N. 126 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 dicembre 2005
Ordinanza emessa il 31 dicembre 2005 dal tribunale di sorveglianza di Firenze sull'istanza proposta da Erede Gino Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Modifiche normative - Affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semiliberta' - Divieto di concessione per piu' di una volta ai condannati, recidivi reiterati, per reati commessi prima dell'entrata in vigore della novella - Lesione del principio di irretroattivita' della legge penale. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 58-quater, comma 7-bis, aggiunto dall'art. 7 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, art. 25, comma secondo.(GU n.18 del 3-5-2006 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha emesso la seguente ordinanza in procedimento di sorveglianza, a scioglimento della riserva espressa nell'udienza del 29 dicembre 2005; Visti ed esaminati gli atti relativi al procedimento di sorveglianza in materia di affidamento in prova al servizio sociale promosso in seguito ad istanza avanzata da Erede Gino, nato a Livorno il 14 dicembre 1933, residente in Livorno, via G. Garibaldi, 309; Rilevato che l'istanza e' relativa all'esecuzione della pena complessiva di anni 1, mesi 2 e giorni 28 di reclusione di cui al provvedimento di cumulo emesso il 9 giugno 2005 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pisa ed e' stata trasmessa dalla stessa Procura con riferimento alla procedura esecutiva n. 223/2002 r.e.s.; Verificata la regolarita' delle comunicazioni e notificazioni di rito. O s s e r v a 1. - Erede Gino, con istanza pervenuta nella Cancelleria di questo Tribunale il 7 luglio 2005, ha chiesto l'applicazione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale in relazione all'esecuzione della pena indicata in epigrafe, sospesa ai sensi dell'art. 656, comma 5 c.p.p., inflittagli per tre reati di furto aggravato commessi il 18 novembre 1993, il 9 agosto 1997 ed il 27 ottobre 1999. Con una delle sentenze assorbite nel provvedimento di cumulo della cui esecuzione si tratta - emessa dal Tribunale di Pisa il 22 giugno 2000 - e' stata applicata al prevenuto l'aggravante della recidiva reiterata infraquinquennale. Dall'esame degli atti acquisiti mediante l'istruttoria svolta sul caso risulta che l'interessato e' persona che ha commesso vari reati contro il patrimonio (prevalentemente furti) riportando condanne con sentenze passate in giudicato, in relazione ad alcune delle quali ha beneficiato della misura dell'affidamento in prova al servizio sociale, disposto con ordinanza di questo Tribunale del 3 ottobre 2000 (cui hanno fatto seguito provvedimenti di prosecuzione per titoli sopravvenuti), terminato con esito positivo, come si evince dalla declaratoria di estinzione della pena detentiva pronunciata il 19 febbraio 2003. Non vi sono sentenze di condanna passate in giudicato per fatti commessi successivamente a tale data. Attualmente il soggetto sembra integrato nel contesto socio-familiare di riferimento, vive della propria pensione ed appare maggiormente consapevole delle proprie responsabilita' e degli errori commessi, come risulta dalla relazione dell'Ufficio di esecuzione penale esterna di Livorno del 23 dicembre 2005. 2. - Nel periodo di tempo che intercorre tra la data di presentazione dell'istanza de qua e la riserva di decisione formulata all'esito dell'odierna udienza e' stata approvata definitivamente la legge 5 dicembre 2005, n. 251, entrata in vigore l'8 dicembre 2005. Com'e' noto, si tratta di legge che contiene fra l'altro, rilevanti modifiche alla legge n. 354/1975 sull'ordinamento penitenziario con l'effetto di rendere piu' difficile l'accesso alle misure alternative alla detenzione per i condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, del codice penale (c.d. recidiva reiterata), sia pure con il temperamento di una riformulazione della recidiva che ne delimita l'ambito ai soli delitti non colposi. Dispone, in particolare, il comma 7-bis - inserito, appunto, dall'art. 7 della legge n. 251/2005 - dell'art. 58-quater della legge sull'ordinamento penitenziario che «l'affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'art. 47, la detenzione domiciliare e la semiliberta' non possono essere concessi piu' di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, del codice penale». L'applicazione di tale nuova disposizione rileva nel caso di specie atteso che l'interessato, ritenuto, come gia' detto, recidivo reiterato, ha gia' fruito, per altre precedenti esecuzioni, della misura dell'affidamento in prova al servizio sociale. Per completezza di esposizione, si deve aggiungere che neppure possono applicarsi altre misure alternative alla detenzione: la riconosciuta recidiva reiterate e' di ostacolo alla concessione del particolare tipo di detenzione domiciliare espressamente coniato dal nuovo comma 1 dell'art. 47-ter ord. pen. per chi, al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena, abbia compiuto i settanta anni di eta', cosi' come preclude l'accesso alla detenzione domiciliare «generica» prevista per pene detentive di entita' non superiore a due anni, stante lo specifico divieto posto dal comma 1-bis nov.; non ricorre, inoltre, alcuna delle specifiche condizioni di cui al primo comma dell'art. 47-ter (in particolare non vi sono condizioni di salute di particolare gravita' del condannato, ne' inabilita' anche parziali); quanto alla semiliberta', basti osservare che l'odierno istante, anche per limiti di eta', non svolge attivita' lavorativa ne' si dedica a altre occupazioni, vivendo della propria pensione. Occorre aggiungere, infine, che non puo' essere condiviso l'argomento difensivo secondo il quale la nuova normativa non potrebbe essere applicata, retroattivaniente, al condannato che abbia commesso il reato in data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 251/2005, stante il richiamo, contenuto nell'art. 10, comma 2 della stessa legge, all'art. 2 del codice penale: i primi due commi di tale articolo, infatti, fanno riferimento, rispettivamente, alle ipotesi di «nuova incriminazione» e di abolitio criminis, diverse dall'odierna fattispecie, mentre il terzo comma, che regola l'ipotesi della successione di leggi modificative, trova lo sbarramento del «giudicato», ossia della sentenza, divenuta irrevocabile prima della entrata in vigore della successiva legge modificativa (come, appunto, nel caso di specie, in cui le sentenze di condanna sono divenute definitive nel corsa dell'anno 2001). Nel sistema della legge n. 251/2005 le disposizioni che regolano l'esecuzione delle pene restano, quindi, soggette, non potendosi proficuamente utilizzare il riferimento normativo all'art. 2 c.p., alla regola generale tempus regit actum, alla stregua delle norme di carattere, processuale (cio' in linea con l'orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza di legittimita', su cui v. infra). 3. - Il collegio, tuttavia, dubita della legittimita' costituzionale del comma 7-bis (aggiunto dall'art. 7 della legge n. 251/2005) dell'art. 58-quater della legge n. 354/1975, proprio perche', letto congiuntamente con l'art. 10, commi 1 e 2, della legge n. 251/2005, risulta applicabile, retroattivamente, a tutti i condannati, recidivi reiterati, per reati commessi prima dell'entrata in vigore di quest'ultima legge. La rilevanza della questione nel presente procedimento emerge, con evidenza, da quanto e' stato sopra esposto: in applicazione del nuovo dettato normativo l'istanza proposta dall'interessato - per quanto ammissibile nel momento della sua proposizione - non lo e' piu' al momento della decisione per effetto del mutato quadro legislativo. La non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale deriva, ad avviso del collegio, dalla verifica della compatibilita' della predetta disposizione normativa con il parametro costituzionale rappresentato dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, in virtu' del quale nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Il collegio non ignora che l'orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza di legittimita' e' nel senso che l'applicazione di sopravvenute disposizioni piu' restrittive in tema di benefici penitenziari non da' luogo alla violazione del principio di irretroattivita' della legge penale stabilito dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, atteso che, secondo tale orientamento, il suddetto principio si riferisce unicamente alle norme penali sostanziali, ossia alle norme che delineano le fattispecie astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie, e non anche a quelle inerenti alle modalita' di esecuzione della pena e all'applicazione dei predetti benefici, la cui disciplina resta affidata ai poteri discrezionali del legislatore ordinario (v. Cass. pen., sezione I, 17 dicembre 2004 - 24 gennaio 2005, n. 1975, relativamente a modifiche dell'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario). Il collegio, tuttavia, ritiene che debba essere rivisto e ridiscusso proprio il presupposto fondamentale su cui il predetto orientamento si fonda e cioe' che il principio contenuto nell'articolo 25, secondo comma, della Carta costituzionale si riferisca unicamente alle norme incriminatrici in senso stretto (norme che creano nuovi reati, o modificano in peius gli elementi costitutivi di una fattispecie incriminatrice, o la specie e la durata delle sanzioni edittali), escludendo tutte quelle che incidono sulle modalita' di esecuzione delle pene e sulla quantita' e qualita' della pena da espiare in concreto. Si ritiene, in particolare, da parte del collegio, che tutte le disposizioni che prevedono quelli che vengono definiti «benefici penitenziari» e che, in realta', descrivono modalita' di esecuzione delle pene alternative alla detenzione carceraria, non siano estranee alla sfera di applicazione dell'articolo 25, comma 2, della Costituzione, in quanto disposizioni intrinseche al sistema delle norme penali intese in senso lato (ossia in un senso che comprende anche le norme che regolano l'esecuzione delle pene e che configurano i presupposti di ammissibilita' delle misure alternative). Con l'approvazione della legge 26 luglio 1975, n. 354 (c.d. legge sull'ordinamento penitenziario) e delle successive modifiche della stessa, infatti, il panorama delle modalita' di espiazione delle pene detentive si e' arricchito prevedendosi istituti che, come l'affidamento in prova al servizio sociale o la semiliberta', cercano di coniugare la finalita' retributiva, generalpreventiva e specialpreventiva della pena con il principio costituzionale sancito dall'articolo 27, comma 3, secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato; oppure istituti che, come la detenzione domiciliare, evitano o interrompono il contatto con la realta' carceraria quando ricorrono particolari situazioni di rilievo costituzionale (si pensi, ad esempio, a quelle di carattere sanitario o a quelle inerenti ai rapporti madre e prole di eta' inferiore ad anni dieci o tra madre e figlio affetto da una gravissima forma di invalidita) o quando non vi sia necessita' della restrizione in un istituto penitenziario, essendo il condannato portatore di un grado di pericolosita' sociale che puo' essere agevolmente fronteggiato attraverso misure di minor gravita'. In altri ordinamenti le «sanzioni» alternative alla detenzione sono previste dal codice penale ed applicate direttamente dal giudice della cognizione (si pensi, ad esempio, al sistema delle peines correctionnelles previste dal codice penale francese per i delitti, reati di gravita' intermedia tra i «crimini» e le «contravvenzioni»), mentre nel nostro le «misure» alternative (intese come modalita' alternative di esecuzione di una pena detentiva) sono contemplate in una legge ad hoc ed applicate dal Tribunale di Sorveglianza (si e' parlato, in proposito, di un processo «bifasico», in cui la prima fase e' volta all'accertamento del fatto e della responsabilita' e la seconda alla determinazione della sanzione da espiare in concreto); questa differenza, peraltro, non esclude che, anche nel nostro ordinamento, le misure alternative alla detenzione non possono ritenersi estranee al sistema penale, essendo misure che prevedono modalita' di espiazione della pena sia pure `altre' rispetto alla detenzione carceraria, ma che alla detenzione stessa riconducono in caso di revoca della misura determinata dal comportamento del condannato contrario alla legge o alle prescrizioni dettate. Del resto, la stessa Corte di cassazione ha piu' volte affermato che le misure alternative alla detenzione hanno natura di vere e proprie sanzioni penali, tant'e' vero che la Corte costituzionale, con le note sentenze 29 ottobre 1987, n. 343; 25 maggio 1989, n. 282, ha dichiarato illegittimi gli articoli 47, legge n. 354/1975 e 177 c.p. nella parte in cui non prevedevano che il Tribunale di Sorveglianza, nel revocare l'affidamento in prova o la liberazione condizionale, potesse determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal condannato durante il periodo trascorso in misura alternativa» (v. Cass. pen., 5 febbraio 1998, Cusani, in Foro It., 1998, II, 513); in particolare, riguardo all'affidamento in prova, ha chiaramente affermato che tale misura, «comportando per il condannato l'osservanza di prescrizioni restrittive della sua liberta' e la soggezione ai costanti controlli del servizio sociale, nonche' alla vigilanza del magistrato di sorveglianza cui il servizio sociale e' tenuto a fornire periodicamente dettagliate notizie, costituisce non una misura alternativa alla pena, ma una pena essa stessa alternativa alla detenzione, nel senso che viene sostituito al trattamento in istituto quello fuori dell'istituto, perche' ritenuto piu' idoneo al. raggiungimento delle finalita' di emenda proprie della pena» (v. Cass. pen. sez. I, 18 novembre 1992 - 13 gennaio 1993, n. 4747, Rv. 194495). La questione di cui si discute, in sostanza, puo' essere ridotta ai seguenti termini: se i condannati a pene detentive abbiano diritto a non vedere aggravato il regime penitenziario o di esecuzione penale al quale sono sottoposti in conseguenza di una legge retroattiva. La problematica e' gia' stata affrontata una volta dalla Corte costituzionale, in occasione della decisione adottata con sentenza n. 273 del 5-20 luglio 2001 (pubblicata nella G.U. n. 29 del 25 luglio 2001), relativa ad una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, del d.l. n. 152/1991, convertito, con modificazioni, nella legge n. 203/1991, e dell'art. 4-bis, primo comma, della legge sull'ordinamento penitenziario (come modificato dall'art. 15, comma 1, del d.l. n. 306/1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 356/1992), sollevata dal Tribunale di Sorveglianza di Sassari con ordinanza del 15 giugno 2000 in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione. In particolare, il giudice a quo dubitava della legittimita' costituzionale delle disposizioni sopra richiamate, per violazione del principio di irretroattivita' della legge penale, nella parte in cui escludono dal beneficio della liberazione condizionale i soggetti condannati per determinati delitti con sentenza passata in giudicato prima dell'entrata in vigore della legge di modifica dell'art. 4-bis, che non collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter dell'ordinamento penitenziario. In tale occasione, peraltro, la questione venne decisa in modo tale da lasciare impregiudicata la scelta tra le due diverse interpretazioni dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione (quella piu' restrittiva che ne limita la sfera di applicazione alle norme penali in senso stretto e quella piu' estensiva che propone di ampliare l'ambito di operativita' del principio di irretroattivita' della legge penale sino ad abbracciare anche le norme che regolano l'esecuzione delle pene e che definiscono i presupposti di applicabilita' delle misure alternative alla detenzione). La questione, cioe', rimase res integra, preferendosi guardare a un tempo a venire, quando forse sarebbe potuta maturare una decisione piu' largamente condivisa, da assumere con maggiore tranquillita', come detto, in un recente saggio, da autorevole giurista, gia' membro della Corte costituzionale1. A fronte del nuovo intervento del legislatore in materia di recidiva, il collegio ritiene necessario, per i dubbi di legittimita' costituzionale precedentemente espressi e per la natura di vere e proprie sanzioni penali delle misure alternative alla detenzione di cui si e' detto, riproporre ora la questione in relazione alla disposizione normativa che rileva nel caso di specie. Per le considerazioni sopra svolte, pertanto, si ritiene rilevante ai fini della decisione da assumere nel presente procedimento e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del disposto nominativo di cui al comma 7-bis dell'art. 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, comma aggiunto dall'art. 7 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui, letto congiuntamente con il disposto dell'art. 10, comma 1 e 2, di quest'ultima legge, prevede che il limite di una sola concessione, stabilito per l'accesso all'affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'art. 47, alla detenzione domiciliare ed alla semiliberta', si applichi anche ai condannati, recidivi reiterati, per reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 251/2005, per contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Il procedimento deve, pertanto, essere sospeso e gli atti inviati alla Corte costituzionale. ---- 1 Il riferimento e' a G. Zagrebelsky, Principi e voti - La Corte costituzionale e la politica, p. 18. P. Q.M. Visti gli articoli 23 e seguenti della legge 11 mazzo 1953, n. 87, 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall'art. 7 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, 10 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, e 666 e 678 c.p.p.; Dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla Corte costituzionale affinche' esamini la questione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui al comma 7-bis dell'art. 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, comma aggiunto dall'art. 7 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, alla luce del parametro di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Dispone la sospensione del presente procedimento in attesa della decisione della Corte medesima. Manda alla cancelleria per le comunicazioni di legge e, in particolare, per la notifica all'interessato, al difensore dello stesso, alla Procura Generale della Repubblica di Firenze, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Firenze, addi' 29 dicembre 2005 Il Presidente: Sapere Il magistrato estensore: Signorini 06c0375