N. 158 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2006
Ordinanza emessa l'11 marzo 2006 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Midena Elisabetta contro Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca ed altri Amministrazione pubblica - Incarichi dirigenziali di livello generale e di direttore generale - Prevista cessazione entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge (c.d. «spoil system»), con efficacia retroattiva e prevalenza su diverse disposizioni pattizie e di contrattazione collettiva - Ritenuta irrilevanza delle sopravvenute modifiche normative di cui all'art. 14, d.l. n. 115/2005, conv. in legge n. 168/2005 - Incidenza sul diritto fondamentale di liberta' ed autonomia negoziale - Violazione del diritto al lavoro - Lesione del principio di tutela del lavoro nonche' del principio di retribuzione proporzionata ed adeguata - Indebito uso dello strumento legislativo per conseguire finalita' proprie di provvedimento amministrativo (revoca) - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Violazione del principio del servizio esclusivo alla Nazione dei pubblici impiegati - Richiamo alle ordinanze della Corte costituzionale nn. 11/2002 e 398/2005, nonche' alla sentenza n. 193/2002. - Legge 15 luglio 2002, n. 145, art. 3, commi 1, lett. b), e 7. - Costituzione, articoli 1, 2, 3, 4, 35, 36, 70, 97 e 98.(GU n.22 del 31-5-2006 )
IL TRIBUNALE Nella causa n. 216854/03 vertente tra: Elisabetta Midena, elettivamente domiciliata in Roma, via Bergamo n. 3, presso lo studio degli avv. Amos Andreoni, Luisa Torchia, Vittorio Angiolini e Tommaso Di Nitto che la rappresentano e difendono giusta mandato a margine del ricorso, ricorrente e Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore e Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati dall'Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliati in Roma, presso l'ufficio legale dell'Ente, via dei Portoghesi n. 12, resistenti, e Antonio Giunta La Spada, controinteressato contumace, a scioglimento della riserva assunta nell'udienza del 17 gennaio 2006, ha pronunciato la seguente ordinanza. Si premette in fatto che la parte ricorrente ha stipulato l'8 gennaio 200l con l'allora Ministero della pubblica istruzione un contratto a tempo determinato avente ad oggetto il conferimento di un incarico di direzione di un ufficio di livello dirigenziale generale, nella specie, di Direttore generale per le relazioni internazionali della durata di cinque anni. Il 24 settembre 2002 con la nota n. 11270/MR l'amministrazione di appartenenza comunicava alla parte ricorrente la mancata conferma nell'incarico gia' ricoperto preannunciandogli l'attribuzione di un incarico di studio della durata non superiore ad un anno con mantenimento del precedente trattamento economico, in applicazione dell' art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002. Il 25 settembre 2002 con la nota n. 11319/MR l'amministrazione proponeva l'attribuzione dell'incarico precedentemente ricoperto dalla parte ricorrente in favore del dott. Giunta La Spada. Sempre ai fini della ricostruzione della vicenda, in pari data l'amministrazione procedeva ad attribuire tutti gli incarichi inerenti i restanti posti di funzione dirigenziale di livello equivalente all'incarico originariamente attribuito alla ricorrente. Esperiti i rimedi cautelari anche in sede di reclamo la causa e' pervenuta per il merito a questo giudice. La parte ricorrente ha eccepito, con il ricorso ex art. 414. c.p.c. in via principale la illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002, ed ha chiesto a questo giudice di ritenere la questione non manifestamente infondata, ammissibile e rilevante e di investire della questione la Corte costituzionale; di ordinare all'esito al Ministero dell'istruzione ripristinare la parte ricorrente nelle sue originarie funzioni; in via subordinata, che venisse dichiarata, con sentenza non definitiva, l'insussistenza del diritto al ripristino nell'incarico di cui sopra e successivamente che venisse dichiarata l'erronea applicazione della norma citata nonche' delle delibere n. 11270/MR del 24 settembre 2002 e n. 11319/MR del 25 settembre 2002 nonche' i conseguenti d.P.C.m. di nomina del dott.ssa Midena ed del dott. Giunta La Spada per violazione degli artt. 3, comma 7, penultimo e terzultimo periodo, legge n. 145/2002 ... con ordine alle parti pubbliche convenute di conferire alla ricorrente nuovamente le funzioni di Direttore generale per le relazioni internazionali con decorrenza 8 ottobre 2002 e di conferire lo stesso o altro incarico equivalente dopo la scadenza del medesimo ai sensi dell'art. 13, C.C.N.L. Dirigenza Area 1, ed art. 19, d.lgs. n. 165/200l. In via ulteriormente gradata, chiedeva la disapplicazione delle delibere sopra richiamate (n. 112270 del 24 settembre 2002) e che venisse ordinato al M.I.U.R. di attribuirgli altro incarico equivalente vacante alla data del 23 settembre 2002 o in data successiva anche in deroga al limite percentuale imposto dall'art. 19, comma 4, d.lgs n. 165 del 2001; in via ancora subordinata, che venisse ordinato al Presidente del Consiglio dei ministri di individuare ed attribuire al ricorrente un incarico equivalente su posti vacanti o assegnati ad interim alla data del 23 settembre 2002 ... anche in deroga al limite in percentuale imposto dall'art. 19, comma 4, d.lgs n. 165 del 2001; con ultima subordinata chiedeva che venisse ordinato al M.I.U.R., previo annullamento delle citate delibere, di effettuare una valutazione comparativa tra la ricorrente ed il dott. Giunta La Spada ai fini del conferimento dell'incarico oggi reclamato, secondo i modi e i termini di cui alla legge n. 241 del 1990. Chiedeva in ogni caso la condanna del M.I.U.R. a corrispondere al ricorrente la retribuzione originariamente pattuita fino alla scadenza naturale del 23 febbraio 2006; la condanna del M.I.U.R. al risarcimento del danno subito per effetto del demansionamento subito; il riconoscimento del diritto di chance nell'accesso ad incarichi dirigenziali di livello generale ex art. 13, C.C.N.L. dirigenti PA, Area 1, ordinando alla parte convenuta la ricostruzione della carriera, oltre al risarcimento del danno da perdita di chance; il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, alla reputazione personale e professionale, nonche' all'onore al prestigio ed alla dignita' professionale che quantificava in Euro 120.000. Si costituiva la Presidenza del Consiglio ed il M.I.U.R. chiedendo il rigetto del ricorso, mentre il Giunta La Spada rimaneva contumace. Il procedimento subiva una serie di rinvii su richiesta delle parti in attesa della pronuncia della Corte costituzionale su identiche questioni di legittimita' costituzionale preventivamente proposte in occasione di altri giudizi e gia' pendenti innanzi al Giudice delle leggi, che, tuttavia, ordinava la restituzione degli atti ai giudici a quo (ordinanza n. 398 del 2005), affinche' fosse valutata la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni riguardanti l'art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002 alla luce dell'entrata in vigore dell'art. 14-sexies, d.1.n. 115 del 2005 conv. in legge n. 168 del 2005. Ribadita rilevanza dell'art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002. Nel caso in esame si e' verificata una situazione analoga alla cessazione dell'incarico per scadenza del termine, in quanto la legge n. 145 del 2002 ha disposto la cessazione anticipata dall' incarico e, dunque, anticipato la scadenza del termine contrattualmente previsto. Recita, infatti, l'art. 3, comma 7, della legge citata «Fermo restando il numero complessivo degli incarichi attribuibili, le disposizioni di cui al presente articolo trovano immediata applicazione relativamente agli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale e a quelli di direttore generale degli enti pubblici vigilati dallo Stato ove e' prevista tale figura. I predetti incarichi cessano il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge, esercitando i titolari degli stessi in tale periodo esclusivamente le attivita' di ordinaria amministrazione.». E' di tutta evidenza la rilevanza delle norme sopra citate non potendosi prescindere dalla loro applicazione nel caso di specie. La norma censurata preclude l'accoglimento della domanda proposta, in via principale, di condanna dell'amministrazione al ripristino del ricorrente nelle sue originarie funzioni, ovvero della domanda proposta di risarcimento del danno derivante dalla risoluzione anticipata del contratto stipulato dalle parti. Di contro, l'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' della norma appena riportata, nella parte in cui dispone per legge la cessazione anticipata dell'incarico, renderebbe, infatti, illegittimo il provvedimento di revoca dell'incarico stesso con conseguente diritto del ricorrente al ripristino dell'incarico sino alla naturale scadenza. Ribadita rilevanza dell'art. 3, comma 1, lettera b), legge n. 145 del 2002. Assume altresi' rilevanza la norma di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), legge n. 145 del 2002, laddove impone per gli incarichi in esame il limite massimo triennale. Tale disposizione, anche se fosse dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 3, comma 7, della legge citata, comunque impedirebbe il ripristino dei rapporti cessati, proprio a causa della maggiore durata degli incarichi stabilita convenzionalmente. Non si comprende quindi come l'art. 14-sexies d.l. n. 115 del 2005 convertito in legge n. 168 del 2005 possa aver influito sulla rilevanza dell'art. 3, comma 1, lettera b) e comma 7, legge n. 145 del 2002, tanto da dover necessitare di un nuovo vaglio da parte del giudice remittente. Il quadro normativo ha subito un'ulteriore modifica con l'entrata in vigore dell'art. 14-sexies d.l. n. 115 del 2005, convertito in legge n. 168 del 2005, che ha modificato la disciplina a regime della durata degli incarichi dirigenziali. Tale norma ha reintrodotto per tali incarichi una durata minima, fissandola in tre anni, ed ha portato la durata massima a cinque anni (art. 14-sexies, comma 1). Il comma 2 dell'art. 14 citato, tuttavia ha precisato che «La disposizione non si applica agli incarichi di direzione di uffici dirigenziali resi vacanti prima della scadenza dei contratti dei relativi dirigenti per effetto dell'art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002». La modifica della disciplina sulla durata temporale degli incarichi dirigenziali in esame, come la stessa Corte costituzionale non ha mancato di sottolineare nell'ordinanza di restituzione agli atti di altro giudizio, non si applica agli incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali resi vacanti prima della scadenza dei contratti dei relativi dirigenti a causa della cessazione ex lege dall'incarico. Non potra' pertanto trovare applicazione nel caso di specie. Ne consegue il permanere del giudizio di rilevanza nei termini sopra espressi. Ne' appaiono prospettabili interpretazioni diverse della norma che consentano il riconoscimento al ricorrente della ricostituzione del rapporto in sede di riassegnazione dell'incarico. La norma, infatti, prevede univocamente l'avvicendamento negli incarichi di dirigente generale. Allo stato una lettura costituzionalmente orientata si tradurrebbe in un sindacato diffuso sulla legittimita' costituzionale delle leggi. Non manifesta infondatezza Il sistema normativo sopra delineato appare in contrasto con una serie principi di rango costituzionale. Come hanno gia' avuto modo di evidenziare altri giudici di questo tribunale, appare sussistente la diretta violazione degli artt. 97 e 98 Cost. La legge n. 145 del 2002, infatti, ha introdotto il principio della decadenza automatica per i segretari generali e per i capi dipartimento dopo il decorso di 90 giorni dalla fiducia accordata al nuovo Governo, proprio in ragione della loro contiguita' con il potere politico (art. 3, comma 1, legge n. 145 del 2002). La normativa in esame ha, poi, previsto una tantum la cessazione automatica anche per i dirigenti generali allo scadere del sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge in esame. Tale ipotesi di risoluzione automatica anticipata di diritto, come si e' detto e' stata prevista una tantum, consentendo di fatto ed a buon diritto a legislazione vigente, solo al Governo attualmente in carica, di provvedere alla sostituzione e nomina ai vertici delle Amministrazioni di personale di propria fiducia. Si osserva inoltre che l'ipotesi prevista dal legislatore di cessazione ante tempus dell'incarico e' configurata in assenza del rispetto della procedura prevista per legge per la revoca anticipata (art. 19, d.lgs n. 165 del 2001) ed in assenza di qualunque motivazione. L'impianto normativo preso in esame appare collidere vistosamente con il principio espresso dalla Corte costituzionale diretto a garantire una situazione di equilibrio tra il potere politico ed il potere amministrativo. Il primo, infatti, si occupa della funzione di indirizzo politico e di controllo attraverso l'azione del Governo, mentre il secondo esercita funzioni gestionali e amministrative attraverso i propri funzionari (ord. n. 313 del 1996 e n. 11 del 2002). L'art. 98 Cost., infatti, prevede che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione e nei commi successivi prevede ipotesi di incompatibilita' e possibili restrizioni, al fine di evitare situazioni di conflitto di interessi proprio in nome del prevalente interesse della Nazione. La Corte costituzionale ha sul punto chiarito che «la disciplina del rapporto di lavoro dirigenziale e' connotata da specifiche garanzie, mirate a presidiare il rapporto di impiego dei dirigenti generali, la cui stabilita' non implica necessariamente la stabilita' dell'incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e l'efficienza della pubblica amministrazione, puo' essere soggetto alla verifica dell'azione svolta e dei risultati conseguiti.». Ne ha fatto conseguire, quindi che «i dirigenti generali sono quindi posti in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto del principio di imparzialita' e di buon andamento della pubblica amministrazione, tanto piu' che il legislatore delegato ... ha accentuato il principio di distinzione fra funzioni di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione ed attuazione amministrativa dei dirigenti, escludendo, tra l'altro che il Ministro possa revocare, riformare, riservare o avocare a se' o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti.». Come e' stato gia' evidenziato da altro giudice di questo tribunale «L'art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002, consentendo alla p.a. delle scelte per le quali non e' previsto l'obbligo di motivazione, almeno quanto alla mancata riattribuzione dell'incarico dirigenziale, apre di fatto la possibilita' per l'amministrazione di revocare gli incarichi in modo affatto arbitrario, all'ipotizzabile fine di redistribuirli a dirigenti ritenuti piu' affidabili dal punto di vista della consonanza politica». In ogni caso le modalita' previste di revoca dell'incarico, oltre a rendere mansueti i dirigenti per essere in una «ad una condizione di istituzionale debolezza».(ordinanza dott. Mucci), collidono con quanto dalla stessa Corte ritenuto come cardine ed allo stesso tempo la giustificazione della normativa in esame ovvero con la verifica dell'azione svolta e dei risultati conseguiti da parte del Dirigente potere funzionalizzato ad assicurare il buon andamento e l'efficienza della pubblica amministrazione. Le previsioni normative in esame, che non rispondano a tali finalita' e che anzi prevedano poteri che ne prescindano del tutto per esserne l'esercizio svincolato rispetto ad ogni principio di rango costituzionale, si pongono in diretto contrasto con i precetti costituzionali contenuti negli artt. 97 e 98 Cost., che prevedono per i pubblici impiegati il dovere di imparzialita', l'accesso di regola mediante concorso, le determinazione delle sfere di competenza delle attribuzioni e delle responsabilita', l'obbligo del servizio esclusivo della Nazione, e che quindi delineano «un complessivo statuto del dipendente pubblico sottratto dai condizionamenti politici.». La normativa oggi in esame sembra, per quanto esposto, non rispettare gli indicati principi costituzionali. Si aderisce a quanto gia' rilevato da altro giudice, ovvero che «Non vi e' ragione di ritenere che i dirigenti generali in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 145 del 2002, pur avendo ricevuto l'incarico sotto la vigenza del precedente Governo, non avrebbero (ndr. in via automatica e necessaria) con professionalita' e competenza perseguito gli obiettivi posti dalla nuova autorita' politica». In ogni caso, se cosi' non fosse stato, la legge garantisce la possibilita' di revoca dell'incarico per il mancato raggiungimento degli obiettivi, ovvero per l'inosservanza, anche non grave, delle direttive ricevute (art. 21, d.lgs. modificato dalla legge n. 145 del 2002). La necessita' dell'adozione di un atto formale di revoca garantito dall'osservanza di un formale procedimento, avrebbe escluso la possibilita' di forme non solo discriminatorie ma, perche' non regolate, del tutto arbitrarie; tale atto sarebbe potuto essere oggetto di contestazione attraverso l'impugnazione dell'atto, e avrebbe eliminato il sospetto che la cessazione automatica degli incarichi sia stata posta in essere con l'intento, manifestamente incostituzionale, per palese contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost., di garantire l'affidamento della gestione amministrativa a persone scelte per affinita' politica.» (ordinanza dott. ssa Orru). Con la previsione de iure della cessazione dall'incarico, l'art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002, sostanzialmente ha introdotto nell'ordinamento una forma di risoluzione del rapporto non assistita da alcuna forma di garanzia, ne' di contraddittorio, in aperto contrasto con quanto la stessa Corte costituzionale ha da tempo chiarito. «L'applicabilita' al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti delle disposizioni previste dal codice civile comporta, non gia', che la pubblica amministrazione possa liberamente recedere dal rapporto stesso, ma semplicemente che la valutazione dell'idoneita' professionale del dirigente e' affidata a criteri e a procedure di carattere oggettivo -- assistite da un'ampia pubblicita' e dalla garanzia del contraddittorio -- a conclusione delle quali soltanto puo' essere esercitato il receso.» (ordinanza n. 313 del 1996). I dirigenti generali destinatari di tale norma, infatti, subiscono un trattamento deteriore rispetto a quello di regola riservato a tutti gli altri lavoratori, siano essi pubblici o privati, per i quali sono previsti meccanismi di tutela a garanzia dell'immotivato ed ingiustificato recesso dal contratto. E' gia' stato esattamente rilevato che «se l'amministrazione fosse stata abilitata a riconsiderare gli incarichi utilizzando gli ordinari strumenti provvedimentali o contrattuali, il dirigente avrebbe potuto avvalersi delle tutele proprie di tali strumenti e, segnatamente, di quelle discendenti dal generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi. Invece, la diversa soluzione perseguita con la legge n. 145 del 2002 finisce per evidenziare un improprio utilizzo dello strumento legislativo per conseguire effetti propri di un atto amministrativo (appunto la revoca dell'incarico dirigenziale) con la conseguenza di privare il lavoratore di ogni tutela ed in violazione degli artt. 70 e 97 commi 1 e 2.Cost.». Si prospetta. inoltre la violazione anche degli artt. 1, 2, 4, e 35 Cost. Prevedendo una deroga ingiustificata al principio di stabilita' dei contratti di lavoro, sia pubblici sia privati, si violano, infatti, i principi della libera esplicazione della personalita' professionale sul luogo di lavoro, della liberta' negoziale, i quali possono essere sacrificati solo in presenza di doverose e ragionevoli motivazioni. Va da ultimo evidenziato il contrasto con l'art. 3 Cost. laddove la norma prevede la cessazione dell'incarico ex lege per tutti i dirigenti generali, mentre prevede la conferma automatica per i dirigenti, in caso di mancata tempestiva rotazione degli incarichi, in particolare 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 145 del 2002, debitamente motivata ed alle condizioni previste dal contratto collettivo.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge n. 87 del 1953; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera b) e comma 7 della legge n. 145 del 2002 in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4,35, 70, 97 e 98 Cost.: 1) ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; 2) ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Si comunichi alle parti. Roma, addi' 10 marzo 2006 Il giudice: Rosa 06C0450