N. 193 ORDINANZA 3 - 11 maggio 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Prova  -  Informazioni fornite agli ufficiali di
  polizia  giudiziaria da informatore non esaminato come testimone, e
  deceduto  prima  della  verbalizzazione  delle  sue dichiarazioni -
  Acquisizione   o   utilizzabilita'   in   dibattimento  -  Ritenuta
  esclusione  -  Denunciata  lesione del principio di eguaglianza con
  riferimento  alla  fase  delle  indagini  preliminari,  lesione del
  diritto  di  difesa e dei principi sul giusto processo - Censura di
  norma  inconferente  e omessa attivita' del rimettente in direzione
  di  una  congrua  opzione  ermeneutica - Manifesta inammissibilita'
  della questione.
- Cod. proc. pen., art. 203.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.20 del 17-5-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'articolo 203 del
codice  di  procedura  penale, promosso con ordinanza del 18 febbraio
2004  dal  Tribunale  di Catania, nel procedimento penale a carico di
P.C.  ed  altro,  iscritta  al  n. 584  del registro ordinanze 2004 e
pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 26, prima
serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  dell'8 marzo 2006 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto che con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di
Catania  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 203
del  codice  di procedura penale, nella parte in cui non consente, in
dibattimento,  l'acquisizione  o l'utilizzabilita' delle informazioni
fornite  agli ufficiali di polizia giudiziaria se gli informatori non
siano   esaminati   come   testimoni,   anche   nell'ipotesi  in  cui
l'informatore sia deceduto prima della avvenuta verbalizzazione delle
sue dichiarazioni;
        che   il   giudice   a   quo  premette  che,  nel  corso  del
dibattimento, un ufficiale di polizia giudiziaria, che deponeva quale
testimone  indicato  dalla  difesa,  stava  riferendo  in  merito  al
contenuto  di  informazioni  ricevute  da una fonte confidenziale, da
ritenersi    decisive    per   l'accertamento   dei   fatti   oggetto
dell'imputazione:  nondimeno, essendo stato l'informatore assassinato
«mentre era in corso di preparazione il suo ingresso nel programma di
protezione»  per  divenire  collaboratore  di  giustizia, le suddette
informazioni   «non  erano  state  ancora  ritualmente  assunte,  ne'
formalmente verbalizzate», come evidenziato dal teste medesimo, unico
ad averne diretta conoscenza;
        che,  a  fronte  di  tale evenienza processuale - prosegue il
rimettente  -  il  difensore  di  uno  degli imputati aveva sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 203 cod. proc.
pen.,  sul  presupposto  che dal disposto della citata norma - ed, in
particolare,  dalla  circostanza  che  l'informatore  non fosse stato
esaminato   come  testimone  -  discendesse  l'inutilizzabilita'  del
contenuto  delle  informazioni riferite nel corso della testimonianza
dibattimentale,  cosi'  frustrando  le garanzie della difesa, nel cui
interesse il teste medesimo era stato escusso;
        che   il  Tribunale  ritiene  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 203  cod.  proc.  pen. rilevante,  poiche'
l'utilizzabilita'   di   quanto  riferito  all'ufficiale  di  polizia
dall'informatore  -  nell'impossibilita'  di  escutere  quest'ultimo,
deceduto  -  risulterebbe  «pregiudiziale  alla  decisione finale del
processo», stante la diretta incidenza, su di essa, di tale materiale
probatorio;
        che,  quanto  al profilo della non manifesta infondatezza, il
giudice a quo -- richiamato l'orientamento giurisprudenziale in forza
del  quale  sarebbe  pienamente legittima l'utilizzazione, in sede di
indagini  preliminari,  delle dichiarazioni assunte da confidente poi
deceduto -- rileva come le medesime informazioni non possano, invece,
essere   acquisite   o   utilizzate   nel   corso  del  dibattimento,
nell'ipotesi  in  cui,  come  nella  specie,  il confidente non possa
essere  escusso,  cosi'  violando  il principio di eguaglianza di cui
all'art. 3 Cost;
        che, inoltre, la norma censurata contrasterebbe con l'art. 24
Cost.,   risultando   compromesso   il   diritto   di   difesa  dalla
impossibilita' di «ingresso nel processo penale» di dichiarazioni che
-  ancorche'  favorevoli  all'imputato  - non sarebbero utilizzabili,
neppure  in  forza  dell'art. 512 cod. proc. pen., per essere il loro
autore  deceduto  prima  della possibilita' di verbalizzazione: cosi'
consentendo,   peraltro,  la  possibilita'  ai  poteri  criminali  di
eliminare  gli  informatori  di polizia «prima che gli stessi possano
ribadire le loro dichiarazioni in dibattimento» ;
        che,    infine,   per   le   medesime   ragioni,   l'art. 203
cod.proc.pen. si porrebbe in contrasto con l'art. 111, commi quinto e
sesto,  della Costituzione, posto che la citata norma costituzionale,
nell'affermare  il  principio  del  contraddittorio  nella formazione
della  prova, regola altresi' «i casi in cui la stessa non possa aver
luogo  nel  pieno  rispetto dello stesso contraddittorio per consenso
dell'imputato o per accertata impossibilita' di natura oggettiva»;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   il   quale  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
manifestamente infondata.
    Considerato   che  il  rimettente  dubita,  in  riferimento  agli
artt. 3,   24   e   111   della   Costituzione,   della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 203  del  codice di procedura penale, nella
parte   in   cui  vieta  l'utilizzabilita',  in  dibattimento,  delle
dichiarazioni assunte da informatore che non sia stato esaminato come
testimone,  anche  nell'ipotesi  in cui egli sia deceduto prima della
verbalizzazione di tali dichiarazioni;
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  la disciplina censurata -
vietando    l'utilizzabilita'   delle   dichiarazioni   ricevute   da
informatore,  poi  deceduto, limitatamente alla sede dibattimentale e
consentendola    invece,    secondo   la   corrente   interpretazione
giurisprudenziale, nella fase delle indagini preliminari - sarebbe in
contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza; violerebbe,
altresi',  l'art. 24  della Carta fondamentale, attesa la menomazione
al  diritto  di  difesa  derivante  dal  divieto,  per l'ufficiale di
polizia  giudiziaria chiamato a testimoniare, di riferire circostanze
anche  decisive  per l'innocenza dell'imputato apprese dal confidente
poi  deceduto;  violerebbe, infine, l'art. 111, commi quinto e sesto,
Cost.,  nella  parte  in  cui  tale norma costituzionale demanda alla
legge  di  regolare i casi in cui la formazione della prova non possa
aver  luogo  «nel  pieno  rispetto dello stesso contraddittorio», per
consenso  dell'imputato  o  per  accertata  impossibilita'  di natura
oggettiva;
        che  il  giudice rimettente ha tuttavia articolato la propria
censura su di una norma non pertinente alla fattispecie sottoposta al
suo  giudizio,  posto  che la dedotta preclusione all'utilizzabilita'
delle  dichiarazioni in oggetto, nei termini in cui e' denunciata dal
rimettente, non e' in realta' riconducibile al disposto dell'art. 203
cod. proc. pen;
        che,   invero,   tale   norma,   stabilendo   il  divieto  di
acquisizione   ed   utilizzazione  delle  informazioni  fornite  agli
ufficiali  ed agenti di polizia giudiziaria dagli informatori che non
siano  stati esaminati come testimoni, connette tale regime normativo
al  perdurare del carattere di anonimato della fonte informativa; se,
per  contro,  subentra  ad  opera  del  medesimo ufficiale di polizia
giudiziaria  la  rivelazione dell'identita' dell'informatore anche in
conseguenza   della   sua   morte,   le   relative  notizie  perdono,
evidentemente, la connotazione di informazioni confidenziali;
        che,  nella  vicenda in esame, lo stesso Tribunale rimettente
evidenzia   come  l'ufficiale  di  polizia  giudiziaria,  chiamato  a
testimoniare, avesse rivelato, stante l'avvenuto decesso, l'identita'
della  fonte  gia'  confidenziale,  delineandosi cosi' una situazione
processuale  che  -  lungi  dal  ricadere  nell'ambito  di  efficacia
dell'art. 203  cod.  proc.  pen. - non mostra apprezzabili diversita'
rispetto  a  quella che trova disciplina normativa nell'art. 195 cod.
proc.  pen. e,  segnatamente, nelle regole di rito che attengono alla
testimonianza   indiretta   degli  ufficiali  ed  agenti  di  polizia
giudiziaria:  non  senza  considerare,  inoltre, ai fini del concreto
reperimento  della  regula  iuris  da  applicare,  che, nella specie,
l'esame  della  fonte diretta risulta impossibile per la sopravvenuta
morte della stessa;
        che,  dunque, non soltanto il giudice rimettente focalizza la
propria  censura su norma eccentrica rispetto alla fattispecie al suo
esame, ma non mostra di compiere alcuno sforzo ricostruttivo idoneo a
rendere praticabili diverse e piu' congrue opzioni ermeneutiche;
        che,  pertanto,  la  questione  va  dichiarata manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma  2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 203  del  codice di procedura
penale,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 3,  24  e 111 della
Costituzione, dal Tribunale di Catania, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 maggio 2006.
                        Il Presidente: Marini
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria l'11 maggio 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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