N. 177 ORDINANZA 20 - 28 aprile 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Patrocinio  a  spese  dello  Stato  -  Revoca  del  provvedimento  di
  ammissione   -   Richiesta   proveniente  dall'Ufficio  finanziario
  competente - Procedimento in assenza di contraddittorio - Lamentato
  eccesso  di  delega  -  Erroneita' del presupposto interpretativo e
  incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale -
  Manifesta infondatezza della questione.
- D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 112, comma 1.
- Costituzione, art. 77, primo comma.
(GU n.18 del 3-5-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
Giudici:  Franco  BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 112, comma 1,
del  d.P.R.  30 maggio  2002,  n. 115 (Testo unico delle disposizioni
legislative  e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo
A),  promosso  con  ordinanza  del  18 novembre  2004  dalla Corte di
cassazione  sul  ricorso  proposto dal Altomonte Luciano, iscritta al
n. 220  del  registro  ordinanze  2005  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 17, 1ª serie speciale, dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  dell'8 marzo 2006 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  del 18 novembre 2004, la Corte di
Cassazione  ha  sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art. 112,  comma 1,  del  d.P.R.  30 maggio  2002, n. 115 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative e regolamentari in materia di
spese  di  giustizia  -  Testo  A)  in riferimento all'art. 77, primo
comma, della Costituzione;
        che,  secondo  il  rimettente,  il  difensore di un imputato,
nell'ambito  di  un  procedimento  penale  in  ordine al reato di cui
all'art. 80,  comma 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico
in  materia  di  disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione,   cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati  di
tossicodipendenza),  aveva proposto ricorso per cassazione avverso il
decreto  con  il  quale  la Corte d'appello di Bari aveva revocato de
plano,  ai  sensi  degli  artt. 112,  113 e 114 del d.P.R. n. 115 del
2002,  su  richiesta  avanzata dall'Agenzia delle entrate di Bari, il
decreto  di  ammissione al patrocinio a spese dello Stato, emesso dal
giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, sulla base
della  presunzione  di  sussistenza  di una disponibilita' di reddito
superiore  al  limite  massimo  fissato  dalla  normativa di settore,
desumibile  dalla  definitiva  sentenza  di  condanna, laddove si era
accertato  che  l'imputato  aveva  posto  in essere, a fini di lucro,
un'attivita'   di   spaccio  di  sostanze  stupefacenti  di  notevole
rilevanza;
        che il difensore dell'imputato lamentava che il provvedimento
impugnato  era stato emesso, ai sensi dell'art. 112 del d.P.R. n. 115
del  2002,  con  decreto  de  plano,  con  conseguente violazione del
principio del contraddittorio;
        che  tale  d.P.R.  raccoglie i testi unici delle disposizioni
legislative  di  cui  al  d.lgs.  30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico
delle  disposizioni  legislative  in  materia di spese di giustizia -
Testo  B)  e di quelle regolamentari di cui al d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 114  (Testo  unico  delle disposizioni regolamentari in materia di
spese di giustizia - Testo C);
        che  il  d.lgs. n. 113 del 2002 trova il suo fondamento nella
delega   contenuta   nell'art. 7  della  legge  8 marzo  1999,  n. 50
(Delegificazione  e  testi  unici  di  norme concernenti procedimenti
amministrativi  -  legge  di  semplificazione 1998),  come modificato
dall'art. 1,   comma 6,   della   legge   24 novembre   2000,  n. 340
(Disposizioni   per   la   delegificazione   di   norme   e   per  la
semplificazione   di   procedimenti   amministrativi   -   legge   di
semplificazione 1999);
        che   dal   preambolo   dello   stesso   decreto  legislativo
emergerebbe  che la delega e' esercitata con riferimento alle materie
indicate  ai  nn. 9,  10 e 11 dell'allegato n. 1 della predetta legge
n. 50  del  1999,  che, rispettivamente, attengono al procedimento di
gestione  ed  alienazione  dei  beni  sequestrati  e  confiscati,  al
procedimento  relativo alle spese di giustizia ed ai procedimenti per
l'iscrizione  a  ruolo  ed  al  rilascio  di copie di atti in materia
tributaria ed in sede giurisdizionale, cioe' all'intera materia delle
spese  di  giustizia,  che  costituisce  l'oggetto  sostanziale della
delega stessa;
        che  la  Corte  di  cassazione ha in piu' occasioni (v. Cass.
25 febbraio  2004,  imp.  Lustri  e,  da ultimo, 14 luglio 2004, imp.
Pangallo)   sottolineato   che   l'oggetto  della  delega,  contenuta
nell'art. 7,  comma 2,  lettera d),  della  legge  n. 50 del 1999, e'
espressamente  limitato  al  «coordinamento  formale  del testo delle
disposizioni  vigenti» con facolta' di «apportare nei limiti di detto
coordinamento,  le  modifiche  necessarie  per  garantire la coerenza
logica  e  sistematica  della  normativa, anche al fine di adeguare e
semplificare  il  linguaggio  normativo»,  con  la conseguenza che in
nessun   modo  le  singole  norme  del  testo  unico  possono  essere
interpretate nel senso volto a determinare apprezzabili modifiche, in
particolare  a  detrimento  delle tutele sostanziali e procedimentali
gia' riconosciute, rispetto alla situazione normativa precedente;
        che,   pertanto,  emergerebbe  un  contrasto  del  richiamato
art. 112  del  d.P.R. n. 115 del 2002 con il contenuto della legge di
delega,  la'  dove  questa  attribuirebbe  al legislatore delegato un
potere  limitato,  tale  da  escludere  la  possibilita' di qualsiasi
modifica  sostanziale delle strutture portanti della disciplina delle
materie cui la delega stessa si riferisce;
        che  la  citata disposizione avrebbe ridisciplinato, sotto il
profilo  sostanziale,  tutte  le  ipotesi  di  revoca  del beneficio,
prevedendo,  alle  lettere a),  b)  e  c)  del  comma 1,  le  revoche
«d'ufficio»  di  carattere  c.d.  formale,  ed  alla lettera d) dello
stesso   comma 1,  quella  «su  richiesta  dell'ufficio  finanziario,
presentata  in  ogni  momento, e comunque non oltre cinque anni dalla
definizione  del processo, se risulta provata la mancanza, originaria
o sopravvenuta, delle condizioni di reddito»;
        che l'art. 113 ribadisce poi la ricorribilita' per cassazione
(non piu' limitata ai soli casi di «violazione di legge») solo contro
il   decreto  che  decide  sulla  richiesta  di  revoca  dell'Ufficio
finanziario;
        che,  secondo  il giudice a quo, la norma impugnata, sotto il
profilo squisitamente procedimentale, statuisce, invece, che in tutte
le  ipotesi  previste,  il magistrato revoca l'ammissione con decreto
motivato;
        che  la  norma  sarebbe  decisamente  innovativa  rispetto al
sistema  della  legge  n. 217  del  1990  che prevedeva, all'art. 10,
comma 2,  nelle  ipotesi  di  revoca  o modifica del provvedimento di
ammissione   su  richiesta  del  pubblico  ministero  o  dell'ufficio
finanziario   (come   nel  caso  in  esame),  l'applicabilita'  della
procedura  di  cui  all'art. 6,  comma 4,  che rinviava, a sua volta,
all'art. 29  della  legge  13  giugno 1942,  n. 794,  e  cioe' ad una
disposizione  che  dettava,  in  proposito, una disciplina ispirata a
garantire  il  principio  del  contraddittorio (essendo, tra l'altro,
prevista la comparizione degli interessati davanti al giudice);
        che  sarebbe,  pertanto,  evidente  che  la  nuova  normativa
avrebbe  abrogato  il  procedimento  in  contraddittorio tra le parti
precedentemente  previsto  avverso  la  revoca  del  provvedimento di
ammissione,   ora   non   piu'   richiamato  neppure  implicitamente,
determinando  una  sostanziale  modifica del previgente sistema, che,
secondo  il  rimettente,  non  sarebbe  autorizzato  dal  legislatore
delegante, in contrasto con l'art. 77, primo comma, Cost.;
        che  la questione sarebbe infine rilevante per la definizione
del  giudizio  a  quo,  perche',  vertendosi  in materia processuale,
sarebbe  stata  fatta  applicazione  del principio tempus regit actum
tenuto conto che la richiesta di revoca dell'Agenzia delle entrate e'
dell'8 gennaio 2003;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione venga dichiarata infondata, dal
momento  che  la  delega conferita al Governo dall'art. 7 della legge
8 marzo  1999,  n. 50,  costituisce altresi' legge di semplificazione
annuale  e,  dunque, si ispira alle disposizioni della legge 15 marzo
1997, n. 59, che concerne proprio le deleghe contenute nelle leggi di
semplificazione,  e  il  cui art. 20 stabilisce che l'esercizio delle
deleghe  di  cui  alle leggi di semplificazione attiene a principi di
semplificazione e snellimento procedurale;
        che  tali  principi  si affiancherebbero a quelli di cui alla
legge  n. 50  del 1999 che, secondo la prospettazione del rimettente,
legittimerebbe solo interventi di coordinamento formale;
        che,  secondo l'Avvocatura, l'interpretazione riduttiva della
legge  di  delega  sarebbe  in  contrasto con le sentenze della Corte
costituzionale  n. 52  e  n. 54 del 2005, dal momento che la sentenza
n. 52  del 2005 legittima il legislatore ad operare interventi idonei
al  raggiungimento  dell'obiettivo  del riordino logico e sistematico
della  materia,  e  che  la  sentenza  n. 54  del  2005,  confermando
l'esperibilita'  del  ricorso  per  cassazione  in caso di revoca del
provvedimento  di  ammissione  al  patrocinio  a  spese  dello Stato,
comporterebbe  che  la  denunciata  abrogazione  del  procedimento in
contraddittorio   sarebbe  compensata  dalla  predisposizione  di  un
rimedio   di   piu'   ampia  e  completa  tutela  nei  confronti  del
provvedimento emesso de plano;
    Considerato  che la Corte di cassazione dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 112,  comma 1,  del  d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia  di  spese  di  giustizia - Testo A), in tema di patrocinio a
spese  dello  Stato,  nella  parte  in  cui  prevede  che, in caso di
richiesta   proveniente   dall'Ufficio   finanziario  competente,  il
magistrato provvede alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese
dello Stato con decreto emesso de plano, per violazione dell'art. 77,
primo  comma, della Costituzione, per essere stata la norma impugnata
emanata  in assenza di delega legislativa, in quanto la delega stessa
si  limiterebbe  a  permettere  un coordinamento meramente formale di
norme  preesistenti,  mentre  la  norma  impugnata sarebbe fortemente
innovativa rispetto al sistema della precedente legge 30 luglio 1990,
n. 217  (Istituzione  del  patrocinio  a  spese dello Stato per i non
abbienti),  abrogata  dal  d.P.R.  n. 115  del  2002,  che prevedeva,
all'art. 10,   comma 2,  nelle  ipotesi  di  revoca  o  modifica  del
provvedimento  di  ammissione  su richiesta dell'ufficio finanziario,
l'applicabilita'  della  procedura  di  cui  all'art. 6, comma 4, che
rinviava,  a  sua  volta,  all'art. 29  della  legge  13 giugno 1942,
n. 794,  e  cioe'  ad  una  disposizione  che  dettava una disciplina
ispirata a garantire il principio del contraddittorio;
        che  questa  Corte  -  proprio  con  riferimento  al  decreto
legislativo  impugnato  -  ha  affermato che, tra i criteri direttivi
individuati  nella  delega,  assume  rilievo  quello  previsto  dalla
lettera d),  comma 2,  dell'art. 7  della  legge  8 marzo 1999, n. 50
(Delegificazione  e  testi  unici  di  norme concernenti procedimenti
amministrativi  -  legge  di  semplificazione 1998),  come modificato
dall'art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la
delegificazione  di  norme  e  per la semplificazione di procedimenti
amministrativi   -  legge  di  semplificazione 1999)  concernente  il
«coordinamento   formale   del   testo   delle  disposizioni  vigenti
apportando,   nei   limiti   di  detto  coordinamento,  le  modifiche
necessarie  per  garantire  la  coerenza  logica  e sistematica della
normativa  anche  al  fine  di  adeguare e semplificare il linguaggio
normativo»,  aggiungendo che «se l'obiettivo e' quello della coerenza
logica  e  sistematica  della  normativa,  il  coordinamento non puo'
essere solo formale, come non ha mancato di sottolineare il Consiglio
di   Stato   nel   parere  espresso  nel  corso  della  procedura  di
approvazione  del  testo  unico»  e che, «se l'obiettivo e' quello di
ricondurre  a  sistema una disciplina stratificata negli anni, con la
conseguenza  che  i  principi sono quelli gia' posti dal legislatore,
non   e'   necessario  che  -  come  vorrebbe  il  rimettente  -  sia
espressamente  enunciato  nella  delega  il  principio  gia' presente
nell'ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una
materia  delimitata»,  con la conseguenza che «entro questi limiti il
testo  unico  poteva  innovare  per  raggiungere la coerenza logica e
sistematica» (sentenza n. 52 del 2005);
        che,  del  resto,  nonostante  un  difetto  di  coordinamento
normativo  delle  disposizioni  trasfuse  nel testo unico ed in parte
novellate,  si  puo'  ricavare  dal  sistema  la  possibilita' di una
interpretazione  adeguatrice  secondo  la quale e' sempre esperibile,
nei  confronti  dei  provvedimenti  di  revoca  della  ammissione  al
patrocinio  a  spese  dello  Stato  emessi dal giudice competente, il
ricorso  al  Presidente del tribunale o della corte di appello, i cui
provvedimenti  sono  ricorribili  per  cassazione  ovvero, in caso di
revoca  richiesta  dall'ufficio  finanziario, direttamente il ricorso
per cassazione;
        che,  come  gia'  affermato  da  questa  Corte, «per «diritto
vivente»,   come   espresso  in  numerose  pronunce  della  Corte  di
cassazione,  confermato  dalla  recente  sentenza delle sezioni unite
penali  del  14 luglio  2004,  n. 36168,  tutti  i  provvedimenti che
dispongono   in   ordine   alla  ammissione  al  patrocinio  a  spese
dell'erario,   compresi   quelli   di   revoca   di   un   precedente
provvedimento, sono impugnabili negli stessi termini e con i medesimi
rimedi  stabiliti dall'art. 99 del d.P.R. n. 115 del 2002, non avendo
il  testo  unico  abrogato i diritti e le garanzie difensive previsti
dalla previgente disciplina» (sentenza n. 54 del 2005);
        che  il  rimettente  e'  partito  quindi  da  un  presupposto
interpretativo  erroneo  e da una incompleta ricostruzione del quadro
normativo e giurisprudenziale, con conseguente manifesta infondatezza
della questione sollevata;
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 112,  comma 1,  del  d.P.R.
30 maggio  2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), sollevata,
in  riferimento  all'art. 77,  primo comma, della Costituzione, dalla
Corte di cassazione, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2006.
                        Il Presidente: Marini
                      Il redattore: Finocchiaro
                      Il cancelliere:Fruscella
    Depositata in cancelleria il 28 aprile 2006.
                      Il cancelliere:Fruscella
06C0383