N. 172 SENTENZA 5 - 21 aprile 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Intervento  in  giudizio  -  Soggetto  che, pur non avendo assunto la
  qualita'  di  parte,  e'  diretto  destinatario degli effetti della
  emananda decisione - Ammissibilita'.
Intervento  in  giudizio - Soggetti che sono parti convenute in altri
  giudizi  nel corso dei quali e' stata sollevata questione analoga -
  Inammissibilita'.
Fallimento  e  procedure  concorsuali - Amministrazione straordinaria
  delle  grandi  imprese  in  stato  di  insolvenza  -  Procedura  di
  amministrazione   straordinaria   cosiddetta   «accelerata»  (legge
  Marzano)  -  Esperibilita' delle azioni revocatorie fallimentari in
  costanza   di  un  programma  di  ristrutturazione  dell'impresa  -
  Denunciata  irragionevole  disparita'  di trattamento rispetto alla
  procedura   di  amministrazione  straordinaria  «ordinaria»  (legge
  Prodi-bis)   escludente   l'esperimento  delle  azioni  revocatorie
  fallimentari  quando sia perseguita la ristrutturazione economica e
  finanziaria   dell'impresa   insolvente,   nonche'   ingiustificato
  privilegio  con  effetto  distorsivo  della  libera concorrenza tra
  imprese  - Erroneita' dell'interpretazione assunta dai rimettenti -
  Non fondatezza delle questioni.
- Decreto-legge    23 dicembre    2003,   n. 347   (convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge 18 febbraio 2004, n. 39), art. 6, come
  modificato   dal   d.l.   3 maggio  2004,  n. 119,  convertito  con
  modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166.
- Costituzione, artt. 3 e 41.
(GU n.17 del 26-4-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale   dell'art. 6  del
decreto-legge   23 dicembre  2003,  n. 347  (Misure  urgenti  per  la
ristrutturazione   industriale   di   grandi   imprese  in  stato  di
insolvenza),  convertito,  con modificazioni, nella legge 18 febbraio
2004,  n. 39, come modificato dal decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119
(Disposizioni  correttive ed integrative della normativa sulle grandi
imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella
legge 5 luglio 2004, n. 166, promossi con ordinanze del 18 novembre e
del   27 dicembre   2005   dal   Tribunale  ordinario  di  Parma  nei
procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Parmalat s.p.a. in
amministrazione straordinaria e H.S.B.C. Bank p.l.c., stessa Parmalat
s.p.a.  in  amministrazione straordinaria e Banca Monte dei Paschi di
Siena  s.p.a.  ed  altre,  iscritte  al  n. 1 e al n. 53 del registro
ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 2 e 8, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visti   gli   atti   di   costituzione   di  Parmalat  s.p.a.  in
amministrazione   straordinaria,   H.S.B.C.  Bank  p.l.c.,  Cassa  di
risparmio  di  Savona s.p.a., Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.,
Banca  Toscana  s.p.a., Banca popolare italiana Societa' Cooperativa,
Bipop  Carire  s.p.a.,  Credito  siciliano  s.p.a.,  Commerzbank  AG,
Unicredit  Banca  d'Impresa  s.p.a.  e  Unicredito  Italiano  s.p.a.,
nonche'  gli  atti  di  intervento  di  Parmalat s.p.a., Sanpaolo-IMI
s.p.a., UBS Limited e del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Uditi  nell'udienza pubblica del 4 aprile 2006 i Giudici relatori
Romano Vaccarella e Giuseppe Tesauro;
    Uditi  gli  avvocati  Giuseppe  de'  Vergottini,  Alberto  Maffei
Alberti,  Umberto Trancanella e Giuseppe Lombardi per Parmalat s.p.a.
in  amministrazione  straordinaria  e  per  Parmalat  s.p.a.,  Andrea
Pisaneschi,  Enrico  Castellani  e Marcello Clarich per H.S.B.C. Bank
p.l.c.,  Giorgio  Villani  per  Cassa  di risparmio di Savona s.p.a.,
Lorenzo  Stanghellini  e  Duccio Zanchi per Banca Monte dei Paschi di
Siena  s.p.a.,  Lorenzo  Stanghellini per Banca Toscana s.p.a., Piero
Schlesinger  e Francesco Carbonetti per Bipop Carire s.p.a., Natalino
Irti e Andrea Mora per Credito siciliano s.p.a., Francesco Cerasi per
la  Commerzbank AG, Cristiana Maccagno Benessia e Mario Sanino per la
Sanpaolo-IMI  s.p.a.,  Piero  Schlesinger  e  Andrea  Mora per la UBS
Limited  e  l'avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -  Il  Tribunale  ordinario  di  Parma,  con  ordinanza  del
18 novembre  2005,  ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 6   del  decreto-legge  23 dicembre  2003,  n. 347  (Misure
urgenti  per  la  ristrutturazione  industriale  di grandi imprese in
stato  di  insolvenza),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
18 febbraio  2004,  n. 39, come modificato dal decreto-legge 3 maggio
2004,  n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa
sulle  grandi  imprese  in  stato  di  insolvenza),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto-legge
28 febbraio    2005,    n. 22   (Interventi   urgenti   nel   settore
agroalimentare), convertito, con modificazioni, nella legge 29 aprile
2005,  n. 71, nella parte in cui stabilisce che le azioni revocatorie
previste  dagli  artt. 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999,
n. 270  (Nuova  disciplina  dell'amministrazione  straordinaria delle
grandi  imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della
legge  30 luglio  1998,  n. 274),  possono  essere  proposte anche in
costanza  di un programma di ristrutturazione dell'impresa sottoposta
ad amministrazione straordinaria.
    1.1. - L'ordinanza di rimessione premette che la Parmalat s.p.a.,
in   amministrazione   straordinaria,   in  persona  del  commissario
straordinario,  adiva  il Tribunale ordinario di Parma, esponendo che
la  societa', con decreto del Ministro delle attivita' produttive del
24 dicembre   2003,   era   stata   assoggettata  alla  procedura  di
amministrazione  straordinaria, ai sensi del decreto-legge n. 347 del
2003  e  del d.lgs. n. 270 del 1999; e che il medesimo Tribunale, con
sentenza   del   27 dicembre  2003,  aveva  dichiarato  lo  stato  di
insolvenza  della  societa'  attrice,  con estensione della procedura
concorsuale  a  Parmalat Finanziaria s.p.a. ed a quasi tutte le altre
societa' riconducibili alla famiglia Tanzi - comprese quelle operanti
nel  settore  turistico  -,  alla  holding  Coloniale s.p.a. e ad una
trentina di concessionarie di distribuzione di prodotti Parmalat.
    L'istante deduceva che il «gruppo» Parmalat aveva intrattenuto un
rapporto  continuativo  con  H.S.B.C.  Bank  p.l.c. (infra: HSBC), la
quale  aveva prestato in suo favore un'ampia gamma di servizi bancari
e  finanziari, e chiedeva che il Tribunale dichiarasse inefficaci, ai
sensi  dell'art. 67,  secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942,
n. 267   (Disciplina   del  fallimento,  del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa),  le rimesse in conto corrente (per l'importo di euro
542.714,84),   i  pagamenti  a  titolo  di  interessi  e  commissioni
effettuati  mediante  addebito  sul predetto conto (per un importo di
euro  90.753,91),  i  pagamenti  a titolo di rimborso per capitale ed
interessi  dei  finanziamenti  (per  l'importo  di euro 1.653.109,04)
eseguiti in favore della convenuta nel cosiddetto «periodo sospetto».
    HSBC,   nel  costituirsi  davanti  al  giudice  a  quo,  deduceva
l'infondatezza   della  domanda,  sostenendo  che  un'interpretazione
dell'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003 conforme agli artt. 3 e
41  Cost.  comporta che l'azione revocatoria sia proponibile soltanto
nella  fase  di  cessione  dei beni aziendali, che, eventualmente, si
apre  nel  caso  di  insuccesso  della  fase di risanamento. In linea
gradata,   la   convenuta  eccepiva  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 6  del  decreto-legge  n. 347 del 2003, in riferimento agli
artt. 3 e 41 Cost.
    L'ordinanza di rimessione precisa, inoltre, che HSBC chiedeva che
tutte  le norme contenute nel decreto-legge n. 347 del 2003, o almeno
il  solo  art. 6, fossero dichiarate incompatibili con gli artt. 87 e
88, terzo comma, o con gli artt. 3, 10 e 82 del Trattato CE.
    1.1.1.  -  Quanto  alla rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale  sollevata, il rimettente afferma che questa e' insita
«nella  proposizione  dell'azione revocatoria» fallimentare anche «in
presenza   di   autorizzazione   all'esecuzione   del   programma  di
ristrutturazione»,   ammissibile   proprio   in  virtu'  della  norma
impugnata.
    1.1.2.  -  Relativamente  alla  non  manifesta  infondatezza,  il
Tribunale  deduce che, allo scopo di accertare l'eventuale violazione
del  principio  di  eguaglianza, il quale impedisce di realizzare una
diversita'  di  trattamento  tra  soggetti  che versano in situazioni
identiche  o  affini,  occorre individuare gli interessi sottesi alle
norme  poste  in  comparazione:  una  differente  tutela di interessi
omogenei  rispetto  a  quelli  oggetto  di  un'altra disposizione, in
mancanza  di  una  esigenza  giustificatrice  della  diversita' delle
discipline,  vulnera  l'art. 3  Cost., cosi' come nel caso in cui gli
interessi   sottesi  alle  disposizioni  in  comparazione  non  siano
omogenei  e,  tuttavia, per le due fattispecie sia posta una identica
disciplina, che non tenga conto della diversita' delle situazioni.
    Secondo  il  rimettente, nella fattispecie in esame devono essere
messi  in  comparazione  gli artt. 6 e 4-bis del decreto-legge n. 347
del   2003   (che   riguardano   la   procedura   di  amministrazione
straordinaria    cosiddetta   «accelerata»,   introdotta   da   detto
decreto-legge)  e  gli  artt. 49 e 78 del d.lgs. n. 270 del 1999 (che
disciplina    la    procedura    di   amministrazione   straordinaria
«ordinaria»).
    Le  procedure,  come risulta dall'art. 1 del decreto-legge n. 347
del  2003  e dall'art. 2 del d.lgs. n. 270 del 1999, si differenziano
per   quanto   attiene  alle  «fasi  di  ingresso»  ed  ai  requisiti
dimensionali  concernenti  il  numero  dei dipendenti e l'entita' dei
debiti,  elementi la cui diversita' non e' sufficiente a far ritenere
ragionevole la diversita' delle discipline in comparazione.
    Infatti,  nei  casi in cui e' applicabile il decreto-legge n. 347
del 2003 lo e' anche il d.lgs. n. 270 del 1999 e la scelta tra le due
discipline e' attribuita all'imprenditore insolvente, in quanto detto
decreto-legge  riserva  a  quest'ultimo  l'iniziativa  per l'apertura
della  procedura,  nell'intento  di  salvaguardare  e  perseguire con
immediatezza  quello stesso programma di ristrutturazione economica e
finanziaria  al quale il d.lgs. n. 270 del 1999 da' ingresso soltanto
all'esito  della  fase  di  valutazione  dell'esistenza  di «concrete
prospettive  di  recupero  dell'equilibrio  economico delle attivita'
imprenditoriali».
    La  circostanza  che il decreto-legge n. 347 del 2003 richiami il
d.lgs.  n. 270  del  1999  rende  palese  che  il  primo  ha soltanto
stabilito  un'opzione ulteriore per l'imprenditore insolvente, il cui
mancato     esercizio     non     ne    preclude    l'assoggettamento
all'amministrazione   straordinaria,   mirando   il  decreto-legge  a
realizzare,  sia pure attraverso una differente modalita', l'identica
finalita'  della «ristrutturazione economica e finanziaria prevista e
disciplinata   dall'art. 27,   comma 2,   lettera b)»   (art. 1   del
decreto-legge  citato).  In  altri termini, le innovazioni introdotte
dal  decreto-legge  n. 347  del 2003 tendono a garantire una maggiore
celerita'  alla fase di ammissione dell'impresa alla procedura, senza
alterarne  i  caratteri, comuni a quelli della procedura disciplinata
dal  d.lgs. n. 270 del 1999, il quale detta la disciplina generale di
riferimento, cui e' fatto rinvio.
    1.1.3.  -  Secondo  il  rimettente,  in  entrambe le procedure in
comparazione  e'  stabilita  l'esperibilita'  dell'azione revocatoria
fallimentare, ma in presenza di differenti presupposti.
    Il Tribunale ricorda che, a seguito di alcuni arresti della Corte
di cassazione, il legislatore ha modificato la disciplina dell'azione
revocatoria  nelle  procedure  di amministrazione straordinaria delle
grandi  imprese in crisi stabilita dal decreto-legge 30 gennaio 1979,
n. 26  (Provvedimenti  urgenti  per  l'amministrazione  straordinaria
delle  grande imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella
legge  3 aprile  1979, n. 95, escludendone la esperibilita' nel corso
della  fase  di risanamento dell'impresa e stabilendo che puo' essere
proposta  «soltanto  se  e'  stata  autorizzata  l'esecuzione  di  un
programma di cessione dei complessi aziendali» (art. 49, comma 1, del
d.lgs.  n. 270  del  1999).  Si  tratta di una regola coerente con la
ratio  dell'azione,  che,  secondo la concezione indennitaria, mira a
ricostituire  il  patrimonio  dell'imprenditore,  ovvero,  secondo la
configurazione   antindennitaria,  tende  a  distribuire  le  perdite
all'interno  di  una platea di creditori piu' ampia rispetto a quella
che   comprende   soltanto   i   soggetti  che  sono  tali  al  tempo
dell'apertura della procedura.
    Ad avviso del rimettente, questa duplice finalita', recuperatoria
e  redistributiva,  non e' conciliabile con una procedura strumentale
alla   conservazione  dell'impresa,  nella  quale,  in  pendenza  del
risanamento,  mancano  un  patrimonio  e  perdite  da ripartire tra i
creditori.
    La  norma  impugnata  ha  irragionevolmente  esteso  l'ambito  di
applicabilita'  dell'azione  revocatoria  fallimentare, interrompendo
«immotivatamente  quel  legame  di  continuita'  [...]  tra finalita'
concretamente  perseguita  dalla  procedura  e  strumenti alla stessa
connessi», con conseguente non manifesta infondatezza della questione
di  legittimita'  costituzionale  della  norma  impugnata.  Il d.lgs.
n. 270  del 1999 aveva, infatti, realizzato un corretto bilanciamento
degli  interessi  coinvolti  dal dissesto dell'impresa, escludendo la
proponibilita'  dell'azione nella fase di ristrutturazione, in quanto
il  sacrificio  patrimoniale  dei  terzi e' giustificato soltanto dal
fine  della  ripartizione  fra  tutti  i creditori del patrimonio del
debitore insolvente, a tutela della par condicio creditorum.
    L'ammissibilita'    dell'azione   nella   fase   di   risanamento
dell'impresa  ha  «ampliato  il  sacrificio  dei terzi, ribaltando la
scelta  consapevolmente  operata con l'art. 49» del d.lgs. n. 270 del
1999,  in  violazione del canone di ragionevolezza, poiche' le azioni
disciplinate   dai   succitati  artt. 6  e  49  riguardano  procedure
analoghe, che coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo
obiettivo.
    D'altronde,  osserva  l'ordinanza di rimessione, secondo la Corte
costituzionale  l'azione  in  esame introduce una deroga al principio
generale  della  stabilita'  dei  diritti,  allo scopo di tutelare le
ragioni  del  concorso  tra i creditori e di contemperare l'interesse
dei  creditori  di  recuperare  al patrimonio del fallito la maggiore
quantita'  di  beni, in vista dell'esecuzione concorsuale, con quello
al  normale  svolgimento  dell'attivita' economica ed alla stabilita'
dei diritti (sentenza n. 379 del 2000).
    Secondo  il  rimettente,  l'irragionevolezza  della norma sarebbe
confortata  dalla  circostanza  che  la  scelta per l'amministrazione
straordinaria     «accelerata»     e'     sostanzialmente     rimessa
all'imprenditore  insolvente, il quale potrebbe privilegiarla proprio
per  giovarsi  di  un eterofinanziamento, insito nell'esercizio delle
azioni  revocatorie  e  precluso  nella amministrazione straordinaria
«ordinaria».
    La  previsione  (contenuta  nel  comma 1  della norma impugnata),
quale condizione dell'azione, che essa deve tradursi in «un vantaggio
per   i  creditori»  e'  pleonastica  e  non  permette  di  escludere
l'irragionevolezza  della  norma, in quanto l'interesse dei creditori
costituisce l'unico ed esclusivo bene giuridico alla cui tutela detta
azione e' preordinata.
    1.1.4.  - Secondo il rimettente, ad escludere la fondatezza della
questione  non giova sostenere che l'azione in esame e' incompatibile
con  la  ristrutturazione ex art. 27, comma 2, lettera b), del d.lgs.
n. 270  del  1999  e  con  la finalita' di prosecuzione e risanamento
dell'impresa, nel caso in cui del risanamento benefici l'imprenditore
insolvente,  mentre  e'  compatibile  con  la cessione dell'attivita'
d'impresa,  anche  mediante patto di concordato, ad un soggetto terzo
(l'assuntore o una diversa societa).
    Il  Tribunale non condivide questa configurazione, osservando che
la  norma  impugnata  prevede  in  linea  generale  la proponibilita'
dell'azione  revocatoria  anche  qualora  sia  stato  autorizzato  il
programma  di  ristrutturazione,  indipendentemente dalla circostanza
che  questo sia realizzato secondo le modalita' ordinarie (art. 4 del
decreto-legge  n. 347  del  2003),  ovvero  mediante  concordato, che
costituisce  uno  degli  strumenti  del programma di ristrutturazione
(art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge citato).
    L'ordinanza  di  rimessione conclude nel senso che «le censure di
illegittimita'   si   incentrano   sulla  disciplina  generale  della
procedura»   disciplinata   dal   decreto-legge   n. 347   del  2003,
«nell'ambito   della   quale   l'epilogo  naturale  del  processo  di
risanamento e' costituito dal ritorno dell'imprenditore all'ordinaria
operativita'    industriale,   a   conclusione   del   programma   di
ristrutturazione  con  qualunque modalita' attuato (artt. 4 e 4-bis),
ivi compreso il concordato con assunzione, che costituisce un'ipotesi
del  tutto  eventuale  e  residuale  di  conclusione del programma di
ristrutturazione  dell'impresa,  cui  il  legislatore assegna la sola
valenza  di determinare l'immediata chiusura della procedura rispetto
alla fisiologica durata ed al suo naturale espletamento».
    1.1.5.  -  In  ordine alle censure riferite all'art. 41 Cost., il
Tribunale  osserva che il risanamento agevolato da misure di sostegno
finanziario  non  puo'  considerarsi un vero e proprio risanamento in
senso  economico  e  giuridico,  in quanto, a suo avviso, risanamento
significa  recuperata  capacita'  dell'impresa  di  conseguire ricavi
superiori  ai  costi  sostenuti e quindi di produrre ricchezza si' da
adempiere nuovamente con regolarita' le proprie obbligazioni.
    Il  risanamento  dell'impresa  mediante l'esperimento dell'azione
revocatoria fallimentare costituisce un ingiustificato privilegio per
l'impresa  ammessa  alla  procedura  e realizza un effetto distorsivo
della  concorrenza,  in  quanto  le  permette di restare sul mercato,
sfruttando   risorse  finanziarie  precluse  ai  concorrenti.  Questo
effetto  e' correlato alla continuazione dell'impresa, dato che nelle
procedure   liquidatorie   il  ricavato  dell'azione  revocatoria  e'
esclusivamente destinato al soddisfacimento dei creditori, mentre nel
caso  in  esame  questa  azione  comporta  una forma di finanziamento
forzoso  a favore dell'impresa insolvente ed a carico dei terzi, gia'
censurata  dai giudici nazionali e dai giudici europei in riferimento
alle norme recate dalla legge n. 95 del 1979.
    Secondo  il  rimettente,  la  previsione  dell'azione revocatoria
costituisce  fattore  di  distorsione  della  libera  concorrenza tra
imprese  e  si  pone  in contrasto con l'art. 41 Cost., che tutela la
liberta' di concorrenza, garantendo quella di iniziativa economica.
    D'altronde,   conclude   il   Tribunale,   l'irragionevolezza   e
l'illegittimita'  di una disciplina che determina una discriminazione
tra   imprese   in   concorrenza   e'  stata  affermata  dalla  Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n. 443 del 1997, che ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 30  della  legge 4 luglio
1967,   n. 580,   nella   parte  in  cui  vietava  alle  imprese  con
stabilimento  in  Italia  di  utilizzare  nella  produzione  e  nella
commercializzazione  di  paste  alimentari ingredienti legittimamente
impiegati,  in  base  al  diritto  comunitario,  nel territorio della
comunita' europea.
    1.2.  -  Nel  giudizio  innanzi  alla  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura    generale    dello    Stato,    che   ha   eccepito
l'inammissibilita' e, comunque, l'infondatezza della questione.
    La  difesa  erariale premette che l'introduzione nell'ordinamento
delle  procedure  disciplinate  dal  d.lgs.  n. 270  del  1999  e dal
decreto-legge   n. 347   del   2003   e'   stata  giustificata  dalla
considerazione  che  il  fallimento non puo' essere l'unica soluzione
alla   crisi   dell'impresa   e   dall'esigenza   di   permettere  la
ricollocazione  sul  mercato  del  relativo  complesso  aziendale. La
procedura  disciplinata dal decreto-legge n. 347 del 2003 stabilisce,
quindi,  che  il commissario straordinario puo' proporre un programma
di ristrutturazione economica e finanziaria fondato su di un piano di
risanamento,  ovvero  puo'  predisporre  un programma di cessione dei
beni aziendali; nel primo caso e' possibile prevedere che i creditori
siano   soddisfatti   mediante   un   concordato   che   realizza  il
trasferimento  delle  attivita'  ad  un nuovo soggetto giuridico, che
puo'   divenire   titolare  delle  azioni  revocatorie  proposte  dal
commissario  straordinario.  La  mancata  approvazione  dei programmi
proposti  dal  commissario  straordinario,  ovvero l'insuccesso degli
stessi, comporta la conversione della procedura in fallimento.
    Nella  fattispecie  oggetto  del  giudizio  principale,  e' stato
approvato   il   programma   di   ristrutturazione   che  prevede  il
soddisfacimento dei creditori mediante un concordato.
    Secondo l'interveniente, fine ultimo della procedura e' quello di
garantire la conservazione delle strutture produttive e la parita' di
trattamento tra i creditori e, quindi, la norma impugnata si inscrive
coerentemente    nell'ordinamento,    subordinando    l'esperibilita'
dell'azione  revocatoria al conseguimento di un vantaggio concreto da
parte  dei creditori. La finalita' della revocatoria e' quella di far
rientrare  nel patrimonio beni che non avrebbero dovuto uscirne e sia
la  ristrutturazione  che  la  cessione dei beni costituiscono rimedi
preordinati   a  fronteggiare  il  dissesto  dell'impresa,  che,  tra
l'altro,  produce  anche  l'effetto  di  determinare,  in presenza di
determinati presupposti, l'inopponibilita' alla massa di una serie di
atti.
    Ad  avviso dell'Avvocatura, l'ordinanza sarebbe carente sul punto
della motivazione della rilevanza della questione, in quanto manca la
valutazione  degli  effetti  della azione in relazione alla posizione
dei  creditori concorsuali, nonche' delle conseguenze della eventuale
sentenza  di  illegittimita' costituzionale sulla posizione giuridica
della banca convenuta nel giudizio.
    1.2.1.  - Nel merito, secondo la difesa erariale la questione, da
ritenersi    rilevante    limitatamente    alla   fattispecie   della
realizzazione  del programma di ristrutturazione mediante concordato,
e'  infondata.  La  norma  impugnata  prevede,  infatti, che l'azione
revocatoria  puo'  essere  proposta  nel  caso  in  cui  permetta  di
soddisfare i creditori in misura maggiore, determinando un incremento
della  massa  attiva  e,  in tal modo, ne risulta chiara la finalita'
recuperatoria  a vantaggio dei creditori, mediante l'eliminazione del
danno  provocato  dagli atti revocati, e cioe' il conseguimento dello
scopo tipico dell'azione revocatoria fallimentare.
    Ad  avviso  dell'interveniente,  nella procedura disciplinata dal
d.lgs.  n. 270  del  1999 il divieto di esperire l'azione revocatoria
nel   caso  di  approvazione  di  un  piano  di  ristrutturazione  e'
giustificato dalla circostanza che, in detta ipotesi, i creditori non
subiscono  alcuna  decurtazione  dei  loro  crediti.  Nella procedura
introdotta dal decreto-legge n. 347 del 2003 il ricorso al concordato
non  comporta  il  soddisfacimento integrale dei creditori e l'azione
revocatoria  garantisce  loro  il  recupero  di  una percentuale piu'
elevata di quella altrimenti conseguibile.
    Infine,  la  finalita'  dell'azione di realizzare l'interesse dei
creditori  fa  escludere la denunciata violazione dell'art. 41 Cost.,
anche  in  quanto  l'azione  revocatoria non incide sulla liberta' di
concorrenza  in misura maggiore rispetto agli altri rimedi approntati
dal  d.lgs. n. 270 del 1999 e dal decreto-legge n. 347 del 2003, allo
scopo  di  garantire  il  recupero dell'equilibrio economico da parte
dell'impresa insolvente.
    1.3.  -  Nel  giudizio  innanzi  alla  Corte  si e' costituita la
Parmalat  s.p.a.  in  amministrazione  straordinaria,  in persona del
commissario   straordinario   (infra:   societa'  in  amministrazione
straordinaria),  parte  del  giudizio  principale,  chiedendo  che la
questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
    1.3.1.  -  La societa' in amministrazione straordinaria, in linea
preliminare,   deduce  che  l'ordinanza  ha  censurato  l'art. 6  del
decreto-legge  n. 347  del  2003,  senza  distinguere  tra  le  norme
contenute  nel  comma 1  e  nel  comma 1-bis.  Il comma 1 stabilisce,
infatti,  che  le azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del
d.lgs.  n. 270  del  1999  possono  essere proposte anche nel caso di
autorizzazione  all'esecuzione  del programma di ristrutturazione; il
comma 1-bis  dispone  che,  nel  caso  in  cui  la  soddisfazione dei
creditori  avvenga attraverso un concordato, si applica l'art. 4-bis,
comma 1,  lettera  c-bis),  il  quale,  a  sua  volta, prevede che la
proposta di concordato contenuta nel programma autorizzato contempli,
come  patto  di  concordato,  la  cessione  delle  azioni revocatorie
all'assuntore.
    L'azione  proposta nel giudizio a quo e' stata, appunto, esperita
dopo   l'autorizzazione   di   un   programma   che,  in  conformita'
dell'art. 4-bis,   comma 1,   lettera   c-bis),  citato,  prevede  la
soddisfazione   dei   creditori   attraverso   un   concordato,   con
costituzione,  quale  assuntore, di una societa'; concordato che reca
un patto di cessione all'assuntore delle azioni revocatorie.
    La  fattispecie  oggetto  del  giudizio  principale non riguarda,
quindi,  un  caso  di  ristrutturazione con ritorno dell'imprenditore
all'attivita'   ordinaria,   dato   che   l'imprenditore  originario,
attraverso  la  cessione  delle  attivita'  all'assuntore,  cessa  la
propria  attivita'.  Pertanto,  la fattispecie non e' comparabile con
quella  disciplinata  dal  d.lgs.  n. 270  del  1999  per  il caso di
risanamento   attuato  mediante  un  programma  di  ristrutturazione.
Inoltre,  la  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 6,
comma 1,  citato, «nella sua generalita» e' irrilevante, in quanto la
ristrutturazione   e'   stata  attuata  mediante  il  concordato  con
assunzione.
    1.3.2.  -  La  violazione  dell'art. 3  Cost.  e'  stata, invece,
prospettata  all'esito  della  comparazione degli artt. 6 e 4-bis del
decreto-legge n. 347 del 2003 con gli artt. 49 e 78 del d.lgs. n. 270
del  1999,  senza  che  sia stato dimostrato il contrasto della norma
censurata  con  il  canone  di  ragionevolezza  e  con i principi che
disciplinano l'azione revocatoria fallimentare.
    Ad  avviso  della  societa'  in amministrazione straordinaria, il
Tribunale  ha  erroneamente  comparato  la  norma  impugnata  con  la
disciplina  stabilita  dal  d.lgs.  n. 270  del  1999, denunciando la
violazione  dell'art. 3  Cost.,  sul  presupposto  che  l'espressione
«risanamento     finanziario»,     utilizzata    nell'amministrazione
straordinaria   «accelerata»   e  nell'amministrazione  straordinaria
«ordinaria»,  riguardi  «una  stessa  situazione  sostanziale»; senza
considerare    che    principio   cardine   dell'azione   revocatoria
fallimentare  e'  che  questa  non  puo' tradursi in un vantaggio per
l'imprenditore  insolvente, ma e' diretta a regolare il conflitto tra
i  creditori,  come  e' reso palese dall'art. 124 del r.d. n. 267 del
1942  (legge  fallimentare),  il quale vieta la cessione delle azioni
revocatorie a favore del fallito e dei suoi fideiussori.
    La  cessione  dell'azione  revocatoria  deve,  invece,  ritenersi
ammissibile nel caso di trasferimento dell'attivita' di impresa ad un
imprenditore  diverso  da  quello  insolvente,  dato  che in siffatta
ipotesi non si traduce in un vantaggio per quest'ultimo.
    1.3.3.  -  Secondo  la societa' in amministrazione straordinaria,
nella procedura disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999 il «programma
di  ristrutturazione» e' definito come «la ristrutturazione economica
e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento
di durata non superiore a due anni» (art. 27, comma 2, lettera b, del
d.lgs.  n. 270  del  1999),  la  cui  natura  e'  resa  chiara  dalla
previsione   che   l'amministrazione  straordinaria  si  converte  in
fallimento:   a)   nel   caso  di  autorizzazione  del  programma  di
ristrutturazione,    qualora,    alla    scadenza    del   programma,
l'imprenditore  non  abbia  recuperato  la capacita' di soddisfare le
proprie  obbligazioni (art. 70, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 270
del  1999);  b) nel caso di autorizzazione del programma di cessione,
qualora  alla  scadenza  del medesimo non sia avvenuta, in tutto o in
parte,  la  cessione  (art. 70, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 270
del 1999).
    Siffatte   disposizioni   distinguono  il  «risanamento  su  base
soggettiva»,  che  realizza  un  salvataggio dell'imprenditore, ed il
«risanamento  su base oggettiva», che permette di salvare l'attivita'
dell'impresa   mediante   il   suo   trasferimento   ad   un  diverso
imprenditore.
    Il   d.lgs.   n. 270   del   1999,  nel  caso  del  programma  di
ristrutturazione   finanziaria,  ha  riguardo  all'imprenditore,  non
all'impresa   e,  quindi,  ragionevolmente  esclude  l'ammissibilita'
dell'azione  revocatoria,  in  quanto essa costituirebbe un vantaggio
per l'imprenditore, permettendone l'esperimento dopo l'autorizzazione
di un programma che contempli la cessione del complesso produttivo ad
un diverso imprenditore.
    1.3.4.  -  La procedura disciplinata dal decreto-legge n. 347 del
2003 stabilisce che il programma di ristrutturazione finanziaria, che
il  commissario  deve  presentare entro 180 giorni dalla nomina, puo'
prevedere  la  soddisfazione  dei  creditori  mediante  un concordato
(art. 4-bis),  anche con attribuzione ad un assuntore delle attivita'
dell'impresa  (art. 4-bis, comma 1, lettera c-bis). In questa ipotesi
la  ristrutturazione non riguarda l'imprenditore, bensi' l'impresa e,
in  coerenza  con  siffatta  finalita', la norma da ultimo richiamata
stabilisce  l'ammissibilita'  di  un  patto  di concordato, avente ad
oggetto  il  trasferimento  all'assuntore  delle  azioni  revocatorie
promosse  fino  alla data di pubblicazione della sentenza, stabilendo
una  disciplina  omologa  a  quella  recata dall'art. 124 della legge
fallimentare.
    La  norma  impugnata  ribadisce,  dunque,  il principio generale,
secondo  il  quale  le  azioni  revocatorie  possono  essere proposte
soltanto  a  vantaggio  dei  creditori, richiamando espressamente, al
comma 1-bis,   la   disciplina   stabilita   per  il  concordato  con
assunzione,  nel quale e' in re ipsa l'impossibilita' che l'azione si
traduca   in   un   vantaggio   per  l'imprenditore  insolvente,  con
conseguente  infondatezza  delle  censure sollevate nell'ordinanza di
rimessione.
    Nel caso in esame, le azioni revocatorie sono state proposte dopo
l'autorizzazione  del  programma  che  prevedeva  un  concordato  con
assunzione  delle  attivita'  e  delle  passivita'  da  parte  di una
societa' costituita dal commissario, le cui azioni erano destinate ad
essere  attribuite ai creditori. Peraltro, se il concordato non fosse
stato  approvato  dal  Tribunale  o  dai creditori il commissario, ex
art. 4-bis,  comma 11-bis, del decreto-legge n. 347 del 2003, avrebbe
potuto  presentare  nei successivi 60 giorni un programma di cessione
dei  complessi  aziendali, compatibile con l'esperimento delle azioni
revocatorie;  qualora  tale  programma  non fosse stato approvato, la
procedura sarebbe stata convertita in fallimento, sicche' nessuno dei
possibili  sviluppi avrebbe condotto ad un «risanamento soggettivo» e
neppure   l'azione  avrebbe  potuto  tradursi  in  un  vantaggio  per
l'imprenditore insolvente.
    1.3.5.  -  Relativamente alla censura riferita all'art. 41 Cost.,
la  societa'  in  amministrazione straordinaria osserva che l'art. 49
del  d.lgs.  n. 270  del 1999 rende proponibili le azioni revocatorie
dopo  l'autorizzazione  di  un  programma  di  cessione dei complessi
aziendali,    cessione    che    deve    avvenire   entro   un   anno
dall'autorizzazione del programma (art. 27, comma 2, lettera a, e 57,
comma 4,  del  d.lgs.  citato),  termine prorogabile per tre mesi se,
all'originaria  scadenza,  risultino in corso iniziative di imminente
definizione (art. 66 del d.lgs. citato).
    Dunque,  nel  sistema  definito dal d.lgs. n. 270 del 1999 non e'
stabilita  alcuna incompatibilita' tra prosecuzione dell'attivita' di
impresa  ed  esercizio delle azioni revocatorie, incompatibilita' non
prevista  nemmeno  dalla legge fallimentare, data la esperibilita' di
dette azioni anche nel caso di esercizio provvisorio dell'impresa.
    Il  Tribunale non ha, invece, considerato, in primo luogo, che la
prosecuzione  dell'attivita'  inserita  in  un  risanamento  su  base
oggettiva  e'  strumentale  rispetto  allo  scopo  di  garantire  una
liquidazione  piu'  vantaggiosa,  nell'interesse  dei  creditori.  In
secondo  luogo,  ha omesso di valutare che l'organizzazione ha spesso
un   valore   superiore   a  quello  dei  beni  organizzati,  che  va
salvaguardato  anche  nel  caso  di  perseguimento  di  una finalita'
liquidatoria,  tant'e'  che  l'art. 2487  del  codice civile, ammette
nella  fase della liquidazione della societa' di capitali l'esercizio
provvisorio  dell'attivita',  in  funzione  del migliore realizzo dei
beni.
    In  altri  termini,  l'azione  revocatoria  e' compatibile con la
prosecuzione   dell'attivita'   d'impresa,   purche'   temporanea   e
finalizzata a realizzare una migliore liquidazione, come puo' appunto
accadere:   nel   fallimento,  qualora  sia  autorizzato  l'esercizio
provvisorio  dell'impresa  (art. 90 della legge fallimentare), ovvero
nel   caso   di   concordato   fallimentare   (art. 124  della  legge
fallimentare);   nella  procedura  di  amministrazione  straordinaria
«ordinaria»,   se  sia  autorizzato  un  programma  di  cessione  dei
complessi aziendali; nella procedura di amministrazione straordinaria
«accelerata»,  nel  caso in cui l'azione revocatoria si traduca in un
vantaggio  per  i  creditori,  ovvero  se  sia  stato  autorizzato un
concordato, nei termini sopra indicati.
    Pertanto, le azioni revocatorie sono finalizzate ad assicurare un
vantaggio ai creditori, mentre la considerazione del tempo occorrente
per  ottenere  una  sentenza  favorevole fa anche escludere che possa
ipotizzarsi un effetto distorsivo della concorrenza.
    Infine, conclude la societa' in amministrazione straordinaria, il
rimettente  non ha considerato che l'assuntore del concordato paga un
prezzo che viene determinato tenendo conto delle azioni revocatorie e
che  i  creditori,  nell'esprimere  il  loro  voto, hanno valutato la
convenienza  dell'operazione  anche  alla  luce  della proponibilita'
delle  azioni  revocatorie.  Dunque,  l'affermazione  che la societa'
assuntrice  del  concordato  godrebbe  di un ingiustificato vantaggio
rispetto  alle  concorrenti  «sembra  dimenticare  del tutto il costo
pagato  dai  creditori-azionisti,  in  termini  di  rinuncia  al loro
credito».
    1.4.  -  Nel  giudizio innanzi alla Corte e' intervenuta anche la
Parmalat s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, la
quale  ha svolto argomentazioni coincidenti con quelle della Parmalat
s.p.a.  in  amministrazione  straordinaria,  sopra  riportate,  e  ha
formulato identiche conclusioni.
    1.5.  -  Nel  giudizio  innanzi alla Corte si e' costituita HSBC,
parte  convenuta  nel processo principale, chiedendo che la questione
sia accolta.
    HSBC,  premesso  un  ampio excursus circa la disciplina stabilita
dal   decreto-legge   n. 26   del   1979   e   l'orientamento   della
giurisprudenza di legittimita' (secondo il quale l'azione revocatoria
non  e' esperibile nella fase di esercizio dell'attivita' di impresa,
in  quanto  ispirata a finalita' recuperatorie), ricorda che la Corte
di  giustizia delle comunita' europee ha affermato che l'applicazione
del regime stabilito da detto decreto-legge ad un'impresa autorizzata
a  continuare  la sua attivita' economica, in circostanze in cui tale
eventualita'  sarebbe  stata  esclusa  nell'ambito  dell'applicazione
delle regole normative normalmente vigenti in tema di fallimento, da'
luogo  alla  concessione  di  un  aiuto di Stato, vietato dalle norme
comunitarie  (sentenza  1 dicembre  1998, C. n. 200/1997; sentenza 17
giugno 1999,  C.  n. 195/1997);  ricorda,  altresi', che alcune corti
italiane,  a  seguito  di dette pronunce, hanno disapplicato le norme
del  1979  (cosiddetta  «legge Prodi») nel caso di azione revocatoria
fallimentare proposta al di fuori della fase liquidatoria di cessione
dei complessi aziendali.
    Il d.lgs. n. 270 del 1999 - prosegue HSBC - e' stato emanato allo
scopo   di   porre  rimedio  ai  vizi  che  inficiavano  l'originaria
disciplina  della  procedura  di  amministrazione straordinaria ed ha
previsto  due  distinti  modelli:  il  primo  caratterizzato  da  una
finalita'  liquidatoria,  da  conseguire  mediante  la  cessione  dei
complessi   aziendali;  il  secondo,  avente  finalita'  conservativa
dell'impresa,   mediante   la   sua   ristrutturazione   economica  e
finanziaria.  In  coerenza  con  i  surrichiamati  orientamenti della
giurisprudenza,  detto  decreto legislativo ha stabilito che l'azione
revocatoria   fallimentare   e'  proponibile  soltanto  nel  caso  di
autorizzazione di un programma di cessione dei complessi aziendali.
    Il  decreto-legge  n. 347 del 2003, come risulta anche dai lavori
preparatori  -  analiticamente  indicati  -  ha  inteso assicurare la
conservazione   dell'avviamento   e   della   posizione   di  mercato
dell'impresa,  caratterizzandosi  in  quanto  prevede  esclusivamente
l'ipotesi  della  ristrutturazione  industriale e non la possibilita'
della  liquidazione  dei  complessi  aziendali,  e  cioe'  proprio la
fattispecie  in  relazione alla quale l'art. 49 del d.lgs. n. 270 del
1999 vieta l'esercizio dell'azione revocatoria.
    1.5.1. - Secondo HSBC non e' possibile dare della norma impugnata
un'interpretazione   adeguatrice.   La   tesi   della   societa'   in
amministrazione   straordinaria,   che   sostiene  la  compatibilita'
dell'azione   con   la   realizzazione  del  cosiddetto  «risanamento
oggettivo»  mediante concordato, non e' corretta, anzitutto in quanto
la  norma  censurata  stabilisce la proponibilita' di detta azione in
linea generale e, nel caso in esame, essa e' stata, infatti, esperita
prima  della  presentazione della proposta di concordato. Inoltre, la
questione   della   legittimita'   della   proposizione   dell'azione
revocatoria nell'ambito di una procedura con finalita' di risanamento
e'  logicamente  e giuridicamente preliminare rispetto a quella della
ammissibilita'  del  suo  trasferimento all'assuntore del concordato.
Infatti,   secondo   alcune   pronunce  di  merito,  l'illegittimita'
dell'esercizio  dell'azione  revocatoria  ex  d.lgs.  n. 270 del 1999
nella  fase di risanamento non e' esclusa dal sopravvenire, nel corso
del giudizio, della fase liquidatoria, e, analogamente, la successiva
proposizione  di  un concordato nell'ambito del quale l'azione de qua
e'   stata   trasferita   all'assuntore   non   legittima   un'azione
originariamente inammissibile.
    Ad  avviso  di  HSBC,  l'approvazione  del  concordato  non  muta
comunque  la  finalita' conservativa e di risanamento della procedura
in  esame,  come  bene  ha sottolineato il Tribunale rimettente nella
sentenza  del  1° ottobre  2005,  che  ha  omologato il concordato in
questione. In ogni caso, il concordato disciplinato dal decreto-legge
n. 347  del  2003  non sarebbe comparabile con il concordato previsto
dall'art. 124  della  legge  fallimentare,  in  quanto  il  primo  e'
strumentale  al  risanamento  dell'impresa, come risulta dalle stesse
indicazioni   contenute  nella  relativa  proposta  e  nel  prospetto
informativo  relativo all'offerta di azioni ordinarie e warrant della
«nuova»  Parmalat  s.p.a.,  redatti  dal  commissario  straordinario,
nonche'  dalla  circostanza  che  non  e' previsto alcun pagamento da
parte  dell'assuntore  in  favore  dei  creditori  chirografari  ed i
crediti  ammessi al concorso sono trasformati in capitale di rischio.
Il concordato fallimentare mira, invece, a far cessare il fallimento,
mediante  il  ricorso  ad una modalita' di liquidazione dei beni piu'
rapida  e  conveniente  per  i  creditori,  come  puntualmente  hanno
osservato   giurisprudenza   e   dottrina.  Appunto  per  questo,  e'
inammissibile  un  concordato fallimentare mediante cessione dei beni
ai   creditori,  in  quanto  non  garantirebbe  il  recupero  di  una
percentuale  del  credito superiore a quella conseguibile mediante la
liquidazione fallimentare e che, invece, e' proprio quanto accade con
il  concordato in esame. Inoltre, come ha chiarito la giurisprudenza,
nel  concordato  fallimentare la cessione delle azioni revocatorie e'
strumentale  al  soddisfacimento  dei  creditori,  costituendo  dette
azioni  un  elemento  dell'attivo,  che  incide  sulla  misura  della
percentuale  concordataria.  Nel  concordato in esame - preordinato a
realizzare   il   risanamento   e  la  ristrutturazione  dell'impresa
insolvente  -  non  sono  invece  previsti  pagamenti  in  favore dei
creditori   e,  conseguentemente,  le  azioni  revocatorie  non  sono
strumentali al succitato scopo.
    1.5.2.   -  Secondo  HSBC,  la  norma  censurata,  in  violazione
dell'art. 3   Cost.,   realizza   una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento  tra  fattispecie  omologhe, in relazione all'art. 49 del
d.lgs. n. 270 del 1999. A suo avviso, le due norme: a) hanno identico
oggetto,   in   quanto   regolano  la  procedura  di  amministrazione
straordinaria concernente le imprese di grandi dimensioni che versano
in  stato  di  insolvenza;  b)  hanno  identiche finalita', in quanto
mirano  alla  ristrutturazione  delle  imprese;  c)  hanno  ambiti di
applicazione  in larga misura coincidenti, dato che la diversita' dei
requisiti  dimensionali  per  l'ammissione  alle due procedure non e'
influente  e  dimostra  l'identita' delle situazioni sotto il profilo
soggettivo,  risultando  applicabile il decreto-legge n. 347 del 2003
nei  casi  nei  quali  e'  applicabile  il d.lgs. n. 270 del 1999, in
virtu'  di  una  opzione  rimessa allo stesso imprenditore, mentre la
prima  e'  essenzialmente  connotata da una maggiore celerita'; d) in
riferimento  all'art. 27,  comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 270 del
1999, riguardano procedure sostanzialmente omogenee.
    Le   situazioni   in   comparazione   sono   quindi  omologhe  e,
conseguentemente,    la   norma   censurata,   nella   procedura   ex
decreto-legge n. 347 del 2003, irragionevolmente sacrifica il diritto
dei  creditori  dell'imprenditore  insolvente,  dato  che, secondo la
Corte   costituzionale,   la  deroga  del  principio  generale  della
stabilita'   dei   diritti   realizzata  dall'azione  revocatoria  e'
giustificata    esclusivamente   dallo   scopo   di   permettere   la
ricostruzione  del  patrimonio  del  fallito  e  di  ripartire  tra i
creditori  eventuali  perdite. L'irragionevolezza e' confortata dalla
considerazione che l'opzione per una delle due discipline e' lasciata
allo stesso imprenditore insolvente.
    Sotto   un   diverso   profilo,   la   norma  censurata  realizza
un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  anche  tra le imprese
insolventi,  dato  che  soltanto  quelle  che accedono alla procedura
disciplinata  dal decreto-legge n. 347 del 2003 hanno la possibilita'
di  ottenere  eterofinanziamenti,  mediante l'esperimento dell'azione
revocatoria durante la fase di risanamento.
    Infine,   la   norma   impugnata   e'   viziata   da   intrinseca
irragionevolezza,  in  quanto  l'azione  revocatoria  fallimentare e'
inconciliabile  con  la  finalita'  conservativa  della procedura, in
considerazione  della  ratio dell'azione, che va individuata, secondo
la  giurisprudenza  costituzionale,  nella  realizzazione  della  par
condicio  creditorum  (sentenze  n. 379  del  2000;  n. 173 del 1994;
n. 100  del  1993; n. 300 del 1986) e che e' inesistente qualora essa
sia   esercitata   nel  contesto  della  procedura  disciplinata  dal
decreto-legge  n. 347  del  2003,  anche  nel  caso del concordato ex
art. 4-bis.
    1.5.3.  -  Ad  avviso  della  HSBC  - premesso che la riforma del
titolo V della Costituzione ha rafforzato la tutela della concorrenza
-  la  norma  impugnata  viola  l'art. 41  Cost.,  dato  che l'azione
revocatoria  fallimentare  permette  all'imprenditore  insolvente  di
rimanere  sul  mercato,  avvalendosi  di  una  sorta di finanziamento
forzoso,  a  costo  zero,  in  danno  degli  altri imprenditori ed in
contrasto  con  le  norme  comunitarie, anche in considerazione della
somma  dei  crediti  oggetto  di  dette azioni, che rendono possibili
politiche   commerciali   particolarmente  aggressive  in  danno  dei
concorrenti.
    2.  -  Con successiva ordinanza del 27 dicembre 2005, il medesimo
Tribunale  ordinario  di  Parma  ha  sollevato  identica questione di
legittimita'  costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.,
dell'art. 6   del   decreto-legge   n. 347  del  2003,  e  successive
modificazioni,  nella  parte in cui consente l'esercizio delle azioni
revocatorie  previste  dagli artt. 49 e 91 del d.lgs. n. 270 del 1999
anche  in  costanza  di un programma di ristrutturazione dell'impresa
sottoposta ad amministrazione straordinaria.
    2.1.  - In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che il
commissario  straordinario  della  Parmalat s.p.a. in amministrazione
straordinaria  ha  convenuto in giudizio la Banca Monte dei Paschi di
Siena  s.p.a.  e  altre diciassette banche, esponendo che la Parmalat
s.p.a.,  con  decreto  del  Ministro  delle  attivita' produttive del
24 dicembre   2003,   era   stata   assoggettata  alla  procedura  di
amministrazione  straordinaria, ai sensi del decreto-legge n. 347 del
2003;   che  il  Tribunale  ordinario  di  Parma,  con  sentenza  del
27 dicembre  2003,  aveva  dichiarato  lo  stato  di insolvenza della
medesima  societa',  con  estensione  della  procedura  concorsuale a
Parmalat  Finanziaria  s.p.a.  ed  a  quasi  tutte  le altre societa'
riconducibili   alla  famiglia  Tanzi;  che,  nel dicembre  1998,  la
Parmalat  s.p.a.  aveva  stipulato con un pool di banche - di cui era
capofila  la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. - un contratto di
finanziamento  per  un ammontare complessivo di lire 140 miliardi con
un  piano di restituzione nell'arco dei successivi cinque anni; che i
rimborsi   alle  scadenze  venivano  effettuati  mediante  ordini  di
bonifico;  e  che,  tanto  premesso,  l'attore  ha  chiesto che siano
revocati,  ai  sensi  e  per gli effetti dell'art. 67, secondo comma,
della  legge fallimentare, i pagamenti eseguiti dalla Parmalat s.p.a.
a  favore  delle  parti  convenute  a titolo di rimborso del predetto
finanziamento  nel  periodo  «sospetto»  e,  conseguentemente, che le
medesime  convenute  siano  condannate a restituire alla procedura le
somme   percepite,  oltre  agli  interessi  e  al  maggior  danno  da
svalutazione monetaria.
    Riferisce  ancora  il giudice rimettente che le banche convenute,
costituitesi,  hanno, in via pregiudiziale, eccepito l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 6  del  decreto-legge  n. 347  del  2003, e
successive  modificazioni,  in  riferimento  agli artt. 3 e 41 Cost.,
nonche'  la  incompatibilita'  della  stessa  norma con i principi di
concorrenza sanciti dal Trattato CE.
    2.1.2.  - Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo
osserva che essa e' insita nella proposizione dell'azione revocatoria
ex art. 67 della legge fallimentare, richiamato dal d.lgs. n. 270 del
1999,   resa  possibile  dalla  norma  denunciata  nell'ambito  della
procedura  di  amministrazione  straordinaria di cui al decreto-legge
n. 347  del  2003, pur in presenza dell'autorizzazione all'esecuzione
di  un  programma di ristrutturazione: la caducazione di quella norma
comporterebbe, infatti, il rigetto delle domande attoree.
    2.1.3.  -  Quanto  alla  non  manifesta infondatezza, il medesimo
giudice  svolge  argomentazioni  del  tutto analoghe a quelle esposte
nella precedente ordinanza di rimessione.
    2.2.  -  Si sono ritualmente costituite nel giudizio davanti alla
Corte  le  convenute  nel giudizio a quo Cassa di risparmio di Savona
s.p.a., Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., Banca Toscana s.p.a.,
Banca  popolare  italiana  Societa' Cooperativa, Bipop Carire s.p.a.,
Commerzbank AG, Unicredit Banca d'Impresa s.p.a., Unicredito Italiano
s.p.a.  e Credito siciliano s.p.a., per chiedere che la questione sia
accolta.
    2.2.1. - Cassa di risparmio di Savona s.p.a. ricorda che la Corte
di  cassazione,  decidendo  la  questione  del contrasto fra la legge
n. 95   del  1979,  istitutiva  della  procedura  di  amministrazione
straordinaria,  e  le regole dei Trattati comunitari, circa i divieti
degli  aiuti  di  Stato e dell'alterazione della concorrenza da parte
degli   Stati   membri,   ha   statuito   che   nella   procedura  di
amministrazione   straordinaria,  disciplinata  dalla  citata  legge,
l'azione  revocatoria fallimentare non rappresenta un aiuto di Stato,
e,  quindi, non viola la normativa comunitaria, sempre che essa venga
promossa dopo che e' iniziata la fase di liquidazione; e ha osservato
che l'esercizio della revocatoria «si tradurrebbe in un finanziamento
forzoso   delle   imprese  in  crisi»  non  in  ogni  caso,  «essendo
compatibile una tale affermazione solo con la fase conservativa e non
gia' con quella liquidatoria» (Cass. 21 settembre 2004, n. 18915).
    Questo  principio  di  diritto e' stato coerentemente seguito dal
legislatore,    quando    ha    dettato    una    «nuova   disciplina
dell'amministrazione  straordinaria  delle grandi imprese in stato di
insolvenza»  con  il d.lgs. n. 270 del 1999, il cui art. 49, comma 1,
infatti,   stabilisce   che   «le  azioni  per  la  dichiarazione  di
inefficacia  e  la  revoca  degli  atti  pregiudizievoli ai creditori
previste dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo
II  della  legge fallimentare possono essere proposte dal commissario
straordinario  soltanto  se  e'  stata autorizzata l'esecuzione di un
programma  di  cessione  dei  complessi  aziendali,  salvo il caso di
conversione della procedura in fallimento».
    Ma,  nell'emanare il successivo decreto-legge n. 347 del 2003, il
legislatore  ha  completamente  trascurato la necessita' che la nuova
procedura   di   amministrazione   straordinaria,  prevista  da  tale
decreto-legge,  fosse  resa compatibile con le regole comunitarie, in
quanto  ha creato una procedura che - come risulta inequivocabilmente
da  piu'  norme  -  ha  la finalita' esclusiva della ristrutturazione
economica  e  finanziaria  di  grandi imprese in stato di insolvenza.
Cio'  posto,  non  aveva senso inserire in essa l'esperibilita' delle
azioni  revocatorie, che sono proprie delle procedure di liquidazione
e  che,  invece,  nell'ambito di una procedura di ristrutturazione si
risolvono in elementi distorsivi della concorrenza.
    2.2.1.2.  -  La deducente osserva, poi, che la norma denunciata -
come  sostenuto  in  dottrina  - viola il principio costituzionale di
eguaglianza,  dal  momento  che  di  fronte a due imprese in stato di
insolvenza,   per   le   quali  sia  prospettabile  un  programma  di
ristrutturazione,  per  il  solo  fatto  che  per  l'una  si avvii la
procedura  di  amministrazione  straordinaria di cui al d.lgs. n. 270
del  1999  (su  iniziativa  dei  creditori) e per l'altra, invece, si
instauri  (su  iniziativa  dello stesso imprenditore) la procedura di
cui  al  decreto-legge n. 347 del 2003, si diversifica il trattamento
dei creditori e dei terzi, i quali nella seconda ipotesi sono esposti
al rischio dell'esercizio delle azioni revocatorie.
    E  tale disparita' di trattamento, non giustificabile e del tutto
irragionevole,  sussiste,  a  suo avviso, anche rispetto ai creditori
dell'impresa assoggettata ad ogni altra procedura concorsuale.
    2.2.1.3.  -  La  deducente  passa,  quindi,  a  confutare la tesi
secondo   cui   basterebbe   a   giustificare  l'esperibilita'  delle
revocatorie  l'inciso  «purche'  si  traducano  in un vantaggio per i
creditori»,   inserito   nella   norma   denunciata  dalla  legge  di
conversione (del decreto-legge) n. 119 del 2004. Tale aggiunta, a suo
avviso,  nulla  toglie  alle  censure  di  cui  innanzi, sia sotto il
profilo  del  contrasto  con  le  norme comunitarie, sia sotto quello
della violazione dell'art. 3 Cost.: quanto al primo profilo, resta la
constatazione  che,  quand'anche  la  condizione  sia soddisfatta, si
tratta  pur  sempre di azioni revocatorie rese esperibili al di fuori
di una procedura o di una fase liquidatoria; quanto al secondo, resta
la  constatazione  della  disparita'  di  trattamento fra i creditori
delle varie procedure concorsuali, perche', se non vi e' liquidazione
e distribuzione dell'attivo, quella disparita' persiste.
    Nel caso di specie, poi, la condizione legale della esperibilita'
delle  revocatorie  non  puo'  verificarsi, ancorche' sia previsto lo
sbocco   della   procedura  di  amministrazione  straordinaria  della
Parmalat  s.p.a.  in  un concordato con assunzione delle attivita' da
parte  di  una  societa'  costituita  dal commissario straordinario e
destinata ad essere totalmente partecipata dai creditori concorrenti.
    Infatti,  la deducente rileva, innanzitutto, che il concordato e'
stato  impugnato.  Inoltre,  essa  argomenta  che il «vantaggio per i
creditori»  non e' ravvisabile, in quanto: a) una volta trasferite le
azioni  revocatorie alla societa' assuntrice, i proventi andrebbero a
incrementare  l'attivo  della  societa',  che, pero', e' destinato al
pagamento dei creditori sociali, non dei soci; d'altro canto, poiche'
la   societa'   assuntrice,  secondo  il  programma,  proseguira'  le
attivita' imprenditoriali di numerose societa' del gruppo Parmalat, i
medesimi  proventi  delle  revocatorie andrebbero a finanziare quelle
attivita',  prima che possano essere distribuiti ai soci ex-creditori
di  Parmalat s.p.a. sotto forma di dividendi o rimborso di azioni; b)
secondo   il  programma,  il  concordato  dovrebbe  riguardare  varie
societa'  del  gruppo Parmalat e il risultato utile delle revocatorie
andra'  a  favore  dell'emittente,  ossia la societa' assuntrice, «e,
quindi,  in modo indifferenziato, indirettamente a vantaggio di tutti
i  creditori divenuti azionisti dell'emittente stesso, quale che sia,
fra  le  societa' oggetto del concordato, la societa' che ha proposto
l'azione»;  il  che vuol dire che le somme ricavate dalla revocatoria
di  pagamenti  eseguiti  da  una societa' potrebbero essere destinate
alla  distribuzione  a  favore  dei  creditori  di altre societa' del
gruppo.
    2.2.2.  -  Banca  popolare  italiana Societa' Cooperativa osserva
che,  prima  dell'emanazione  del  decreto-legge n. 347 del 2003, era
principio  consolidato  del  nostro  ordinamento  quello  che solo la
definitiva  cessazione  dell'attivita'  di impresa ovvero l'esercizio
momentaneo   di   quest'ultima  finalizzato  alla  mera  liquidazione
dell'attivo   consente   l'esperibilita'   delle  azioni  revocatorie
fallimentari   e   che,  percio',  l'esercizio  di  dette  azioni  e'
tassativamente da escludersi in caso di perseguimento di un programma
di ristrutturazione.
    L'art. 6   del  citato  decreto-legge  ha,  invece,  previsto  la
possibilita'  di  esperire  azioni revocatorie ex art. 67 della legge
fallimentare  «anche  nel  caso  di autorizzazione all'esecuzione del
programma  di  ristrutturazione, purche' si traducano in un vantaggio
per i creditori».
    Tale  norma comporta una ingiustificata differenza di trattamento
tra creditori di fronte ad analoghe situazioni di dissesto, a seconda
che   l'impresa   debitrice   sia   sottoposta   ad   amministrazione
straordinaria, ai sensi del decreto-legge n. 26 del 1979 o del d.lgs.
n. 270 del 1999, con un programma che contempli la continuazione e il
salvataggio dell'impresa; ovvero ad amministrazione straordinaria, ai
sensi  del  decreto-legge  n. 347  del  2003,  essendo le revocatorie
esperibili  solo  in  quest'ultima  procedura e non anche nelle prime
due.
    Siffatto  trattamento  diseguale,  pur  in presenza di situazioni
identiche, contrasta con l'art. 3 Cost.
    2.2.2.1.  - La deducente osserva, ancora, che la norma denunciata
e' idonea a falsare la concorrenza, e, quindi, viola l'art. 41 Cost.,
perche',  consentendo  che le azioni revocatorie siano esperite anche
in  caso  di  prosecuzione  dell'esercizio  dell'impresa, comporta un
aiuto  in  favore  delle imprese in amministrazione straordinaria che
perseguono  un  programma di risanamento e che, percio', continuano a
restare sul mercato, rispetto a tutte le altre imprese presenti nello
stesso mercato.
    Cio'   che   e'   decisivo,   nel   caso   di   specie,   e'  che
l'amministrazione  straordinaria  della  Parmalat  s.p.a.  prevede un
piano  di risanamento ai sensi dell'art. 27, comma 2, lettera b), del
d.lgs.  n. 270  del  1999,  ossia  la  ristrutturazione  economica  e
finanziaria  e  la prosecuzione dell'attivita' dello stesso complesso
imprenditoriale   insolvente,  il  che  non  e'  compatibile  con  le
finalita' recuperatorie delle azioni revocatorie.
    2.2.2.2. - Tale incompatibilita' non viene meno laddove l'impresa
insolvente  passi di mano, come accade nella specie, in favore di una
societa'  partecipata dai creditori in quanto: a) la disciplina delle
azioni  revocatorie  deve essere riferita al debitore e all'eventuale
prosecuzione  dell'attivita' del debitore (cioe' dell'impresa nel suo
complesso),  e  non agli azionisti del debitore; b) non esiste alcuna
norma  che possa dar fondamento alla tesi contraria; c) data la ratio
dell'azione  revocatoria fallimentare, la quale trova giustificazione
nell'accettazione,  da  parte  del creditore, del rischio connesso al
ricevimento di un pagamento da un'impresa della quale egli conosce lo
stato di insolvenza e, quindi, l'imminente cessazione dell'attivita',
laddove  l'attivita' dell'impresa continua in modo duraturo, non v'e'
legittimo spazio per le revocatorie.
    2.2.2.3.  -  Infine,  la  deducente osserva che non ha fondamento
l'affermazione  avversaria,  secondo  la  quale,  poiche' i creditori
diverranno,   all'esito   del   programma  di  ristrutturazione,  gli
azionisti   della   nuova   Parmalat   s.p.a.,   le   revocatorie  si
tradurrebbero  in un vantaggio per gli stessi, posto che «le societa'
[...]  hanno  un'autonomia  patrimoniale  [...]  rispetto  ai  propri
azionisti»;  ragion  per  cui  le  revocatorie  de quibus «andranno a
vantaggio   di  Parmalat  s.p.a.,  e  cioe'  dello  stesso  complesso
imprenditoriale   Parmalat   dichiarato  insolvente  e  ammesso  alla
procedura  e  non  dei  suoi  futuri  azionisti, attuali creditori di
Parmalat».
    2.2.3.  -  Bipop  Carire s.p.a. sostiene, in via preliminare, che
nella  vicenda  della  genesi della normativa di cui al decreto-legge
n. 347  del  2003,  e  successive  modificazioni,  e' ravvisabile una
fattispecie  di  «eccesso  di  potere  legislativo», sotto il profilo
dello  «sviamento  (del  vizio  del fine o della causa)», poiche', in
sostanza,  le  disposizioni,  «correttive  e  integrative»  del testo
originario,  via  via emanate, sono state ispirate «al fine esclusivo
di  legittimazione  dei contenuti di un atto amministrativo specifico
(il  programma  di  ristrutturazione  predisposto dal commissario del
gruppo Parmalat) onde consentirne l'approvazione in sede propria». In
altri termini, «la normativa considerata, al di la' del suo apparente
contenuto  dispositivo,  e'  stata  adottata soltanto ex postfacto al
fine    di    sovvenire    alle    esigenze   via   via   manifestate
dall'amministrazione  straordinaria  di Parmalat, ed e', pertanto, da
ritenersi  incostituzionale  per  il fatto di aver perseguito un fine
diverso  da  quello  desumibile  dal  suo  contenuto dispositivo». In
proposito,  cita  le  sentenze  della Corte costituzionale n. 146 del
1996 e n. 195 del 1982 .
    2.2.3.1.  - Nel merito della questione, come proposta dal giudice
rimettente,  la  deducente ne afferma la fondatezza, argomentando che
l'art. 6  del  decreto-legge  n. 347  del  2003 e' costituzionalmente
illegittimo sotto diversi profili.
    2.2.3.2.  -  Innanzitutto  esso  «contrasta  con  il principio di
eguaglianza in senso «tradizionale» come disparita' di trattamento di
situazioni  eguali», poiche' i creditori dell'impresa sottoposta alla
procedura    di   cui   al   citato   decreto-legge   sono   trattati
differentemente  rispetto  ai creditori delle imprese sottoposte alla
procedura  di  cui  al  d.lgs.  n. 270 del 1999; corrispondentemente,
anche  le  imprese sottoposte all'una o all'altra procedura godono di
trattamenti  differenziati.  In  entrambi i casi questa disparita' di
trattamento   non   e'   giustificata   da   un  ulteriore  interesse
costituzionale.
    2.2.3.3. - In secondo luogo, la norma denunciata contrasta con il
principio  di  eguaglianza  inteso  nel  senso  della ragionevolezza:
l'azione revocatoria fallimentare, la cui ratio consiste nella tutela
della  par  condicio  creditorum,  e',  infatti,  conciliabile con la
finalita'    di    liquidazione    dell'impresa,   perseguibile   con
l'amministrazione  straordinaria  disciplinata  dal d.lgs. n. 270 del
1999, non anche con la finalita' di risanamento dell'impresa, cui e',
invece,  indirizzata la procedura introdotta dal decreto-legge n. 347
del 2003.
    2.2.3.4.   -   La  deducente  -  rilevati  ulteriori  profili  di
incostituzionalita', non sollevati dal giudice a quo - osserva che la
norma in questione contrasta con l'art. 41 Cost., poiche', attraverso
l'esercizio   delle   azioni   revocatorie,  procura  «una  forma  di
finanziamento forzoso a favore dell'impresa insolvente» e consente ad
essa  di  restare  sul  mercato, cosi' producendo «effetti distorsivi
della  concorrenza  e  del  mercato»,  senza che ricorrano «interessi
pubblici  costituzionalmente  protetti  che  in  astratto  potrebbero
giustificare,   secondo  principi  di  proporzionalita',  deroghe  al
principio costituzionale di tutela della concorrenza».
    2.2.4.  -  Commerzbank  AG  deduce,  in primis, la violazione del
principio  di  uguaglianza:  il  decreto-legge  n. 347 del 2003 (come
successivamente modificato) rimette all'impresa insolvente, che abbia
i  requisiti  da  esso  previsti,  di  scegliere  fra la procedura di
amministrazione  straordinaria  disciplinata  dallo  stesso decreto e
quella  disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999, perseguendo nell'uno
come  nell'altro  caso  un  programma di ristrutturazione economica e
finanziaria  di  cui  all'art. 27,  comma 2,  lettera b),  del d.lgs.
n. 270  del 1999, ma i terzi, che, nel cosiddetto «periodo sospetto»,
hanno  posto  in  essere  negozi giuridici con l'impresa insolvente o
hanno  da  questa  ricevuto pagamenti, nel primo caso, in forza della
norma  denunciata,  sono esposti all'azione revocatoria fallimentare,
nel secondo caso, invece, ne sono esenti.
    Siffatta   disparita'   di   trattamento   e'   ingiustificata  e
irragionevole,   posto   che  entrambe  le  procedure  sono  volte  a
consentire  un risanamento aziendale in costanza di una situazione di
insolvenza    dell'impresa   e   la   previsione   dell'esperibilita'
dell'azione revocatoria all'interno di un procedura di risanamento si
pone  in contrasto con la funzione e la struttura stessa dell'azione,
fondata  sul  presupposto  della  lesione del principio di parita' di
trattamento dei creditori.
    2.2.4.1.   -   La  deducente  denuncia,  inoltre,  la  violazione
dell'art. 41  Cost.: posto che l'amministrazione straordinaria di cui
al  decreto-legge  n. 347  del 2003 e' una procedura preordinata alla
gestione  dell'impresa  insolvente  in funzione del suo reinserimento
nel  mercato,  la  norma  denunciata  urta  contro il principio della
liberta'   di   iniziativa  economica,  giacche'  essa  consente  «ad
un'impresa   operante   sul   mercato  di  avvantaggiarsi  sul  piano
patrimoniale,  avvalendosi dell'istituto della revocatoria, del quale
non  si  possono  avvalere gli altri operatori economici»; di talche'
«il  vittorioso  esito delle revocatorie fallimentari non rappresenta
altro  che  una  forma di finanziamento forzoso a favore dell'impresa
insolvente,   diventando   uno  strumento  per  sostenere  l'impresa,
falsando la concorrenza».
    2.2.5.  -  Unicredit Banca d'Impresa s.p.a. e Unicredito Italiano
s.p.a.  deducono  che  l'art. 6  del decreto-legge n. 347 del 2003, e
successive  modificazioni,  si  pone in contrasto con il principio di
uguaglianza  di  cui all'art. 3 Cost. e con il principio della libera
concorrenza   e   della  liberta'  di  iniziativa  economica  di  cui
all'art. 41 Cost.
    2.2.5.1.  -  Sotto il primo profilo, infatti, la norma impugnata,
prevedendo   la   possibilita'  di  esperire  le  azioni  revocatorie
fallimentari   nell'ambito   della   procedura   di   amministrazione
straordinaria  disciplinata  dal citato decreto-legge «anche nel caso
di    autorizzazione    all'esecuzione    di    un    programma    di
ristrutturazione»,  introduce  una  irragionevole discriminazione nei
confronti    delle    imprese    assoggettate   alla   procedura   di
amministrazione  straordinaria  disciplinata  dal  d.lgs.  n. 270 del
1999,  per le quali il rimedio revocatorio e' esperibile soltanto ove
sia  perseguito  un  programma  di  cessione  e  non anche quando sia
autorizzato un programma di ristrutturazione. E l'incostituzionalita'
della  norma  non  puo'  essere  lenita dal fatto che il programma di
ristrutturazione  si  attui  mediante  un  concordato  che preveda la
cessione  delle  azioni  revocatorie  ad un assuntore, atteso che «il
concordato  e  il  patto  di  assunzione costituiscono solo una delle
modalita'  di  attuazione del piano di ristrutturazione, cosi' da non
legittimare  un  giudizio di costituzionalita' generale relativamente
all'art. 6»;   peraltro,   «concordato   e  patto  di  assunzione  si
innestano,   comunque,   nell'ambito   di  una  procedura  di  natura
risanatoria  che  persegue,  in via diretta, l'obiettivo del rilancio
dell'attivita'    industriale    dell'impresa    e    considera    il
soddisfacimento   delle   pretese   dei   creditori   come  obiettivo
subordinato».
    2.2.5.2.   -  Sotto  il  secondo  profilo,  la  norma  impugnata,
consentendo   di   esercitare  le  azioni  revocatorie  fallimentari,
attribuisce  alle  imprese  sottoposte alla procedura in questione un
ingiustificato  privilegio  rispetto  alle altre imprese e determina,
cosi', un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto permette ad
imprese insolventi di restare sul mercato, usufruendo di una sorta di
«finanziamento forzoso» a carico di terzi.
    2.2.6.  - Credito siciliano s.p.a. svolge argomentazioni analoghe
a quelle di Bipop Carire s.p.a.
    2.2.6.1.  -  Aggiunge  che l'azione revocatoria di cui all'art. 6
del  decreto-legge  n. 347  del  2003  «nulla  ha  da  vedere  con il
pagamento  dei  creditori»,  i  quali  vengono  soddisfatti, ai sensi
dell'art. 4-bis  del  medesimo decreto-legge, mediante l'assegnazione
di  azioni  della  societa'  assuntrice  del  concordato  (la «nuova»
Parmalat s.p.a.), societa' alla quale sono trasferite, insieme con le
attivita'   del  debitore  insolvente,  le  azioni  revocatorie  gia'
proposte  dal  commissario  straordinario.  Nella  logica  del citato
decreto-legge «l'azione revocatoria non serve, dunque, a ricostituire
la  garanzia  patrimoniale  dell'articolo 2740  cod.  civ.», essendo,
invece,  rivolta  ad  accrescere  il  patrimonio  di un soggetto - la
societa' assuntrice - diverso dal debitore insolvente. «Ma tale scopo
e'  del  tutto incompatibile con la natura e le caratteristiche della
revocatoria  fallimentare»  e,  percio',  non  puo'  giustificare  il
sacrificio  dell'interesse  dei  terzi  alla  stabilita' dei rapporti
giuridici.
    2.2.6.2.  -  La  deducente  osserva,  ancora,  che,  ai sensi del
precitato  art. 4-bis,  comma 1,  lettera  c-bis),  anche i convenuti
eventualmente  soccombenti in revocatoria potranno vedere soddisfatti
i  loro  crediti secondo le modalita' della «falcidia» concordataria,
ossia   con   attribuzione   di  azioni  della  societa'  assuntrice,
nonostante,  a  differenza  degli  altri creditori, non abbiano avuto
modo di esprimere il loro consenso.
    2.2.7.   -   Si   sono,  altresi',  costituite  nel  giudizio  di
costituzionalita'  Parmalat  s.p.a.,  in persona del suo presidente e
legale   rappresentante,   e   Parmalat   s.p.a.  in  amministrazione
straordinaria,  in  persona del commissario straordinario, le quali -
premesso che la Parmalat s.p.a. e' stata sottoposta alla procedura di
amministrazione  straordinaria  in  data  24 dicembre  2003;  che  il
commissario    straordinario    ha    adottato    un   programma   di
ristrutturazione  che prevede la soddisfazione dei creditori mediante
un concordato; che tale concordato e' stato approvato dai creditori e
omologato  dal  Tribunale  ordinario di Parma in data 1 ottobre 2005;
che, in forza del medesimo concordato, le azioni revocatorie promosse
dal  commissario  straordinario sono state trasferite all'assuntore -
chiedono   che   la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sia
dichiarata inammissibile per irrilevanza o, comunque, infondata.
    2.2.8.  - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  per chiedere, sulla base di considerazioni identiche a quelle
riferite  in  precedenza  sub  1.2,  che  la questione sia dichiarata
inammissibile o, in subordine, infondata.
    2.2.9.  -  Sono,  altresi', intervenute Sanpaolo-IMI s.p.a. e UBS
Limited,  societa'  non  convenute  nel  giudizio  a quo, ma in altri
analoghi  giudizi  pendenti  dinanzi al Tribunale ordinario di Parma,
promossi  anch'essi  dal commissario straordinario di Parmalat s.p.a.
in  amministrazione  straordinaria,  nei  quali  sono state sollevate
identiche  questioni  di  legittimita' costituzionale dell'art. 6 del
decreto-legge n. 347 del 2003.
    Entrambe   le   intervenienti   chiedono   che   sia   dichiarata
l'incostituzionalita'  della  norma denunciata, osservando, in ordine
all'ammissibilita'   dell'intervento,  di  essere  portatrici  di  un
interesse  diretto  e  attuale  alla  relativa  pronuncia, poiche' da
questa  dipende, in via pregiudiziale, anche la decisione delle cause
(cosi'  come di altre analoghe) delle quali esse sono parti, e che di
tali  cause e' stata disposta la sospensione, non gia' solo in attesa
della  decisione  della  Corte,  bensi' a seguito del promovimento di
identica questione di costituzionalita'.
    3.  -  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  hanno  depositato
memorie,  nel  giudizio  di  cui all'ordinanza n. 1 r.o. del 2006, il
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   Parmalat  s.p.a.  in
amministrazione straordinaria, Parmalat s.p.a. e HSBC.
    3.1.   -   La   difesa  erariale  sottolinea  che  il  concordato
disciplinato   dal   decreto-legge   n. 347   del  2003  realizza  lo
«spossessamento»     definitivo     dell'imprenditore     insolvente,
determinando  la  falcidia  dei  crediti,  e  che tanto rende ragione
dell'ammissibilita'    dell'azione   revocatoria.   A   suo   avviso,
l'ordinanza di rimessione e' viziata da due errori: il primo consiste
nel  ritenere  che  il programma di ristrutturazione menzionato dalla
norma  impugnata  debba essere soltanto quello previsto dall'art. 27,
comma 2,  lettera b),  del d.lgs. n. 270 del 1999; il secondo risiede
nel  ritenere  che il concordato sia una mera modalita' di attuazione
del  piano  di  ristrutturazione.  Infatti,  il  Tribunale  non si e'
avveduto  della circostanza che, nell'impossibilita' di realizzare il
risanamento   soggettivo   dell'impresa   ed   il  ritorno  in  bonis
dell'imprenditore,     e'    stato    necessario    procedere    allo
«spossessamento»    dell'imprenditore   sottoposto   alla   procedura
concorsuale  e  soddisfare  non integralmente i creditori. Per questa
considerazione,  la  questione  e'  irrilevante nella parte in cui e'
impugnato  l'art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003 e non
il  comma 1-bis,  che  e',  invece, la disposizione applicabile nella
specie.
    Inoltre,   e'   errata   la   comparazione   con  la  fattispecie
disciplinata dall'art. 27, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 270 del
1999,  perche'  in  quest'ultima  la  circostanza  che l'imprenditore
insolvente  continua  l'attivita'  e  non  e'  spossessato  dei  beni
giustifica l'inammissibilita' dell'azione revocatoria fallimentare.
    Relativamente al parametro dell'art. 41 Cost., una volta ritenuta
la   legittimita'   della   norma   che  rende  ammissibile  l'azione
revocatoria   fallimentare,   l'infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale e' evidente.
    3.2.  -  Parmalat  s.p.a.  e  Parmalat  s.p.a. in amministrazione
straordinaria  hanno  depositato  due  distinte memorie, di contenuto
sostanzialmente coincidente, allegando la proposta di concordato e la
sentenza di omologazione del concordato stesso.
    3.2.1.  -  La Parmalat s.p.a. deduce che, in quanto assuntore del
concordato  e cessionaria delle azioni revocatorie, e' titolare di un
interesse   qualificato   che  legittima  l'intervento  spiegato  nel
giudizio di costituzionalita'.
    3.2.2.  -  Entrambe  le  societa'  premettono che il programma di
ristrutturazione,  il quale prevede che la possibilita' di soddisfare
i   creditori   avvenga   mediante  un  concordato  con  attribuzione
all'assuntore   delle   attivita'  delle  imprese  interessate  dalla
proposta, e' stato approvato il 23 luglio 2004 e l'azione oggetto del
giudizio  principale  e' stata proposta con citazione notificata il 5
ed  il  31 gennaio  2005. In base al programma di ristrutturazione il
commissario straordinario ha costituito una societa' propostasi quale
assuntore   del   concordato;   le   azioni   di  questa  sono  state
integralmente  attribuite  ai  creditori  e,  inoltre, quale patto di
concordato, e' stato previsto: il conferimento da parte dei creditori
chirografari di un mandato alla Fondazione costituita dal commissario
a  sottoscrivere  l'aumento di capitale dell'assuntore, compensando i
crediti  di  quelli,  ridotti  dalla  falcidia  concordataria, con il
debito  derivante  dalla  sottoscrizione  delle  azioni;  la cessione
all'assuntore   delle  attivita'  delle  societa'  interessate  dalla
proposta  di  concordato,  nonche'  delle  azioni revocatorie e delle
azioni di responsabilita' promosse dal commissario straordinario.
    Le societa' reiterano le argomentazioni gia' svolte negli atti di
costituzione  e  di  intervento  a  conforto del difetto di rilevanza
della  questione  nella  parte  in  cui  censura  l'intero art. 6 del
decreto-legge  n. 347  del 2003, senza considerare che, nella specie,
la  norma  applicabile  e'  soltanto  quella del comma 1-bis di detto
articolo. Inoltre, ribadiscono gli argomenti esposti per censurare il
provvedimento  di  rimessione,  in  quanto  in  esso  si e' omesso di
verificare  la possibilita' di offrire un'interpretazione della norma
impugnata  conforme a Costituzione, sottolineando che, in riferimento
al  principio di ragionevolezza, il rimettente neppure ha considerato
che  detta  disposizione  realizza  in modo equilibrato la tutela dei
creditori e l'interesse alla continuita' dell'attivita' dell'impresa.
Infatti,  l'esercizio  dell'azione revocatoria e il suo trasferimento
all'assuntore   del  concordato  sono  stati  correttamente  previsti
all'interno  di  un  programma di risanamento oggettivo, coerente con
l'azione  revocatoria,  da  reputarsi  inammissibile solo nel caso di
risanamento soggettivo.
    Peraltro,  la  norma  impugnata e' parte di un atto normativo che
mira  a  conservare  il valore dell'impresa, principio al quale si e'
ispirata  anche  la  recente riforma della legge fallimentare, che ha
previsto  meccanismi  idonei  ad  assicurare il risanamento oggettivo
anche  riproducendo,  in  alcune  parti, la disciplina introdotta dal
decreto-legge  n. 347  del  2003  (in particolare, sono richiamate le
norme  in  tema  di vendita ed affitto dell'azienda, nonche' la nuova
disciplina del concordato fallimentare).
    3.2.3.  -  Secondo  le  societa',  l'ordinanza di rimessione, nel
comparare  le  discipline  recate dal decreto-legge n. 347 del 2003 e
dal  d.lgs.  n. 270  del  1999,  fa riferimento all'art. 27, comma 2,
lettera b),  di  quest'ultimo,  senza avvedersi che detta norma ha ad
oggetto  un  programma  di ristrutturazione strumentale rispetto allo
scopo di permettere il ritorno in bonis dell'imprenditore insolvente,
mentre  l'art. 4-bis  del decreto-legge n. 347 del 2003 ha ad oggetto
un   programma  di  risanamento  relativo  all'impresa,  e  non  gia'
all'imprenditore:   sicche'   il   riferimento   alla  proponibilita'
dell'azione  revocatoria soltanto qualora comporti un vantaggio per i
creditori  vuol  dire, appunto, che tale azione non puo' mai tradursi
in un vantaggio per l'imprenditore. Tanto accade nel caso in esame, e
di  cio'  l'ordinanza di rimessione non si e' avveduta, in quanto non
ha   correttamente   distinto  tra  imprenditore  ed  impresa  e  tra
risanamento concernente il primo o la seconda.
    3.2.4.  -  Questa  confusione  tra  i  due  concetti  permette di
evidenziare  l'infondatezza della censura riferita all'art. 41 Cost.,
dato  che  nel  caso  del  concordato  resta  sul  mercato  un  nuovo
imprenditore,   il   quale   ha   pagato  un  prezzo  per  l'acquisto
dell'azienda,  riferito  anche alle azioni revocatorie. Nella specie,
la  societa' assuntrice e' Parmalat s.p.a. che non e' la societa' dei
signori Tanzi, ma e' una societa' partecipata esclusivamente dai suoi
creditori.
    Peraltro,   anche   nell'ordinamento   francese  e'  previsto  il
redressement   judiciaire,   nel   quale   e'   ammissibile  l'azione
revocatoria  nel caso di prosecuzione dell'attivita' finalizzata alla
cessione dell'attivita' d'impresa ad un nuovo imprenditore.
    Analogamente,     nell'ordinamento     tedesco     e'    previsto
l'Insolvenzplan, nel quale e' stabilita la compatibilita' dell'azione
revocatoria con la prosecuzione dell'attivita' di impresa.
    3.2.5.  -  In  riferimento alle argomentazioni svolte da HSBC, le
societa'  deducono  che  l'azione  revocatoria e' stata proposta dopo
l'autorizzazione   del  programma  di  ristrutturazione  e  tanto  e'
sufficiente  a  renderla  ammissibile,  in  quanto cio' che rileva e'
appunto  detta autorizzazione, non l'esecuzione del programma, atteso
che  e' la prima a far imboccare alla procedura una strada obbligata,
che  puo'  condurre soltanto alla approvazione del concordato, ovvero
ad un programma di cessione, oppure al fallimento.
    Inoltre,  a  loro  avviso,  la  comparazione con l'art. 124 della
legge  fallimentare  e'  pertinente,  in  quanto  anche il concordato
previsto  dal decreto-legge n. 347 del 2003 ha finalita' liquidatoria
e   mira   al   soddisfacimento  dei  creditori,  sia  pure  mediante
compensazione   con  il  debito  di  sottoscrizione  dell'aumento  di
capitale  dell'assuntore.  Infine,  le  argomentazioni  sopra  svolte
dimostrano  l'inesattezza  della  tesi  svolta dalla HSBC, al fine di
sostenere che la norma impugnata viola l'art. 41 Cost.
    3.3.  -  HSBC  ha  depositato  memoria  nella  quale sostiene che
Parmalat s.p.a., nonostante la crisi e la riduzione del fatturato, e'
ancora  titolare  di  rilevanti  quote  di  mercato in riferimento ad
alcuni  prodotti per i quali, secondo un provvedimento dell'Autorita'
garante  della  concorrenza e del mercato, ha una posizione dominante
(provvedimento  30 giugno 2005, n. 14452). L'esperimento delle azioni
revocatorie  permettera'  alla  societa' di incassare somme rilevanti
che,  in  forza  dello  statuto  della  societa', le consentiranno di
rafforzare struttura e competitivita'.
    3.3.1. - HSBC deduce che la questione e' rilevante, sia in quanto
il  rimettente ha espressamente e plausibilmente motivato sul punto e
tanto   basta  al  fine  del  controllo  «esterno»  che,  secondo  la
giurisprudenza della Corte costituzionale, va effettuato nel giudizio
di  costituzionalita',  sia in quanto la norma applicabile e' proprio
l'art. 6  del decreto-legge n. 347 del 2003 e non il solo comma 1-bis
di  detto  articolo.  Infatti, alla data di proposizione dell'azione,
«il  concordato non esisteva ancora» ed inoltre il combinato disposto
dell'art. 6, comma 1-bis, citato, e dell'art. 4-bis, comma 1, lettera
c-bis),  dello  stesso decreto-legge rende chiaro che la possibilita'
di  trasferimento  all'assuntore delle azioni revocatorie implica che
dette azioni siano state promosse in base al medesimo art. 6.
    3.3.2.  - La banca, sintetizzata la giurisprudenza costituzionale
in  tema  di  principio  di eguaglianza, afferma che essa conforta la
denunciata  violazione  di  detto  principio  sia  in  riferimento ai
principi  generali  che  governano  la  materia  concorsuale,  sia in
riferimento al tertium comparationis, correttamente individuato nella
disciplina   dell'amministrazione  straordinaria  recata  dal  d.lgs.
n. 270  del  1999.  A suo avviso, l'azione revocatoria e' ammissibile
soltanto  qualora il relativo provento entri nella disponibilita' dei
creditori    mediante   la   liquidazione   concorsuale   dell'attivo
dell'impresa  insolvente  e sia ridistribuito ai creditori secondo le
regole della legge fallimentare, mentre non puo' ritenersi esperibile
quando il ricavato sia destinato all'impresa, che continua ad operare
sul  mercato  in  vista  del  proprio  risanamento,  in  virtu' di un
principio  enunciato  dalla  Corte  di  cassazione che ha ispirato la
formulazione  dell'art. 49  del  d.lgs.  n. 270  del 1999, secondo il
quale  nell'ambito  della  procedura di amministrazione straordinaria
detta   azione   e'   esperibile  soltanto  in  relazione  alla  fase
liquidatoria.
    Ne  discende  che il rimettente avrebbe correttamente individuato
il    tertium    comparationis   nell'amministrazione   straordinaria
disciplinata  dal  d.lgs. n. 270 del 1999, richiamata dalle norme del
decreto-legge  n. 347  del 2003 ed indicata anche nei relativi lavori
preparatori  quale  disciplina  generale di riferimento, senza che la
modalita'  della  ristrutturazione  realizzata  nel  caso  in esame -
mediante  concordato  - permetta di ritenere che il tertium evocabile
sia  l'art. 124  della  legge  fallimentare.  Infatti,  il concordato
concluso  all'interno dell'amministrazione straordinaria «accelerata»
non  muta  il carattere conservativo della procedura, nella quale non
sussiste  un rapporto di funzionalita' fra trasferimento delle azioni
revocatorie  ed incremento della percentuale di recupero del credito,
mentre   nel   concordato  fallimentare  l'azione  e'  strumentale  a
consentire il soddisfacimento dei creditori.
    In  altri  termini,  il  concordato  previsto dall'art. 4-bis del
decreto-legge  n. 347  del 2003 non e' preordinato al soddisfacimento
dei   creditori  mediante  il  riparto  delle  somme  ricavate  dalla
liquidazione  dell'attivo e costituisce un elemento accidentale della
legge.
    D'altronde,  se  la  comparazione dovesse essere effettuata sulla
base della disciplina del concordato, essa dovrebbe avere riguardo al
concordato disciplinato dagli artt. 78 e 74, comma 1, lettera c), del
d.lgs. n. 270 del 1999, all'interno del quale, ad avviso della banca,
non  sarebbe  proponibile  l'azione  revocatoria  e  la  sua cessione
all'assuntore,  appunto  perche'  il  concordato  in  questo  caso si
inserisce in un piano di ristrutturazione.
    3.3.3.  -  Secondo  la  banca,  sarebbe  erroneo  distinguere tra
risanamento   soggettivo   e  risanamento  oggettivo,  in  quanto  la
distinzione  rilevante  e'  quella  tra  conservazione dell'impresa e
liquidazione  dei  beni aziendali allo scopo di pagare i creditori, e
con  il concordato in esame non e' attuata una siffatta liquidazione,
ma   si   realizza   il   risanamento   e   la  rimessione  in  bonis
dell'imprenditore.  Nella specie, che cio' sia accaduto e' confermato
dai  risultati raggiunti dall'assuntore e dalle argomentazioni svolte
in  un'altra  ordinanza  dello stesso Tribunale, che ha sollevato una
questione di costituzionalita' identica a quella in esame.
    In  conclusione, la norma impugnata e l'art. 49 del d.lgs. n. 270
del   1999   disciplinano  fattispecie  omogenee  in  modo  difforme,
realizzando  una  disparita' di trattamento in danno dei creditori ed
in  contrasto  con  le linee generali della revocatoria fallimentare,
stante l'incompatibilita' funzionale tra detta azione ed il programma
di ristrutturazione.
    3.3.4.  - Relativamente al parametro dell'art. 41 Cost., la banca
sottolinea  che  l'effetto  distorsivo della concorrenza e' correlato
alla  continuazione  dell'attivita'  di  impresa ed alla possibilita'
della  stessa  di  rimanere  sul  mercato soltanto grazie ai proventi
dell'azione  revocatoria,  come  risulta  da  una relazione economica
allegata alla memoria.
    4.  -  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  hanno  depositato
memorie  -  nel  giudizio  di cui all'ordinanza n. 53 r.o. del 2006 -
Parmalat  s.p.a.  in amministrazione straordinaria e Parmalat s.p.a.,
Bipop  Carire  s.p.a., Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e Banca
Toscana  s.p.a.,  Credito  siciliano  s.p.a.,  Cassa  di risparmio di
Savona s.p.a. e il Presidente del Consiglio dei ministri.
    4.1.   -  Parmalat  s.p.a.  in  amministrazione  straordinaria  e
Parmalat s.p.a. svolgono deduzioni in tutto identiche a quelle svolte
nel giudizio di cui all'ordinanza n. 1 r.o. del 2006.
    4.2.  -  Bipop  Carire  s.p.a.  mette  in  evidenza  che la norma
impugnata,  nel  prevedere  la  possibilita' dell'esercizio di azioni
revocatorie  nell'ambito di una procedura di risanamento, si pone «in
stridente  contraddizione»  con  la  normativa  del d.lgs. n. 270 del
1999,  la  quale vieta tali azioni «quando una parallela procedura di
amministrazione    straordinaria,   in   condizioni   sostanzialmente
identiche,    sia    autorizzata   a   svolgere   un   programma   di
ristrutturazione».
    4.2.1.  -  La  deducente contesta la fondatezza della distinzione
fra  risanamento  «oggettivo»  (ovvero  «dell'impresa») e risanamento
«soggettivo» (ovvero «dell'imprenditore»).
    Osserva,  in  primo  luogo,  che non e' «neppure configurabile un
siffatto  netto  sdoppiamento  di  ipotesi,  che,  al  contrario,  si
configurano   necessariamente   in   una  irrilevante  pluralita'  di
situazioni che si differenziano tra loro soltanto mediante ipotetiche
successive marginali graduali sfumature, che peraltro non sono idonee
a  delineare  alcun  tipo  di  reali  contrapposizioni  binarie,  che
viceversa possono agevolmente collocarsi secondo una scala in cui non
sono mai individuabili nette situazioni antitetiche».
    Osserva,  in  secondo  luogo,  che la relazione che accompagna il
decreto-legge  n. 347  del 2003 metteva ab initio chiaramente in luce
che  lo  scopo  del  provvedimento  legislativo  «era  solo quello di
consentire  un  piu' rapido avvio e svolgimento della procedura, onde
garantire  "la  efficace  e razionale ristrutturazione dell'impresa»,
cosi'   da   «conservare  l'avviamento  e  la  posizione  di  mercato
dell'impresa»   ed   assicurando  la  ristrutturazione  di  attivita'
«coerenti con l'oggetto principale dell'attivita' economica svolta"».
    Osserva,   in  terzo  luogo,  che  l'esperibilita'  delle  azioni
revocatorie   era   stata   prevista   e   voluta   fin  dal  momento
dell'emanazione  del  decreto-legge  n. 347  nel dicembre  del  2003,
quando  nel  testo del provvedimento legislativo ancora non era stato
inserito   l'art. 4-bis   (ai  sensi  del  quale  «nel  programma  di
ristrutturazione  il  commissario  straordinario  puo'  prevedere  la
soddisfazione  dei  creditori  attraverso  un concordato, di cui deve
indicare dettagliatamente le condizioni e le eventuali garanzie»).
    4.2.2.  - La deducente contesta, poi, la fondatezza dell'assunto,
secondo cui la «ristrutturazione» prevista dal d.lgs. n. 270 del 1999
e  quella  prevista  dal  decreto-legge n. 347 del 2003 non sarebbero
fattispecie   identiche,   rilevando   che   esso   «si  scontra  con
l'inequivoco  tenore  letterale delle disposizioni poste a raffronto,
che  non  consentono  di  distinguere  fra  un  risanamento «ex legge
Prodi-bis»  ed  un  risanamento  «ex  legge  Parmalat»», come e' reso
evidente,  in  particolare,  dall'art. 1,  comma 1, del decreto-legge
n. 347  del  2003,  a  tenore del quale «le disposizioni del presente
decreto  si  applicano  alle  imprese  soggette alle disposizioni sul
fallimento  in  stato  di  insolvenza  che  intendono avvalersi della
procedura   di   ristrutturazione  economica  e  finanziaria  di  cui
all'articolo 27,   comma 2,   lettera b),   del  decreto  legislativo
8 luglio 1999, n. 270».
    Tale norma dimostra che e' proprio la stessa «legge Parmalat» «ad
avere  fin  dalla sua prima formulazione qualificato ed assimilato la
procedura di ristrutturazione da essa stessa disposta come null'altro
che  una  species  di  quella  procedura» di cui al d.lgs. n. 270 del
1999.
    Nemmeno  e'  sostenibile, a suo avviso, che vi sarebbe diversita'
fra le due procedure, allorche' il «programma di ristrutturazione» ex
decreto-legge  n. 347  del 2003 sia realizzato mediante il concordato
previsto dall'art. 4-bis dello stesso decreto-legge.
    Rileva  nuovamente, a tale proposito, che la facolta' di esperire
le  azioni  revocatorie  era stata prevista gia' nel testo originario
del  decreto-legge  n. 347 del 2003, ancor prima, quindi, che venisse
aggiunta,   ben   piu'  tardi,  la  previsione  di  una  proposta  di
concordato.
    Si  puo', dunque, a suo avviso, affermare che «la distinzione fra
risanamento  oggettivo  e soggettivo (a seconda della presenza o meno
del  concordato)  rappresenta  null'altro  che  una  escogitazione  a
posteriori».
    Osserva,  inoltre, che il concordato con assuntore non e' affatto
una  innovativa  peculiarita'  della  «legge  Parmalat»,  ma era gia'
espressamente  previsto dagli artt. 74, comma 1, lettera c), e 78 del
d.lgs.  n. 270  del  1999,  sicche'  la  presenza  di  un  concordato
«rappresenta   un   elemento   del   tutto   neutro   al  fine  della
qualificazione  dell'indirizzo  della  procedura  di  amministrazione
straordinaria».
    Sostiene, poi, che non e' ammissibile alcuna analogia rispetto al
concordato  previsto  in  sede  fallimentare  dall'art. 124,  secondo
comma,  della legge fallimentare: in detta sede l'esperibilita' delle
azioni   revocatorie  «non  dipende  certo  dalla  previsione  di  un
concordato,  ma  dal  fatto  che  il  fallimento e', tipicamente, una
procedura liquidatoria».
    4.2.3.  -  La  deducente, infine, confuta la tesi, secondo cui la
ratio  del  divieto  delle  revocatorie di cui all'art. 49 del d.lgs.
n. 270  del  1999 starebbe nel fatto che con la procedura prevista da
tale  decreto  legislativo  l'imprenditore  insolvente  resterebbe  a
capo dell'impresa,   di   talche'   gli   effetti  vantaggiosi  delle
revocatorie sarebbero sempre a suo favore.
    Essa sostiene che non e' vero che la ristrutturazione di cui alla
«legge  Prodi-bis»  consenta  all'imprenditore  insolvente di restare
nella  titolarita'  e  nella  gestione  dell'azienda,  poiche' simile
affermazione non solo non risponde alla realta', ma e' smentita dalla
circostanza  che  anche  nell'ambito della ristrutturazione di cui al
d.lgs. n. 270 del 1999 e' perfettamente ammissibile un concordato per
assunzione,     «che    appunto    fisiologicamente    comporta    lo
«spossessamento» del «vecchio» imprenditore insolvente».
    Osserva,  poi,  che  la ratio del divieto delle revocatorie nelle
procedure  di  ristrutturazione  consiste «nell'evitare che la stessa
impresa,  che  resta  in  vita  nella  sua  oggettiva  consistenza  e
funzionalita',  indipendentemente  da  qualche  modifica  dei singoli
soci,  tale e quale a prima, prosegua la propria attivita' godendo di
un vantaggio che e' precluso a tutte le sue concorrenti».
    Da  questo  punto  di  vista,  appare, a suo avviso, inconferente
l'analogia con la cessione all'assuntore dell'azienda nell'ambito del
concordato  fallimentare: «in questo caso, infatti, la revocatoria e'
consentita  non certo perche' l'assuntore si sostituisce al «vecchio»
imprenditore    insolvente,   bensi'   perche',   ovviamente,   siamo
nell'ambito  di una procedura tipicamente liquidatoria (il concordato
fallimentare) che persegue l'obiettivo del pagamento dei creditori in
concorso, essendo ad essa estranea qualsiasi finalita' di risanamento
dell'impresa».
    La  ristrutturazione della Parmalat «non ha nulla da spartire col
concordato  fallimentare  con  assunzione»,  posto  che  in  essa, «a
differenza   che   nel   concordato   fallimentare,  manca  qualsiasi
ripartizione dell'attivo a favore dei creditori».
    Il concordato della procedura in questione «non prevede, infatti,
alcun  pagamento  da eseguirsi da parte dell'assuntore», ma una sorta
di  datio  in  solutum,  attribuendosi  ai creditori azioni ordinarie
dell'assuntore,  ossia  della  «nuova» Parmalat s.p.a., la quale, «in
realta', dal punto di vista oggettivo, e' identica alla "vecchia"».
    4.3.  -  Banca  Monte  dei Paschi di Siena s.p.a. e Banca Toscana
s.p.a.  contestano  anch'esse  la  fondatezza  della  distinzione fra
risanamento   «oggettivo»   (ossia   «dell'impresa»)   e  risanamento
«soggettivo»   (ossia   a  beneficio  dell'imprenditore  insolvente),
essendo chiaro che l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003 prevede
l'esperibilita' delle azioni revocatorie in ogni caso.
    4.3.1.  -  Tale  disposizione  e' costituzionalmente illegittima,
innanzitutto,  perche'  determina  «una  ingiustificata disparita' di
trattamento  fra  fattispecie  analoghe»:  da  un lato, essa «crea un
ingiustificato   privilegio   per   l'impresa   che   si   trova   in
amministrazione  straordinaria»  ai sensi del medesimo decreto-legge,
con   finalita'  di  risanamento  (l'unica  finalita'  che  legittima
l'accesso   alla   procedura),   rispetto   alle  imprese  sottoposte
all'amministrazione  straordinaria disciplinata dal d.lgs. n. 270 del
1999;   dall'altro   lato,  «produce  un  ingiustificato  trattamento
deteriore per i terzi che abbiano avuto rapporti contrattuali» con la
prima  impresa  rispetto  a  coloro  che  hanno avuto rapporti con le
seconde.
    L'art. 49   del   d.lgs.   n. 270  del  1999,  infatti,  consente
l'esercizio   delle   azioni   revocatorie   «soltanto  se  e'  stata
autorizzata  l'esecuzione  di  un programma di cessione dei complessi
aziendali»  e, dunque, solo ove l'amministrazione straordinaria abbia
finalita' liquidatoria, e non conservativa.
    Tale  differenza  di  trattamento e' irragionevole, atteso che la
circostanza  che in amministrazione straordinaria si trovino «grandi»
imprese (con almeno duecento dipendenti) ovvero «grandissime» imprese
(con  almeno  cinquecento dipendenti) «e' del tutto ininfluente circa
la  funzione  demandata  all'azione  revocatoria, che mai puo' essere
diretta a facilitare - attraverso la deroga alle regole generali - un
sostanziale arricchimento dell'impresa che ne beneficia».
    4.3.2. - Ne' la differenza di disciplina puo' essere giustificata
dal  requisito  del  «vantaggio per i creditori» previsto dalla norma
impugnata:  infatti, la disparita' di trattamento non viene meno se i
proventi  delle  azioni  revocatorie vanno a beneficio dei creditori,
«perche'  anche  in tal caso e' violato il principio fondamentale per
il quale l'imprenditore deve far fronte alle proprie obbligazioni con
i proventi dell'attivita' di impresa».
    Peraltro,  la  locuzione «vantaggio per i creditori» e' «priva di
autonoma  portata normativa», essendo insita nella natura dell'azione
revocatoria «la sua strumentalita' al vantaggio dei creditori».
    4.3.3.  -  La  norma  impugnata  viola, altresi', il principio di
liberta'  della  concorrenza di cui all'art. 41 Cost., atteso che gli
altri  soggetti  economici,  che operano in concorrenza con l'impresa
sottoposta  ad  amministrazione straordinaria ex decreto-legge n. 347
del   2003,   «non  avendo  a  disposizione  il  rimedio  dell'azione
revocatoria   per  reintegrare  il  proprio  patrimonio,  si  trovano
ingiustificatamente  in  posizione  di inferiorita' sul mercato, e di
conseguenza  non  possono svolgere la propria attivita' in condizioni
di parita».
    Anche  sotto  questo  profilo,  il requisito del «vantaggio per i
creditori»  e'  irrilevante,  poiche'  sono  i creditori dell'impresa
insolvente  e  non  le  imprese  concorrenti  che  debbono «subire il
pregiudizio derivante dall'insolvenza», avendo essi «fatto credito ad
un'impresa che non lo meritava».
    4.3.4.   -   Le   deducenti   prospettano,  in  alternativa  alla
dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale, una interpretazione
costituzionalmente orientata della norma impugnata.
    Il  requisito  del  «vantaggio  per  i  creditori»  puo'  rendere
ammissibili  le  revocatorie  solo  se interpretato nel senso che «il
commissario  di  un'impresa  in  ristrutturazione deve distribuire ai
creditori,  senza  trattenerlo a beneficio dell'impresa, tutto quanto
incassi  dalle  azioni  revocatorie; oppure, se l'impresa conclude un
concordato,  e'  necessario  che i proventi delle azioni revocatorie,
attraverso l'assuntore che le prosegue, siano integralmente destinati
ai  creditori,  in  via  immediata  e  diretta,  e quindi in denaro».
Inoltre,  e'  necessario  che  «il  riparto  di  tutti  i proventi di
ciascuna  singola  azione  revocatoria  avvenga  a  favore  dei  soli
creditori   della   specifica   societa'   che   ha  compiuto  l'atto
revocabile».
    4.3.5.  -  Le deducenti osservano, poi, che, nello specifico caso
del  concordato  della  Parmalat,  in  cui si e' prevista la cessione
delle   azioni   revocatorie   ad   una   societa'  assuntrice  e  il
soddisfacimento   dei   creditori  mediante  attribuzione  di  titoli
azionari  di  detta  societa',  le  azioni revocatorie non sono state
considerate  nei  recovery  ratios  (ossia  nelle  percentuali  che i
creditori  avrebbero  potuto recuperare dal patrimonio delle societa'
debitrici  in  caso di liquidazione); e che, comunque, le revocatorie
arrecheranno  «un  vantaggio  netto all'assuntore, del quale potranno
(eventualmente) trarre beneficio i relativi azionisti, ma soltanto in
tale  veste  ed  a  prescindere  dalla  qualita'  o meno di creditori
originariamente rivestita».
    4.3.6.  -  Le  deducenti,  passando a confutare le argomentazioni
dell'Avvocatura  dello  Stato, osservano che, avendo la parte attrice
promosso    l'azione   revocatoria   sulla   base   dell'art. 6   del
decreto-legge  n. 347  del  2003,  ove  tale  norma  venisse  espunta
dall'ordinamento,  «la  domanda  diverrebbe  inammissibile», donde la
indubbia  rilevanza  della  questione  ai  fini  della  decisione del
giudizio a quo.
    La   questione,  inoltre,  e'  rilevante  anche  con  riferimento
all'ipotesi di ristrutturazione senza concordato, per il fatto che la
sentenza  di  omologazione  del  concordato  non e' ancora passata in
giudicato;   non   e',   quindi,  possibile  escludere  che  l'azione
revocatoria,  in  difetto di omologazione, «sia proseguita dalla sola
Parmalat  s.p.a.  in  amministrazione straordinaria, sulla base della
legittimazione  ordinaria  prevista  dal  primo  comma dell'art. 6 in
esame»,   e,   dunque,   nell'ambito,   extraconcordatario,  di  «una
ristrutturazione industriale che ha come traguardo finale il recupero
dell'equilibrio  economico  delle attivita' imprenditoriali» (come si
esprime  l'Avvocatura  dello  Stato),  ossia proprio quel contesto in
cui,   secondo  la  difesa  erariale,  l'azione  revocatoria  sarebbe
costituzionalmente illegittima.
    Nel  merito,  le  deducenti osservano che e' infondato l'assunto,
secondo  cui  la norma impugnata sarebbe costituzionalmente legittima
limitatamente  alla  parte in cui ammette l'esperibilita' dell'azione
revocatoria   fallimentare   nella   procedura   di   amministrazione
straordinaria  mediante  ristrutturazione industriale definita con un
concordato,  poiche'  in  tal caso, facendosi luogo ad una «falcidia»
concorsuale, l'azione revocatoria manterrebbe le sue tipiche funzioni
(recuperatoria e ridistributiva).
    Tale  assunto non e' compatibile con l'impianto del decreto-legge
n. 347  del  2003,  posto  che  l'assuntore  non  puo'  autonomamente
proporre  le revocatorie, ma puo' solo proseguire quelle promosse dal
commissario  straordinario. Di conseguenza, si avrebbe una «struttura
dell'azione   revocatoria   davvero   anomala»,   in   quanto  «unico
legittimato   a   proporla   sarebbe   un  soggetto  (il  commissario
straordinario) che a seguito del concordato non sarebbe legittimato a
proseguirla;  l'azione proposta dal commissario straordinario sarebbe
contraria   ai  principi  costituzionali  fino  a  quando  non  fosse
proseguita  dall'assuntore;  nonostante l'intervento dell'assuntore a
seguito  della sentenza di primo grado di approvazione del concordato
(come  nella  specie),  la  legittimita'  dell'intervento,  e  quindi
dell'azione revocatoria stessa non sussisterebbe fino al passaggio in
giudicato   della  sentenza  stessa».  Una  volta,  poi,  passata  in
giudicato  detta  sentenza, non si comprenderebbe come l'azione possa
divenire ammissibile nel corso del giudizio.
    D'altro canto, l'asserita compatibilita' fra ristrutturazione con
«falcidia» dei crediti e azioni revocatorie e' smentita dal fatto che
anche  nell'amministrazione straordinaria di cui al d.lgs. n. 270 del
1999  la  ristrutturazione puo' essere effettuata mediante concordato
(art. 56,  comma 3,  ultima  parte, del citato decreto legislativo) e
nonostante  cio' l'esperibilita' dell'azione revocatoria e' preclusa:
«segno  evidente  che  detta  esperibilita'  non  richiede  (solo) il
mancato  integrale  pagamento  dei  creditori,  ma  presuppone  anche
l'eliminazione  dell'impresa  dal mercato», proprio cio' che, invece,
il decreto-legge n. 347 del 2003 «si proponeva di evitare».
    4.4.   -   Credito   siciliano   s.p.a.,  premesso  che  l'azione
revocatoria  -  come  e'  stato  chiarito  anche dalla giurisprudenza
costituzionale  (sentenza  n. 379  del  2000)  -  e'  strumentale  al
soddisfacimento   dei  creditori  e  non  puo'  perseguire  finalita'
diverse,   osserva   che   il  concordato  proposto  dal  commissario
straordinario   di   Parmalat,   sulla   base   dell'art. 4-bis   del
decreto-legge   n. 347  del  2003,  prevede  il  soddisfacimento  dei
creditori chirografari mediante assegnazione di azioni della societa'
assuntrice,  con il che i creditori «perdono la qualita' di creditori
ed  assumono  quella  di  azionisti». «In questa prospettiva, l'esito
favorevole   delle  domande  revocatorie  non  e'  piu'  destinato  a
reintegrare  la garanzia dell'articolo 2740 cod. civ. (i debiti delle
imprese  insolventi  sono, infatti, estinti), ma ad attribuire valore
alle  azioni  della  societa'  assuntrice».  Le  azioni  revocatorie,
dunque,  non  servono  a  garantire  il  pagamento  dei creditori, ma
rappresentano un diverso beneficio patrimoniale, «un «plusvalore», e,
cioe', un vantaggio «ulteriore» e diverso, che nulla ha da vedere con
il  pagamento  dei crediti», il quale «si esaurisce nell'assegnazione
dei  titoli  azionari».  I  risultati  utili delle azioni revocatorie
entrano   nel   patrimonio   di  un  soggetto  diverso  dal  debitore
insolvente,  la  societa'  assuntrice,  e di essi beneficiano, in via
mediata,   i   suoi   azionisti,  i  quali,  pero',  «non  coincidono
necessariamente con i creditori chirografari».
    Con   cio'  il  decreto-legge  n. 347  del  2003,  «discostandosi
irragionevolmente  dai  principi  che  regolano  la materia, piega la
revocatoria fallimentare ad esigenze del tutto improprie».
    4.4.1.  -  La deducente osserva, poi, che i convenuti soccombenti
nei   giudizi   revocatori,   ammessi  al  concorso  per  il  credito
conseguente  alla  restituzione  di  quanto avevano ricevuto, saranno
anch'essi  soddisfatti mediante assegnazione di titoli azionari della
societa'  assuntrice e saranno, dunque, costretti a diventare soci di
questa,  «pur  non  avendovi  consentito»,  e  a differenza di quanto
previsto   dal  d.lgs.  n. 270  del  1999  per  i  soccombenti  nelle
revocatorie    promosse   nell'ambito   delle   procedure   da   esso
disciplinate.
    Di  talche'  il  decreto-legge  n. 347  del  2003  determina «una
evidente   violazione   della   liberta'   di   iniziativa  economica
(articolo 41  Cost.)  e  del  principio  di  uguaglianza  (articolo 3
Cost.)».
    4.4.2.  -  La deducente osserva, infine, «come nel caso di specie
sia  ravvisabile  un  vizio di eccesso di potere legislativo sotto il
profilo  dello  sviamento  dell'attivita'  legislativa;  da  un lato,
infatti,  la  normativa,  al  di  la'  del  suo  apparente  contenuto
generale,  e' stata adottata al fine specifico di supportare esigenze
proprie  dell'amministrazione  straordinaria di Parmalat, perseguendo
con   cio'   un  fine  diverso  da  quello  proprio  dello  strumento
legislativo. Dall'altro essa manifesta, in ogni caso, una altrettanto
evidente  contraddizione tra fini perseguiti e mezzi predisposti, che
si  risolve in sviamento rispetto alle attribuzioni che l'ordinamento
assegna alla funzione legislativa».
    4.5.  -  Cassa di risparmio di Savona s.p.a., nel ribadire le sue
conclusioni,  segnala  che  il  Tribunale  ordinario  di  Parma,  con
ordinanza  del  1° marzo  2006,  ha  sollevato  analoga  questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 6,  commi 1  e  1-ter,  del
decreto-legge n. 347 del 2003.
    4.6.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per l'intervenuto
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  ha  anch'essa  depositato
memoria,  di contenuto identico a quello della memoria depositata nel
giudizio di cui all'ordinanza n. 1 r.o. del 2006.
    4.7.  - Ha, altresi', depositato memoria Sanpaolo-IMI s.p.a., non
costituita  nel  giudizio  a  quo,  ma  intervenuta  nel  giudizio di
costituzionalita'.
    5.  -  In  data 31 marzo 2006, Parmalat s.p.a. in amministrazione
straordinaria  e  Parmalat  s.p.a.  hanno  depositato  una  ulteriore
memoria  della  quale,  per  la  sua tardivita', e' stato disposto lo
stralcio dagli atti.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale ordinario di Parma dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347
(Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese
in  stato  di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge
18 febbraio  2004,  n. 39, come modificato dal decreto-legge 3 maggio
2004,  n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa
sulle  grandi  imprese  in  stato  di  insolvenza),  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  5 luglio  2004,  n. 166, assumendone il
contrasto  con gli articoli 3 e 41 della Costituzione, nella parte in
cui  consente  l'esercizio  delle  azioni revocatorie, previste dagli
articoli 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova
disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
stato  di  insolvenza,  a norma dell'articolo 1 della legge 30 luglio
1998,  n. 274),  in  costanza  di  un  programma  di ristrutturazione
dell'impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria.
    In  proposito  va  precisato che ne' il decreto-legge 28 febbraio
2005,  n. 22  (Interventi urgenti nel settore agroalimentare), ne' la
relativa  legge  di  conversione 29 aprile 2005, n. 71, hanno inciso,
contrariamente a quanto si afferma nel dispositivo delle ordinanze di
rimessione,  sulla  norma  censurata  (ma  soltanto  sull'art. 4-bis,
comma 6, ultimo periodo, del decreto-legge n. 347 del 2003).
    Va, altresi', precisato che, nei giudizi a quibus, non si pone in
concreto   alcuna   questione   concernente   le  azioni  revocatorie
cosiddette  «infragruppo»  di  cui  all'art. 91 del d.lgs. n. 270 del
1999.
    2.  -  L'identita' delle argomentazioni svolte dalle ordinanze di
rimessione impone la riunione dei giudizi.
    3.  -  Preliminarmente,  deve essere ribadito quanto statuito con
ordinanza  - della quale e' stata data lettura in udienza e che viene
allegata    alla   presente   sentenza   -   circa   l'ammissibilita'
dell'intervento  spiegato  da  Parmalat  s.p.a.  nel  giudizio di cui
all'ordinanza n. 1 r.o. del 2006 e l'inammissibilita' dell'intervento
spiegato,  nel  giudizio di cui all'ordinanza n. 53 r.o. del 2006, da
Sanpaolo-IMI s.p.a. e da UBS Limited.
    4.  -  Le questioni sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. non
sono fondate.
    4.1.   -   La  violazione  dell'art. 3  Cost.  e'  ravvisata  dai
rimettenti   nella   irragionevole   disparita'  tra  il  trattamento
riservato   all'impresa   che   abbia   in   corso  un  programma  di
ristrutturazione,  da  un  lato, dall'art. 6 del decreto-legge n. 347
del 2003, e successive modificazioni (cosiddetta «legge Marzano»), e,
dall'altro  lato, dalle disposizioni di cui al d.lgs. n. 270 del 1999
(cosiddetta  «legge  Prodi-bis»);  cio' in quanto l'una consente e le
altre escludono - anche nel caso di concordato autorizzato ex art. 78
del  d.lgs.  n. 270  del  1999,  nonostante oggetto di disciplina sia
sempre  la  procedura  di  amministrazione  straordinaria  di  grandi
imprese  in  crisi,  ed anzi il d.lgs. n. 270 del 1999 costituisca la
«normativa generale di riferimento cui la «legge Marzano» fa espresso
riferimento»  -  l'esperimento delle azioni revocatorie fallimentari,
quando  sia  perseguita «la ristrutturazione economica e finanziaria»
dell'impresa insolvente.
    Ricordato  che  l'art. 49  del d.lgs. n. 270 del 1999, prevedendo
che  le  azioni  revocatorie «possono essere proposte dal commissario
straordinario  soltanto  se  e'  stata autorizzata l'esecuzione di un
programma  di cessione dei complessi aziendali» e rilevato che «detta
previsione  normativa  ha  reso  il  nostro ordinamento nuovamente in
linea   con   le   finalita'   connaturate   all'azione   revocatoria
fallimentare» (di ricostruzione del patrimonio del debitore ovvero di
ripartizione  della  perdita  tra tutti i creditori), le ordinanze de
quibus escludono che procedure miranti alla conservazione, e non gia'
alla  liquidazione  dell'impresa, siano compatibili con le funzioni -
recuperatoria e ridistribuiva - dell'azione revocatoria.
    Irragionevolmente la norma censurata avrebbe «ribaltato la scelta
consapevolmente  operata  con  l'art. 49  della legge «Prodi-bis»», e
tale  irragionevolezza  «risulta  amplificata,  ove si consideri come
l'opzione  a  favore  della «Marzano» sia sostanzialmente rimessa dal
legislatore  all'unilaterale  iniziativa  dell'impresa insolvente, la
quale potrebbe essere opportunisticamente motivata dalle possibilita'
di eterofinanziamento insito nell'esercizio di azioni revocatorie».
    Del  tutto  pleonastico ed inconcludente sarebbe l'inciso per cui
occorre  che le azioni «si traducano in un vantaggio per i creditori»
ed  irrilevante  sarebbe  la  circostanza che, nel caso di specie, il
«risanamento»  abbia  ad  oggetto  l'impresa  -  ceduta, a seguito di
concordato,  ad un assuntore - e non gia' l'imprenditore: ed infatti,
osservano  i  rimettenti,  il  concordato  costituisce solo una delle
modalita'   del   programma  di  ristrutturazione  (laddove  l'art. 6
«assicura  lo strumento revocatorio alla procedura di amministrazione
straordinaria in quanto tale»), sicche' «le censure di illegittimita'
si   incentrano  sulla  disciplina  generale  della  procedura  [...]
nell'ambito   della   quale   l'epilogo   naturale  del  processo  di
risanamento e' costituito dal ritorno dell'imprenditore all'ordinaria
operativita'    industriale,   a   conclusione   del   programma   di
ristrutturazione  con  qualunque  modalita'  attuato, ivi compreso il
concordato  con  assunzione  che  costituisce  un'ipotesi  del  tutto
eventuale    e    residuale   di   conclusione   del   programma   di
ristrutturazione  dell'impresa,  cui  il  legislatore assegna la sola
valenza  di determinare l'immediata chiusura della procedura rispetto
alla sua fisiologica durata ed al suo naturale espletamento».
    4.2.  -  Deve  osservarsi,  in  primo  luogo  -  e  salvo  quanto
diffusamente  si  osservera'  circa  gli  sviluppi  e gli esiti della
procedura  (rectius:  delle procedure) di cui alla «legge Marzano» -,
che  e'  priva  di  riscontro  normativo  la  tesi  secondo  la quale
«l'opzione  a  favore della "Marzano" sia sostanzialmente rimessa dal
legislatore  all'unilaterale  iniziativa dell'impresa insolvente», se
con   cio'   si  intende  affermare  -  come  sembra  presupporre  il
riferimento  al  fine  di  giovarsi  di eterofinanziamenti altrimenti
preclusi  -  che  la  scelta  in  favore della procedura speciale sia
rimessa  all'impresa  insolvente.  Se e' vero, infatti, che l'impresa
insolvente  e' legittimata a proporre l'istanza (art. 1, comma 1, del
decreto-legge  n. 347  del 2003), e' anche vero che l'istanza stessa,
«motivata  e  corredata  di  adeguata  documentazione»,  deve  essere
vagliata  dal Ministro, prima (ai fini dell'emissione del decreto), e
dal  tribunale,  poi  (ai  fini  della  dichiarazione  dello stato di
insolvenza), e che l'intervento del tribunale deve essere sollecitato
con   «contestuale  ricorso  per  la  dichiarazione  dello  stato  di
insolvenza»  (art. 2,  comma 1,  del decreto-legge n. 347 del 2003) e
con immediata comunicazione del decreto del Ministro (comma 3).
    L'ammissione alla procedura de qua, quindi, e' subordinata ad una
verifica  -  dapprima  in  sede  amministrativa,  e  quindi  in  sede
giurisdizionale  -  della  sussistenza  dei  requisiti «dimensionali»
previsti  dall'art. 1  del decreto-legge n. 347 del 2003; alla stessa
verifica,  cioe',  alla quale e' subordinata - ma in ordine inverso -
l'ammissione   alla   procedura   di   amministrazione  straordinaria
disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999.
    E'  del tutto evidente che tale iter - che mira ad «accelerare la
definizione  dei  relativi procedimenti, assicurando la continuazione
ordinata    delle    attivita'    industriali    senza    dispersione
dell'avviamento»  (cosi'  la  premessa  del  decreto-legge n. 347 del
2003)  -  non  altera,  rispetto alla procedura «ordinaria» di cui al
d.lgs. n. 270 del 1999, le garanzie di controllo commesse dalla legge
all'autorita'  giudiziaria  ed  a  quella amministrativa, discendendo
l'applicazione  dell'una  o  dell'altra  procedura esclusivamente dai
requisiti «dimensionali» che ne costituiscono il presupposto.
    4.3.  -  Muovendo  dalla  corretta  premessa  - avallata anche da
questa  Corte  (sentenza  n. 379  del  2000)  -  secondo  la quale il
sacrificio  che  l'azione revocatoria impone ai terzi «trova adeguata
giustificazione  nelle  esigenze di tutela della par condicio» e che,
pertanto,  di  essa  non  puo' giovarsi l'imprenditore insolvente, le
ordinanze   di   rimessione   fanno   di  tale  premessa,  attraverso
un'interpretazione  angustamente  letterale  del  combinato  disposto
dell'art. 1,  comma 1,  e  dell'art. 6,  comma 1,  del  decreto-legge
n. 347 del 2003, un'applicazione inaccettabile.
    Ed  infatti,  poiche'  la prima norma fa riferimento alle imprese
«che   intendono   avvalersi   della  procedura  di  ristrutturazione
economica  e finanziaria di cui all'art. 27, comma 2, lettera b), del
decreto  legislativo  8 luglio  1999,  n. 270»  e  la  seconda  norma
consente  «le  azioni revocatorie previste dagli articoli 49 e 91 del
decreto   legislativo   n. 270   anche  nel  caso  di  autorizzazione
all'esecuzione  del  programma di ristrutturazione», se ne deduce che
l'art. 6  del decreto-legge n. 347 del 2003 consente all'imprenditore
insolvente  di  ristrutturarsi  - e di tornare in bonis - a spese dei
terzi assoggettati a revocatoria: cio' che, da un lato, l'art. 49 del
d.lgs.  n. 270  del  1999  esclude  e  cio' che, dall'altro lato, non
sarebbe  impedito dall'inciso finale - «pleonastico», si dice - dello
stesso  art. 6,  comma 1 («purche' si traducano in un vantaggio per i
creditori»).
    In  realta',  deve escludersi che quella appena riferita non solo
sia   l'unica   possibile,   ma   anche  che  essa  sia  la  corretta
interpretazione  delle  norme  in  questione,  e  cioe' che la «legge
Marzano»  abbia  attribuito  all'azione revocatoria, in spregio delle
sue funzioni recuperatoria e redistributiva, il compito di consentire
all'imprenditore  insolvente  di  ristrutturare l'impresa a spese dei
terzi  assoggettati  -  per atti in se' legittimi, ma posti in essere
nel  periodo  sospetto  - alle revocatorie esperite (sostanzialmente,
anche se non formalmente) dal debitore per consentirgli di tornare in
bonis.
    L'erroneita'  dell'interpretazione  adottata  dai  rimettenti  e'
rivelata,  in  primo  luogo,  dal  costante  uso promiscuo - quasi si
trattasse  di  sinonimi - delle locuzioni «imprenditore insolvente» e
«impresa  insolvente»;  commistione  di termini (e di concetti) dalla
quale   deriva,  in  secondo  luogo,  l'asserita  indifferenza  delle
«modalita»  attraverso  le  quali si puo' realizzare il «risanamento»
(considerato in se) e, ancora, la pretesa di censurare «la disciplina
generale  della  procedura»,  prescindendo  dall'esame  delle singole
disposizioni  di  cui  si  compone la «legge Marzano» e acriticamente
assimilando  gli  esiti  (ben diversi) della procedura ed i contenuti
che puo' assumere il programma di ristrutturazione.
    4.4.  - In realta' il decreto-legge n. 347 del 2003 introduce una
procedura   speciale,  che  si  articola  in  vari  sub-procedimenti,
nell'ambito  di  quella  prevista  dal  d.lgs. n. 270 del 1999, della
quale   condivide   la   natura   («concorsuale»)   e   le  finalita'
(«conservative  del  patrimonio  produttivo»), enunciate dall'art. 1,
comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999.
    Tale  decreto  legislativo  persegue  quelle  finalita' (art. 27)
attraverso  due  strumenti alternativi: il programma di cessione, nel
quale  la  finalita'  conservativa  e'  associata  ad  una  modalita'
liquidatoria,  che  di  quella  finalita'  sia  rispettosa (l'art. 63
chiarisce  che,  ai  fini  della scelta dell'acquirente, sul criterio
dell'ammontare  del  prezzo offerto prevale quello dell'affidabilita'
ai  fini  della  prosecuzione  dell'attivita'  e del mantenimento dei
livelli  occupazionali),  ed  il  programma  di ristrutturazione, nel
quale  la  finalita'  conservativa  dell'impresa  mira  a far si' che
l'imprenditore  recuperi  «la capacita' di soddisfare regolarmente le
sue  obbligazioni»,  come  prevedono  gli artt. 70, lettera b), e 74,
lettera b).
    La  «legge  Marzano»,  a  sua  volta, indica tra i «requisiti per
l'ammissione» alla procedura (cosi' la rubrica dell'art. 1) l'intento
dell'impresa    insolvente   di   «avvalersi   della   procedura   di
ristrutturazione  economica  e  finanziaria  di  cui all'articolo 27,
comma 2,  lettera b),  del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270»
(e cioe' del programma di ristrutturazione che, nella «Prodi-bis», e'
alternativo   rispetto   a   quello,   liquidatorio-conservativo,  di
cessione),  ma  non  esclude affatto che la procedura si evolva - fin
dalla  redazione  del  programma,  o  anche  successivamente  - verso
programmi  aventi un indirizzo ed un esito diversi da quello indicato
nella  sua  istanza  dall'impresa  insolvente.  Ed infatti, l'art. 4,
comma 4,    del    decreto-legge    n. 347    del    2003   chiarisce
inequivocabilmente  che  il  programma  di  ristrutturazione  di  cui
all'art. 27,  comma 2,  lettera b),  del  d.lgs. n. 270 del 1999 puo'
essere sostituito - se e' possibile adottarlo - da uno di cessione ex
art. 27,  comma 2,  lettera a),  del  medesimo decreto legislativo, e
che,   ove   questo   non  sia  adottabile,  puo'  farsi  luogo  alla
dichiarazione  di  fallimento:  dove  e'  evidente  che  il requisito
indicato  dall'art. 1,  comma 1,  del  decreto-legge  n. 347 del 2003
connota   l'istanza   di   ammissione,  e  non  gia'  (e  tanto  meno
indefettibilmente)  la procedura, la quale puo' evolversi verso esiti
conservativo-liquidatori  (cessione)  ovvero  liquidatori  tout court
(fallimento).
    In  questo  contesto - che esclude alla radice la correttezza del
sillogismo   secondo   il   quale,  non  essendo  ammissibili  azioni
revocatorie   nelle   procedure  conservative  ed  avendo  sempre  la
procedura de qua carattere conservativo, sarebbe illegittima la norma
che quelle azioni consente - si inserisce il disposto dell'art. 4-bis
della  «legge  Marzano»,  la  cui  specificita' sta in cio', che esso
prevede  che  il  concordato  possa  far  parte,  ed  anzi costituire
elemento   essenziale,   del  programma  approntato  dal  commissario
straordinario.  Il  tenore  letterale  della  norma,  peraltro, rende
evidente che il concordato puo' essere con assunzione ovvero senza, e
cioe'  o  con  l'intervento  di un terzo al quale sia ceduto l'intero
patrimonio  dell'imprenditore  insolvente e che «si accolla l'obbligo
di adempiere il concordato», ovvero senza alcun intervento di terzi e
con  la  previsione,  al  piu', che un terzo garantisca l'adempimento
delle  obbligazioni  assunte,  con  il  concordato, dall'imprenditore
insolvente.
    E'  del  tutto  evidente  che  le  due  possibili  modalita'  del
concordato - individuate nel citato art. 4-bis, comma 1: quello senza
assuntore  alla lettera c) e quello con assuntore alla lettera c-bis)
-  rispondono, l'uno (senza assuntore), all'indirizzo conservativo di
cui  alla  lettera b)  dell'art. 27  del  d.lgs.  n. 270  del 1999 e,
l'altro,  all'indirizzo  di «cessione dei complessi aziendali» di cui
alla  lettera a)  della medesima norma (quale liquidazione forfetaria
del patrimonio del debitore).
    In  sintesi,  un  esame  dell'intero  sistema normativo delineato
dalla «legge Marzano» rende chiaro come questo, muovendo sempre da un
proposito  (dell'impresa  insolvente) di conservazione del patrimonio
produttivo  in  vista  del ritorno in bonis, consenta, da un lato, di
dare   attuazione   a  tale  proposito  attraverso  il  programma  di
ristrutturazione  (e,  nell'ambito  di  questo, valendosi anche dello
strumento  del concordato, nel quale un terzo puo' assumere, al piu',
il  ruolo  di garante) ovvero, dall'altro lato, di evolversi verso la
liquidazione  (pur  sempre  conservativa)  del patrimonio produttivo,
attuabile  o  con  la  cessione  ex art. 27, comma 2, lettera a), del
d.lgs.  n. 270  del  1999  o  con il concordato con assuntore ovvero,
ancora, verso esiti esclusivamente liquidatori con il fallimento.
    E'  appena  il  caso  di  rilevare  come  le  due  modalita'  del
concordato previste dall'art. 4-bis del decreto-legge n. 347 del 2003
corrispondano  perfettamente a quelle gia' previste dall'art. 124 del
regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
concordato   preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
liquidazione  coatta  amministrativa),  il quale consente la cessione
delle  azioni  revocatorie «gia' proposte dal curatore» all'assuntore
(«a  favore  del  terzo  che  si  accolla  l'obbligo  di adempiere il
concordato»:  comma secondo) e la esclude (comma terzo) «a favore del
fallito  e  dei  suoi  fideiussori»  (e,  quindi,  anche  nel caso di
concordato  con  garanzia  del terzo); cosi' come e' agevole rilevare
che  il  medesimo  art. 124 - come modificato dal decreto legislativo
9 gennaio   2006,  n. 5  (Riforma  organica  della  disciplina  delle
procedure  concorsuali  a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge
14 maggio  2005,  n. 80)  -  ammette  modalita'  di soddisfazione dei
creditori   del  tutto  identiche  a  quelle  previste  dalla  «legge
Marzano».
    Quanto  all'argomento  che  le ordinanze di rimessione tentano di
trarre  dall'art. 78 del d.lgs. n. 270 del 1999, e' agevole osservare
che  il  concordato al quale tale norma fa riferimento certamente non
prevede, ne' puo' prevedere, cessione alcuna di azioni revocatorie se
esso  e'  conclusivo di una procedura di ristrutturazione ex art. 27,
comma 2,  lettera b)  (essendo  evidente che tali azioni non potevano
essere  esperite dal commissario, per il divieto di cui all'art. 49),
mentre  altrettanto  certamente esso puo' prevedere una tale cessione
se,  avendo  il  commissario  iniziato azioni revocatorie prima della
proposta di concordato, questo intervenga a chiusura di una procedura
con programma di cessione dei beni ex art. 27, comma 2, lettera a), e
l'obbligo  di  adempiere le obbligazioni derivanti dal concordato sia
stato   assunto   da   un  terzo:  il  carattere  «neutro»,  insomma,
dell'art. 78  non  consente di affermare l'estraneita' della cessione
delle    azioni    revocatorie   al   «concordato»,   monoliticamente
considerato, della «legge Prodi-bis».
    4.5.  -  Il  quadro  normativo  che si e' appena delineato, quale
risulta dall'esame dell'intero contenuto del decreto-legge n. 347 del
2003,   comporta   l'infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata dal giudice rimettente esclusivamente sulla
base della locuzione con la quale, nell'art. 1, comma 1, del medesimo
decreto-legge e' definito il programma nel momento in cui e' proposta
l'istanza di ammissione alla procedura speciale.
    Una  adeguata  considerazione  di quel quadro normativo, infatti,
non  consente certamente di qualificare «pleonastico» l'inciso finale
dell'art. 6,  comma 1,  ma,  al  contrario,  di attribuirgli valore e
significato  ben  precisi,  idonei  a  fugare i dubbi di legittimita'
costituzionale sollevati: e' evidente, infatti, che quell'inciso - in
una  norma  la cui prima parte (derivante dall'originaria stesura del
provvedimento  normativo)  sembra  ammettere  sempre  ed in ogni caso
l'esperibilita'  delle  azioni revocatorie - ben puo' (e deve) essere
inteso  nel  senso  che quelle azioni sono ammissibili solo quando la
procedura  si  sia  evoluta in senso liquidatorio, e cioe' o verso la
cessione  di  cui all'art. 27, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 270
del  1999  o verso il concordato con assunzione ovvero, ancora, verso
il  fallimento.  L'infondatezza  della  questione, come sollevata dai
rimettenti,  e' confermata non solo dall'oscurita' dell'affermazione,
apodittica,  per  la  quale  sarebbe «dubbio» il parametro costituito
dall'art. 124  del  r.d.  n. 267  del  1942  (legge fallimentare), ma
anche,  e  soprattutto, dall'affermazione finale secondo la quale «le
censure  di  illegittimita'  si  incentrano sulla disciplina generale
della  procedura,  nell'ambito  della  quale  l'epilogo  naturale del
processo  di  risanamento e' costituito dal ritorno dell'imprenditore
all'ordinaria  operativita'  industriale, a conclusione del programma
di  ristrutturazione  con  qualunque  modalita'  attuato  (artt. 4  e
4-bis)»:   passo   dal  quale  emerge  limpidamente  come  l'asserita
irrilevanza   dell'indirizzo  assunto  in  concreto  dalla  procedura
discenda  dall'impostazione  «nominalistica» della questione, fondata
sulla  sola  lettera  dell'art. 1,  comma 1, della «legge Marzano», e
comporti l'arbitraria attribuzione alla procedura, quali che siano le
«modalita»  attraverso  le  quali si svolge, di un «epilogo naturale»
(«ritorno  dell'imprenditore all'ordinaria operativita' industriale»)
che  e' estraneo proprio alla «modalita» (e non solo ad essa) assunta
nell'ipotesi  oggetto  dei  giudizi  a quibus. Tanto poco il «ritorno
dell'imprenditore all'ordinaria operativita' industriale» costituisce
l'«epilogo  naturale»  della  procedura de qua che, ove il concordato
con  assuntore  non  fosse  stato approvato dai creditori o non fosse
stato   omologato   dal  tribunale,  sarebbe  stata  possibile  -  ex
art. 4-bis,  comma 11-bis,  del  decreto-legge  n. 347  del 2003 - la
presentazione   di   un   piano  di  cessione  ex  art. 27,  comma 2,
lettera a),  del  d.lgs.  n. 270  del  1999  e,  in  caso  di mancata
presentazione   o   di  mancata  approvazione,  la  dichiarazione  di
fallimento;  sicche'  una  «modalita»  liquidatoria  segue,  sempre e
necessariamente,  non solo alla (iniziale) impraticabilita' del piano
di   ristrutturazione   (art. 4,  comma 4),  ma  anche  alla  mancata
approvazione   del   concordato,  conservativo  se  con  garanzia,  o
liquidatorio se con assuntore.
    5.  - Le questioni sollevate in riferimento all'art. 41 Cost. non
sono fondate.
    5.1.  -  Premesso  che  «il  risanamento  agevolato  da misure di
sostegno   finanziario  non  puo'  considerarsi  un  vero  e  proprio
risanamento   ne'  in  senso  economico  ne'  giuridico»,  i  giudici
rimettenti   deducono   che  «il  risanamento  dell'impresa  mediante
l'esperimento  dell'azione  revocatoria costituisce un ingiustificato
privilegio   [...]   e   determina   un   effetto   distorsivo  della
concorrenza», in quanto le somme riscosse a seguito delle revocatorie
non sono destinate alla soddisfazione dei creditori, ma ad «una forma
di  finanziamento  forzoso a favore dell'impresa insolvente»; sicche'
«l'esercizio  dell'azione revocatoria fallimentare nell'ambito di una
procedura   di  ristrutturazione  aziendale  determina  una  forte  e
strutturale  distorsione  della  libera  concorrenza  tra imprese con
conseguente  violazione dell'art. 41 Cost.», il quale «garantisce che
ogni  operatore economico possa operare sul mercato in una situazione
di  parita' con gli altri imprenditori e che il profitto, e quindi il
successo, dell'impresa dipenda dal giudizio insito nelle dinamiche di
mercato».
    5.2.   -   Le   considerazioni   in   precedenza   svolte   circa
l'incomparabilita'  dell'impresa (rectius: dell'imprenditore) oggetto
di  «risanamento»  a  norma  del  d.lgs.  n. 270 del 1999 e di quella
«risananda»  a  mezzo di concordato con assuntore ex art. 4-bis della
«legge  Marzano»  sono  sufficienti  per  dichiarare  non  fondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale,  laddove  questa  sembra
prospettare   una   irragionevole   disparita'   di  trattamento  tra
fattispecie  sostanzialmente  identiche,  e  in particolare - secondo
quanto sottolineano le parti private convenute nei giudizi a quibus -
nei  confronti  dei terzi assoggettabili a revocatoria per aver posto
in essere atti revocabili nel periodo sospetto ove coinvolti nell'una
ovvero  nell'altra  procedura.  Ora, a parte la considerazione che la
censura  e'  estranea  all'art. 41  Cost., la lamentata disparita' di
trattamento  tanto  poco e' irragionevole che essa puo' verificarsi -
ma anche stavolta per la decisiva ragione che nel primo caso, se esse
fossero  esperibili,  beneficiario  delle  azioni revocatorie sarebbe
l'imprenditore   insolvente  -  anche  nelle  ipotesi  di  concordato
fallimentare con garanzia del terzo e di quello con assunzione.
    5.3.  -  Non  fondata  e'  anche  la questione sollevata sotto il
profilo del turbamento alla concorrenza ed alla parita' di condizioni
tra  imprenditori  sul mercato per la possibilita', che l'esperimento
di  azioni  revocatorie  consentirebbe,  per  l'impresa insolvente di
giovarsi del «finanziamento forzoso» costituito dal recupero di somme
erogate ai terzi nel periodo sospetto.
    5.3.1. - Occorre premettere, in proposito, che la «legge Marzano»
costituisce  una  procedura  speciale  rispetto  a  quella, generale,
disciplinata   dalla  «legge  Prodi-bis»:  specialita',  si  e'  gia'
sottolineato,  consistente  in  una  diversa  modulazione  della fase
iniziale  e  nella  previsione  di  una  maggiore articolazione degli
strumenti utilizzabili - e del momento in cui sono utilizzabili - per
conseguire il (comune) fine conservativo del «patrimonio produttivo».
    La  constatazione  - condivisa, ovviamente, dai rimettenti - che,
per  tutto  quanto non esplicitamente derogato, trova applicazione la
«legge  Prodi-bis»  (ed  in  particolare  le  norme  -  profondamente
innovative  rispetto  a  quanto prevedeva il decreto-legge 30 gennaio
1979,    n. 26,    «Provvedimenti   urgenti   per   l'amministrazione
straordinaria   delle  grandi  imprese  in  crisi»,  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  3 aprile  1979,  n. 95  -  di  cui agli
artt. 55,  comma 2, e 58, comma 1) rende evidentemente inconferenti i
cenni  dedicati  dalle  ordinanze di rimessione a problematiche sorte
nei confronti della normativa del 1979.
    In  ogni  caso, va ribadito che i presupposti per l'ammissione al
concordato  sono gli stessi - nulla disponendo in proposito la «legge
Marzano»,  se non (come poi ha fatto, in generale, il d.lgs. n. 5 del
2006)  che  la  proposta  puo'  essere  avanzata  anche prima che sia
ultimato   l'accertamento   del   passivo   -  previsti  dalla  legge
fallimentare per l'ammissione del fallito al concordato fallimentare;
che  identica  e' la disciplina, quanto alla cedibilita' delle azioni
revocatorie,  dei  concordati fallimentari con e senza assuntore; che
identica  e' la disciplina procedimentale - ed in particolare, quella
relativa  al  voto  dei  creditori  e  alla  loro  approvazione della
proposta, costituente condicio sine qua non - per la sua omologazione
da parte del tribunale.
    5.3.2.  -  Cio' precisato, e' agevole rilevare l'inconferenza - a
prescindere   dalla  correttezza  dell'affermazione  -  di  quanto  i
rimettenti  sottolineano  circa  la mancata destinazione del ricavato
dalle   azioni   revocatorie   alla  ripartizione  tra  i  creditori:
dimenticando che, nel concordato (anche fallimentare) con assunzione,
i  creditori chirografari - a differenza di quelli muniti di cause di
prelazione,  che  devono  essere  (come  anche  nel  caso  di specie)
integralmente  soddisfatti  -  vedono  estinto il loro credito con la
corresponsione  di quanto previsto nella proposta (da loro accettata)
di  concordato omologato dal tribunale. Sicche' la circostanza che il
ricavato delle revocatorie non sia oggetto di riparto - nel senso, di
cui  agli  artt. 113 e 117 della legge fallimentare, di distribuzione
di somme di danaro - tra i creditori e' un naturale del concordato, e
cioe'   rispecchia  il  fatto  che  la  proposta  solutoria  avanzata
dall'assuntore  -  cosi'  come  l'accettazione  dei  creditori  -  e'
misurata   anche,   ove  il  patto  sottoposto  all'approvazione  dei
creditori   preveda   la   cessione  a  lui  delle  revocatorie,  sul
prevedibile   esito  di  tali  azioni,  costituendo  esse  parte  del
corrispettivo del prezzo pagato dal medesimo assuntore.
    Nel  concordato  con  assuntore,  peraltro, le azioni revocatorie
assolvono  la  loro  tipica funzione redistributiva, assoggettando al
medesimo  trattamento  dei  chirografari  i  creditori  integralmente
soddisfatti   nel   periodo  sospetto,  e  recuperatoria,  in  quanto
concorrono  a  comporre  il  patrimonio  in  relazione al quale viene
determinato  il quantum da corrispondere ai creditori chirografari e,
conseguentemente,  a  ridurre  la falcidia del loro credito; cio' che
deve a fortiori affermarsi quando i creditori chirografari accettino,
come  nella  specie,  di  essere  pagati  con  azioni  della societa'
assuntrice, e pertanto con la prospettiva, a parziale riduzione della
falcidia subita, di ricevere «vantaggio», quali azionisti, dall'esito
vittorioso   delle   revocatorie.   Dal  che  discende  l'irrilevanza
dell'argomento  -  sul  quale  insistono le parti private convenute -
secondo  cui  il  ricavato dalle revocatorie andrebbe a beneficio non
gia'  dei  creditori,  ma  degli azionisti: argomento che trascura la
decisiva   circostanza   che   la  destinazione  dei  proventi  dalle
revocatorie   va   considerata  al  momento  dell'approvazione  della
proposta,  in  quanto  i  creditori,  approvando il concordato con la
falcidia  dei loro crediti, hanno accettato di diventare azionisti di
una  societa'  nel cui patrimonio sarebbe confluito il ricavato dalle
azioni    revocatorie,   puntualmente   individuate,   promosse   dal
commissario  straordinario,  dopo  la  formulazione della proposta ma
prima della sua approvazione.
    A  loro  volta,  i  terzi  assoggettati  a  revocatoria  - il cui
credito,  e'  appena  il  caso  di rilevare, risorge ex tunc ai sensi
dell'art. 71  della legge fallimentare per effetto della restituzione
a  seguito  dell'accoglimento  della  revocatoria - non altro diritto
possono  vantare, in base ai principi generali propri delle procedure
concorsuali, se non quello di essere trattati paritariamente rispetto
ai  creditori  concorsuali,  e pertanto di essere soddisfatti in modo
identico ai primi e subendo la medesima falcidia.
    Questo, e null'altro che questo, discende - analogamente a quanto
previsto  in  via generale dalla legge fallimentare per il concordato
con  assuntore  - dalla «legge Marzano»; la cui disciplina, pertanto,
si  sottrae anche sotto questo profilo alle censure di illegittimita'
costituzionale sollevate dai giudici rimettenti.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 6   del  decreto-legge  23 dicembre  2003,  n. 347  (Misure
urgenti  per  la  ristrutturazione  industriale  di grandi imprese in
stato  di  insolvenza),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
18 febbraio  2004,  n. 39, come modificato dal decreto-legge 3 maggio
2004,  n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa
sulle  grandi  imprese  in  stato  di  insolvenza),  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  5 luglio  2004,  n. 166,  sollevate, in
riferimento  agli  articoli 3  e 41 della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di Parma, con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2006.
                        Il Presidente: Marini
                   I redattori: Vaccarella-Tesauro
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 aprile 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
                                                            Allegato:
                       Ordinanza letta all'udienza del 4 apriole 2006
                              Ordinanza

    Rilevato  che  nel  giudizio  di  cui all'ordinanza n. 1 del 2006
(r.o.)  e'  intervenuta  la Parmalat s.p.a. e che nel giudizio di cui
all'ordinanza  n. 53  del  2006  (r.o.)  sono  intervenute  la U.B.S.
Limited e la s.p.a. San Paolo IMI;
    considerato  che nel giudizio di cui all'ordinanza n. 1 del 2006,
promosso  dalla  Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, la
Parmalat  s.p.a.  -  pur  non avendo assunto, ai sensi dell'art. 111,
comma  terzo,  cod.  proc.  civ., la qualita' di parte, la quale allo
stato  compete esclusivamente alla Parmalat s.p.a. in amministrazione
straordinaria (comma secondo) - e' destinataria diretta, ai sensi del
comma  quarto  dell'art. 111  citato,  degli  effetti  della emananda
decisione di questa Corte (sentenza n. 345 del 2005);
        che  le  societa' U.B.S. e San Paolo IMI sono parti convenute
in altri giudizi, nel corso dei quali e' stata sollevata questione di
legittimita'  costituzionale  analoga  a  quella oggetto dei presenti
giudizi;
        che tale circostanza non e' idonea, secondo la giurisprudenza
di  questa  Corte,  a rendere ammissibile l'intervento, in quanto «la
contraria  soluzione  si  risolverebbe nella sostanziale soppressione
del    carattere    incidentale    del   giudizio   di   legittimita'
costituzionale»  (sentenze  n. 179  del  2003  e  n. 270  del  2002),
impedendo  a  questa  Corte il suo doveroso controllo sulla rilevanza
della questione;
        che  tale  rilievo non puo' essere superato in considerazione
del  vulnus  che si assume recato al diritto di difesa, in quanto nel
giudizio   incidentale   di   legittimita'  costituzionale  il  thema
decidendum  -  con  i  relativi parametri costituzionali - e' fissato
esclusivamente dall'ordinanza di rimessione e le parti del giudizio a
quo, cosi' come il Presidente del Consiglio dei ministri, non possono
che  illustrare,  in  senso adesivo o contrario, le loro posizioni in
relazione a quanto dedotto dal giudice rimettente.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara ammissibile l'intervento di Parmalat s.p.a;
    Dichiara  inammissibili gli interventi di U.B.S. Limited e di San
Paolo IMI s.p.a.
                        Il Presidente: Marini
06C0370