N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 2005

Ordinanza  emessa  il  9  dicembre  2005 dal tribunale di Catania nel
procedimento  civile  promosso  da Trovato Santo contro Comune di San
Giovanni La Punta

Elezioni  - Incompatibilita' ed ineleggibilita' - Regione Siciliana -
  Consiglieri  regionali  -  Prevista incompatibilita' alla carica in
  caso  di sentenza di condanna penale anche non definitiva e in caso
  di  costituzione di parte civile nel procedimento penale del Comune
  di  appartenenza  - Ingiustificata deroga alla legislazione statale
  che  limita  l'incompatibilita'  al solo caso della sentenza penale
  passata  in  giudicato  -  Violazione  del  diritto  all'elettorato
  passivo  - Incidenza sul principio di presunzione di innocenza fino
  alla sentenza di condanna definitiva.
- Legge   della   Regione  Sicilia  24 giugno 1986,  n. 31,  art. 10,
  comma 1, n. 4.
- Costituzione, artt. 3, 27 e 51.
(GU n.25 del 21-6-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  collegiale  nel procedimento
civile  iscritto  al  n. 10295/2005  R.G.,  avente ad oggetto ricorso
avverso  delibera  di decadenza dalla carica di consigliere comunale,
promosso  da Trovato Santo, nato a San Giovanni La Punta il 27 luglio
1959,  ed  ivi  residente in via della Regione n. 256, elettoralmente
domicilato   in  Catania,  via  Crociferi  n. 60,  presso  lo  studio
dell'avv.  prof. Michele  Ali',  che  lo  rappresenta  e  difende per
procura a margine del ricorso introduttivo, attore;
    Contro  Comune  di  San Giovanni La Punta, in persona del sindaco
pro  tempore, autorizzato a costituirsi in giudizio, giusta determina
sindacale  n. 49  del 28 ottobre 2005 e delibera di Giunta municipale
n. 40  del  24 ottobre 2005, elettivamente domicilato in Catania, via
V. Giuffrida n. 37, presso lo studio dell'avv. Andrea Scuderi, che lo
rappresenta  e  difende  per  procura  a  margine  della  comparsa di
costituzione,  convenuto,  e  con  l'intervento  del  p.m.,  sede, in
persona  del  Sostituto  Procuratore  della  Repubblica di Catania di
turno;
    All'udienza   di  discussione  del  9  dicembre  2005,  udita  la
relazione del giudice relatore, sentite le parti, sentito il p.m., il
tribunale  dispone  la  sospensione  del  procedimento  e  ordina  la
trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale per la decisione
della  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  con la
presente ordinanza letta in udienza.

                      Svolgimento del processo

    Con  ricorso  depositato  in  data 10 ottobre 2005, Trovato Santo
chiedeva  a  questo  tribunale l'annullamento della delibera adottata
dal Consiglio comunale del Comune di San Giovanni La Punta in data 27
luglio  2005,  con  cui  era  stata dichiarata la sua decadenza dalla
carica  di  consigliere comunale del predetto comune, per l'esistenza
di  una  lite  pendente, ai sensi dell'art. 10, n. 4 della legge Reg.
Sic. 24 giugno 1986, n. 31.
    Deduceva  di  essere  stato eletto consigliere comunale all'esito
delle  elezioni  tenutesi  in data 15 e 16 maggio 2005 per il rinnovo
del  Consiglio  comunale  di San Giovanni La Punta; deduceva che, con
una  prima  deliberazione,  la  n. 3 del 20 giugno 2005, il consiglio
comunale  gli  aveva  contestato la causa d'incompatibilita' prevista
dall'art. 10,  comma 1, n. 4 della legge Reg. Sic. sopraccitata - sul
presupposto  che  il  comune  si  era  costituito  parte  civile  nel
procedimento  penale  pendente  a  carico del Trovato nell'ambito del
quale  quest'ultimo  era  stato  condannato  dal giudice dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  di  Catania,  con sentenza del 13 giugno
2005,  per  il delitto di abuso d'ufficio aggravato previsto e punito
dall'art. 323  c.p., alla pena di un anno di reclusione, al pagamento
delle  spese  processuali  e di custodia cautelare ed al pagamento di
una   provvisionale   in  favore  del  comune  di  Euro 10.000,00,  -
intimandogli  di  versare  nelle  casse  del  comune  l'importo della
provvisionale  al  fine  di  rimuovere  la  causa d'incompatibilita';
deduceva  che,  pur avendo richiesto al comune di prendere atto delle
modifiche   all'art. 63   decr.   legisl.   267/2000  introdotte  con
l'art. 3-ter  del d.l. 13/2002 conv. con legge 75/2002, e con riserva
di   ripetizione,   aveva   provveduto   a  versare  l'importo  della
provvisionale  pari  ad Euro 10.000,00 oltre accessori; deduceva che,
con successiva delibera n. 9 del 7 luglio 2005, il consiglio comunale
gli   aveva   nuovamente   contestato  la  causa  d'incompatibilita',
rilevando  che,  ai fini della rimozione della causa di decadenza, il
Trovato avrebbe dovuto versare la somma di Euro 500.000,00 occorrente
all'integrale  risarcimento  dei  danni  arrecati al comune; deduceva
che, infine, con deliberazione n. 15 del 27 luglio 2005, il consiglio
comunale   aveva   dichiarato   la  sua  decadenza  dalla  carica  di
consigliere  comunale; deduceva di essere in procinto di appellare la
sentenza  del  g.u.p.  depositata  in  data  29 agosto 2005; deduceva
l'illegittimita'  della  delibera  impugnata,  perche'  il  Consiglio
comunale   non  aveva  tenuto  conto  della  modifica  apportata  dal
legislatore statale al novero delle cause d'incompatibilita' previste
per  i  consiglieri  comunali;  deduceva che il legislatore nazionale
aveva    circoscritto    l'ambito   di   operativita'   della   causa
d'incompatibilita'   derivante   da   «lite   pendente»,   integrando
l'art. 63,  comma  primo,  n. 4  del  d.P.R. n. 267/2000 e prevedendo
espressamente  che  «la  lite  promossa  a seguito di o conseguente a
sentenza di condanna determina l'incompatibilita' soltanto in caso di
affermazione   di   responsabilita'  con  sentenza  passata  in  cosa
giudicata.  La  costituzione  di parte civile nel processo penale non
costituisce  causa  d'incompatibilita'.  La  presente disposizione si
applica anche ai procedimenti in corso»; deduceva che la disposizione
in  esame  doveva trovare immediata applicazione anche nel territorio
della  Regione  Sicilia,  perche'  avente  natura  non sostanziale ma
processuale  -  alla stregua dell'inciso finale, a norma del quale la
disposizione  trovava  applicazione anche ai processi in corso, - con
conseguente  esclusione della potesta' legislativa primaria regionale
e   sussistenza   della  riserva  statale  di  legge  in  materia  di
giurisdizione  e  di  norme  processuali;  eccepiva, in subordine, la
illegittiniita'  costituzionale dell'art. 10, comma primo, n. 4 della
legge  Reg. Sic. n. 31/1986, per violazione degli artt. 3 e 51 Cost.,
data  l'ingiustificata  disparita' di trattamento esistente in ordine
all'accesso  alla  carica  di  consigliere comunale tra la disciplina
vigente   in   Sicilia  e  quella  vigente  nel  restante  territorio
nazionale, non giustificata da alcuna peculiarita'; chiedeva, quindi,
l'annullamento   della  delibera  adottata  nei  suoi  confronti  dal
Consiglio  comunale del comune convenuto, previa eventuale rimessione
degli   atti   alla   Corte   costituzionale  per  la  non  manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 10, comma primo, n. 4 della legge Reg. Sic. n. 31/1986, con
il favore delle spese.
    Con  provvedimento  del  19  ottobre  2005, il Presidente fissava
l'udienza  di  discussione  innanzi  al  Collegio per il successivo 9
dicembre  2005  assegnando  termine al ricorrente per la notifica del
ricorso al comune resistente.
    Instauratosi  ritualmente  il  contraddittorio,  il Comune di San
Giovanni La Punta si costituiva in giudizio contestando la fondatezza
del  ricorso;  deduceva  l'inapplicabilita'  dell'art. 63  del  decr.
legisl.  n. 267/2000, come modificato dall'art. 3 del d.l. n. 13/2002
convertito  con  la  legge  n. 75/2002  nel  territorio della Regione
Siciliana,  data  l'esistenza della potesta' legislativa esclusiva in
materia   elettorale   spettante   alla   Regione  Sicilia  ai  sensi
dell'art. 14 dello statuto; contestava la asserita natura processuale
della   norma  nazionale  invocata  dal  ricorrente  alla  quale,  al
contrario,  doveva  attribuirsi natura di norma sostanziale; deduceva
la   manifesta  infondatezza  della  questione  di  costituzionalita'
prospettata   dal   ricorrente,  trovando  la  differente  disciplina
normativa   nazionale   e   regionale   ragionevole   giustificazione
nell'esigenza,  particolarmente  avvertita nel territorio siciliano a
fronte  dei  gravi  fenomeni  di  criminalita'  organizzata  e  della
strutturale debolezza degli apparati amministrativi regionali, di una
maggiore  e  piu'  rigorosa tutela degli organi consiliari rispetto a
quelle  ragioni di contrasto derivanti dalla pendenza di procedimenti
penali  nei quali le amministrazioni locali si siano costituite parti
civili;  chiedeva,  quindi,  il  rigetto del ricorso, con vittoria di
spese e compensi.
    All'udienza di discussione del 9 dicembre 2005, sentite le parti,
udita  la  relazione  del  giudice  relatore, sentito il p.m., che ha
chiesto  il  rigetto  del ricorso, il Tribunale ha dato lettura della
seguente ordinanza.

                       Motivi della decisione

    La questione di costituzionalita' dell'art. 10, primo comma, n. 4
della  legge  Reg.  Sic.  24  giugno  1986,  n. 31 - in rapporto alla
diversa  disciplina  dettata  dal legislatore nazionale nell'art. 63,
primo  comma,  n. 4  del  decr. legisl., 18 agosto 2000, n. 267, come
novellato   dall'art. 3-ter   del   d.l.  22  febbraio  2002,  n. 13,
convertito  nella  legge  24  aprile  2002, n. 75, aventi entrambi ad
oggetto  la disciplina dell'incompatibiita' per lite pendente dettata
per  i consiglieri comunali, rispettivamente, nella Regione Siciliana
e  nel restante territorio nazionale - per contrasto con gli artt. 3,
27  e  51 della Costituzione, ad avviso del Collegio, e' rilevante ai
fini della decisione e non appare manifestamente infondata.
    Per   quanto   attiene   alla   rilevanza   della  questione  nel
procedimento  in  esame, osserva il tribunale che, in punto di fatto,
e'  documentalmente  provato  ed e' incontroverso inter partes che il
ricorrente  -  eletto  alla  carica di consigliere comunale all'esito
delle  elezioni  tenutesi  in data 15 e 16 giugno 2005 per l'elezione
del Consiglio comunale del comune di San Giovanni La Punta - e' stato
dichiarato  decaduto dalla carica con delibera del Consiglio comunale
n. 15,  adottata  in  data 27 luglio 2005, sul rilievo dell'esistenza
della  causa  d'incompatibilita'  prevista dall'art. 10, primo comma,
n. 4, legge reg. Sic. n. 31/1986, e cioe' per l'esistenza di una lite
pendente tra il Trovato ed il comune.
    Cio',  in  quanto  il  Comune  di  San  Giovanni  La  Punta si e'
costituito  parte  civile nel procedimento penale instaurato a carico
del  Trovato e definito in primo grado con la sentenza emessa in data
13  giugno  2005  dal G.u.p. del tribunale di Catania e depositata in
data 29 agosto 2005, con cui il ricorrente e' stato condannato per il
reato  previsto  e  punito  dall'art. 323 c.p. ed al pagamento di una
provvisionale in favore del comune resistente parte civile.
    E',  altresi',  incontroverso  tra  le  parti  che  il Trovato ha
proposto  appello  avverso  la  suddetta  sentenza penale, sicche' il
procedimento  penale  a  carico del ricorrente e' tutt'ora in corso e
non si e' formato il giudicato penale.
    Cio'  premesso,  va,  innanzitutto,  osservato  che,  nel caso in
esame,  la  delibera adottata dal comune resistente appare corretta e
legittimamente  emessa, alla stregua del disposto di cui all'art. 10,
primo comma, n. 4, della legge Reg. Sic. n. 31/1986 - secondo cui non
puo'  ricoprire  la  carica di consigliere provinciale, comunale o di
quartiere  colui  che  ha  lite  pendente,  in  quanto  parte  in  un
procedimento civile o amministrativo rispettivamente con la provincia
o  con  il comune - sussistendo la causa d'incompatibilita' per «lite
pendente»  con  l'ente  d'appartenenza in capo al Trovato, cosi' come
contemplata dalla disciplina normativa regionale sopraccitata, che e'
l'unica norma applicabile alla fattispecie in esame.
    Com'e'  noto,  invero,  la  competenza  normativa  della  Regione
Siciliana,  in materia di requisiti d'accesso alle cariche elettorali
e   di   incompatibiita'   elettorali   dei  consiglieri  comunali  e
provinciali,   costituisce  espressione  di  una  potesta'  normativa
primaria,  ai sensi dell'art. 15 dello statuto, sicche' la materia in
esame  e' riservata alla competenza normativa esclusiva della Regione
Sicilia,  ed  in  Sicilia  non puo' trovare applicazione la normativa
statale.
    L'unica   fonte  normativa  applicabile  alla  materia  in  esame
nell'ambito  della  Regione  Siciliana e', pertanto, quella regionale
posta  a  base  della  delibera  impugnata,  e  non gia' la normativa
nazionale  contenuta  nell'art. 63,  d.P.R.  267/2000,  invocata  dal
ricorrente,   che   disciplina   la  materia  delle  incompatibilita'
elettorali   nel   restante   territorio   nazionale  e  costituisce,
all'evidenza,   norma   materiale  e  non  gia'  norma  di  carattere
processuale come tale riservata alla competenza normativa statale.
    Contrariamente  all'assunto  del ricorrente, infatti, non puo' in
alcun modo attribuirsi natura di norma processuale all'art. 63, primo
comma,   n. 4,  del  decr.  legisl.  n. 267/2000,  atteso  che,  come
correttamente  osservato  dal  comune  resistente,  la definizione ed
individuazione   delle   cause   d'incompatibilita'   elettorali   e'
ontologicamente riferita al contenuto ed alle limitazioni dei diritti
elettorali  passivi,  mentre  l'inciso  contenuto  nell'ultima  parte
dell'articolo  in  esame  -  secondo cui «la presente disposizione si
applica  anche ai procedimenti in corso» - e' evidentemente destinato
a  regolare esclusivamente l'efficacia nel tempo della legge statale,
senza  incidere  minimamente  sulla natura sostanziale della norma di
cui si limita a disciplinare la retroattivita'.
    E',  altresi',  opportuno  rilevare  che - secondo l'orientamento
consolidato  della giurisprudenza, sia di merito sia di legittimita',
formatasi   in  relazione  alla  causa  d'incompatibilita'  per  lite
pendente  di  cui all'art. 10, n. 4, legge Reg. Sic. n. 31/1986, ed a
quella di contenuto analogo, contemplata dal legislatore statale alla
stregua  della previgente formulazione dell'art. 63 del decr. legisl.
n. 267/2000  -  nel  concetto  di  «lite  pendente»  rientra anche la
costituzione  di  parte  civile dell'ente pubblico in un procedimento
penale pendente nei confronti dell'eletto, atteso che l'azione civile
esercitata  in  sede penale ha, comunque, natura di azione civile non
diversa  da  quella  proposta  sin  dall'inizio innanzi ad un giudice
civile  (cfr.,  in tal senso, gia' Trib. Roma 9 ottobre 1995, in Foro
it. 1996, I, 2917).
    Inoltre,  va  certamente escluso che, nella fattispecie in esame,
si  tratti  di  lite  meramente  formale tra l'ente ed il consigliere
comunale,  come  tale  idonea  ad  escludere  nel  concreto  la causa
d'incompatibilita' (cfr. da ultimo Cass. 30 ottobre 2003, n. 16305 ),
sussistendo,  al contrario, un effettivo conflitto d'interessi tra il
ricorrente ed il comune resistente.
    L'unica  norma  applicabile per la definizione della controversia
in  esame  e',  pertanto, quella contenuta nell'art. 10, primo comma,
n. 4,  della  legge  Reg.  Sic.  24  giugno  1986,  n. 31, sicche' la
verifica    relativa   alla   sua   conformita'   alla   Costituzione
Repubblicana,  e segnatamente ai principi contenuti negli artt. 3, 27
e 51, e' manifestamente rilevante nel giudizio a quo.
    Per   quanto   attiene  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione,  va  osservato  che, in seguito alla novella dell'art. 63,
primo  comma,  n. 4  del  d.P.R.  18  agosto  2000,  n. 267 - operata
dall'art. 3-ter  del  d.l.  22 febbraio 2002, n. 13, convertito nella
legge  24 aprile 2002, n. 75 - la normativa nazionale dettata in tema
d'incompatibilita'  dalla  carica  dei consiglieri comunali per «lite
pendente»  con  l'ente  d'appartenenza,  nel  caso di costituzione di
parte  civile dell'ente pubblico nel procedimento penale instaurato a
carico  dell'eletto,  ovvero  nel caso di azione civile esercitata in
sede  civile  in  seguito alla commissione di un fatto reato, diverge
radicalmente   rispetto   alla  disciplina  dettata  dal  legislatore
regionale  nella  norma  piu'  volte  richiamata,  che  non  e' stata
modificata  dalla Regione Sicilia in seguito alla novella della legge
nazionale.
    Da  un lato, la norma statale afferma espressamente che: «La lite
promossa  a seguito di o conseguente a sentenza di condanna determina
incompatibilita'  soltanto in caso di affermazione di responsabilita'
con  sentenza  passata  in giudicato. La costituzione di parte civile
nel processo penale non costituisce causa d'incompatibilita».
    Dall'altro,  la  norma  regionale  continua  a prevedere la causa
d'incompatibiita'  per  lite pendente, anche se la lite e' promossa a
seguito  di  sentenza  di  condanna  non definitiva, e non esclude la
costituzione  di  parte  civile  nel processo penale dal novero delle
cause d'incompatibilita'.
    Sussiste, quindi, una evidente diversita' di disciplina normativa
tra  situazioni  che,  ad  avviso  del  Collegio,  appaiono del tutto
analoghe, con riferimento a categorie del tutto omogenee di soggetti,
e,  cioe',  tra  i  consiglieri  comunali  eletti in Sicilia e quelli
eletti nel resto del territorio dello Stato italiano.
    In   proposito,  va  osservato  che,  secondo  la  giurisprudenza
consolidata  della  Corte  costituzionale, l'esistenza della potesta'
normativa  primaria  della  Regione  Siciliana  in materia elettorale
implica  che  la  legislazione  regionale  deve  essere  strettamente
conforme   ai   principi   della   legislazione   statale,   a  causa
dell'esigenza  di  uniformita'  in  tutto  il  territorio  nazionale,
discendente   dall'identita'  di  interessi  che  comuni  e  province
rappresentano  rispetto  alle loro comunita' locali, quale che sia la
Regione d'appartenenza.
    Com'e'  stato  ripetutamente chiarito, e' proprio il principio di
cui  all'art. 51 Cost. a svolgere il ruolo di garanzia generale di un
diritto  politico  fondamentale  riconosciuto ad ogni cittadino con i
caratteri  d'inviolabilita'  (ex  art. 2  Cost.), e tale principio si
pone  come  riserva  di  legge  rafforzata che obbliga il legislatore
statale ad assicurarne il godimento in condizioni di eguaglianza.
    Secondo  la  Corte  costituzionale, e' caratteristica propria dei
diritti   inviolabili   di   essere   sistematicamente   incorporati,
quantomeno  nel  loro  contenuto  essenziale, anche negli ordinamenti
giuridici autonomi, speciali o comunque diversi da quelli statali; il
che  non  degrada  la  potesta'  legislativa  regionale  esclusiva  a
competenza  concorrente,  ma  la  limita e la impegna al rispetto del
principio  costituzionale  che  esige l'uniforme garanzia per tutti i
cittadini,  in  ogni  parte  del  territorio  nazionale,  del diritto
(fondamentale  per  uno  Stato  democratico)  di  elettorato attivo e
passivo  (cfr.  testualmente  Corte cost. sentenze n. 105/1957, n. 26
del  1965,  n. 171  del 1984, n. 20 del 1985, n. 253 del 1988, n. 162
del 1995 e n. 539 del 2000).
    Inoltre,  la Corte costituzionale ha piu' volte riconosciuto alla
Regione  Siciliana  il  potere  di  stabilire causa d'ineleggibilita'
ovvero  di  incompatibilita' non previste dalla legislazione statale,
ma  soltanto  allorquando  esse trovino giustificazione in condizioni
locali  del  tutto peculiari o eccezionali, proprie della regione che
se  ne  avvale,  che  possano  giustificare  la  deroga  da parte del
legislatore della regione a statuto speciale rispetto alla disciplina
valevole    nel    restante   territorio   nazionale,   per   l'ovvia
considerazione  che  se  quelle  stesse peculiarita' o eccezionalita'
fossero  generalizzate  in  modo  da  estendersi  a  piu' regioni non
potrebbe  negarsi la competenza a provvedere da parte del legislatore
statale  (cfr.  in  particolare  Corte cost. sent. n. 162 del 1995 in
tema d'ineleggibilita).
    Alla  stregua  di  tali  consolidati  principi  desumibili  dalla
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  nel  caso in esame, la
diversita' di disciplina normativa non appare giustificata da nessuna
esigenza  peculiare  della Regione Sicilia e propria di quest'ultima,
ed  appare  suscettibile di violare sia il principio d'uguaglianza di
cui  all'art. 3  Cost.,  sia  il  diritto  fondamentale di elettorato
passivo sancito dall'art. 51 Cost., come rilevato da parte ricorrente
sia, infine, la presunzione d'innocenza sancita dall'art. 27 Cost.
    Per quanto attiene alla violazione dell'art. 3 Cost., va, invero,
osservato  che  si  disciplina  in  modo  diseguale  la  posizione di
cittadini  italiani  chiamati  a  rivestire  le  medesime funzioni di
consiglieri  comunali,  a  seconda  che  essi siano eletti in Sicilia
ovvero  nel resto del territorio nazionale, senza che possa venire in
rilievo  alcuna  specifica  ed  eccezionale  esigenza regionale - non
esplicitata,  non  desumibile  dalla  legge e dovuta semplicemente al
mancato adeguamento della legislazione regionale a quella nazionale -
con   conseguente   ingiustificata   disparita'  di  trattamento  tra
cittadini  chiamati  a  rivestire  la  medesima  carica e le medesime
funzioni.
    E  cio',  nel  caso  in  esame,  - a differenza della fattispecie
oggetto  della  recente  decisione  di  manifesta  infondatezza della
questione   di   costituzionalita'   emessa  dalla  Corte  cost.  con
l'ordinanza  n. 223/2003  con  riferimento  alla  diversa  disciplina
dell'incompatibiita' per lite pendente esistente tra la posizione dei
consiglieri  regionali  e quella degli altri enti locali - non appare
giustificato,  data  l'identita'  della  posizione soggettiva oggetto
della diversa disciplina normativa.
    Per  quanto  attiene  al  principio  di cui all'art. 51 Cost., va
osservato  che  le  cause  d'incompatibilita' operano sul piano degli
impedimenti  elettorali  e incidono sul diritto d'elettorato passivo,
sicche'  le  limitazioni  a  tale  diritto devono ritenersi legittime
soltanto  in  quanto  effettivamente  indispensabili  a soddisfare le
contrapposte  esigenze  di pubblico interesse cui sono preordinate in
vista del necessario bilanciamento tra valori aventi eguale copertura
costituzionale.
    Nel  caso  in  esame,  non  sembra  sussistere  nessuna specifica
esigenza  di  pubblico  interesse, che sia propria ed esclusiva della
Regione  Sicilia,  da bilanciare con il diritto politico fondamentale
d'elettorato  passivo  riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri
dell'inviolabilita'.
    Infine,  per quanto attiene al principio di cui all'art. 27 Cost.
-  la  cui  violazione  e'  suscettibile  di rilievo officioso - puo'
osservarsi  che,  alla  luce  della  ratio legis sottesa alla novella
intervenuta relativamente al previgente decr. legisl. n. 267/2000, il
legislatore  nazionale,  nell'esercizio  del  potere legislativo, ha,
evidentemente,   ritenuto   recessive  le  contrapposte  esigenze  di
pubblico  interesse sottese alla incompatibiita' elettorale per «lite
pendente»,   rispetto  al  principio  fondamentale  che  assicura  la
presunzione  d'innocenza al cittadino che si trovi ad essere imputato
in un qualsiasi processo penale sino al formarsi della res iudicata -
a  prescindere dal tipo di reato concretamente ascrittogli - sicche',
anche   sotto  tale  profilo,  appare  del  tutto  ingiustificata  la
diversita' di trattamento esistente tra i consiglieri comunali eletti
in  Sicilia  e quelli eletti nel restante territorio nazionale, tanto
piu'  che  la norma nazionale non distingue ne' tra reati piu' o meno
gravi ne' tra i beni giuridici tutelati dalla norma penale.
    Conclusivamente,  la questione di costituzionalita' dell'art. 10,
primo  comma,  n. 4  della legge Reg. Sic. 24 giugno 1986, n. 31, per
contrasto  con  gli  articoli  3,  27  e  51  Costituzione non appare
manifestamente  infondata,  ed  il  procedimento  a  quo  deve essere
sospeso  e  gli  atti  vanno rimessi alla Corte costituzionale per la
decisione.
                              P. Q. M.
    Disattesa   ogni   contraria  istanza,  esaminati  gli  atti  del
procedimento civile iscritto al n. 10295/2005 R.G.;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 10,  primo  comma, n. 4 della
legge  Reg.  Siciliana  24 giugno 1986, n. 31, nella parte in cui non
prevede  che  «la lite promossa a seguito di o conseguente a sentenza
di   condanna   determina   incompatibilita'   soltanto  in  caso  di
affermazione di responsabilita' con sentenza passata in giudicato. La
costituzione  di  parte  civile  nel  processo penale non costituisce
causa  d'incompatibiita»,  per  violazione  degli articoli 3, 27 e 51
della Costituzione;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria, siano trasmessi gli atti
alla  Corte  costituzionale  e  che  questo  provvedimento,  ai sensi
dell'art. 23  della  legge  11  marzo  1953, n. 87, sia notificato al
Presidente  della giunta della Regione Siciliana e che sia comunicato
al Presidente del Consiglio regionale siciliano.
    Ordina  la  sospensione del presente procedimento in attesa della
decisione della Corte costituzionale.
    Cosi'  deciso  in  Catania, nella Camera di consiglio della prima
sezione civile del tribunale, in data 9 dicembre 2005.
                       Il Presidente: Maiorana
Il giudice estensore: Pappalardo 06C0510