N. 130 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 marzo 2006
Ordinanza emessa il 16 marzo 2006 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento penale a carico di Esposito Fernando ed altri Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione (salvo nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, se la nuova prova e' decisiva) - Violazione del principio di uguaglianza, a fronte della possibilita' per l'imputato di proporre appello contro le sentenze di condanna - Lesione del diritto di azione e di difesa - Lesione del principio di parita' tra le parti - Contrasto con il principio di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale. - Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 1, sostitutivo dell'art. 593 codice di procedura penale. - Costituzione, artt. 3, 24, 111 e 112.(GU n.19 del 10-5-2006 )
LA CORTE D'APPELLO Rileva in fatto Con sentenza in data 12 febbraio 2004 il Tribunale di Roma assolveva perche' il fatto non costituisce reato Esposito Fernando, De Santis Loredana, Esposito Giuseppe e Ricci Mara dal reato di ricettazione in concorso commesso in Roma il 15 marzo 1998. Avverso tale sentenza proponeva appello il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma chiedendo la condanna degli imputati. In pendenza dell'appello in data 9 marzo 2006 entrava in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, escludente la possibilita' per il pubblico ministero di proporre gravame avverso sentenze assolutorie eccezion fatta per i casi in cui ricorre l'ipotesi delineata dall'art. 603, secondo comma c.p.p. Osserva in diritto Ritiene la Corte non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge n. 46/2006 e delle disposizioni ad esso correlate, nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di assoluzione, se non nel caso previsto dall'art. 603, comma 2 c.p.p. La norma in esame appare invero in conflitto con gli articoli 3, 24, 111 e 112 della Costituzione. 1. - Quanto al contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. rileva la Corte come consentire all'imputato di proporre appello nei confronti di sentenze di condanna ma non consentire al p.m. lo speculare diritto di proporre appello avverso le sentenze di assoluzione, se non in un caso delimitato, comporti una violazione del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. All'imputato, infatti, viene in tal modo riconosciuta una posizione di evidente favore nei confronti degli altri componenti la collettivita' che vedono cosi' fortemente limitato, nelle modalita' di espletamento, il diritto-dovere del p.m., che i loro interessi tutela, di esercitare l'azione penale. Tanto piu' ove si tenga presente che la possibilita' per l'accusa di interporre gravame nella ipotesi prevista dall'art. 603, secondo comma c.p.p. appare poco piu' che teorica: il pubblico ministero avrebbe infatti la possibilita' di proporre appello nel caso in cui, nei ristretti limiti di tempo compresi tra la pronuncia della sentenza di primo grado e i termini per l'appello, sopravvenissero o venissero per avventura scoperte nuove prove e le stesse fossero decisive. 2. - Le norme in questione si pongono altresi' in contrasto con l'art. 24 Cost. nella parte in cui stabilisce - primo comma - che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei loro diritti ed interessi legittimi e - secondo comma - che la difesa e' un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. In effetti la norma impugnata elidendo quasi totalmente la possibilita' per il p.m. di proporre appello, nella ipotesi di assoluzione del prevenuto, non consente alla collettivita', i cui interessi sono dal p.m. medesimo rappresentati e difesi, di tutelare adeguatamente i suoi diritti di fronte, in ipotesi ad un errore nella ricostruzione del fatto o nella interpretazione del diritto che abbiano portato alla assoluzione dell'imputato. Devesi in questa sede porre in evidenza come, mentre da un canto la normativa introdotta dalla legge in questione comporti sostanzialmente, in caso di assoluzione dell'imputato, la perdita di un grado di merito della giurisdizione e cioe' di un giudizio che investe la vicenda processuale nella sua completezza, riesaminando il fatto e valutandone nuovamente le implicazioni giuridiche, dall'altro non valga a colmare tale perdita la nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p. Quest'ultimo prevede, invero, delle modifiche di limitata portata a due motivi di ricorso, quelli elencati sotto le lettere d) ed e): tali modifiche consentono, nella nuova formulazione, di sottoporre al vaglio della Corte di cassazione, il primo, la mancata assunzione di una controprova «anche quando questa sia stata richiesta nel corso della istruzione dibattimentale» ed, il secondo, la mancanza o illogicita' della motivazione che risulti oltre che dal testo della sentenza impugnata, «anche da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame». 3. - Va rilevato ancora il contrasto della norma impugnata con il disposto di cui all'art. 111 Cost. Sancisce invero la predetta disposizione che «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita' davanti ad un giudice terzo ed imparziale....». Appare dunque evidente come la normativa introdotta dell'art. 1, legge n. 46/2006 non consentendo al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di assoluzione - se non nel caso sopra specificato - leda il principio costituzionale della parita' tra le parti in giudizio sancito dalla norma di cui all'art. 111 cit. non consentendo all'accusa di tutelare le sue ragioni con modalita' e poteri simmetricamente eguali a quelli di cui dispone la difesa. 4. - La norma in esame appare, infine, in contrasto con l'art. 112 Cost. L'esercizio della azione, tanto penale quanto civile, comporta il dispiegamento della azione medesima lungo i due gradi di merito ed il terzo di legittimita' previsti dalla nostra legislazione secondo un canone accettato e seguito, oltre che dal nostro, dalla maggioranza degli ordinamenti giuridici europei e piu' in generale occidentali. Invero la possibilita' di esaminare la vicenda processuale sotto entrambi i profili, fattuale e giuridico, per mezzo di due gradi di giurisdizione di merito risponde alla fondamentale esigenza di ovviare, mediante un duplice vaglio, a possibili errori nella determinazione del fatto e nella sua riconduzione ad una determinata fattispecie giuridica. Detto altrimenti un secondo grado di giudizio di merito a disposizione dell'imputato o del p.m., dell'attore o del convenuto appare consustanziale al sistema processuale vigente. Cosi' delineata la natura della azione penale, ne consegue che l'esclusione di fatto del p.m. dalla possibilita' di proporre appello avverso una sentenza di assoluzione dell'imputato, sancita dall'art. 1 cit., elude il principio della obbligatorieta' della azione medesima, considerata nella sua interezza, e si pone, conseguentemente, in contrasto con la norma di cui all'art. 112 della Costituzione. Posti in rilievo gli elementi che inducono a ritenere la questione di illegittimita' costituzionale in esame non manifestamente infondata, e quindi rilevante, osserva infine la Corte come il giudizio in corso non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione di detta questione: essa appare pertanto, oltre che rilevante, altresi' ammissibile.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 in relazione agli articoli 3, 24, 111, 112 Cost.; Sospende il presente procedimento. Manda alla cancelleria per la trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale, agli imputati ed al p.m., al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti della Camera di deputati e del Senato della Repubblica. Roma, addi' 16 marzo 2006 Il Presidente estensore: Bettiol 06C0388