N. 108 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 gennaio 2006
Ordinanza emessa il 9 gennaio 2006 dal G.I.P. del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Martinat Ugo Giovanni ed altri 20 Parlamento - Intercettazioni «indirette» o «casuali» di comunicazioni o conversazioni di parlamentari - Utilizzazione in procedimento penale - Diniego di autorizzazione della Camera di appartenenza - Distruzione immediata della documentazione - Inutilizzabilita' dei verbali e delle registrazioni eventualmente acquisiti - Disparita' di trattamento tra indagati non parlamentari - Pregiudizio del diritto di difesa degli indagati o di altre parti, in particolare della persona offesa - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale. - Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 6, commi 2, 5 e 6. - Costituzione, artt. 3, 24 e 112.(GU n.16 del 19-4-2006 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza art. 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87. Premesso che in data 28 giugno 2005 il pubblico ministero depositava richiesta di acquisizione di operazioni di intercettazione telefonica nel procedimento n. 1918/04 RGNR, in relazione alle conversazioni indicate in un separato elenco, alle quali prese parte l'on. Ugo Martinat, nato a Settimo Torinese il 28 aprile 1942, indagato nel procedimento sopra indicato, parlamentare membro della Camera dei deputati; il p.m., richiamando espressamente l'art. 6, secondo comma, della legge n. 140/2003, invitava il giudice sottoscritta a sentire «le parti (ossia gli indagati espressamente indicati in relazione a ciascuna ipotesi delittuosa) ed i difensori al sensi dell'art. 268, sesto comma c.p.p.» e, successivamente, a trasmettere gli atti alla Camera dei deputati onde ottenere, da questo ramo del Parlamento, l'autorizzazione all'utilizzo processuale delle conversazioni telefoniche citate; all'udienza camerale del 23 settembre u.s. comparivano il p.m. e tutti i difensori degli indagati illustrando le rispettive ragioni; il p.m. insisteva nella propria richiesta chiedendo altresi' al giudice di respingere le questioni di legittimita' costituzionale sollevate con apposite memorie dai difensori dell'on. Martinat e di Desiderio Giovanni (alle quali aderivano anche altri difensori: vds. il verbale dell'udienza); questo giudicante rigettava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 legge n. 140/03, nella parte in cui non prevede la necessita' di chiedere l'autorizzazione preventiva alla Camera di appartenenza per l'intercettazione delle conversazioni telefoniche cd. indirette od occasionali del parlamentare indagato (registrate cioe' sulle utenze non in uso al parlamentare ovvero presso luoghi non rientranti nella disponibilita' del parlamentare), e disponeva trasmettersi la richiesta alla Camera dei deputati, per l'autorizzazione all'utilizzo «postumo» delle intercettazioni in discorso; la Camera dei deputati nella seduta del 20 dicembre 2005 deliberava di denegare l'autorizzazione in discorso; il Presidente della Camera restituiva gli atti per l'ulteriore corso con missiva pervenuta a questo Ufficio il 31 dicembre 2005; O s s e r v a Come indicato in premessa, con atto pervenuto il 28 giugno 2005 il p.m. chiedeva al giudice sottoscritto di inoltrare alla Camera dei deputati la richiesta di autorizzazione all'utilizzo processuale di alcune conversazioni telefoniche, intercettate sulle utenze in uso a persone non parlamentari, alle quali prese parte l'on. Ugo Martinat (membro della Camera dei deputati), iscritto nel registro delle notizie di reato per varie ipotesi di turbativa d'asta aggravata, in concorso con imprenditori e pubblici amministratori (artt. 110, 353, commi primo e secondo c.p. ), in relazione agli appalti per i lavori di costruzione della linea ferroviaria ad alta velocita' Torino-Lione e per i lavori di manutenzione e messa in sicurezza di alcune arterie stradali del Piemonte. I difensori dell'on. Martinat si opponevano all'accoglimento della richiesta assumendo la non applicabilita' dell'art. 6 legge n. 140/2003 alla fattispecie in esame in quanto l'on. Martinat risultava indagato nello stesso procedimento, dunque non poteva ritenersi terzo rispetto al procedimento nel quale la richiesta era formulata (infatti, il primo comma dell'art. 6 menziona espressamente i procedimenti riguardanti terzi). In estrema sintesi, i difensori dell'on. Martinat (e di Giovanni Desiderio) sostenevano come una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme applicabili alla fattispecie ponesse il giudice di fronte a questa alternativa: ritenere applicabile l'art. 4 legge n. 140/2003 e, conseguentemente, dichiarare immediatamente l'inutilizzabilita' delle conversazioni telefoniche alle quali prese parte il parlamentare indagato, ovvero sollevare la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 6 stessa legge nella parte in cui - non disciplinando espressamente il caso in esame - sembrano consentire all'autorita' inquirente di intercettare «indirettamente» il parlamentare indagato, rimettendo successivamente all'autorita' giudiziaria la decisione se utilizzare liberamente quelle conversazioni senza alcuna autorizzazione da parte della Camera di appartenenza del parlamentare indagato (trattandosi, appunto, di caso non espressamente regolato dalla legge) ovvero chiedere l'autorizzazione postuma al Parlamento (richiamando analogicamente l'art. 6, secondo comma legge n. 140/2003). Secondo l'assunto difensivo anche questa seconda opzione interpretativa sarebbe stata irragionevole, oltre che non rispettosa delle guarentigie di cui all'art. 68 Costituzione, atteso che quest'ultima norma fa espresso riferimento ad intercettazioni «in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni» e, dunque, ad avviso dei difensori, anche all'ipotesi delle intercettazioni indirette delle conversazioni del parlamentare, nell' ambito del procedimento nel quale risulta indagato. Questo giudicante riteneva manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale proposta dalla difesa osservando come la norma applicabile al caso di specie fosse proprio l'art. 6, legge n. 140/2003, richiamato dal p.m. a corredo della richiesta. Pertanto inviava la richiesta alla Camera dei deputati perche' si esprimesse in ordine alla richiesta di autorizzazione del p.m. La Camera dei deputati, come accennato, nella seduta del 20 dicembre 2005, negava l'autorizzazione in discorso. Conseguentemente, non puo' dubitarsi che, in conformita' all'art. 6, quinto comma, legge n. 140/2003, la documentazione relativa alle intercettazioni telefoniche alle quali prese parte l'on. Martinat debba essere distrutta immediatamente. Nondimeno, prima di dar corso alla distruzione questo decidente ritiene doveroso sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale della norma in discorso. La non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui ai commi secondo, quinto e sesto dell'art. 6 della legge n. 140/2003 risulta apprezzabile sotto differenti angoli visuali mentre la rilevanza della stessa questione risulta in re ipsa atteso il diniego all'utilizzazione delle conversazioni espresso dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 dicembre 2005. Con riferimento alla non manifesta infondatezza, preliminarmente, mette conto osservare come la disciplina complessiva, risultante dall'art. 6 della legge in questione, si sia spinta ben oltre il raggio di operativita' delle guarentigie parlamentari, previste dall' art. 68 della Costituzione. Infatti, occorre sottolineare come, contrariamente a quanto sostenuto dai difensori dell'on. Martinat, l'art. 68 della Cost. abbia riguardo unicamente alle intercettazioni «dirette» del parlamentare e non preveda alcuna autorizzazione o garanzia con riferimento all'utilizzabilita' processuale delle cd. intercettazioni «indirette». Ne' potrebbe affermarsi il contrario sulla base della locuzione «in qualsiasi forma» impiegata dal terzo comma dell'art. 68 Cost. Ad avviso del giudice sottoscritto, questa espressione non si riferisce alle intercettazioni «indirette» od occasionali ma - piu' semplicemente - alle differenti modalita' con le quali la captazione delle conversazioni puo' avvenire e ai diversi mezzi di comunicazione intercettati (intercettazioni telefoniche, tra presenti, di sistemi informatici e telematici ecc). Peraltro, una volta escluso che l'art. 68, terzo comma Costituzione faccia riferimento anche alle intercettazioni «indirette» e, conseguentemente, una volta esclusa l'applicabilita' al caso di specie dell'art. 4, legge n. 140/2003 (che disciplina le intercettazioni delle utenze in uso al parlamentare), si pone il problema di verificare se il legislatore ordinario potesse estendere (sia pure a posteriori) le guarentigie di cui alla norma costituzionale anche alle conversazioni o comunicazioni considerate nell'art. 6 della legge citata e se l'averlo fatto esponga la disciplina adottata a censure sotto il profilo della legittimita' costituzionale. Come accennato, il giudice sottoscritto dubita della legittimita' costituzionale della normativa di attuazione dell'art. 68 Cost. sotto diversi profili. Il primo attiene al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. Questo giudicante non ignora come la previsione di un trattamento differenziato non implichi, per cio' solo, violazione dell'art. 3 della Cost., ben potendo la diversita' di trattamento essere giustificata dalla diversita' delle situazioni regolate e dall'esigenza di dare protezione a valori, quanto meno, di rango pari-ordinato rispetto a quelli che vengono in rilievo nella singola disciplina. Nel caso in esame il primo principio che viene in rilievo e' quello della parita' di trattamento rispetto alla giurisdizione che, come' noto, e' alle origini della formazione dello stato di diritto (come non manca di sottolineare la Corte costituzionale nella sentenza n. 24/2004 relativa ad altra parte della legge in esame), si' che il sistema di immunita' e di prerogative dei membri del Parlamento puo' venire in gioco soltanto come eccezione rispetto alla regola e valere unicamente per i casi espressamente considerati. Casi ritenuti dal legislatore costituente in grado di interferire o condizionare la libera esplicazione della funzione parlamentare e, dunque, idonei a giustificare la deroga ad un principio fondante dell'ordinamento democratico, quale quello della parita' di trattamento. Orbene, ad avviso di questo giudicante, la ratio di preservare la funzione parlamentare da indebite interferenze o condizionamenti dell'attivita' giudiziaria non giustifica affatto la necessita' di distruzione delle intercettazioni indirette od occasionali (art. 6 comma 5). Pare allo scrivente che la previsione della distruzione della documentazione (ovvero l'inutilizzabilita' dei verbali, delle registrazioni e dei tabulati di comunicazioni acquisiti in violazione dell'art. 6, legge n. 140/2003, come previsto dall'ultimo comma di questo articolo), non abbia a che vedere con la libera esplicazione delle funzioni parlamentari, trattandosi, da un lato, di intercettazioni captate sulle utenze o presso luoghi in uso a persone non parlamentari e, dall'altro, di conversazioni la cui utilizzabilita' processuale nei confronti del membro del Parlamento risulta comunque preclusa dalla mancata autorizzazione della Camera di appartenenza. Dunque la necessita' di distruggere tali conversazioni si spiega unicamente con l'esigenza di tutelare oltre modo le conversazioni alle quali abbia preso parte un parlamentare, con evidente quanto ingiustificata subordinazione del principio di uguaglianza al diritto alla riservatezza delle comunicazioni del cittadino parlamentare (cosi' C. Cass. sez. IV, ord. 4 febbraio 2004 n. 10772). Non e' chi non veda, infatti, come mediante questa disposizione normativa si determini una irragionevole disparita' di trattamento processuale tra gli indagati a seconda che tra gli interlocutori occasionali vi sia stato o non vi sia stato un membro del Parlamento (sia esso indagato, o meno, per lo stesso reato). Infatti, in caso di diniego di autorizzazione all'utilizzo processuale da parte della Camera di appartenenza, tali conversazioni, ancorche' legittimamente autorizzate ed acquisite dall'autorita' giudiziaria, debbono essere immediatamente distrutte (cfr. art. 6, quinto comma) e non soltanto essere ritenute inutilizzabili nei confronti del parlamentare indagato. La tutela delle prerogative parlamentari finisce dunque per ridondare anche a vantaggio degli indagati non parlamentari, creando una disparita' di trattamento rispetto a coloro le cui conversazioni non sono intercorse con membri del Parlamento. Analoghi dubbi di costituzionalita' si profilano in relazione all'art. 24 Cost. Invero, posto che il diniego di autorizzazione da parte della Camera di appartenenza (come nel nostro caso) implica la distruzione immediata di tutta la documentazione relativa alla registrazione delle comunicazioni alle quali ha preso parte il parlamentare, e' giocoforza considerare come questa disciplina possa avere pesanti riflessi negativi sulla posizione processuale degli indagati o di altre parti (in primis: della persona offesa), il cui diritto di difesa puo' essere penalizzato o compromesso dalla perdita irrimediabile di quelle conversazioni. Di contro, e' agevole rilevare come questa disciplina susciti dubbi di costituzionalita' anche in relazione al principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, previsto dall'art. 112 Cost. Infatti, l'obbligo di esercitare l'azione penale che incombe sul pubblico ministero risulta inevitabilmente compresso o escluso in tutti i casi nei quali tale esercizio e' impedito, o significativamente limitato, dall'impossibilita' di utilizzare le conversazioni di cui trattasi e queste conversazioni costituiscano, per l'assunto accusatorio, elemento di prova rilevante nel giudizio nei confronti degli indagati che non beneficiano delle guarentigie di cui all'art. 68 Cost. In definitiva, ribadita la rilevanza della questione, insorta dopo il diniego all'utilizzo processuale delle conversazioni telefoniche de quibus, deliberato dalla Camera dei deputati in data 20 dicembre 2005, ritiene il giudice sottoscritto di dover sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi secondo, quinto e sesto della legge 20 giugno 2003 n. 140, in riferimento agli articoli 3, 24 e 112 della Costituzione. Conseguentemente dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale degli atti del procedimento, la sospensione del procedimento in corso e l'ordine alla cancelleria delle notificazioni e comunicazioni di cui al dispositivo.
P. Q. M. Visto l'art. 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, secondo comma e segg. della legge 20 giugno 2003 n. 140 in riferimento agli articoli 3, 24 e 112 della Costituzione. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il procedimento in corso. Ordina inoltre che, a cura della cancelleria, l'ordinanza sia notificata agli indagati e al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Torino, addi' 9 gennaio 2006 Il giudice: Perelli 06C0330