N. 104 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 2006
Ordinanza emessa il 24 gennaio 2006 dal tribunale di Ravenna nel procedimento penale a carico di Mambelli Gian Luca Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Lesione del principio della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma 4, modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma.(GU n.15 del 12-4-2006 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza, ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 (letta alla pubblica udienza del 24 gennaio 2006). In data 29 dicembre 2005 Gian Luca Mambelli e' stato arrestato dai Carabinieri del N.O.R.M. di Cervia - Milano Marittima nella flagranza dei reati di rapina aggravata, violenza sessuale aggravata e porto abusivo di arma. Ad esito del giudizio di convalida, l'imputato e' stato condotto davanti al giudice del dibattimento ex art. 449 comma quarto c.p.p. per il giudizio direttissimo. All'odierna udienza, in sede di giudizio direttissimo, il Mambelli ha richiesto il rito abbreviato; conseguentemente, disposta la separazione dei processi, e' stata emessa ordinanza, ai sensi dell'art. 438 del codice di rito. Le parti hanno concluso nel merito; la difesa ha proposto una questione di costituzionalita' dell'art. 69 comma quarto c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251. L'imputato ha reso piena confessione dei fatti-reato ascrittigli; la sua penale responsabilita' non e' stata in alcun modo contestata dalla difesa ed emerge in modo chiaro dagli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero e, in particolare dalla denuncia sporta dalla persona offesa e dalle risultanze del verbale di perquisizione e sequestro. Il tema della decisione demandata al Collegio si sostanzia, dunque, nella individuazione di eventuali circostanze attenuanti, da giudicare in comparazione con le contestate aggravanti e recidiva e nella quantificazione della pena. Il Mambelli ha risarcito con tempestivita' ed in modo congruo la persona offesa per i danni subiti a seguito dei reati di rapina e violenza sessuale; inoltre, il danno patrimoniale di 80 euro (riferibile al piu' grave delitto di cui all'art. 628 commi primo e terzo, punito con la pena edittale piu' elevata nel massimo) e' certamente di speciale tenuita', cosicche' nel caso di specie possono essere riconosciute le attenuanti previste dall'art. 62 nn. 4 e 6 codice penale. All'imputato correttamente e' stata contestata la recidiva reiterata, atteso che egli ha riportato due condanne per delitti dolosi a seguito di applicazione delle pene di dieci mesi di reclusione e " 660.000 di multa (sospesa) per violazione degli obblighi di assistenza familiare (reato commesso dal 1992 al 1995) e di " 3.000.000 di multa per atti osceni (reato commesso nel 1995). La recidiva reiterata puo' essere ritenuta, pur in mancanza di una precedente apposita dichiarazione giudiziale dello status di recidivo, dichiarazione che non ha natura costitutiva (Cass. 16 marzo 2004, Marchetta e Cass. 6 maggio 2003, Andreucci). Il quarto comma dell'articolo 69 c.p. prescrive che il giudizio di comparazione (o di bilanciamento) delle circostanze sia esteso anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole. Tuttavia, detto comma e' stato modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre 2005 ed entrata in vigore il giorno successivo; a seguito della «novella» (consistita nell'aggiunta della locuzione: «esclusi i casi previsti dall'articolo 99; quarto comma, nonche' dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti»), nel caso di recidiva reiterata, eventuali circostanze attenuanti potranno tutt'al piu' essere valutate equivalenti rispetto alla recidiva medesima. La norma, a prescindere dalla sua collocazione, fa riferimento indistintamente alle «circostanze attenuanti» e non pare possa riferirsi alle sole attenuanti inerenti alla persona del colpevole, giacche', cosi' ritenendo, il suo ambito di operativita' sarebbe illogicamente limitato al solo vizio parziale di mente, come si evince dall'art. 70 ultimo comma codice penale. Del resto, prima della modifica, era del tutto pacifico che le circostanze inerenti alla persona del colpevole e quelle ad effetto speciale ricadessero nel giudizio di comparazione con qualsiasi tipo di circostanza. La finalita' del giudizio di comparazione previsto dall'art. 69 c.p., che attribuisce al giudice la valutazione della prevalenza o equivalenza in caso di concorrenza fra circostanze aggravanti ed attenuanti, e' quella risultante dallo schema dell'art. 133 c.p., dovendosi cosi' valutare il fatto delittuoso, nell'esercizio del potere discrezionale riconosciuto da tale norma, nella sua complessita', avuto anche riguardo alle circostanze inerenti la persona del colpevole, dando poi rilievo a quello od a quegli elementi positivi o negativi qualificanti il reato ed il suo autore, ritenuti maggiormente significativi o di valore decisivo; in altri termini, si tratta di apprezzare la personalita' del colpevole e l'entita' del fatto, onde conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto (in questo senso cfr., da ultimo, Cass. 28 giugno 2005, Matti). Nel caso in esame, va evidenziato che, alla luce delle modalita' del fatto, della personalita' dell'imputato e della modesta gravita' dei due precedenti penali (per fatti risalenti al 1995), le circostanze attenuanti previste dalrart. 62 nn. 4 e 6 c.p. sarebbero state ritenute senzaltro prevalenti sulla contestata recidiva, valutazione ora preclusa dalla formulazione dell'art. 69 ultimo comma codice penale. Nella fattispecie, dunque, concesse dette attenuanti in equivalenza con la contestata recidiva, la pena-base minima da infliggere all'imputato - prima dell'aumento per la continuazione e della applicazione della diminuente per il rito - sarebbe quella di cinque anni di reclusione (e 516 euro di multa), prevista - quanto alla pena detentiva dall'art. 609-bis c.p.: infatti, secondo il costante orientamento della Corte Suprema, «in tema di continuazione - fermo restando che deve rguardarsi come violazione piu' grave quella prevista dalla legge piu' severamente, con riferimento quindi alla pena edittale massima - devesi comunque escludere che si possa irrogare una pena in misura inferiore a quella corrispondente al minimo edittale previsto per uno qualsiasi dei reati satellite, qualora detto minimo sia superiore a quello fissato dalla legge per la violazione piu' grave» (cosi', di recente, Cass. 17 febbraio 2005, Contini). Ne' la valutazione muterebbe laddove si volesse riconoscere l'ipotesi attenuata di cui all'art. 609-bis ultimo comma c.p., atteso che, in ogni caso, anche detta circostanza non potrebbe essere ritenuta prevalente sulla contestata recidiva. Detta pena appare manifestamente sproporzionata e non adeguata rispetto alla condotta posta in essere dall'imputato. L'attuale formulazione dell'art. 69, comma quarto c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251, appare al contrasto, innanzitutto, con l'articolo 3 comma primo Cost. e, quindi, con il principio di ragionevolezza quale accezione particolare del principio di uguaglianza. E' noto che la Corte, costituzionale ha piu' volte affermato che rientra nella discrezionalita' del legislatore la determinazione della quantita' e della qualita' della sanzione penale; nel contempo, pero', il giudice delle leggi ha evidenziato in numerose pronunzie (cfr., ad es., le ordinanze n. 438 del 2001, n. 207 del 1999, n. 368 del 1995, n. 435 del 1998, n. 456 del 1997) che l'esercizio di tale discrezionalita' puo' essere sindacato quando esso non rispetti il limite della ragionevolezza e dia luogo, quindi, a una disparita' di trattamento palesemente irragionevole. Anche da ultimo, il giudice delle leggi ha opportunamente ribadito che «a prescindere dal rispetto di altri parametri, la normativa deve essere anzitutto conforme a criri di intrinseca ragionevolezza» (cosi' la sentenza n. 78 del 10-18 febbraio 2005). La sproporzione e l'irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per casi quali quello in esame confliggono anche con il principio della funzione rieduccitiva della pena (art. 27, comma terzo Cost.), non apparendo soddisfacente, per motivare eventualmente la compatibilita' della norma in esame con detta funzione, la mera possibilita' di avvalersi, solo in sede esecutiva, delle misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento. La preclusione imposta al giudice di formulare eventualmente un giudizio di prevalenza di una o piu' circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, senza eccezione alcuna, comporta un appiattimento del trattamento sanzionatorio per situazioni che potrebbero essere assai diverse e potrebbe imporre - come nel caso di specie - l'applicazione di una pena manifestamente sproporzionata ed irragionevole, l'espiazione della quale non consentirebbe una rieducazione del condannato. L'irragionevolezza della norma e la violazione del principio di uguaglianza sembrano evidenti nel momento in cui la preclusione in esame e' prevista dal legislatore a carico del recidivo reiterato (sanzionato in quanto tale da molte altre disposizioni introdotte dalla legge 5 dicembre 2005 n. 251), vale a dire di colui che, alla luce del novellato art. 99 c.p., abbia commesso due delitti dolosi, indipendentemente dalla gravita' degli stessi, dalle pene irrogate (non solo nel quantum ma addirittura nella specie) e dalla data di commissione dei fatti precedenti, a differenza di altri casi nei quali il legislatore ha opportunamente dato rilievo alla natura e qualita' delle precedenti condanne e/o al trattamento sanzionatorio in concreto irrogato (si pensi, ad esempio, a quanto previsto dall'art. 59 legge 24 novembre 1989 n. 689 in tema di condizioni soggettive ostative alla sostituzione della pena). Ad una diversa valutazione si sarebbe potuti pervenire qualora il legislatore avesse limitato la preclusione in esame ai soli recidivi reiterati, condannati per reati di una certa gravita' (si pensi a quanto lo stesso legislatore ha statuito, novellando l'art. 62-bis c.p., in tema di concessione delle attenuanti generiche). Volendo fare un solo esempio (ma ve ne potrebbero essere tanti analoghi), si pensi all'imputato, in precedenza condannato per un'ingiuria e per una minaccia (fatti commessi in epoche remote, non avvinti dal vincolo della continuazione, giudicati con separati processi), il quale ceda una dose di eroina ad una terza persona: configurata l'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, comma quinto d.P.R. n. 309/1990 (necessariamente) equivalente alla recidiva reiterata', l'imputato dovrebbe essere condannato alla pena minima di otto anni di reclusione e 25.822 euro di multa! La questione proposta, dunque, appare rilevante nel giudizio de quo (dovendo il tribunale emettere una sentenza di condanna ad una pena minima ritenuta sproporzionata e non adeguata al caso concreto) e manifestamente non infondata (alla luce delle valutazioni in precedenza espresse).
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma quarto c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251, nella parte in cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole, nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, codice penale. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia comunicata al presidente del Consiglio dei ministri e ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Ravenna, addi' 24 gennaio 2006 Il Presidente: Ferretti 06C0305