N. 192 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 2006

Ordinanza  emessa  il  24 gennaio  2006  dal  tribunale  di Salerno -
Sezione  distaccata  di  Cava  dei  Tirreni nel procedimento penale a
carico di Degli Esposti Vittorio

Reati  e  pene  -  Prescrizione  -  Modifiche  normative  -  Previsto
  collegamento  dei  differenti  aumenti dei termini di prescrizione,
  per  interruzione,  allo status soggettivo dell'imputato e non alla
  gravita'   oggettiva   del   fatto   -  Lesione  del  principio  di
  ragionevolezza  -  Contrasto con i fondamentali principi in materia
  penale  -  Introduzione  di  una  amnistia  senza il rispetto della
  procedura   prevista  per  la  sua  concessione  -  Violazione  del
  principio di difesa sociale.
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, commi 1 e 4.
- Costituzione, artt. 3, 13, 25, comma secondo, 27 e 79.
Reati  e  pene  -  Prescrizione  -  Modifiche normative - Abrogazione
  dell'art. 158  cod. pen. nella parte in cui stabiliva la decorrenza
  dei  termini  di  prescrizione,  in caso di reato continuato, dalla
  cessazione  della  continuazione  -  Contrasto  con il principio di
  ragionevolezza.
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 2.
- Costituzione, art. 3.
Reati  e  pene  -  Prescrizione  -  Modifiche  normative - Disciplina
  transitoria  -  Inapplicabilita' delle nuove norme ai processi gia'
  pendenti  in  primo grado ove, alla data di entrata in vigore della
  novella, vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento
  - Contrasto con il principio di ragionevolezza.
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.26 del 28-6-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Esaminata  la  richiesta  avanzata dal difensore di Degli Esposti
Vittorio,  imputato  dei  reati di cui all'art. 268 c.p. nel processo
penale  n. 158/2004  R.G.  Trib.,  di  emissione  di  sentenza di non
doversi  procedere  per intervenuta prescrizione; acquisito il parere
contrario del p.m. e della costituita parte civile;
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza di rimessione degli atti alla
Corte costituzionale.
                         Premessa  in  fatto
    La  difesa dell'imputato ha chiesto emettersi declaratoria di non
doversi  procedere  in  ordine  ai  reati a quest'ultimo ascritti per
intervenuta  prescrizione:  ed  invero, invocando la nuova disciplina
normativa  introdotta  dalla  legge n. 251 del 2005, e rappresentando
che  non  vi  era  ancora  stata  la  dichiarazione  di  apertura del
dibattimento   -   momento   processuale   che  scandisce,  ai  sensi
dell'art. 10,  comma 3, legge n. 251/2005, l'applicabilita' o meno di
nuovi  termini  di  prescrizione  -  ha chiesto che fosse pronunciata
l'estinzione per intervenuta prescrizione con particolare riferimento
al  fatto  contestato  come commesso in data 19 dicembre 1994, per il
quale  il  termine  massimo di prescrizione, alla stregua della nuova
normativa, e' di sette anni e sei mesi.
    Implicito  nella  richiesta  difensiva  appare  dunque il rilievo
secondo  il  quale i due fatti di calunnia in contestazione, commessi
rispettivamente  in  data  19 dicembre  1994  e  22 ottobre  1998; ed
avvinti, alla stregua dell'imputazione elevata dalla pubblica accusa,
dal  vincolo  della  continuazione, devono ritenersi ormai sciolti ai
fini  del  calcolo  dei  termini  della  prescrizione, secondo quanto
stabilito  dall'attuale  tenore  dell'art. 158  c.p.,  come novellato
dall'art. 6, comma 2, legge n. 251/2005.

                              Rilevanza

    Alla  stregua  di  quanto  premesso  in fatto, dunque, emerge con
evidenza  la rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale
che  verranno  esposte  in  prosieguo:  al  riguardo,  infatti, giova
osservare  che  la  richiesta avanzata all'odierna udienza imporrebbe
una  sentenza  di non doversi procedere per intervenuta prescrizione,
quantomeno  con  riferimento  al  reato di calunnia commesso, secondo
l'imputazione,  in  data  19 dicembre  1994,  e  con  un'applicazione
congiunta degli artt. 6, comma 1 e comma 4 (che modifica i termini di
prescrizione  e l'efficacia degli atti interruttivi), 6, comma 2 (che
non  lascia  piu'  decorrere il termine di prescrizione dal giorno in
cui e' cessata la continuazione), e 10, comma 3 (che fa coincidere la
non  applicabilita'  della  nuova  normativa  con la dichiarazione di
apertura del dibattimento), della legge n. 251/2005.

                     Non manifesta infondatezza

    Limitando,   ovviamente,   la   prospettazione   dei  profili  di
illegittimita'   costituzionale   alle   norme  rilevanti  in  questo
processo,  ed  obliterando  ogni  valutazione in ordine ai molteplici
aspetti  di  irragionevolezza  della  legge  n. 251 del 2005, occorre
prendere  le  mosse  dalle  norme che, novellando gli artt. 157 e 161
c.p.,  hanno  ridotto i termini di prescrizione secondo criteri che a
questo  giudice  non  appaiono  dotati  innanzitutto dal canone della
ragionevolezza.
    1)   Illegittimita'   dell'art. 6,  commi  1  e  4,  della  legge
n. 251/2005  per  violazione  degli artt. 3, 13, 25, comma 2, 27 e 79
Cost.
    Le norme di cui all'art. 6, commi 1 e 4, della legge n. 251/2005,
come  e'  noto, nel modificare gli artt. 157 e 161 del codice penale,
hanno   sancito   una   quasi   generale  riduzione  dei  termini  di
prescrizione:  ed  invero,  il  decorso  del  tempo corrispondente al
massimo  della  pena edittale stabilita dalla legge, e comunque di un
tempo  non  inferiore  a  sei  anni,  e' sufficiente ad estinguere il
reato;  peraltro,  il corso della prescrizione puo' essere interrotto
da  taluni  atti, comportando un aumento frazionario di un quarto del
tempo necessario a prescrivere in caso di soggetti incensurati, della
meta'  in  caso  di  imputati  cui  sia applicabile (o contestata) la
recidiva  infraquinquennale  o  specifica (art. 99 comma 2, c.p.), di
due terzi in caso di imputati cui sia applicabile la recidiva plurima
(art. 99  comma 4  c.p.),  del doppio nel caso di imputati dichiarati
delinquenti abituali (artt. 102 e 103 c.p.) o professionali (art. 105
c.p.).
    L'attuale  assetto normativo appare a questo giudice contrario ai
fondamentali principi dettati dalla costituzione in materia penale ed
all'assetto proprio di uno Stato sociale di diritto.
    La  prescrizione,  come  e'  pacifico,  e' configurata nel nostro
ordinamento  come  causa  di  estinzione del reato, come si evince ad
abundantiam  dall'inserimento  nel  relativo Capo I del Titolo VI del
codice penale.
    Come  e'  altrettanto  noto  e  pacifico,  non  solo  nella ormai
costante  giurisprudenza costituzionale, ma altresi' nella pressoche'
unanime  opinione dottrinale, la Costituzione repubblicana delinea un
ordinamento improntato ai tratti di un «diritto penale del fatto»: la
tesi,  che  riposa  pacificamente  su  una  lettura  congiunta  degli
artt. 13,  25  e  27  della Costituzione - norme che impongono che la
privazione  della  liberta'  personale sia consentita solo in seguito
alla commissione di un «fatto» previsto dalla legge come reato, e per
il  quale  deve  essere prevista (a livello normativo) ed irrogata (a
livello  giudiziario)  una  sanzione  che  persegua  la  finalita' di
risocializzazione  del reo (cfr., al riguardo, Corte cost. n. 313 del
1990,  rel. E. Gallo), oggetto di un rimprovero personale - impedisce
pertanto  di  connotare  le  norme penali secondo i canoni propri del
«diritto  penale  d'autore»,  storicamente  attuati  nell'ordinamento
nazionasocialista  in  Germania (cfr. paragrafo 2 dello StGB) e negli
ordinamenti comunisti dell'Unione Sovietica e della ex Jugoslavia.
    L'attuale   normativa,   invece,  rivela  preoccupanti  segni  di
emersione  dei canoni tipici del diritto penale d'autore, ove collega
i  differenti  aumenti dei termini di prescrizione, per interruzione,
non   gia'   alla   gravita'   oggettiva  del  fatto,  come  avveniva
precedentemente,  bensi'  allo  status soggettivo dell'imputato: alla
stregua  della nuova normativa, infatti, e' la personalita' criminale
del reo, desunta dalla recidiva o dallo stato di delinquente abituale
o  professionale, a determinare un allungamento ovvero una riduzione,
anche consistente - nel caso in esame, da 15 anni a 7 anni e 6 mesi -
dei termini di prescrizione.
    Tale  impostazione  normativa,  dunque,  prescinde totalmente dal
fatto   di  reato  e  della  sua  oggettiva  gravita',  soffermandosi
unicamente sul reo e sulla sua presumibile personalita' criminale.
    La   scelta,  oltre  ad  assecondare  gli  infidi  confini  della
presunzione di pericolosita', appare non soltanto confliggente con il
diritto  penale  del  fatto,  ma  altresi'  schizofrenica, atteso che
l'allungamento  dei termini di prescrizione puo' essere legato ad una
situazione  di  recidiva  maturata  a distanza di anni dal fatto, nel
corso  del  procedimento,  che,  come  e' noto, puo' talvolta subire,
anche  per  la  estrema farraginosita' del sistema processuale, tempi
molto  dilatati:  una  situazione  quindi  del  tutto  absoluta dalla
commissione del singolo fatto di reato, oggetto di giudizio, e legata
magari  alla  mera,  e  casuale,  divaricazione  temporale tra tempus
commissi delicti ed accertamento processuale.
    Del   resto,  appare  quasi  ridondante  richiamare  le  storiche
pronunce  n. 364  e  1085  del  1988 della Corte costituzionale (rel.
Dell'Andro),  che,  nel  rendere  affermazioni  di  alto valore anche
dogmatico,  hanno  ancorato,  definitivamente, l'illecito penale alla
concezione  del  personales  Unrecht:  una  visione  del  reato  che,
valorizzando  sia  il  disvalore  della  condotta  che  il  disvalore
d'evento,  e'  strettamente  connessa ad una impostazione «oggettiva»
della colpevolezza.
    Colpevolezza per il «fatto», dunque, e non per «l'autore».
    Non   va   del   resto  obliterata  un'ulteriore  considerazione:
l'assetto  normativo  inaugurato  dalla legge n. 251/2005 asseconda i
canoni  del diritto penale d'autore, anche perche', di fatto, conduce
ad  un  trattamento  sfavorevole della delinquenza c.d. da strada (si
pensi  al  soggetto  condannato  per  piu'  fatti di furto di estrema
esiguita),  e ad un trattamento favorevole della delinquenza dei c.d.
«colletti  bianchi», categoria criminologica, come e' noto, elaborata
da  oltre  un  cinquantennio  da  Sutherland,  e  dotata  di assoluta
affidabilita' empirica (si pensi a tutti gli autori di truffe, ovvero
di  reati  contro  al  p.a.  ovvero  in  materia economica, di regola
«inseriti»  nel contesto sociale, e non gravati da precedenti penali,
che, oltre a godere di termini piu' brevi, difficilmente rischiano di
entrare  nel  circuito  penale,  allorquando  vengano  prosciolti per
prescrizione).
    Del  resto,  ove  si  ritenga  che  la  nuova  normativa,  con  i
differenti termini di prescrizione, non riveli i tratti di un diritto
penale d'autore, in verita' evidenti, non si comprenderebbe quale sia
il   canone   di   ragionevolezza  adoperato  per  sancire  una  tale
distinzione  legislativa: le norme infatti appaiono afflitte altresi'
dal vizio di irragionevolezza, per violazione dell'art. 3 Cost.
    Non  va  infine  sottaciuto  che  la  riforma dettata dalla legge
n. 251/2005,   riducendo   in   maniera   consistente  i  termini  di
prescrizione   determinera'   una  estinzione  generalizzata  di  una
molteplicita'   di  ipotesi  di  reati  (cfr.  al  riguardo,  i  dati
statistici  pubblicati dal Ministero della giustizia e dalla Corte di
cassazione),   di   solito  commessi  dai  «colletti  bianchi»:  tale
conseguenza,  invero,  sembra  rivelare  i  tratti di una amnistia di
fatto,  mascherata  da  un  mutamento  delle  regole  in  materia  di
prescrizione,  e  conseguita  per  il  tramite  di  un  aggiornamento
dell'art. 79  Cost.,  che, come e' noto, richiede una legge approvata
con  una  maggioranza  parlamentare  dei  due terzi dei componenti di
ciascuna Camera.
    Ultimo  profilo  di  illegittimita'  da  considerare  e', secondo
questo  giudice, la violazione del principio costituzionale di difesa
sociale,  immanente  all'intero  sistema  costituzionale,  e  tale da
giustificare   la   pretesa   punitiva   dello  Stato:  la  riduzione
consistente  dei  termini  di  prescrizione  impedisce,  di fatto, il
perseguimento  e  la  punizione di molteplici fatti di reato, con una
obliterazione della sicurezza collettiva, atteso che i consueti tempi
processuali,   dilatati  all'estremo  da  improvvise  elargizioni  di
pseudogaranzie   prive   di   reali   contenuti   difensivi  e  dalla
asfitticita' dell'organizzazione giudiziaria, non consentono un reale
esercizio   dell'azione   penale   con  conseguente  affermazione  di
responsabilita'  in  termini  cosi'  ridotti:  si  pensi  all'ipotesi
delittuosa,  paradigmatica  a fini dialettici, di false comunicazioni
sociali,  per  desumere  l'assoluta inadeguatezza di sette anni e sei
mesi  per  la definizione del relativo processo, in un tempo, invece,
sufficiente al piu' alla scoperta ed alla conclusione delle complesse
indagini preliminari.
    2)  Illegittimita'  dell'art. 6, comma 2, della legge n. 251/2005
per violazione dell'art. 3 Cost.
    La  norma  di cui all'art. 6, comma 2, della legge n. 251/2005 ha
abrogato  l'art. 158  c.p. nella parte in cui stabiliva la decorrenza
dei  termini  di  prescrizione,  in  caso  di reato continuato, dalla
cessazione della continuazione.
    La  norma  appare in contrasto con il principio di ragionevolezza
immanente   all'intero  ordinamento  costituzionale,  e  sancito,  in
maniera  puntuale,  nell'art. 3  Cost., oltreche' nella elaborazione,
invero    corposa    negli    ultimi   anni,   della   giurisprudenza
costituzionale.
    In  presenza  di  una pluralita' di condotte avvinte dal medesimo
disegno  criminoso  appare  irragionevole  prevedere  un  trattamento
unitario  allorquando  si versi nell'ambito del regime sanzionatorio,
ed  un  trattamento distinto del reato continuato, che di fatto viene
«sciolto»,  allorquando  si versi in tema di estinzione del reato per
prescrizione.
    Del   resto,  appare  evidente  che  la  categoria,  innanzitutto
normativa,  dal reato continuato e' stata elaborata, ed e' oggetto di
applicazioni,  in  presenza  di  una molteplicita' di «condotte» che,
lungi   dal  subire  un  frazionamento  normativo  artificioso,  sono
ritenute  frammenti  del  medesimo  «fatto»  criminoso,  in virtu' di
elementi  oggettivi in grado di connotare l'unitarieta' della vicenda
penale e della predisposizione soggettiva del reo.
    3)  Illegittimita' dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251/2005
per violazione dell'art. 3 Cost.
    L'art. 10,  comma 3,  della  legge  n. 251/2005  appare  a questo
giudice  in contrasto con l'art. 3 della costituzione, nella parte in
cui   sancisce  l'applicabilita'  della  nuova  normativa,  ove  piu'
favorevole,  ai  procedimenti  e  ai  processi  pendenti alla data di
entrata  in  vigore  della  legge,  «ad  esclusione dei processi gia'
pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura
del dibattimento...».
    Far  dipendere  l'applicabilita'  della  nuova  disciplina  della
dichiarazione   di   apertura   del   dibattimento  appare  priva  di
qualsivoglia  giustificazione razionale, essendo legata ad un momento
processuale   assolutamente   «causale»   e,   peraltro,   privo   di
qualsivoglia connotato in grado di giustificare una dismissione della
pretesa  punitiva:  ed invero, giova evidenziare che la dichiarazione
di  apertura  del  dibattimento e' un momento del tutto casuale nella
scansione  processuale,  e  ad  essa non e' legata alcuna espressione
della  pretesa punitiva dello Stato, che, al contrario, e' intrinseca
all'esercizio  dell'azione penale; ne' tantomeno e' assimilabile alla
pronuncia   di   una  sentenza  di  condanna  in  primo  grado,  atto
autoritativo   che   esprime   l'accertamento  della  responsabilita'
ipotizzata.
    Non  appare a questo giudice un caso, infatti, che in ordinamenti
culturalmente  omogenei,  e  sovente  oggetto  di  impropri  richiami
comparatistici,   la   sospensione   della  prescrizione  sia  legata
all'esercizio  penale (negli Stati Uniti) ovvero alla pronuncia della
sentenza di condanna di primo grado (in Germania): entrambi gli atti,
infatti,  appaiono  lapalissianamente dotati di connotati di una tale
pregnanza, ai fini dello sviluppo della pretesa punitiva dello Stato,
da  essere assunti a termine oltre il quale la prescrizione non opera
piu',  proprio  perche'  lo  Stato  ha  concretamente  manifestato la
volonta' di perseguire e punire il reato.
    Nel  nostro  ordinamento, invece, non soltanto il legislatore non
ha  accolto  una  tale ragionevole impostazione, che peraltro avrebbe
avuto   il  pregio  di  assecondare  concretamente  il  principio  di
ragionevole   durata   del  processo  (art. 111  Cost.),  vanificando
impugnazioni  ovvero  strategie  dilatorie,  ma  ha  fatto  dipendere
l'applicabilita'   o  meno  della  normativa  in  esame  da  un  atto
processualmente  assolutamente  «neutro»,  in  alcun modo espressione
della volonta' punitiva dello Stato.
                              P. Q. M.
    Letti gli artt. 3, 13, 25, 27, 79 Cost., 23 legge n. 87/1953.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso, ed i relativi termini
di prescrizione.
    Manda  la  cancelleria  per  gli  adempimenti  di  rito, e per la
comunicazione   al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ed  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Cava de' Tirreni, addi' 24 gennaio 2006
                        Il giudice: Riccardi
06C0526