N. 180 ORDINANZA 20 - 28 aprile 2006
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Giurisdizioni speciali - Contenzioso tributario - Giudice tributario - Compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito - Denunciata lesione del principio di imparzialita' del giudice - Difetto di rilevanza della questione nel giudizio a quo - Manifesta inammissibilita'. - D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, art. 13, comma 2. - Costituzione, art. 111, secondo comma.(GU n.18 del 3-5-2006 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Annibale MARINI; Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza depositata il 13 ottobre 2005 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, nel giudizio tributario vertente tra Antonio Di Dio e l'Agenzia delle entrate, Ufficio di Milano 1, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, 1ª serie speciale, dell'anno 2006. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 5 aprile 2006 il giudice relatore Franco Gallo. Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da un contribuente nei confronti dell'Agenzia delle entrate avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso di quanto corrisposto a titolo di IRPEF e della correlativa addizionale regionale relative al 2001, la Commissione tributaria provinciale di Milano, con ordinanza depositata il 13 ottobre 2005, ha sollevato - in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione - questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede, per i giudici tributari, «un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito»; che, per la Commissione tributaria provinciale, tale compenso, «fondato sul cottimo», sarebbe incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale e, in particolare, con il principio dell'imparzialita' del giudice sancito dal vigente art. 111, secondo comma, Cost., perche' renderebbe i giudici personalmente ed economicamente interessati a decidere nel minor tempo il maggior numero di cause, creando nel giudicante un'aspettativa di vantaggi che ostacolerebbe l'obiettivita' della decisione e contrasterebbe con il suddetto principio, secondo cui i giudici debbono non solo essere, ma anche apparire indipendenti, obiettivi ed imparziali; che, quanto alla rilevanza, il giudice rimettente premette che l'eventuale accoglimento dell'eccezione di inammissibilita' od improponibilita' del ricorso del contribuente - sollevata dalla resistente Agenzia delle entrate sotto il profilo che la richiesta di rimborso contenuta (come nella specie) nella dichiarazione dei redditi non sarebbe idonea a formare un silenzio-rifiuto giudizialmente impugnabile - «potrebbe» contribuire alla generale diminuzione del contenzioso tributario per casi simili e, quindi, potrebbe avere effetti economici pregiudizievoli per i giudici tributari, i quali sono retribuiti in base ai ricorsi decisi; che la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo sia direttamente, perche' riguarderebbe la composizione dell'organo giudicante, sia «quanto meno indirettamente», perche' la decisione sulla predetta eccezione potrebbe influire sulla proposizione di altri ricorsi e, per l'effetto, sull'entita' dei compensi o delle indennita' dovuti al, nuocendo all'immagine di questo ed all'obiettivita' del giudizio; che il rimettente sollecita sul punto una nuova decisione della Corte costituzionale rispetto a quella, di manifesta inammissibilita', di cui all'ordinanza n. 326 del 1987, che, sempre per il rimettente, concernerebbe una questione solo apparentemente analoga, perche', in realta', relativa ad un altro parametro e ad altre prospettazioni del giudice a quo; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di manifesta inammissibilita' per irrilevanza o di manifesta infondatezza della questione; che la difesa erariale deduce, a sostegno di tali conclusioni: a) che la norma denunciata non attiene alla composizione del giudice; b) che la medesima norma non contiene la regula iuris da applicare nel giudizio principale; c) che analogo provvedimento di rimessione e' gia' stato dichiarato inammissibile dalla Corte, con ordinanza n. 326 del 1987; d) che il novellato art. 111 Cost. non ha innovato al principio di terzieta' del giudice e che, pertanto, la mera evocazione di tale parametro non introduce profili della questione nuovi rispetto a quelli gia' esaminati dalla Corte costituzionale nella citata ordinanza; e) che il contrasto tra una indimostrabile deflazione del contenzioso e l'interesse economico del giudice tributario ad adottare quante piu' pronunce possibili non ha riflessi nel giudizio a quo. Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Milano dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede per i giudici tributari «un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito»; che, per il giudice rimettente, tale disposizione violerebbe l'art. 111, secondo comma, della Costituzione, perche' detto compenso, «fondato sul cottimo», sarebbe incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale e, in particolare, con l'imparzialita' del giudice, in quanto renderebbe quest'ultimo personalmente ed economicamente interessato a decidere nel minor tempo il maggior numero di cause, creando nel giudicante un'aspettativa di vantaggi che ostacolerebbe l'obiettivita' della decisione e contrasterebbe con il principio secondo cui i giudici debbono non solo essere, ma anche apparire indipendenti, obiettivi ed imparziali; che la questione sarebbe rilevante, perche' atterrebbe alla «composizione del giudice», e comunque perche', nella specie, il giudice tributario avrebbe obiettivamente l'interesse a respingere l'eccezione di inammissibilita' od improponibilita' del ricorso sollevata nel giudizio a quo dall'Agenzia delle entrate (secondo la quale la richiesta di rimborso contenuta nella dichiarazione dei redditi non sarebbe idonea a formare un silenzio-rifiuto giudizialmente impugnabile), in quanto l'accoglimento dell'eccezione «potrebbe» scoraggiare, in generale, la proposizione di analoghe cause da parte dei contribuenti e far cosi' diminuire i compensi o le indennita' dovuti al giudice; che la questione e' manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza; che, infatti, la norma censurata riguarda esclusivamente la misura del compenso del giudice tributario e, pertanto, non attiene ne' alla «composizione», ne' alla costituzione del giudice medesimo, cioe' alla legittimazione di questo ad esercitare le proprie funzioni, e neppure deve essere applicata dal rimettente nel giudizio principale; che, inoltre, lo stesso rimettente, per affermare la rilevanza della questione in riferimento al principio dell'imparzialita' del giudice, e' costretto ad ipotizzare una diretta correlazione causale sia tra la propria decisione sull'ammissibilita' del ricorso del contribuente ed una consistente deflazione del contenzioso tributario di cause simili; sia tra tale deflazione del contenzioso ed una eventuale futura diminuzione dei propri compensi; che, tuttavia, tali correlazioni causali - del resto prospettate in via soltanto ipotetica dal giudice a quo, il quale afferma che l'accoglimento della predetta eccezione di inammissibilita' del ricorso del contribuente «potrebbe» contribuire alla diminuzione del contenzioso tributario, in quanto «puo» scoraggiare la proposizione di altri ricorsi riguardanti casi simili - non sono plausibili, non risultando ragionevolmente ipotizzabile ne' che le decisioni di un giudice di primo grado, privo di funzioni nomofilattiche, possano significativamente modificare la tipologia del contenzioso tributario, ne' che la conseguente prospettata diminuzione del numero dei ricorsi avverso il silenzio-rifiuto, formatosi sulla richiesta di rimborso contenuta nella dichiarazione dei redditi del contribuente (contenzioso la cui incidenza statistica sul complesso dei ricorsi non e' stata in alcun modo valutata dal rimettente), possa in futuro far diminuire in concreto il compenso complessivo di ciascun componente della Commissione tributaria provinciale di Milano; che, dunque, l'influenza nel giudizio a quo della norma censurata e' meramente affermata, ma non dimostrata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; che, del resto, questa Corte, con riguardo ad analoghe questioni - aventi ad oggetto la norma contenuta nel previgente art. 12, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), relativa anch'essa al compenso dei componenti delle commissioni tributarie commisurato al numero dei ricorsi decisi, e che, secondo i rimettenti, avrebbe determinato nei giudici un interesse economico personale a decidere il maggior numero di ricorsi, incompatibile con l'indipendenza del giudice garantita dall'art. 108, secondo comma, Cost. - ha gia' piu' volte concluso per la manifesta inammissibilita', per difetto di rilevanza, delle questioni medesime, in quanto la norma all'epoca denunciata, concernendo (al pari di quella oggetto del presente giudizio di legittimita' costituzionale) i compensi previsti per i componenti delle commissioni tributarie, non incide ne' sul rapporto in ordine al quale il giudice rimettente e' chiamato a decidere, ne' sulla composizione dell'organo giudicante, con la conseguenza che essa non trova ne' puo' trovare applicazione, sotto alcun profilo, da parte del giudice a quo (sentenza n. 196 del 1982; ordinanze n. 447 del 1991 e n. 326 del 1987). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2006. Il Presidente: Marini Il redattore: Gallo Il cancelliere:Fruscella Depositata in cancelleria il 28 aprile 2006. Il cancelliere:Fruscella 06C0386