tenuta a rispondere del
pagamento  dei  contributi in oggetto con tutto il suo patrimonio non
significa  certo  che nel caso concreto essa possa essere obbligata a
pagare piu' di quanto dovuto in applicazione della legge.
    Inoltre,   il   fatto  che  l'attuale  formulazione  dell'art. 2,
comma 2,  del  d.l.  n. 367  del  1990 permetta che il contributo sia
concesso  fino  al  limite  dei  due  milioni di lire per ettaro, non
comporta  che  il  beneficio sia concesso nella misura massima pur in
difetto dei fondi necessari.
    Infine,  a  proposito della circostanza secondo la quale la somma
trasferita  dallo  Stato  alla  Regione Puglia era superiore, nel suo
complesso, alla spesa per il contributo prevista dalla stessa Regione
sulla  base  di lire due milioni per ettaro, occorre ricordare che lo
stanziamento  statale  era  stato  disposto per far fronte a tutte le
provvidenze  contemplate  dal d.l. n. 367 del 1990 e non e' possibile
ritenere   che  la  Regione  fosse  tenuta  a  impiegarlo  pressoche'
interamente  per il pagamento del contributo di cui al citato art. 2,
comma 2, nella misura massima consentita.
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    Il  d.l. n. 367 del 1990 prevede una serie di interventi a favore
delle   aziende   agricole   e  zootecniche  colpite  dalla  siccita'
nell'annata  agraria  1989-90.  Tra  questi  vi e' quello contemplato
dall'art. 2,  comma 2,  consistente  in  «un contributo una tantum di
lire  2  milioni  per  ettaro»  a  favore  delle  aziende olivicole e
viticole del Mezzogiorno, ricadenti nelle aree all'uopo delimitate da
ciascuna  Regione  e danneggiate in misura superiore al cinquanta per
cento dell'intera produzione lorda vendibile.
    Successivamente, in sede di conversione del d.l. n. 136 del 2004,
la  legge  n. 186 del 2004 ha introdotto, nel testo del decreto-legge
medesimo,  l'art. 8-septies, il cui comma 1 dispone che il contributo
una  tantum  previsto  dall'art. 2, comma 2, del d.l. n. 367 del 1990
«deve  intendersi erogabile dagli enti territoriali interessati entro
i limiti dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 11 del medesimo
decreto-legge  e nell'ambito della quota destinata a ciascun ente» e,
al successivo comma 2, stabilisce che «al citato articolo 2, comma 2,
del  decreto-legge  n. 367  del  1990,  le  parole:  «di  lire»  sono
sostituite dalle seguenti: «fino a lire».
    A  parere  del  giudice  rimettente  tale  norma comporterebbe la
degradazione  del  diritto  soggettivo al contributo a mero interesse
legittimo,  attribuendo all'ente territoriale la discrezionalita' nel
determinare   la   misura  del  contributo  il  quale,  ricorrendo  i
presupposti  di  legge, non sarebbe piu' pari in ogni caso a lire due
milioni  per  ettaro,  bensi'  andrebbe  riconosciuto  «fino a lire 2
milioni  per ettaro» e comunque entro i limiti dell'autorizzazione di
spesa  di  cui  all'art. 11  del  d.l.  n. 367 del 1990 e della quota
destinata a ciascun ente.
    Di     qui,     secondo     il    rimettente,    l'illegittimita'
dell'art. 8-septies  del  d.l.  n. 136  del  2004  per violazione: a)
dell'art. 3  Cost., per contrasto con il principio di ragionevolezza,
stante  la  mancanza di dubbi interpretativi in ordine all'originario
testo  dell'art. 2,  comma 2,  del d.l. n. 367 del 1990 e l'esclusivo
effetto  retroattivo della norma censurata; b) degli artt. 101, 102 e
104  Cost.,  perche'  la  norma  avrebbe il solo fine di vincolare il
giudice  ad  assumere  una  determinata  decisione  in  specifiche ed
individuate controversie; c) degli artt. 3 e 24 Cost., per violazione
del   principio   dell'affidamento  nella  certezza  dell'ordinamento
giuridico   e  per  lesione  del  diritto  di  difesa  in  quanto  la
degradazione  da diritto soggettivo ad interesse legittimo ridurrebbe
gli  strumenti  e  la  portata  dei  mezzi  di  tutela  giudiziaria a
disposizione degli interessati.
    Le   censure  formulate  dal  rimettente  muovono  da  un'erronea
interpretazione  della  norma  del 1990. La disposizione dell'art. 2,
comma 2,  del  d.l. n. 367 del 1990 deve essere coordinata con quella
dettata   dal  successivo  art. 11  dello  stesso  decreto-legge  che
stabilisce,  a  carico dello Stato, l'erogazione di lire 650 miliardi
per l'anno 1990 e di lire 250 miliardi per l'anno 1991. Il necessario
rispetto  dell'art. 81,  quarto  comma,  Cost. impone di ritenere che
l'unica  interpretazione  dell'art. 2,  comma 2,  del d.l. n. 367 del
1990  accettabile  in  quanto  conforme a Costituzione sia stata, sin
dall'inizio,  quella  secondo la quale la norma riconosceva, a favore
delle aziende agricole, il diritto soggettivo ad un contributo il cui
oggetto, pero', non coincideva necessariamente con l'intero ammontare
indicato  nella medesima norma (due milioni di lire per ogni ettaro),
bensi'  con  la  somma matematicamente determinabile sulla base degli
stanziamenti disponibili.
    D'altronde,   nello   stesso   senso,   si   e'   pronunciata  la
giurisprudenza di legittimita'.
    Tenendo  conto di un simile significato occorre, dunque, valutare
la  legittimita'  costituzionale  dell'art. 8-septies del d.l. n. 136
del   2004.   La   censura  del  rimettente  diretta  ad  evidenziare
un'illegittimita'  di  tale  articolo non e' fondata. Non v'e' alcuna
irrazionale retroattivita' della norma perche' essa afferma una delle
interpretazioni  plausibili  dell'art. 2,  comma 2,  del d.l. 367 del
1990.  Il  legislatore  del  1990  ha  voluto che le aziende agricole
danneggiate   avessero   diritto   ad   un   contributo   determinato
matematicamente   sulla  base  dei  fondi  effettivamente  stanziati.
All'art. 8-septies  del  d.l.  n. 136  del  2004  deve  essere quindi
riconosciuta la semplice funzione di aver definitivamente imposto per
legge la corretta interpretazione della norma del 1990.
    Le   argomentazioni  svolte  per  il  loro  carattere  assorbente
esonerano dall'esame di tutte le ulteriori censure.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 8-septies   del   decreto-legge   28 maggio   2004,  n. 136
(Disposizioni  urgenti  per  garantire  la  funzionalita'  di  taluni
settori    della    pubblica    amministrazione),   convertito,   con
modificazioni,  dalla  legge  27 luglio  2004,  n. 186, sollevata, in
riferimento  agli artt. 3, 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal
Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Mesagne, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2006.
                        Il Presidente: Marini
                       Il redattore: Mazzella
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 31 marzo 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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