N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 ottobre 2005

Ordinanza  emessa  il  27  ottobre  2005  dal tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di Bogdanova Nadia

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato,  in  violazione  dell'ordine di allontanamento impartito dal
  questore  -  Reclusione  da  uno  a  quattro  anni - Violazione del
  principio  di  ragionevolezza  e  di  proporzionalita' della pena -
  Disparita' di trattamento rispetto a fattispecie analoghe - Lesione
  del principio della finalita' rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  prima  parte,  sostituito  dall'art. 1,  comma 5-bis, decreto-legge
  14 settembre 2004, n. 241, convertito nella legge 12 novembre 2004,
  n. 271.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.14 del 5-4-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del  procedimento penale n. 21483/05 R.G. n. R.
contro  Bogdanova  Nadia,  nata  a  Nikolaiev (Ucraina) il 13 ottobre
1978,  imputata  del  reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, primo
periodo,  come  modificato  dalla  legge  12  novembre  2004  n. 271,
perche',  cittadina  straniera,  destinataria  di  provvedimento  del
Questore  di  Roma,  (notificatole  l'11  ottobre  2005  a seguito di
decreto  espulsione  del  prefetto  fondato  sui  motivi  di cui alla
lettera  b) dell'art. 13, comma 2, d.lgs. citato), con intimazione di
allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non ottemperava alla
stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperita.
    Accertato in Torino il 25 ottobre 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputata,  tratta  in  arresto  in  data  25  ottobre  2005 per
violazione  all'art. 14,  comma  5-ter, decreto legislativo 25 luglio
1998,  n. 286, modificato dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12
novembre  2004, n. 271, veniva presentata dal pubblico ministero, per
la  convalida  dell'arresto  ed il conseguente giudizio direttissimo,
all'udienza  del 27 ottobre 2005. Convalidato l'arresto e disposta la
liberazione dell'arrestata non avendo il p.m. richiesto l'adozione di
alcuna  misura  cautelare,  in  base  alla richiesta dell'imputata si
procedeva  con  rito  abbreviato,  All'esito della discussione questo
giudice   ritiene   di  dover  sollevare  incidente  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 1,  comma 5-bis legge citata nella parte in
cui  prevede  la  pena  della reclusione da uno a quattro anni per lo
straniero  che  senza giustificato motivo si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi
del  comma  5-bis,  in  riferimento  agli artt. 3 e 27, comma 3 della
Costituzione,  pena  edittale  che  consente  anche  l'adozione delle
misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p.
    La rilevanza della questione risiede nel fatto che, se si dovesse
pervenire  ad  un  giudizio  di colpevolezza della Bogdanova, sarebbe
comminata  la  pena  prevista  dalla  norma  della  cui  legittimita'
costituzionale  si  dubita  ed al cui riguardo si svolgono i seguenti
rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario   dell'art. 14,   d.lgs.   25  luglio  1998,  n. 286,  era
sprovvista  di  specifica  sanzione, pur essendo controverso se fosse
sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui
all'art. 650  c.p. La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto una
fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con l'arresto da sei
mesi  ad  un  anno, con arresto obbligatorio del contravventore e sua
espulsione  eseguita  tramite accompagnameto coattivo alla frontiera.
Caduta  la  porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio
per  effetto  della  sentenza  della  Corte costituzionale in data 15
luglio    2004,    n. 223,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies per contrasto con gli
articoli 3 e 13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del fatto», interveniva il legislatore con la
legge  12  novembre  2004,  n. 271, operando un ampio rimaneggiamento
della   norma   e   reintroducendo   l'arresto  obbligatorio  per  le
fattispecie trasformate in delitto. Tale intervento ha determinato un
effetto   pirotecnico  nel  magma  indifferenziato  della  previgente
fattispecie,   che   sanzionava   in   modo  identico  le  permanenze
ingiustificate  nel  territorio  in  violazione dei provvedimenti del
questore   che   davano  esecuzione  a  provvedimenti  di  espulsione
ministeriali  o prefettizi. Ora la stessa condotta diventa un delitto
ovvero rimane una contravvenzione ovvero non configura alcun illecito
penale     (esiste     soltanto     la     sanzione    amministrativa
dell'accompagnamento  alla  frontiera)  a seconda della provenienza e
della   natura   dell'espulsione   presupposta.   Pertanto,   permane
l'illiceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal prefetto
cui  e'  data  esecuzione  da  parte  del  questore. Se essa e' stata
disposta  per  ingresso  illegale  sul territorio nazionale «ai sensi
dell'art. 13,  comma  2,  lettere  a) e c)» ovvero per aver omesso di
richiedere il permesso di soggiorno nel termine di legge, il reato di
inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine del questore e'
un  delitto  punito  con  la  reclusione da uno a quattro anni; se il
motivo  che  ha  determinato l'espulsione e' la mancata richiesta del
rinnovo dei permesso di soggiorno scaduto da piu' di sessanta giorni,
testa  l'illecito  contravvenzionale punito con l'arresto da sei mesi
ad  un  anno.  Se  l'ingiunzione  del  questore  e'  attuativa di una
espulsione  disposta  dal Ministro dell'interno «per motivi di ordine
pubblico  o  di  sicurezza  dello Stato» (es. espulsione per i motivi
suddetti  di  donna  incinta  di  cui  si  ignora  la nazionalita' e,
pertanto,    non    suscettibile    di   esecuzione   immediata   con
accompagnamento alla frontiera), la sua inosservanza non e' assistita
dalla  tutela  penale  in quanto le ragioni dell'espulsione avvengono
per tipologie non omologhe a quelle per le quali e' dato ricorrere da
parte  del  prefetto  (cui  nell'esempio  citato  sarebbe precluso il
rinvio  della  straniera  allo  stato  di  appartenenza), ne' e' dato
avvalersi  di  operazioni  ermeneutiche basate sull'analogia, vietata
nel campo penale.
    Il reato per cui e' stata tratta in arresto Bogdanova Nadia e per
il quele il p.m. ha proceduto con giudizio direttissimo configura, in
base  alla  nuova  normativa,  una delle ipotesi delittuose che hanno
avuto  un  notevole  inasprimento  di pena e che, ad avviso di questo
giudice,  presenta  profili di incostituzionalita' con riferimento ai
citati articoli della Costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di   un  tertium  comparationis  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturariti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno, analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  l'altro  con  fattispecie non contemplate dalla
disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  Stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi di ordine pubblico e sicurezza pubblica diversamente da quanto
accadeva  in  precedenza,  non configurino ora alcun reato. Non solo,
altre  condotte  che  parimenti  si  sostanziano  in  inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  60  giorni  successivi  alla  scadenza,  fruisce  di  un  doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il  territorio  nazionale  entro  15  giorni  dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un anno. Viceversa lo straniero che sia
stato  espulso  o perche' entrato in Italia sottraendosi ai controlli
di  frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel
territorio  dello  Stato  senza aver chiesto il permesso di soggiorno
nel  termine  prescritto,  salvo  che  il ritardo sia dipeso da forza
maggiore,  ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o
annullato  o  perche'  appartiene  a  taluna delle categorie indicate
nell'art. 1  della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito
dall'art. 2  della  legge  3 agosto 1988, n. 327, o nell'art. 1 della
legge  31 maggio  1965,  n. 575,  come  sostituito dall'art. 13 della
legge 13 settembre 1982, n. 646, e' punito con la reclusione da uno a
4  anni. Ne discende che condotte analoghe a quella contravvenzionale
in precedenza indicata sono sanzionate, non solo a titolo di delitto,
ma  con  una  pena il cui minimo e' parametrato al massimo dell'unica
fattispecie rimasta di natura contravvenzionale. Ora, se il principio
di  uguaglianza esige che «la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso in modo che il sistema sanzionatorio adempia,
nel  contempo,  alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali»  (sentenza n. 409 del 18 luglio 1989),
tutte  le  condotte  di  trattenimento dello straniero nel territorio
italiano ledono con modalita' oggettive identiche lo stesso bene. E',
infatti,  dalla  inosservanza  dell'ordine  del  questore di lasciare
entro   cinque  giorni  il  territorio  nazionale  che  prende  avvio
l'aggressione  al  bene  giuridico tutelato ed in cui si sostanzia la
colpevolezza   dell'autore   del   fatto.   Differenziare   identiche
fattispecie  (talune  penalmente  indifferenti,  altre punite in modo
lieve,  altre  in modo estremamente pesante) in base a situazioni che
precedono  la  condotta  e non rivelano una reale dannosita' sociale,
significa disancorare il giudizio di offensivita' (che costituisce la
sintesi  della  relazione  sussistente tra il bene giuridico protetto
dalla  norma  incriminatrice e il fatto) dal fatto stesso; significa,
in  ultima  analisi,  sanzionare  in  modo  differenziato, e percio',
arbitrario ed irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi  appare  similare  alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della  legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e punita con l'arresto da uno a
sei  mei.  Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata in
vigore  del d.l. 30 febbraio 1989, n. 416, la giurisprudenza si fosse
posto  il  problema  se l'inosservanza da parte dello straniero della
intimazione  di lasciare il territorio dello stato fosse rapportabile
alla  violazione  dell'art. 650  c.p.  e si dovesse applicare la pena
prevista da tale norma. La risposta era stata negativa sol perche' si
era  osservato  che  per  la  violazione  era  prevista  la  sanzione
amministrativa dell'immediato accompagnamento alla frontiera ai sensi
dell'art. 7,  comma 9 del d.l. citato, disposizione speciale rispetto
alla  generica  previsione di cui all'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez.
I, 26.3.1998, n. 1229).
    Tutto  cio'  dimostra la stretta parentela esistente tra la norma
contenuta  nel  codice  penale  e  quella speciale prevista nel campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della   sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27,  comma  3  Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  «produce  ...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27,  comma 3  della  Costituzione,  che  di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione»  (sentenza  343  del  1993).  A  fronte  di  cio' occorre
domandarsi:  a  due  anni  di  distanza  dall'emanazione  della legge
n. 189/2002 il sensibile inasprimento di pena per molte delle ipotesi
di inottemperanza da parte dello straniero all'ordine del questore e'
almeno  giustificato da finalita' generalpreventive? La risposta pare
essere   negativa   se   si  osserva  il  fenomeno  dell'immigrazione
clandestina  nella  sua  dimensione  storica  (e comunque i mutamenti
sanzionatori non paiono rapportabili all'eventuale modesto incremento
dei flussi migratori).
    In  ogni  caso  non  va  dimenticato  quando  osservato,  in  via
generale,   da   codesta   Corte   e   cioe'  che  «il  principio  di
proporzionalita'  ...  nel campo del diritto penale equivale a negare
legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee
a   raggiungere   finalita'   statuali   di  prevenzione,  producono,
attraverso   la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi  diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi  ottenuti  (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei
beni  e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenza n. 409
del  1989).  Peraltro, leggendo la relazione all'emendamento del d.l.
n. 241/2004,  che  ha  introdotto una cosi' elevata sanzione, si nota
come  i  relatori  giustifichino la modifica legislativa soltanto con
riferimento  alla  necessita'  di adeguarsi alla sentenza della Corte
costituzionale  n. 223 del 2004 che aveva ritenuto costituzionalmente
illegittimo     l'art. 14),    comma    5-quinquies    della    legge
sull'immigrazione  «nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14,  e' obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del  fatto» per la manifesta irragionevolezza
della  previsione  di  una  misura  precautelare  non suscettibile di
sfociare  in  alcuna  misura cautelare in base al vigente ordinamento
processuale.   In  altri  termini  la  trasformazione  in  delitto  e
l'aumento  di  pena  e'  stato dettato dal solo scopo di ripristinare
l'arresto  obbligatorio  ritenuto illegittimo dalla Corte; non a caso
il  limite  edittale massimo della pena e' fissato in quattro anni di
reclusione,   presupposto   minimo   per  l'adozione  della  custodia
cautelare in carcere (art. 280 comma 2 c.p.p.).
    Pertanto  la risposta sanzionatoria e' stata scollegata dal grado
di  offensivita'  della  condotta e strumentalizzata ad una finalita'
meramente  processuale, quella di giustificare l'arresto obbligatorio
in  flagranza e di garantire lo svolgimento del giudizio direttissimo
in  tutte le ipotesi previste dal codice di procedura penale. Ora, se
si   ritorna  al  raffronto  tra  la  disciplina  dell'ingiustificato
trattenimento   in   Italia  dello  straniero  e  l'inosservanza  del
provvedimento    di   rimpatrio   si   osserva   un   differente   ed
incomprensibile  trattamento  del  bene  della liberta' personale nel
caso  in  cui  i  destinatari  siano  le  persone  pericolose  di cui
all'art. 1, legge n. 1243/1956, e cio' nonostante codesta Corte abbia
affermato  che  «per  quanto  gli  interessi pubblici incidenti sulla
materia  dell'immigrazione  siano  molteplici  e  per  quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  problemi  di  sicurezza  e  di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
Costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale   affinche'   valuti   la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 14,   comma   5-ter   prima  parte  d.lgs.
n. 286/1998  come  sostituito  dall'art. 1,  comma  5-bis,  legge  12
novembre  2004,  n. 271 (che ha convertito in legge con modificazioni
il d.l. 14 settembre 2004, n. 241) nella parte in cui prevede la pena
della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis  in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3 della Costituzione e
sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere.
        Torino, addi' 27 ottobre 2005
                          Il giudice: Bosio
06C0292