N. 78 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 giugno 2006
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 21 giugno 2006 (della Regione Campania) Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Ricorso della Regione Campania - Denunciata adozione attraverso un procedimento gravemente lesivo del principio di leale collaborazione, in relazione all'acquisizione e alla valutazione del parere della Conferenza Unificata Stato-Regioni, in contrasto con le prescrizioni della legge di delega e con diretta lesione delle competenze e prerogative costituzionali delle Regioni - Richiesta di dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'intero atto per vizi procedimentali. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. - Costituzione, art. 76. Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Soppressione delle Autorita' di bacino e istituzione delle Autorita' di bacino distrettuale in corrispondenza di otto distretti idrogeografici - Ricorso della Regione Campania - Lamentata modifica del sistema vigente non autorizzata dalla legge delega, mancanza di partecipazione delle Regioni nella definizione del nuovo assetto, irragionevolezza della disciplina, accentramento di funzioni in capo allo Stato con sottrazione di qualsiasi garanzia alle Regioni, adozione di normativa di dettaglio nella materia di competenza concorrente «governo del territorio» e attribuzione al Governo di funzione regolamentare - Denunciata invasione e lesione delle attribuzioni regionali, violazione del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione, contrasto con l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 63 e 64. - Costituzione, artt. 76, 117, comma terzo, e 118. Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Recupero dei rifiuti - Accordi di programma con soggetti economici o associazioni di categoria per la definizione di metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti - Ricorso della Regione Campania - Lamentata sottrazione dei sottoprodotti e delle c.d. materie prime secondarie alla disciplina dei rifiuti, esenzione dall'autorizzazione e frammentazione della disciplina in contrasto con il sistema, deregolamentazione contrastante con le normative europee (direttive n. 75/442/CEE e n. 91/156/CEE) - Denunciato vizio di eccesso di delega per contrasto con la disciplina comunitaria e inosservanza del vincolo del rispetto dell'assetto amministrativo e del riparto di competenze vigente, lesione delle prerogative regionali in materia di tutela del territorio, tutela igienico-sanitaria, sicurezza della popolazione e diretta attuazione delle norme comunitarie. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 181, commi 7, 8, 9, 10 e 11. - Costituzione, artt. 11, 76, 117, commi primo, terzo e quinto, e 118. Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Rifiuti - Definizioni di smaltimento, recupero, deposito temporaneo, sottoprodotto, materia prima secondaria, materia prima secondaria per attivita' siderurgiche e metallurgiche - Ricorso della Regione Campania - Lamentata deregolamentazione mascherata del settore, sottrazione dei sottoprodotti e delle materie prime secondarie alla disciplina dei rifiuti, in contrasto con le normative europee (direttive n. 75/442/CEE e n. 91/156/CEE) - Denunciato vizio di eccesso di delega per contrasto con la disciplina comunitaria e inosservanza del vincolo del rispetto dell'assetto amministrativo e del riparto di competenze vigente, lesione delle prerogative regionali in materia di tutela del territorio, tutela igienico-sanitaria, sicurezza della popolazione e diretta attuazione delle norme comunitarie. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. g), h), m), n), q) e u). - Costituzione, artt. 11, 76, 117, commi primo, terzo e quinto, e 118. Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Rifiuti - Accordo deregolatorio per le procedure semplificate di smaltimento di rifiuti e rinvio al d.m. 5 febbraio 1988 per la fase transitoria in attesa della fissazione di nuove regole Ricorso della Regione Campania - Lamentata sottrazione dei sottoprodotti e delle c.d. materie prime secondarie alla disciplina dei rifiuti, esenzione dall'autorizzazione e frammentazione della disciplina in contrasto con il sistema, deregolamentazione contrastante con le normative europee (direttive n. 75/442/CEE e n. 91/156/CEE) - Denunciato vizio di eccesso di delega per contrasto con la disciplina comunitaria e inosservanza del vincolo del rispetto dell'assetto amministrativo e del riparto di competenze vigente, lesione delle prerogative regionali in materia di tutela del territorio, tutela igienico-sanitaria, sicurezza della popolazione e diretta attuazione delle norme comunitarie. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 214, commi 3 e 5. - Costituzione, artt. 11, 76, 117, commi primo, terzo e quinto, e 118. Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Gestione dei rifiuti - Terre e rocce da scavo, residui della lavorazione della pietra destinati all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati - Esclusione dalla disciplina dei rifiuti - Ricorso della Regione Campania - Lamentato contrasto con la disciplina comunitaria - Denunciato vizio di eccesso di delega per contrasto con la disciplina comunitaria e inosservanza del vincolo del rispetto dell'assetto amministrativo e del riparto di competenze vigente, lesione delle prerogative regionali in materia di tutela del territorio, tutela igienico-sanitaria, sicurezza della popolazione e diretta attuazione delle norme comunitarie. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 186. - Costituzione, artt. 11, 76, 117, commi primo, terzo e quinto, e 118. Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Catasto dei rifiuti - Obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantita' e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di attivita' di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti - Esenzione per le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi - Ricorso della Regione Campania - Lamentato danno e perdita di informazioni per i controlli ambientali Denunciato vizio di eccesso di delega per contrasto con la disciplina comunitaria e inosservanza del vincolo del rispetto dell'assetto amministrativo e del riparto di competenze vigente, lesione delle prerogative regionali in materia di tutela del territorio, tutela igienico-sanitaria, sicurezza della popolazione e diretta attuazione delle norme comunitarie. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 189, comma 3. - Costituzione, artt. 11, 76, 117, commi primo, terzo e quinto, e 118. Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Disciplina degli scarichi - Assimilazione alle acque reflue domestiche degli scarichi derivanti dalle imprese agricole - Condizione - Prevalenza della materia prima derivante dalla propria produzione rispetto alla materia prima derivante da produzioni altrui - Ricorso della Regione Campania Lamentata discrezionalita' del criterio con inevitabilita' del danno ambientale - Denunciato vizio di eccesso di delega per contrasto con la disciplina comunitaria e per contrasto con i principi e criteri direttivi di miglioramento della tutela ambientale e inosservanza del vincolo del rispetto dell'assetto amministrativo e del riparto di competenze vigente, lesione delle prerogative regionali in materia di tutela del territorio, tutela igienico-sanitaria, sicurezza della popolazione e diretta attuazione delle norme comunitarie. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 101, comma 7. - Costituzione, artt. 76 e 117, commi primo e terzo. Ambiente - Decreto legislativo delegato per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - Tariffe del servizio idrico integrato e del servizio di fognatura e depurazione - Ricorso della Regione Campania - Lamentata previsione di poteri normativi ministeriali sovraordinati a quello delle Regioni in violazione della competenza legislativa residuale in materia di servizi pubblici locali, lesione dell'autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni, contrasto con la delega legislativa in relazione al rispetto delle esistenti attribuzioni regionali, e ai criteri fissati per l'adozione di misure e strumenti economici, finanziari e fiscali, nonche' introduzione ex novo di imposta non prevista tra gli oggetti della delega. - D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 154 e 155. - Costituzione, artt. 76, 117, comma quarto, e 119.(GU n.33 del 16-8-2006 )
Ricorso della Regione Campania, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore on. Antonio Bassolino, rapp.to e difeso, giusto mandato a margine ed in virtu' della deliberazione della giunta regionale n. 507 del 28 aprile 2006, dagli avv. proff. Vincenzo Cocozza e Fabrizio Criscuolo unitamente all'avv. Vincenzo Baroni dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elettivamente domicilia in Roma, prsso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania alla via Poli n. 29; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 63 e 64, concernenti le nuove attivita' di bacino; 101, comma 7, concernente gli scarichi derivanti dalle imprese agicole; 154, concernente la tariffa del servizio idrico integrato; 155, concernente la tariffa del servizio fognatura e depurazione, 181, commi 7, 8, 9, 10, 11, concernenti il c.d. recupero dei rifiuti, 183, comma 1, concernente la definizione dei rifiuti; 186, concernente le terre e le rocce da scavo; 189, comma 3, concernente gli obblighi di comunicazione relativi a certe categorie di rifiuti; 214, commi 3 e 5, concernenti le procedure semplificate per i rifiuti, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, supplemento ordinario n. 96/2006, per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, del principio di leale cooperazione, del principio di ragionevolezza nonche' della normativa comunitaria. F a t t o 1. - Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. l52, «Norme in materia ambientale» e' stato emanato in attuazione della delega legislativa contenuta nella legge 15 dicembre 2004, n. 308, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2004, supplemento ordinario n. 187. La delega aveva come oggetto il «riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative "in materia ambientale" anche mediante la redazione di testi unici». La legge di delegazione (art. 1, comma 4) prescriveva l'obbligo per il Governo di sentire il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. E' ancora importante notare che fra i principi fissati dalla legge di delegazione vi era anche l'obbligo del «rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarieta» (art. 1, comma 8). Va, a questo punto, segnalata una rilevante notazione di tipo procedimentale. Il modo in cui si e' svolta l'intera vicenda di approvazione del decreto legislativo con omissioni, ritardi nella comunicazione del testo alla Conferenza Stato-regioni, in uno con la grande complessita' ed ampiezza del testo e degli allegati, hanno impedito che tale organo potesse esprimere il parere, obbligatoriamente previsto dalla stessa legge di delegazione. Risulta, infatti, che il testo del decreto legislativo sia stato trasmesso alle regioni con nota della Presidenza del Consiglio dei ministri solo in data 29 novembre 2005, e che gli allegati tecnici siano stati resi disponibili soltanto in rete (peraltro solo il 7 dicembre). Con tutta evidenza vi era una grande difficolta' a poter, in pochi giorni, conoscere seriamente la disciplina e ad esprimere il parere. Ed infatti, nella seduta della Conferenza unificata del 15 dicembre 2005 vi e' la richiesta di «rinvio dell'espressione del parere per consentire al Tavolo tecnico di terminare l'istruttoria», in quanto, oggettivamente, non vi era stato il tempo materiale per una consapevole valutazione di una materia avente impatto forte con le competenze e la politica degli Enti territoriali. Il Governo ha manifestato opinioni diverse sulla richiesta di rinvio. Di fatto la stessa non viene accolta ed il parere, per le ragioni indicate, non viene reso. Pur mancando questo passaggio essenziale, il Consiglio dei ministri, il 19 gennaio 2006, approvava «in via definitiva» il testo del decreto legislativo. L'anomalia, che ridonda in illegittimita', del procedimento continua nella successiva riunione della Conferenza unificata del 26 gennaio 2006. I presidenti delle regioni e delle province autonome, dell'ANCI, dell'UNPI e dell'UNCEM, infatti, presentavano un ordine del giorno recante il parere negativo sullo schema di decreto, motivandolo sia nel merito che nel metodo ed evidenziando profili di illegittimita' costituzionale. Parere del quale il rappresentante del Governo si limitava a dichiarare di «prendere atto». Il tormentato e confuso procedimento continua, poi, con ulteriori fasi che confermano e rafforzano l'illegittimita'. Risulta, infatti, che in una nuova seduta, 10 febbraio, il Consiglio dei ministri riapprovava, di nuovo «in via definitiva» il decreto legislativo. Ed ancora una nuova approvazione con modifiche del Consiglio dei ministri il 29 marzo 2006, dopo che il Presidente della Repubblica aveva chiesto al Governo alcuni chiarimenti nel merito e in relazione al procedimento di formazione del decreto legislativo con la sospensione dell'emanazione. La nuova approvazione e le modifiche introdotte comportano che il testo e' diverso da quello sottoposto all'esame della Conferenza unificata. Il decreto legislativo, negli artt. 63 e 64; 101, comma 7; 154; 155; 181, commi 7, 8, 9, 10, 11; 183, comma 1; 186; 189, comma 3; 214, commi 3 e 5, e' illegittimo per i seguenti M o t i v i 1) Violazione degli artt. 117, comma 3, 118 e 76 della Costituzione. Violazione del principio di leale cooperazione. Irragionevolezza. Violazione della normativa comunitaria. E' necessaria una premessa. La Regione Campania propone la questione di legittimita' nei confronti nei confronti delle singole disposizioni indicate alle quali le censure vengono specificamente indirizzate. Ma, e' evidente, che il decreto risulti affetto da gravi vizi di procedimento, attinenti, in particolare, alla violazione del principio di «leale cooperazione». E questo costituisce vizio comune a tutte le disposizioni impugnate. Il Governo non ha rispettato, infatti, tale essenziale principio cercando le condizioni perche' la Conferenza non potesse esprimersi anche con la mancata informazione tempestiva sul nuovo testo normativo. Cosi', non vi e' stato il parere della Conferenza unificata e non si e' potuto realizzare alcun confronto, essenziale, invece, per la conformazione della materia. La violazione del principio di leale cooperazione si salda come vizio di carattere generale e comune a quello di violazione delle delega legislativa, con le conseguenti gravi ricadute sulle attribuzioni costituzionalmente garantite alle regioni, dal momento che, come si e' detto, l'obbligo del parere da parte della Conferenza unificata era sancito come principio dalla stessa legge di delegazione. 2) Sulla base di questa premessa, si puo' procedere a prospettare i vizi nei confronti delle singole disposizioni normative oggetto dell'impugnativa. 2.1.) Illegittimita' costituzionale degli artt. 63 e 64 relativi all'Autorita' di bacino, per violazione degli artt. 117, comma 3, 118 e 76 della Costituzione. L'art. 63, comma 3, dispone: «Le autorita' di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto». Le autorita' distrettuali sono previste dal comma 1 dello stesso articolo, in corrispondenza degli otto distretti idrografici individuati nel successivo art. 64 e che riaccorpa in otto distretti i numerosi bacini che la legge n. 183/1989 istituiva, suddividendoli in bacini nazionali, interregionali e regionali. Con tale operazione si e', dunque, proceduto alla creazione di organismi che hanno una qualche corrispondenza con macro-regioni, senza che, pero', una tale opera di ricomposizione abbia registrato la partecipazione degli enti interessati. L'art. 63, comma 2, poi, individua gli organi dei distretti nella «Conferenza istituzionale permanente, nel Segretario generale, nella Segreteria tecnico-operativa e nella Conferenza operativa di servizi». Nel contempo, la norma rinvia la definizione dei criteri e delle modalita' per l'attribuzione di trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell'economia, e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, «sentita la Conferenza permanente Stato-regioni», entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della Parte III decreto. Ancora, lo stesso d.P.C.m. «disciplina il trasferimento di funzioni e regolamenta il periodo transitorio». Si conferma che le disposizioni oggetto dell'impugnativa sono gravemente lesive delle attribuzioni regionali e contrastanti con l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega. La materia, nella quale l'intervento statale si e' realizzato (anche il titolo della Sezione e' significativo: «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione» e' il «governo del territorio» che l'art. 117, terzo comma, Cost., assegna alla competenza concorrente. E' noto che nella materia, in cui vi e' il riparto della potesta' legislativa secondo il terzo comma dell'art. 117 Cost., lo Stato puo' intervenire esclusivamente con norme legislative di principio. Soltanto per funzioni «unitarie», puo' essere giustificata la riserva allo Stato, in base principio di sussidiarieta'. D'altra parte, quando particolari competenze consentano allo Stato di esercitare determinate funzioni amministrative incidenti in materie di competenza regionale, occorre rispettare il principio di leale collaborazione e, quindi, coinvolgere nella decisione la Conferenza Stato-regioni. Le disposizioni normative che sopprimono le Autorita' di bacino e istituiscono le nuove Autorita' distrettuali non rispettano la previsione costituzionale. Intanto, l'accentramento, attraverso l'unificazione sotto un'unica Autorita', di bacini che non hanno in realta' alcuna correlazione, si mostra irragionevole, non giustificata e sottrae competenze alle regioni, in violazione sia della competenza legislativa di cui all'art. 117 Cost. che del principio di sussidiarieta'. Poi, i distretti sono costruiti come enti amministrativi sovraregionali, operandosi, cosi', una distorsione delle strutture delle Autorita' di bacino, che la legge n. 183/1989 aveva correlato a dimensioni idrogeografiche «naturali», alle quali si connetteva la competenza pianificatoria e decisionale. Nel momento in cui le Autorita' distrettuali rappresentano, invece, articolazioni burocratico-amministrative, si accentua un carattere di amministrazione decentrata dello Stato. Cio' e' confermato dal profilo strutturale, giacche' la rappresentanza regionale e' in netta minoranza nell'organo decisionale: la Conferenza istituzionale permanente (che nomina anche il Segretario generale) e la Conferenza operativa. Infatti, al comma 4, l'art. 63 cosi' recita: «Alla Conferenza istituzionale permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attivita' produttive, delle politiche agricole e forestali per la funzione pubblica, per i beni e le attivita' culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonche' i presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio e' interessato dal distretto idrografico o gli assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile». I rappresentanti dello Stato, quindi, sono sette, mentre quelli delle regioni sono in numero inferiore. Sicche', tenuto conto che il medesimo comma 4 espressamente prevede che la Conferenza «delibera a maggioranza», la sottrazione di qualsiasi garanzia alle regioni. Come gia' detto, poi, una cosi' puntuale previsione legislativa statale in materia di competenza regionale, non e' mai ammissibile senza la codecisione. Ancora, va dedotta la illegittima attribuzione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di una funzione regolamentare (art. 63, commi 2 e 3). Ovviamente, trattandosi di un potere connesso con quanto sopra oggetto di impugnativa, vi e' una illegittimita' derivata per le stesse ragioni appena esposte. E, comunque, un tale potere non e' ammissibile, se non esercitato d'intesa con la Conferenza Stato-regioni. La circostanza che la materia, oggetto dell'intervento, sia di competenza regionale (con la conseguente invasione di attribuzioni delle regioni) consente di articolare il vizio di eccesso di delega. Intanto, per violazione dell'oggetto. La legge delega prevedeva il «riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative..., anche mediante la redazione di testi unici» (art. 1, comma 1, legge n. 308/2004). Come codesta ecc.ma Corte ha insegnato «la revisione e il riordino, ove comportino l'introduzione di norme aventi contenuto innovativo rispetto alla disciplina previgente, necessitano della indicazione di principi e di criteri direttivi idonei a circoscrivere le diverse scelte discrezionali dell'esecutivo, mentre tale specifica indicazione puo' anche mancare allorche' le nuove disposizioni abbiano carattere di sostanziale conferma delle precedenti» (sent. n. 66/2005, che cita il precedente della sent. n. 354/1998). Ne discende che, quando oggetto della delega e' il «riordino», lo spazio dell'intervento e' ben delimitato. Poi, per violazione dei principi di delega. La legge n. 308/2004, all'art. 1, comma 8, indica, infatti «il rispetto... delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112». Il rispetto delle attribuzioni regionali costituiva, dunque, un principio preciso che delimitava il decreto legislativo. L'invasione delle competenze regionali che e' stata denunciata appare ancora piu' grave laddove si consideri che la legge delega non sembra prevedere una alterazione del sistema delle Autorita' di bacino. Al riguardo principi e criteri direttivi dettati dal comma 9 sono: «rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e finanziario che ostacolino il conseguimento della piena operativita' degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici; valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale dell'attivita' di pianificazione, programmazione e attuazione di interventi di risanamento idrogeologico del territorio e della messa in sicurezza delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel rispetto delle linee direttrici del piano di bacino; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale della normativa e delle iniziative finalizzate a combattere la desertificazione, anche mediante l'individuazione di programmi utili a garantire maggiore disponibilita' della risorsa idrica e il riuso della stessa; semplificare il procedimento di adozione e approvazione degli strumenti di pianificazione con la garanzia della partecipazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di conclusione dell'iter procedimentale». Non si rinviene traccia nella legge delega di principi che autorizzassero la modifica del sistema previsto dalla legge 183 del 1989. Di qui le evidenti illegittimita' denunciate. 2.2) Illegittimita' costituzionale degli artt. 181, commi 7-11; 183, comma 1; 186; 189, comma 3, per violazione degli artt. 117 (commi primo, terzo e quinto), 118, 11 e 76 Cost. Violazione della normativa comunitaria. L'art. 181, comma 7, prevede che «soggetti economici» o associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati, anche con riferimento ad interi settori economici e produttivi, possano «stipulare con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio... appositi accordi di programma ...per definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti». Tali accordi «fissano le modalita' e gli adempimenti amministrativi per la raccolta, per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti, per la loro commercializzazione, anche tramite il mercato telematico, con particolare riferimento a quello del recupero realizzato dalle Camere di commercio, e per i controlli delle caratteristiche e i relativi metodi di prova». Gli accordi «fissano altresi' le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti ottenuti, nonche' le modalita' per assicurare in ogni caso la loro tracciabilita' fino all'ingresso nell'impianto di effettivo impiego». I commi successivi, dall'8 all'11, disciplinano le modalita' per la stipula, l'approvazione e la pubblicazione di tali accordi di programma. L'art. 183, comma 1, procede alla definizione dei termini: g) «smaltimento»; h) «recupero»; m) «deposito temporaneo»; n) «sottoprodotto» q) «materia prima secondaria», definita con rferimento alle caratteristiche stabilite ai sensi dell'art. 181); u) «materia prima secondaria per attivita' siderurgiche e metallurgiche», la cui disciplina sara' integrata da un decreto ministeriale «senza valore regolamentare». In tale maniera, si attua una deregolamentazione contrastante con le normative europee. Le definizioni di smaltimento e recupero non sono conformi con quanto indicato nella direttiva 75/442/CEE art. 1, lettere e) e f). Le definizioni di sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS) sono in contrasto con le sentenze della Corte di giustizia europea (sentenze C-4l8/1997 e C-419/1997 - «Arco»; C-9/2000 - «Palim Granit»; C-114/2001 «AvestaPolarit Chrome», e in particolare C-457/2002 «Niselli». La sottrazione dei sottoprodotti e delle cd. materie prime secondarie alla disciplina dei rifiuti e' gia' stato oggetto di una prima sentenza di condanna a seguito di procedura d'infrazione che ha colpito il d.m. 5 febbraio 1998, che invece l'art. 181, comma 6, del decreto legislativo impugnato mantiene transitoriamente, ma illegittimamente, in vigore in attesa, di un nuovo decreto ministeriale che fissi le caratteristiche dei materiali ottenuti come materie secondarie. D'altro canto, e' vero che sono inclusi nella «definizione» dei rifiuti, ma in realta' la norma, che cosi' li classifica, delimita l'ambito di applicazione della disciplina nel momento in cui prevede che «non sono soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto i sottoprodotti di cui l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare...» (art. 183, comma 1, lettera n). L'articolo 181, prevedendo appositi decreti ministeriali ed accordi di programma, sottrae al regime dei rifiuti e alle relative autorizzazioni, adempimenti e controlli, molte sostanze o materiali che nella legislazione vigente, invece, vi sono assoggettati. L'orientamento della giurisprudenza e la normativa comunitaria impongono, invece, una nozione estensiva del concetto di «rifiuto» comprendente i sottoprodotti e le materie prime secondarie. Con la previsione del ricorso agli accordi di programma, l'articolo qui censurato e' in contrasto con la disciplina normativa ed il sistema, perche' non vi e' piu' una disciplina unitaria, ma una serie indeterminata di accordi applicabili. Di qui il contrasto con la normativa europea, che non consente che le attivita' di recupero possano essere escluse dal regime autorizzatorio (cfr. direttive n. 75/442/CEE e n. 91/156/CEE). La dispensa dall'autorizzazione e' possibile solo fissando norme generali che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti. Le motivazioni appena dedotte sostengono l'eccezione di illegittimita' anche nei confronti dei commi 3 e 5 dell'art. 214, nella parte in cui ammettono, rispettivamente, l'accordo «deregolatorio» per le procedure semplificate di smaltimento di rifiuti e richiamano il d.m. 5 febbraio 1988 per la fase transitoria, in attesa della fissazione delle nuove regole. L'art. 186, poi, prevede una generale esenzione per le terre e rocce da scavo ed i residui della lavorazione della pietra destinati all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, ecc. che non costituiscono rifiuti e, pertanto, sono «esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attivita' di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalita' previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalita' previste nel progetto approvato dall'autorita' amministrativa competente, ove cio' sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente, sempreche' la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3». La previsione contrasta con la normativa comunitaria perche' si tratta di esclusione disposta in via generale, senza tener conto della generale disciplina europea. Tale contrasto con le norme comunitarie determina non solo la illegittimita' alla stregua dell'art. 117, comma primo, della Costituzione, ma anche con la legge di delega (e quindi con l'art. 76 Cost.) che, come ricordato, fissa tra i criteri direttivi (art. 1, comma 8) la «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza» (lettera e), e l'«affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga"», (lettera f). L'illegittimita' per violazione delle competenze regionali e' evidente. I «rifiuti» costituiscono materia in cui si intersecano gli interessi ambientali con quelli di tutela del territorio, nonche' della tutela igienico-sanitaria e di sicurezza della popolazione. Pur volendosi invocare il «criterio di prevalenza» elaborato dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, e quindi la competenza dello Stato a legiferare in base all'art. 117, comma 2, 1ettera s), la legge statale deve sempre rispettare precisi limiti. Invero, nella legislazione vigente, il ruolo fondamentale delle Regioni, nell'attuazione del quadro normativo nazionale, ha trovato un suo riconoscimento. Sicche' la notevole compressione di tale ruolo regionale, che si realizza incidendo su attribuzioni alle Regioni gia' riconosciute nell'attuale assetto normativo, ridonda in ulteriore violazione della delega, che vincola il legislatore al rispetto dell'assetto amministrativo e al riparto di competenze vigente. L'art. 189, al comma 3, contempla l'obbligo di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantita' e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto di attivita' di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti (c.d. MUD, ossia il «modello unico» introdotto dalla legge n. 70/1994). Ne sono esentate le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi. Cio' comporta una caduta di informazioni relativamente a molteplici categorie di rifiuti. Le strutture chiamate a svolgere i controlli ambientali non saranno nelle condizioni di conoscere i dati relativi alla produzione indispensabili per seguire il percorso dei rifiuti. 2.3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 101, comma 7, per violazione degli artt. 117, comma 1 e 3, e 76 Cost. violazione della normativa comunitaria. L'art. 101, comma 7, assimila alle acque reflue domestiche gli scarichi derivanti dalle imprese agricole, includendo in esse anche quelle che svolgono attivita' di trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli, purche' tale attivita', inserita con carattere di normalita' e complementarieta' funzionale nel ciclo produttivo aziendale, riguardi materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall'attivita' di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilita'. E' noto che tali reflui possono avere un considerevole impatto ambientale. Al riguardo, l'art. 28, comma 7, lett. c), del d.lgs. n. 152/1999 (recante «Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole») imponeva un preciso rapporto minimo tra materia prima derivante dalla propria produzione e materia prima derivante da produzioni altrui. A fronte di tale criterio, l'attuale intervento statale sostituisce il limite di 2/3 con il concetto elastico di «misura prevalente». Palese l'accentuata discrezionalita', con cio' che ne deriva in termini di disparita' di trattamento. Palese, ancora, che la «fiessibilita» del nuovo criterio e l'impropria classificazione degli scarichi delle imprese agricole, che esercitano anche attivita' di trasformazione dei prodotti agricoli, comportano livelli di trattamento meno rigorosi, con conseguenze inevitabili in termini di danno ambientale. Si ripropone, ancora una volta, il vizio per contrasto con la legge di delegazione che ha fissato tra i principi e criteri direttivi il «miglioramento della qualita' dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali...» (lettera a), dell'art. 1, comma 8), e l'obiettivo di «... pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi...» (lettera b) del comma 9). Cosi' come la violazione dell'ulteriore criterio del rispetto delle attribuzioni gia' conferite alle regioni, giacche' sin dalla legislazione di settore e dal decreto legislativo n. 112/1998 queste funzioni risultano riconosciute. 2.4) Illegittimita' costituzionale degli artt. 154 e 155, per violazione degli artt. 117, quarto comma, 119 e 76 Cost. L'art. 154 istituisce la« Tariffa per il servizio idrico», quale «corrispettivo del servizio idrico integrato», e fissa i parametri, con cui essa deve essere determinata, prescrivendo che debba tenersi conto «della qualita' della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonche' di una quota parte dei costi di funzionamento dell'autorita' d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga"». Determina, poi, le competenze attuative, attribuendo: al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, il compito di definire con decreto «le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua»; al Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, «al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale», il compito di stabilire «i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresi' riduzioni del canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate». In tale maniera vengono previsti poteri normativi di livello ministeriale che incidono su ambiti riservati alle regioni, in violazione della competenza legislativa ad esse spettante a termini dell'art. 117, comma della Costituzione. La materia dei servizi pubblici locali e', infatti, riservata alla potesta' residuale delle regioni, sicche' non e' legittimo l'intervento qui contestato. La disciplina, per di piu', contrasta con l'evoluzione della stessa legislazione statale che, nell'art. 13, legge n. 36/1994, aveva fissato la necessita' di tener conto degli obiettivi di miglioramento della produttivita'. Il venir meno di uno strumento idoneo a favorire il miglioramento dell'efficienza delle gestioni con la leva tariffaria, incide negativamente sul miglioramento progressivo in termini di efficienza, previsto dalla precedente normativa. Alla violazione dell'art. 117, comma 4, in materia di disciplina dei sevizi pubblici locali, si aggiunga la violazione dell'autonomia finanziaria e tributaria garantita alle regioni dall'art. 119, commi primo e secondo, Cost., in quanto si incide su una entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale. Si ripropone, ancora una volta, il vizio di contrasto con i criteri e i principi fissati dalla legge di delega, laddove essa ha vincolato il legislatore non solo al rispetto «delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» (art. 1, comma 8), ma anche al conseguimento dello «Sviluppo e coordinamento, con l'invarianza del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della compatibilita' ambientale, l'introduzione e l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996 del Consiglio, nonche' il risparmio e l'efficienza energetica, e a rendere piu' efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e di sostenibilita' dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali» (art. 1, comma 8, lettera d). Per altro verso, poi la norma impugnata non sembra neppure rientrare negli oggetti della delega, non essendo previsto tra essi l'introduzione ex novo dell'imposta in questione.
P. Q. M. Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 63 e 64; 101, comma 7; 154; 155; 181, commi 7, 8, 9, 10, 11; 183, comma 1; 186; 189, comma 3; 214, commi 3 e 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante «Norme in materia ambientale», per violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, del principio di leale cooperazione, del principio di ragionevolezza nonche' della normativa comunitaria. Napoli-Roma, addi' 31 maggio 2006. Prof. Avv. Vincenzo Cocozza - Prov. Avv. Fabrizio Criscuolo - Avv. Vincenzo Baroni 06C0610