N. 124 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 dicembre 2004

Ordinanza  del  17 dicembre 2004 (pervenuta alla Corte costituzionale
il  7 aprile  2006) emessa dal giudice di pace di Campi Salentina nel
procedimento  civile  vertente tra Regione Puglia contro Bacca Cosimo
ed altro

Agricoltura - Contributo una tantum alle aziende olivicole e viticole
  colpite  dalla  siccita' nell'annata 1989/1990, nella misura di due
  milioni  di  lire  ad  ettaro e fino a cinquanta milioni di lire ad
  azienda - Previsione con legge interpretativa che: 1) il contributo
  deve intendersi erogabile dagli enti territoriali interessati entro
  i  limiti  dell'autorizzazione di cui all'art. 11 del decreto-legge
  n. 367/1990,  convertito,  con  modificazioni, in legge n. 31/1991,
  nell'ambito  della  quota destinata a ciascun ente; 2) nell'art. 2,
  comma 2,  del  decreto-legge  n. 367/1990  le parole «di lire» sono
  sostituite dalle parole «fino a lire» - Violazione del principio di
  uguaglianza  per la lesione dei principi della certezza del diritto
  e  dell'affidamento  -  Incidenza  sul diritto di difesa - Indebita
  interferenza sul potere giurisdizionale per l'incidenza sui giudizi
  in corso della normativa censurata.
- Decreto-legge  28 maggio 2004, n. 136, art. 8-septies, commi 1 e 2,
  aggiunto dalla legge di conversione 27 luglio 2004, n. 186.
- Costituzione, artt. 3, 101 e 104.
(GU n.18 del 3-5-2006 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  civile di
opposizione a decreto ingiuntivo iscritta al n. 56/2004 R.G. promossa
dalla Regione Puglia, elettivamente domiciliata presso lo studio sito
in  Lecce  alla via Aldo Moro dell'avv. Adriana Shiroka, dal quale e'
rappresentata  e difesa giusta procura in calce alla copia notificata
del decreto ingiuntivo;
    Contro  Bacca  Cosimo, elettivamente domiciliato presso lo studio
dell'avv. Costantino  Chirizzi dal quale e' rappresentato e difeso in
virtu'  di  mandato  a  margine  del ricorso per d.i., nonche' contro
Ministero  delle  politiche  agricole  e  forestali,  in  persona del
Ministro  in  carica,  rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello
Stato  di  Lecce presso i cui uffici domicilia per legge, chiamato in
causa;
    Visti  gli atti del procedimento iscritto al n. 56/2004 del ruolo
generale dell'anno 2004 di questo ufficio e premesso che:
        Bacca Cosimo, avendo ricevuto solo parte della somma che allo
stesso   competeva   quale  contributo  previsto  dall'art. 2,  comma
secondo,  del  d.l.  n. 367/1990  convertito nella legge n. 31/1991 a
favore delle aziende olivicole e viticole del Mezzogiorno che avevano
subito  a  causa della siccita' un danno superiore al 50% dell'intera
produzione  lorda  nell'annata  agraria 1989-1990, otteneva da questo
giudice di pace decreto ingiuntivo per il residuo importo ancora allo
stesso  spettante  a  titolo di contributo determinato, come previsto
dalla norma citata, nella misura di «... lire 2 milioni per ettaro e,
comunque, entro il limite massimo di cinquanta milioni ad azienda» e,
quindi,  quantificato - a definizione della procedura di accertamento
prevista  -  con  delibera  della G.M. n. 174 del 19 febbraio 1992 in
complessive L. 1.875.000;
        la  Regione  Puglia  proponeva atto di opposizione al decreto
ingiuntivo  notificatole eccependo, in via preliminare, l'intervenuta
prescrizione del diritto ed il difetto di legittiminazione passiva e,
nel  merito,  l'insussistenza  del diritto dell'opposto atteso che la
stessa  era  stata dotata dal Ministero dell'agricoltura e foreste di
risorse  insufficienti  a  coprire  l'intero fabbisogno accertato dai
Comuni interessati;
        effettuata  la  autorizzata  chiamata  in causa del Ministero
delle  politiche  agricole  e  forestali,  quest'ultimo si costituiva
all'udienza  del  12 ottobre  2004,  sostenendo,  fra l'altro, che la
legge  n. 186  del  27 luglio  2004 di conversione del d.l. 28 maggio
2004,  n. 136,  ha  introdotto  l'art. 8-septies  di  interpretazione
autentica  dell'art. 2,  comma 2 del d.l. n. 367/1990 e rilevando che
il   contributo   concesso  «deve  intendersi  erogabile  dagli  enti
territoriali   interessati  entro  i  limiti  dell'autorizzazione  di
spesa..»  e  non  nella  misura  «di  lire» 2.000.000 - come previsto
dall'art. 2,  comma  2,  del  d.l. n. 367 del 1990 - ma «fino a lire»
2.000.000  ed  entro  il  limite  massimo di tale importo nell'ambito
della quota assegnata a ciascun ente.
    Tanto  premesso,  nel  chiedere  la  pronuncia da parte di questo
giudice  di  pace  sulle  eccezioni  preliminari  sollevate, denuncia
l'opposto     l'illegittimita'    della    norma    introdotta    con
l'art. 8-septies della legge n. 186 del 27 luglio 2004 di conversione
del  d.l. 28 maggio 2004, n. 136 con riferimento agli artt. 101 - 102
- 104 e 24 Cost.
    Osserva  lo  stesso  che  tale norma, essendo, di interpretazione
autentica  («... deve intendersi») della normativa di cui all'art. 2,
comma  2,  della legge n. 31/1991, non puo' essere modificativa della
norma interpretata.
    Denuncia,  peraltro,  lo  stesso che nessun dubbio interpretativo
poneva  la  chiara  e  limpida dizione riportata nell'art. 2, secondo
comma,  del  d.l. 6 dicembre 1990, n. 367 con il quale si dispone «E'
attribuito  un  contributo una tantum di lire 2 milioni per ettaro, e
comunque entro il limite massimo di cinquanta milioni per azienda, in
favore  delle  aziende  olivicole  e viticole del Mezzogiorno colpite
dalla  siccita'  nell'annata  1989-1999  che  abbiano subito un danno
superiore  al  50  per cento dell'intera produzione lorda vendibile e
ricadenti nelle aree a tal uopo delimitate».
    In  realta',  rileva  questo  giudice  di  pace  che l'estrema ed
indiscutibile  chiarezza  del  testo del d.l. 6 dicembre 1990, n. 367
riportato non propone assolutamente alcun dubbio interpretativo e non
richiede interventi diretti a dissipare possibili equivoci: lo Stato,
constatato  l'eccezionale evento naturale che ha prostrato le aziende
del  Mezzogiorno,  ha, con la predisposta norma, deciso di sorreggere
l'economia  gia'  precaria  di  tali  zone  attribuendo alle aziende,
versanti   in  evidenti  e  documentate  difficolta'  a  causa  della
individuata  calamita',  un  contributo  precisamente determinato con
estrema  chiarezza  nella  misura  («lire  2  milioni  per  ettaro»),
nell'importo  massimo  concedibile  («...  di  cinquanta  milioni per
azienda»),  da  concedersi nelle circostanze previste («colpite dalla
siccita'    nell'annata    agraria    1989-1990»)    per   sorreggere
esclusivamente  le  aziende che abbiano «subito un danno superiore al
50%  dell'intera  produzione  lorda»  in  una  circoscritta  zona del
territorio nazionale («nelle aree a tal upo delimitate»).
    Le  considerazioni  svolte  portano  indiscutibilmente a ritenere
che,  non  presentando la norma «interpretata» alcun possibile dubbio
stante la sua inequivocabile comprensibilita', si e' certamente fuori
dall'ipotesi  della  legge interpretativa se e' vero come e' vero che
la  Corte ha in piu' circostanze ribadito che «Tale qualificazione va
infatti  riconosciuta  - secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte  (da  ultimo,  sentenze  n. 155  del  1990 e n. 233 del 1988) -
soltanto  alla  legge  che,  fermo  il  tenore  testuale  della norma
interpretata,  ne  chiarisce il contenuto, ovvero privilegia una sola
tra  le  varie interpretazioni possibili, con la conseguenza - che la
disciplina della specie e' il prodotto delle due norme successive, le
quali  rimangono  entrambe  in  vigore  e sono anche idonee ad essere
separatamente  modificate.»  (Corte  costituzionale  31 luglio  1990,
n. 380).
    «Siffatta   qualificazione  giuridica  spetta,  infatti,  -  come
ribadito  in piu' circostanze dalla stessa Corte - a quelle leggi o a
quelle   disposizioni   che,   riferendosi  e  saldandosi  con  altre
disposizioni  (quelle  inrrpretate),  intervengono esclusivamente sul
significato  normativo di queste ultime (senza, percio', intaccarne o
integrarne  il  dato testuale), chiarendole o esplicitandone il senso
(ove  considerato  oscuro) ovvero escludendone o enucleandone uno dei
sensi   ritenuti  possibili,  al  fine,  in  ogni  caso,  di  imporre
all'interprete un determinato significato normativo della dispsizione
interpretata.» (Corte costituzionale 3 marzo 1988, n. 233).
    Ma  e'  doveroso  rilevare  che  anche nella presente circostanza
«....  la  legge impugnata - anziche' desumere, enucleare o escludere
un  qualche significato gia' insito nella disposizione «interpretata»
-   interviene   sul   testo  legislativo,  aggiungendo  una  diversa
disposizione.»
    In    realta'   appare   verosimile   credere   che,   risultando
insufficiente  lo  stanziamento dei fondi reperiti relativamente alla
portata  dei  benefici  concessi con il d.l. 6 dicembre 1990, n. 367,
convertito,  in  legge  30 gennaio  1991, n. 31, indipendentemente da
inesistenti  esigenze  di  chiarezza,  si  sia  fatto ricorso a detta
«Interpretazione  autentica»  per  far fronte alle numerose richieste
dei  beneficiari  che  hanno gia' visto soccombente l'Amministrazione
pubblica  in  molteplici  giudizi  ed  anche  in considerazione delle
numerose altre decisioni in fase di avanzata emanazione sicche' viene
naturale  ipotizzare  un contrasto di quest'ultima legge - che «sotto
la  veste  surrettizia  di  una  norma  d'interpretazione  autentica,
madifica in realta' la precedente disposizione» (Corte costituzionale
3 marzo  1988,  n. 233)  - con i disposti di cui agli artt. 101 e 104
della Costituzione.
    Ritiene   questo  giudice  di  pace  che,  anche  nella  presente
fattispecie,    il    legislatore    «oltrepassando   i   limiti   di
ragionevolezza,   ha  definito  interpretativa  una  disciplina  che,
invece,  ha  natura  innovativa»  e  che  ha  il malcelato intento di
diminuire gli oneri economici negando ora a quei cittadini che ancora
non  hanno  ottenuto  -  nella  consistenza  integrale  peraltro gia'
accertata  e  formalmente  riconosciuta  -  i  benefici  inizialmente
concessi e, peraltro, gia' ottenuti da atti beneficiari.
    «Ne puo' omettersi di rilevare che l'irretroattivita' costituisce
un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se
pur   non   elevato,   fuori   della   materia   penale,  a  dignita'
costituzionale  (art. 25,  secondo  comma,  Cost.),  rappresenta  pur
sempre  una  regola  essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva
causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi,
in  quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio
cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini.»
(Corte costitizionale 4 aprile 1990, n. 155).
    In  conclusione, rilevandosi l'utilizzazione dell'interpretazione
autentica  al  di  la' della funzione che le e' propria, va rilevata,
anche    con    riferimento    all'art. 3   Cost.,   l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 8-septies della legge n. 186/2004.
                              P. Q. M.
    Ritenuto  che ricorrano i presupposti previsti dall'art. 23 della
legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva    la    questione    di    legittimita'   costituzionale
dell'art. 8-septies,  commi  primo  e  secondo, della legge 27 luglio
2004,  n. 186, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 luglio 2004
supplemento ordinario n. 131, per violazione degli artt. 3, 101 e 104
della Costituzione nei termini e per le ragioni innanzi esposte;
    Dispone la sospensione del procedimento in corso;
    Ordina  la notifica della presente ordinanza ai procuratori delle
parti  e la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei
deputati e del Senato;
    Ordina   la   trasmissione   di   questa   ordinanza  alla  Corte
costituzionale  insieme  agli  atti  del  giudizio con la prova delle
notificazioni e delle comunicazioni prescritte.
        Campi Salentina, addi' 29 novembre 2004
                 Il giudice di pace: Bucato Capozza
06C0373