N. 174 SENTENZA 20 - 28 aprile 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Fallimento  e  procedure  concorsuali  - Fallimento privo di attivo -
  Patrocinio  a  spese  dello  Stato - Spese ed onorari al curatore -
  Mancata inclusione tra le spese anticipate dall'Erario - Disparita'
  di  trattamento  con  tutti  gli  altri  ausiliari  del giudice che
  prestano  la  propria  opera  a  favore  della  massa e che vengono
  retribuiti con compensi posti a carico dell'Erario - Illegittimita'
  costituzionale  in  parte qua - Assorbimento dell'ulteriore profilo
  di incostituzionalita'.
- D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 146, comma 3.
- Costituzione, art. 3, (art. 36).
(GU n.18 del 3-5-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano  VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 3,
del  decreto  del  Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia  di  spese  di  giustizia -  Testo A), promosso con ordinanza
dell'11 maggio 2005 dal Tribunale di Palermo, sul reclamo proposto da
Reina  Roberta  n.q.  di  curatore del fallimento Baby Market s.n.c.,
iscritta  al  n. 452  del  registro ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 39,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio dell'8 febbraio 2006 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con ordinanza del 31 maggio 2005, il Tribunale di Palermo,
sezione   fallimentare,   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 146,  comma 3,  del  d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia  di spese di giustizia - Testo A) in riferimento agli artt. 3
e  36 della Costituzione e in relazione all'art. 39 del regio decreto
16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento, del concordato
preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della liquidazione
coatta amministrativa).
    Riferisce  il  rimettente  che,  con  ricorso  depositato in data
29 aprile  2005,  1'avv. Roberta Reina, curatore del fallimento della
Baby  Market,  societa'  in  nome  collettivo, aveva proposto reclamo
avverso  il  provvedimento del giudice delegato che aveva respinto la
richiesta  di  porre a carico dell'Erario, ai sensi dell'art. 146 del
d.P.R. n. 115 del 2002, il saldo del compenso a lei spettante.
    La   reclamante  affermava  che,  in  caso  di  incapienza  della
procedura,  il  compenso  del curatore dovrebbe essere posto a carico
dell'Erario, dovendosi ritenere il curatore «ausiliario del giudice»,
e,  quindi, compreso fra i soggetti beneficiari della disposizione di
cui  al  citato  art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. n. 115 del
2002,  mentre, in caso contrario, la norma sarebbe in contrasto con i
principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 36 della Costituzione
e  con  l'art. 39 del regio decreto n. 267 del 1942, che affermerebbe
il principio della remunerativita' dell'incarico in oggetto.
    Quanto  alla  rilevanza  della  questione  sollevata,  afferma il
giudice  a quo che l'art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. n. 115
del 2002 stabilisce che sono a carico dell'Erario, e quindi da questo
anticipati,  le  spese  ed  i compensi agli ausiliari del giudice nei
casi  in cui la procedura fallimentare sia priva dei fondi necessari,
senza  dettare  disposizioni  circa la sorte dei compensi ai curatori
che  abbiano  prestato  la propria attivita' nell'ambito di procedure
c.d. incapienti.
    Secondo  il  rimettente, un'interpretazione estensiva della norma
citata,  che porti a ricondurre la figura del curatore nell'alveo del
concetto di «ausiliario del giudice» non sarebbe percorribile, atteso
che  quella  del  curatore  e'  figura  del  tutto peculiare, poiche'
quest'ultimo  e'  titolare  di specifici poteri e doveri - in ragione
dell'eccezionalita'  della  procedura fallimentare - di cui tutti gli
altri  ausiliari  del  giudice  sono  privi.  Nel  caso  di specie il
curatore,  pur  avendo  ottenuto la liquidazione dell'intero compenso
dovuto per l'attivita' svolta, ha percepito solo parte degli onorari,
non trovandosi nell'attivo fallimentare denaro sufficiente per pagare
tutto l'importo.
    Quanto  alla non manifesta infondatezza, osserva il Tribunale che
la  Corte  costituzionale,  piu'  volte interpellata sul punto, si e'
sempre   pronunciata   nel   senso   della  non  fondatezza  o  della
inammissibilita'   delle  questioni  proposte,  richiamandosi  ad  un
principio   di  «rotazione  degli  incarichi»  (per  cui  la  mancata
corresponsione  del  compenso  in  caso  di  procedura priva di fondi
sarebbe  compensata  dalla  remunerativita' di altri incarichi), alla
non    obbligatorieta'   dell'accettazione   della   funzione,   alla
impossibilita' di riconoscere alla prestazione svolta il carattere di
«lavoro»,    tutelato    dall'art. 36    della   Costituzione,   alla
discrezionalita' del legislatore.
    Secondo  il giudice a quo, tuttavia, tutte le richiamate pronunce
sono  intervenute prima della emanazione del T.U. in materia di spese
di  giustizia  (il gia' piu' volte citato d.P.R. n. 115 del 2002), il
quale  ha,  tra  l'altro,  compiutamente  disciplinato l'istituto del
patrocinio  a  spese  dello  Stato, ha abrogato l'art. 91 della legge
fallimentare  ed  e'  intervenuto ex novo sulle questioni relative al
carico  delle spese in caso di procedura fallimentare priva di fondi,
ovvero con fondi insufficienti.
    In  particolare,  l'art. 91 della legge fallimentare sanciva che,
qualora  nel  fallimento  non vi fossero i fondi sufficienti per fare
fronte  alle  spese  connesse  agli  atti  giudiziari  necessari alla
procedura,  queste erano anticipate dall'Erario. La norma, secondo il
giudice   a   quo,   sarebbe   sempre  stata  interpretata  in  senso
restrittivo,   escludendosi,   dunque,   dal   novero   delle   spese
anticipabili  dallo  Stato  sia  quelle non relative al compimento di
atti  giudiziari,  sia  gli  onorari  a  qualunque titolo dovuti agli
ausiliari del giudice. Nell'ambito del sistema, come sopra delineato,
il  mancato pagamento del compenso al curatore - in caso di procedura
con  fondi  insufficienti  -  era,  oltre  che  conforme  al  dettato
legislativo,  coerente  con  la  disciplina  generale,  che  limitava
fortemente la possibilita' di porre oneri a carico dello Stato.
    Secondo   il   rimettente,  il  quadro  descritto  sarebbe  stato
profondamente  modificato  dall'intervento  del  citato  testo unico.
Infatti,   la  nuova  disciplina  prevede  l'anticipazione  a  carico
dell'Erario  delle  spese  ed  onorari  degli  ausiliari  del giudice
(art. 146,  comma 3, lettera c, d.P.R. n. 115 del 2002); l'ammissione
alla  disciplina  del  patrocinio a spese dello Stato nei processi in
cui  e'  parte un fallimento privo di fondi, in forza del decreto del
giudice  delegato,  che  attesta  la mancanza di disponibilita' della
liquidita'  necessaria  (art. 144  del d.P.R. citato); la conseguente
possibilita' - in tale ultimo caso - di porre a carico dell'Erario le
spese  e  gli  onorari  riconosciuti  ai  difensori, ai consulenti di
parte,  agli ausiliari del magistrato, sia per i procedimenti penali,
che  per  quelli  civili,  amministrativi  e  tributari  (artt. 74  e
seguenti dello stesso decreto).
    Ritiene  dunque il giudice a quo che, con l'entrata in vigore del
testo unico citato, sia stato introdotto il principio per cui tutti i
professionisti  che  prestano  la  loro  opera  nel  contesto  di una
procedura  fallimentare  priva di fondi possano comunque percepire il
compenso per l'attivita' prestata.
    Il   rimettente  osserva  che  l'attivita'  svolta  dal  curatore
nell'ambito  della  procedura  fallimentare ha senza dubbio carattere
professionale,  atteso  che  a  rivestire  tale  incarico non possono
essere   chiamati  soggetti  che  non  siano  liberi  professionisti,
iscritti  nell'albo di una delle categorie, l'appartenenza alle quali
e'  richiesta  per  l'esercizio della funzione in questione. Sarebbe,
dunque,   evidente   che   il   curatore,  attesa  la  sua  qualifica
professionale,  rientra  nell'ambito  dei  soggetti  che svolgono una
professione   intellettuale   (art. 2229   cod.   civ.)   e,  quindi,
nell'ambito  del piu' ampio concetto di «lavoratore», cui deve essere
riconosciuto   il   diritto  alla  retribuzione,  proporzionata  alla
quantita'  ed alla qualita' del lavoro svolto, secondo quanto sancito
dall'art. 36 della Costituzione.
    Ancora,  secondo  il rimettente, quanto alla possibilita', per il
curatore,  di  non  accettare  l'incarico,  il  riconoscimento  di un
carattere  discriminante  alla  facolta'  di non accettare l'incarico
relativo ad una procedura fallimentare con scarse o nulle prospettive
di  acquisizione  di attivo, condurrebbe ad avallare prassi scorrette
in  base  alle  quali  l'accesso  alla  funzione  verrebbe  di  fatto
consentito  soltanto  a  coloro  i  quali possono fare affidamento su
altri  introiti, ovvero potrebbe condurre al paradosso della mancanza
di  professionisti  disposti ad assumere gli incarichi, ovvero ancora
potrebbe  determinare  rinunce  agli  incarichi  assunti  - una volta
verificata l'assenza di attivo - con cio' causando innegabili ritardi
e disfunzioni nella gestione delle procedure.
    Infine,   secondo   il   rimettente,   quanto   all'art. 3  della
Costituzione,  non  potendo il curatore essere considerato tout court
un  ausiliario  del,  per le motivazioni piu' volte richiamate, e non
potendo  di  conseguenza  trovare applicazione la disposizione di cui
all'art. 146,  comma 3,  lettera c),  del  d.P.R. n. 115 del 2002, il
medesimo,  al  quale non puo' non riconoscersi una peculiare ed anche
piu'  rilevante  funzione  nell'ambito  della procedura fallimentare,
rimarrebbe  l'unico  soggetto  che,  in  caso  di fallimento privo di
attivo,  non  viene retribuito per l'attivita' svolta, determinandosi
cosi'  una  disparita'  di  trattamento.  Infatti, nel caso in cui il
fallimento  giunga  alla  chiusura  senza che si sia potuto acquisire
l'attivo  sufficiente  per  fare  fronte  al  pagamento integrale dei
debiti assunti dalla curatela per la gestione della procedura, mentre
tutti gli altri soggetti che prestano la propria opera a favore della
massa  -  come  ad esempio stimatori, consulenti contabili e fiscali,
notai,  avvocati -  vengono  retribuiti  con  compensi posti a carico
dell'Erario,  il curatore resta del tutto insoddisfatto nelle proprie
legittime aspettative economiche.
    2.  -  Nel  giudizio  ha  spiegato  intervento  il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che la questione venga dichiarata
inammissibile o comunque infondata.
    Secondo  la  difesa  erariale  la  questione  appare innanzitutto
inammissibile,  perche'  il  tema  posto  all'attenzione  della Corte
costituzionale  comporta la scelta tra una molteplicita' di soluzioni
possibili,  tutte  ascrivibili alla discrezionalita' del legislatore,
quali,  ad  esempio,  il  pagamento a carico dell'Erario o il diverso
regolamento   delle   spese,   o   l'onere  a  carico  dei  creditori
intervenuti,  nel  cui  interesse  si  svolge,  per la maggior parte,
l'attivita' del curatore.
    L'Avvocatura   ritiene   che  comunque  la  questione  sia  anche
infondata.  Infatti,  come la Corte costituzionale ha gia' osservato,
con  l'ordinanza  n. 488  del  1993,  nell'ordinamento  sono ben note
fattispecie  di  incarichi  del  tutto  gratuiti,  e cio' consente di
escludere  la  violazione  di  norme  costituzionali,  tanto  piu' in
relazione  ad un incarico (liberamente accettato), come nella specie,
di per se' non gratuito, comportante solo un'alea di mancato realizzo
nel   compenso,   e   riguardo   al  quale  la  sola  prospettiva  di
qualificazione e di affinamento professionale costituisce circostanza
tale  da  impedire  che  il conferimento dell'incarico di curatore in
procedure    presumibilmente    incapienti   debba   sistematicamente
scontrarsi con il rifiuto del professionista designato.
    L'Avvocatura  cita ancora una sentenza della Corte costituzionale
(n. 302  del  1985),  con  la  quale  si  e'  affermato  che l'omessa
previsione  che  il  compenso  spettante  al  curatore  sia  a carico
dell'Erario,  in  caso  di  mancanza o insufficienza dell'attivo, non
viola  il principio di proporzionalita' della retribuzione del lavoro
prestato   non   essendo   il  curatore  fallimentare  un  lavoratore
subordinato.

                       Considerato in diritto

    1.  - Il Tribunale di Palermo, sezione fallimentare, dubita della
legittimita'   costituzionale   dell'art. 146,  comma 3,  del  d.P.R.
30 maggio  2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), in tema di
patrocinio  a  spese  dello Stato della procedura fallimentare, nella
parte  in  cui  non  include  tra  le  spese anticipate dall'Erario -
qualora  tra  i  beni  compresi  nel  fallimento  non  vi  sia denaro
sufficiente  -  le  spese  e  gli  onorari liquidati al curatore, per
violazione   dell'art. 3  della  Costituzione,  perche'  il  curatore
fallimentare rimarrebbe l'unico soggetto, in caso di fallimento privo
di   attivo,   a   non  essere  retribuito  per  l'attivita'  svolta,
determinandosi  cosi'  una  disparita'  di  trattamento con tutti gli
altri  soggetti  che prestano la propria opera a favore della massa -
stimatori,  consulenti contabili e fiscali, notai, avvocati, ecc. - e
che  vengono  retribuiti  con  compensi  posti  a carico dell'Erario;
nonche'  per  violazione dell'art. 36 della Costituzione in relazione
all'art. 39  del  regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
controllata   e   della   liquidazione  coatta  amministrativa),  che
stabilisce  il  principio  della  remunerativita'  dell'incarico  del
curatore  fallimentare, perche' quest'ultimo - svolgendo un'attivita'
avente  carattere  professionale  e rientrando quindi nell'ambito dei
soggetti  che  svolgono  una  professione  intellettuale  di cui agli
artt. 2229  cod.  civ.  e  seguenti  -  rientrerebbe  nel concetto di
«lavoratore»  di  cui all'art. 36 Cost., cui deve essere riconosciuto
il  diritto  alla  retribuzione, proporzionata alla quantita' ed alla
qualita' del lavoro svolto.
    2. - La questione e' fondata.
    L'art. 146  del  d.P.R.  n. 115  del  2002  stabilisce che, nella
procedura  fallimentare,  che si apre con la sentenza dichiarativa di
fallimento  e  cessa  con  la  chiusura,  se  tra i beni compresi nel
fallimento  non  vi  e'  denaro  per  gli atti richiesti dalla legge,
alcune   spese   sono  prenotate  a  debito,  altre  sono  anticipate
dall'Erario  (comma  1),  precisando che sono anticipati dall'Erario,
fra l'altro, «le spese ed onorari ad ausiliari del magistrato» (comma
3,    lettera c),    senza   contenere   alcuna   indicazione   circa
l'anticipazione  delle  spese  e degli onorari al curatore, il quale,
sulla  base  della  vigente  normativa,  ove  non  sia  possibile una
interpretazione   estensiva,   costituzionalmente   orientata,  della
locuzione   «ausiliari   del  magistrato»,  non  ha  diritto  a  tale
anticipazione per l'attivita' svolta.
    Il curatore e' organo della procedura fallimentare, con il potere
di reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato (art. 26 legge
fall.),  e  ad  esso  va riconosciuta la qualifica di ausiliare della
giustizia  e  non  anche  quella  di  ausiliare del giudice. Infatti,
malgrado  il  curatore  sia nominato dal giudice e con lui collabori,
egli e' un organo normale e necessario del procedimento fallimentare,
mancando  al  suo incarico quella temporaneita' ed occasionalita' che
sono proprie dell'incarico conferito all'ausiliare del giudice.
    Da  cio'  deriva  che, sulla base della normativa vigente, non e'
possibile  alcuna estensione al curatore, al fine della anticipazione
delle  spese  e  degli  onorari,  in  caso  di  fallimento chiuso per
mancanza  di  attivo,  delle disposizioni esistenti per gli ausiliari
del giudice.
    Per   il   passato,   interpretando   l'art. 91  -  ora  abrogato
dall'art. 299  del d.P.R. n. 115 del 2002 - del r.d. n. 267 del 1942,
secondo  cui  «se fra i beni compresi nel fallimento non vi e' denaro
occorrente  alle spese giudiziali per gli atti richiesti dalla legge,
dalla   sentenza  dichiarativa  di  fallimento  alla  chiusura  della
procedura,  l'Erario anticipa tali spese», questa Corte ha dichiarato
non   fondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  della
predetta  norma  nella  parte  in cui non prevede che il compenso del
curatore,  in caso di mancanza o insufficienza di attivo, sia posto a
carico  dell'Erario,  argomentando dalla esistenza, nell'ordinamento,
di  uffici  gratuiti,  dalla  non  qualificabilita' del curatore come
lavoratore  ai  sensi  dell'art. 36  della  Costituzione, e dalla non
obbligatorieta'  dell'accettazione dell'incarico (sentenza n. 302 del
1985).
    A  questa sentenza hanno fatto seguito due ordinanze di manifesta
infondatezza   della   stessa   questione   argomentate  anche  sulla
insussistenza  di  disparita'  di  trattamento  fra il curatore e gli
avvocati  e  procuratori nominati d'ufficio a chi e' stato ammesso al
gratuito  patrocinio per la facoltativita' dell'incarico in un caso e
per  l'obbligatorieta'  dello stesso nell'altro (ordinanze n. 488 del
1993 e n. 368 del 1994).
    Detti precedenti possono essere superati.
    Va, innanzitutto, rilevato che la giurisprudenza da ultimo citata
aderiva,  sia  pure  implicitamente, a quella dottrina - peraltro non
univoca  -  per  la  quale  nella  voce  «spese»  non potessero farsi
rientrare  gli onorari e i compensi di qualsiasi natura, ivi compresi
quelli dovuti al curatore.
    Siffatto  indirizzo  -  a  seguito della esplicita ricomprensione
nella  norma  impugnata,  fra  le spese anticipate dallo Stato, delle
«spese  ed onorari ad ausiliari del giudice» - deve essere sottoposto
a  revisione accertando se gli ulteriori argomenti, che la precedente
giurisprudenza  invocava  per respingere le censure di illegittimita'
costituzionale  dell'abrogato art. 91 del r.d. n. 267 del 1942, siano
tali   da   giustificare,   allo  stato  attuale,  la  diversita'  di
trattamento.
    In  presenza  di  un  sistema  che  prevede  -  per  il carattere
pubblicistico del procedimento concorsuale - l'anticipazione da parte
dell'Erario  delle  spese ed onorari ad ausiliari del magistrato e di
una  norma  (art. 39 legge fall.) che enuncia il diritto del curatore
al  compenso  per l'attivita' svolta, e' manifestamente irragionevole
che  l'esclusione dell'anticipazione da parte dell'Erario delle spese
e degli onorari riguardi, ormai, il solo curatore.
    La  volontarieta'  e  non  obbligatorieta' dell'incarico e la non
assimilabilita'  della posizione del curatore a quella del lavoratore
non  escludono  il diritto del curatore al compenso, ne' giustificano
la  non  ricomprensione  delle  spese e degli onorari al curatore fra
quelle  che,  come  le  spese  e gli onorari agli ausiliari del, sono
anticipate  dallo  Stato,  in  caso  di  chiusura  del fallimento per
mancanza di attivo.
    L'invocazione della prassi (sentenza n. 302 del 1985) secondo cui
«i giudici delegati si inducono ad indennizzare i professionisti, cui
e' affidata la curatela di fallimento che si appalesa privo di attivo
suscettibile di ripartizione, con la nomina a curatori di fallimenti,
nei  quali  la  ripartizione  di  attivo  sembra  probabile»  non  e'
certamente  probante,  dal  momento  che  tale  «prassi»  lascia, pur
sempre,  senza  compenso  il curatore per quanto riguarda l'attivita'
svolta  per  il  fallimento  senza attivo; e lo stesso deve dirsi del
principio secondo cui i fallimenti c.d. negativi sono un mezzo per la
crescita  professionale del curatore (ordinanza n. 488 del 1993), dal
momento  che  l'affinamento professionale non giustifica la negazione
del relativo compenso.
    Va,   pertanto,  dichiarata,  per  violazione  dell'art. 3  della
Costituzione, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 3,
del  d.P.R.  n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede che sono
spese anticipate dall'Erario «le spese ed onorari» al curatore.
    L'incostituzionalita'  della  norma,  con  riferimento all'art. 3
della Costituzione, comporta l'assorbimento dell'ulteriore profilo di
incostituzionalita'.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 3,
del  d.P.R.  30 maggio  2002,  n. 115 (Testo unico delle disposizioni
legislative  e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo
A),  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  sono  spese anticipate
dall'Erario «le spese ed onorari» al curatore.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2006.
                         Il Presidente: Bile
                      Il redattore: Finocchiaro
                      Il cancelliere:Fruscella
    Depositata in cancelleria il 28 aprile 2006.
                      Il cancelliere:Fruscella
06C0380