N. 193 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 agosto 2005
Ordinanza emessa il 22 agosto 2005 (pervenuta alla Corte costituzionale il 5 giugno 2006) dal tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di Mbaye Moussa Niang Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Delitto di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro anni - Violazione del principio di proporzionalita' e di ragionevolezza della pena, anche con riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per analoghe fattispecie - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter, sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella legge 12 novembre 2004, n. 271. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.26 del 28-6-2006 )
IL TRIBUNALE Ritenuto che deve essere sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, prima parte, d.lgs. n. 268/1998 come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, legge n. 271/2004 (che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. n. 271/2004) nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, rileva quanto segue. L'imputato e' stata arrestato il 20 agosto 2005 nella flagranza del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286/1998. Il decreto di espulsione e l'ordine emesso dal questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, tradotti in lingua francese sono stati notificati in pari data 18 marzo 2005. L'imputato non ha allegato giustificato motivo per la propria inottemperanza all'ordine riferendo di un'inverosimile mancata comprensione degli effetti dei richiamati provvedimenti. All'esito della convalida Mbaye ha chiesto l'applicazione della pena ex art. 444 cpp. Pertanto, la pena da applicare dovrebbe essere determinata con riguardo a quella prevista della norma della cui legittimita' costituzionale si dubita. Il testo originario dell'art. 14 non prevedeva alcuna sanzione penale per lo straniero che non avesse ottemperato all'ordine emesso dal Questore in esecuzione del decreto di espulsione del Prefetto. La fattispecie penale di cui trattasi e' stata introdotta dalla legge n. 189/2002, come reato contravvenzionale punibile con l'arresto da sei mesi a un anno, prevedendo per tale reato l'arresto obbligatorio. Con la sentenza n. 223/2004 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies per contrasto con gli articoli 3 e 13 Costituzione «nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma-ter del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto», per la manifesta irragionevolezza della previsione di misura precautelare non suscettibile di sfociare in alcuna misura cautelare in base al vigente ordinamento processuale. E' quindi intervenuto il d.l. n. 241/2004, che non modificava per la fattispecie in esame la pena prevista dalla legge n. 189/2002, ma riformulava il testo dell'art. 14, comma 15-quinquies limitando l'arresto obbligatorio all'ipotesi di cui al comma 5-quater (reingresso nel territorio dello Stato dello straniero espulso), gia' prevista come delitto punibile con la reclusione da uno a quattro anni. In sede di conversione del d.l. citato il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter veniva previsto come delitto punibile con la reclusione da uno a quattro anni (ad eccezione dell'ipotesi di espulsione motivata dall'essere scaduto il permesso di soggiorno, ipotesi per la quale veniva mantenuta la pena dell'arresto da sei mesi a un anno) e veniva nuovamente stabilito l'arresto obbligatorio. E' dunque intervenuto un notevole inasprimento della pena, della cui proporzionalita' e ragionevolezza si dubita. La Corte costituzionale, pur riservando alla «discrezionalita' del legislatore stabilire quali comportamenti debbano essere puniti, determinare quali debbano essere la qualita' e la misura della pena ed apprezzare parita' e disparita' di situazioni», ha pero' costantemente ribadito il principio che d'esercizio di tale discrezionalita' puo' essere censurato quando esso non rispetti il limite della ragionevolezza e dia quindi luogo ad una disparita' di trattamento palese e ingiustificata» (sentenza n. 25/1994; il principio e' richiamato anche nella sentenza n. 333/1992, nell'ordinanza n. 220/1996, sentenza n. 84/1997). Ancora, e' stato affermato (sentenza n. 409/1989) «che il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Costituzione esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali». Tale funzione non verrebbe adempiuta qualora non venisse rispettato il limite della ragionevolezza. A cio' si aggiunge (sempre nella sentenza citata) che il principio di proporzionalita' porta a negare legittimita' alle «incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo, (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e dei valori offesi dalle predette incriminazioni». Questo principio e' ora recepito anche dalla Costituzione europea («le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato», art. 2-109). Inoltre, la Corte ha ripetutamente affermato (sentenze n. 313/1995 e 343/1993) che la manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai fatti reato vanifica il fine rieducativo della pena sancito dall'art. 27, terzo comma della Costituzione. In primo luogo, poiche' il dubbio di costituzionalita' riguarda un inasprimento della pena, non puo' omettersi di ricordare quanto affermato dalla Corte costituzionale su un'eccezione concernente l'elevazione nel 1991 del minimo edittale per il reato di cui all'art. 629 c.p. Nel dichiarare manifestamente infondata l'eccezione, la Corte (ordinanza n. 368/1995) ritenne rispettato il limite della ragionevolezza rilevando che l'inasprimento in quel caso non dava luogo «a macroscopiche differenze rispetto al trattamento sanzionatorio previsto per il reato di rapina - fattispecie peraltro non del tutto assimilabile a quella della estorsione». La questione oggi in esame e' totalmente diversa per due ordini di ragioni. Innanzitutto, l'inasprimento e', in questo caso, certamente macroscopico: il massimo edittale della pena detentiva in precedenza prevista per lo stesso fatto, qualificato come contravvenzione, corrisponde ora al minimo edittale previsto per il delitto. In secondo luogo, l'aumento di pena per il delitto di estorsione, come rileva tra le righe la Corte con il riferimento alla «difficile individuazione in concreto dell'aggravante di far parte dell'associazione di tipo mafioso», costituiva la risposta al fenomeno del «pizzo» emerso con particolare gravita' in alcune regioni nel corso degli anni ottanta e, quindi, a decenni di distanza (e quindi in un contesto sociale certamente diverso) da quando vennero scritte le sanzioni per la rapina e l'estorsione. Una simile ragione non e' invece dato rinvenire per l'inasprimento di pena per lo straniero che non ottempera all'ordine del questore. Nei soli due anni che intercorrono tra legge 189 e la legge 271, il fenomeno dell'immigrazione clandestina (per contrastare il quale vennero scritte le norme della legge n. 189/2002) non ha subito variazioni tali da giustificare la conversione in delitto dell'inottemperanza dello straniero all'ordine di allontanamento del questione e l'elevazione macroscopica di pena introdotta in sede di conversione in legge del d.l. n. 241/2002. Ne' una tale giustificazione si rinviene nella relazione all'emendamento del d.l. n. 241/2004 che ha introdotto una sanzione cosi' elevata, posto che i relatori fanno riferimento soltanto alla necessita' di adeguarsi alla sentenza n. 223/2004 della Corte costituzionale, intendendo tale adeguamento come un inasprimento della pena, cosi' da consentire l'arresto obbligatorio per coloro che non ottemperino all'ordine del questore. Che questo fosse l'unico fine per il quale e' stata elevata in misura cosi' rilevante la sanzione e' confermato dall'essere la stessa pena prevista per il fatto di chi rientra nel territorio nazionale dopo un'espulsione disposta dal giudice (fatto evidentemente ben piu' grave, in quanto presuppone la commissione di un reato o quantomeno la pendenza di un procedimento penale). E' evidente che la trasposizione di un'esigenza processuale nel diritto penale sostanziale non integra il criterio della ragionevolezza e si pone in contrasto con i principi costituzionali posti dagli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione. Per valutare se l'inasprimento di pena introdotto dalla legge n. 271/2004 sia compatibile con l'art. 3 della Costituzione si deve poi fare riferimento a norme incriminatrici poste a tutela degli stessi interessi (individuati nell'ordine pubblico e nella sicurezza pubblica) con previsione di analoghe modalita' di condotta. Tale comparazione e' stata effettuata dalla Corte costituzionale al fine di valutare la proporzionalita' e la ragionevolezza della pena prevista per il reato di cui all'art. 8, comma 2, legge n. 772/1992 (sentenza n. 409/1989) e della pena prevista per il reato di cui all'art. 341 c.p. (sentenza n. 341/1994). In questo caso, deve essere preso in considerazione l'art. 650 c.p. che punisce con l'arresto fino a tre mesi o con la sola ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento legalmente dato dall'autorita' per ragioni di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico. Ancora, sempre alla tutela dell'ordine pubblico e della pubblica sicurezza e' ispirata la fattispecie di cui all'art. 2 della legge n. 423/1956. Anche qui vi e' un ordine della pubblica autorita' (il Questore, come nella fattispecie di cui all'art. 14, comma 4-ter) concernente persone ritenute «pericolose per la sicurezza pubblica» (si osserva che si tratta non di una pericolosita' «potenziale», quale e' quella dello straniero clandestino, ma di una pericolosita' concreta) e anche qui l'inottemperanza configura una contravvenzione, per la quale e' previsto l'arresto da uno a sei mesi. Marginalmente si osserva che completamente diversa e' la fattispecie del delitto previsto dall'art. 9 della legge citata. Si tratta della violazione da parte del sorvegliato speciale dell'obbligo o del divieto di soggiorno impostogli dal tribunale e, sebbene gli interessi tutelati dalla norma siano ancora quelli della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico, non soltanto vi e' una valutazione in concreto della pericolosita' sociale (effettuata dal tribunale e non dall'autorita' amministrativa), ma soprattutto e' prevista una condotta attiva dell'autore, consistente nella violazione di un obbligo o di un divieto (anche questo imposto dal tribunale) al quale e' gia' stata data esecuzione a cura del questore (art. 7, legge cit.) e quindi nell'allontanamento dal luogo di soggiorno obbligato ovvero nel ritorno nel territorio per il quale sussiste il divieto. L'ipotesi in questione potrebbe quindi costituire parametro di riferimento per il delitto previsto dall'art. 14, comma 5-quater del d.lgs. n. 286/1998 (reingresso dello straniero espulso nel territorio dello Stato), ma non per la norma oggetto della presente questione, norma che sanziona la mera inosservanza di un ordine dell'autorita' di polizia. Coerentemente con le sanzioni dettate per analoghe violazioni il legislatore del 2002 aveva previsto come contravvenzione l'ipotesi di cui all'art. 14, comma-ter, potendo la maggiore pena (da sei mesi a un anno di arresto) dettata per lo straniero (inottemperante, ma non necessariamente pericoloso) trovare giustificazione nell'esigenza di contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, inesistente all'epoca della redazione del codice penale e della legge n. 1423/1956. Sussiste invece una rilevante sproporzione tra le pena ora prevista per la stessa ipotesi, configurata come delitto e le sanzioni penali dettate per le contravvenzioni (ad essa analoghe) di cui agli articoli 650 c.p. e 2, legge n. 1423/1956. L'irragionevolezza sussiste dunque sotto un duplice profilo e cioe' sia con riferimento alla pena che il legislatore solo due anni prima aveva ritenuto congrua per l'ipotesi in esame, sia con riferimento alle pene previste per analoghe fattispecie. Come si e' visto, la Corte ha ripetutamente affermato che l'art. 3 Costituzione impone che il bilanciamento tra gli interessi da tutelare e il bene della liberta' personale (che, se si tratta di straniero, non e' per questo di rango inferiore a quello del cittadino) venga effettuato con riferimento alle sanzioni previste per condotte analoghe, che minacciano gli stessi interessi e che solo quando la sanzione penale viene stabilita con la la necessaria proporzionalita' la pena puo' avere la funzione rieducativa di cui all'art. 27, terzo comma della Costituzione.
P. Q. M. Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, prima parte, d.lgs. n. 186/1998 come sostituito dall'art. 1 comma 5-bis, legge n. 271/2004 (che ha convertito in legge con modificazioni il d.l. n. 241/2004) nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso; ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere. Firenze, addi' 22 agosto 2005 Il giudice: Gratteri 06C0527