N. 81 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 giugno 2006
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 27 giugno 2006 (della Regione Toscana) Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio - Novella dei commi 1 e 3 dell'art. 142 del d.lgs. 42/2004 - Individuazione ex lege, con vigenza illimitata, delle categorie di beni da tutelare con vincolo paesaggistico nonche' preclusione alle Regioni di individuare con il piano paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista del paesaggio - Ricorso della Regione Toscana - Lamentata eliminazione del potere delle Regioni di riconsiderare attraverso il piano paesaggistico i beni da tutelare, con specifico riferimento al proprio territorio - Denunciata lesione delle prerogative gia' riconosciute alle Regioni, con vanificazione dell'attivita' gia' posta in essere, nelle materie attinenti al governo del territorio e alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, violazione del principio di leale collaborazione, eccesso di delega per introduzione non consentita di rilevanti innovazioni. - D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, art. 12. - Costituzione, artt. 76, 117 e 118. Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio - Novella del comma 4 dell'art. 143 e dei commi 3 e 8 dell'art. 146 del d.lgs. 42/2004 - Piano paesaggistico - Procedimento per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica - Parere della Soprintendenza - Prevista obbligatorieta' ed efficacia vincolante - Ricorso della Regione Toscana - Lamentata ingerenza dello Stato nelle funzioni amministrative in materia di autorizzazioni paesaggistiche affidate dallo stesso Codice alle Regioni - Denunciata lesione delle competenze regionali in ambito di governo del territorio, valorizzazione dei beni ambientali e potesta' autorizzatoria regionale, accentramento della funzione amministrativa con violazione del principio di sussidiarieta', mancanza di coinvolgimento delle Regioni con violazione del principio di leale collaborazione, eccesso di delega per introduzione non consentita di rilevanti innovazioni. - D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, artt. 13 e 16. - Costituzione, artt. 76, 117 e 118. Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio - Novella del comma 3 dell'art. 146 del d.lgs. 42/2004 - Procedimento per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica - Previsione di delega da parte delle Regioni delle funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica alle Province e/o a forme associative sovracomunali - Ricorso della Regione Toscana - Lamentata individuazione ex lege dei possibili destinatari della delega - Denunciata lesione dell'autonomia delle Regioni nell'organizzazione delle funzioni autorizzatorie ad esse affidate dallo stesso Codice, violazione dei principi di sussidiarieta' ed adeguatezza, violazione del principio di equi-ordinazione degli enti locali, eccesso di delega per introduzione non consentita di rilevanti innovazioni. - D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, art. 16. - Costituzione, artt. 76, 114, 117 e 118. Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio - Novella dell'art. 157, con inserimento al comma 1 della lett. f-bis), del d.lgs. 42/2004 - Ripristino dei vincoli paesaggistici imposti in via transitoria con i decreti ministeriali emanati in attuazione della l. 431/1985 - Ricorso della Regione Toscana - Lamentato contrasto con i piani paesaggistici gia' predisposti dalla Regione - Denunciata ingerenza nelle funzioni regionali in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali e culturali, mancata concertazione con le Regioni, violazione del principio di leale collaborazione, eccesso di delega per introduzione non consentita di rilevanti innovazioni. - D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, art. 25. - Costituzione, artt. 76, 117 e 118. Paesaggio (tutela del) - Codice dei beni culturali e del paesaggio - Novella del comma 3 dell'art. 159 del d.lgs. 42/2004 - Potere di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza anche per motivi di merito - Ricorso della Regione Toscana - Lamentato accentramento delle funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica in capo allo Stato - Denunciata lesione delle funzioni regionali in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali e culturali, mancata concertazione con le Regioni, violazione del principio di leale collaborazione, eccesso di delega per introduzione non consentita di rilevanti innovazioni. - D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, art. 26. - Costituzione, artt. 76, 117 e 118.(GU n.35 del 30-8-2006 )
Ricorso per la Regione Toscana in persona del presidente pro tempore, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 451 del 19 giugno 2006, rappresentata e difesa, come da mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura regionale e dall'avv. Fabio Lorenzoni del Foro di Roma, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via del Viminale n. 43; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157, recante «Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio» (attuativo dell'art. 10, comma 4, della legge delega 6 luglio 2002, n. 137), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 97 del 27 aprile 2006, S.O. n. 102/2006, con particolare riferimento agli articoli: art. 12, che sostituisce l'art. 142, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento ai commi 1 e 3 del novellato art. 142; art. 13, che sostituisce l'art. 143, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 4 del novellato art. 143; art. 16, che sostituisce l'art. 146, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento ai commi 3 e 8 del novellato art. 146; art. 25, che modifica l'art. 157, d.lgs. n. 42/2004, nella parte in cui inserisce al comma 1 del suddetto art. 157 la lettera f-bis); art. 26, che sostituisce l'art. 159, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 3 del novellato art. 159; per contrasto con gli articoli 76, 114, 117 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, per i profili di seguito indicati. Con il decreto legislativo n. 157/2006, sono state modificate alcune norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42/2004, relative alla tutela dei beni paesaggistici. Con dette modifiche, si realizza un sistema teso a rafforzare la partecipazione dello Stato nell'esercizio delle funzioni amministrative gia' attribuite alle regioni in materia di tutela e valorizzazione del paesaggio. Il decreto in parola ha ricevuto il parere negativo da parte della Conferenza unificata, seduta del 26 gennaio 2006 (doc. 1), la quale ha in particolare modo evidenziato, da una parte, la violazione del principio di leale collaborazione nella fase di redazione del decreto legislativo in esame e, dall'altra, l'inammissibile accentramento della gestione delle funzioni amministrative in materia di tutela paesaggistica operato dal decreto in parola, il quale ha avuto l'effetto di «espropriare» - di fatto - le regioni (e gli enti locali, da queste delegati) di potesta' riconosciute alle stesse gia' a partire dal 1977, e cio' in contrasto con la valorizzazione delle autonomie che si e' realizzata negli ultimi anni, anche a livello costituzionale. Va preliminarmente osservato che la materia in oggetto coinvolge profili aventi un'incidenza su una pluralita' di interessi e di oggetti, che non ricadono solo nell'esclusiva competenza statale in materia di tutela dell'ambiente e dei beni culturali, ma attengono anche a molteplici ambiti di competenza concorrente delle regioni (cioe', il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali). Come piu' volte messo in evidenza dalla Corte costituzionale, infatti, «La tutela dei beni culturali, inclusa nel secondo comma dell'art. 117 Cost. sotto la lettera s) tra quelle di competenze legislativa esclusiva dello Stato, e' materia che condivide con altre alcune peculiarita'. Essa ha un proprio ambito materiale, ma nel contempo contiene l'indicazione di una finalita' da perseguire in ogni campo in cui possano venire in rilevo beni culturali. Essa costituisce anche una materia-attivita', come questa Corte l'ha gia' definita (v. sentenza n. 26 del 2004), condividendo alcune caratteristiche con la tutela dell'ambiente, non a caso ricompresa sotto la stessa lettera s) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione. In entrambe assume rilievo il profilo teleologico della disciplina. In tale ordine di idee questa Corte ha affermato che «la tutela dell'ambiente», piu' che una «materia» in senso stretto, rappresenta un compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi, validi in tutte le regioni e non derogabili da queste; e che cio' non esclude affatto la possibilita' che leggi regionali, emanate nell'esercizio della potesta' concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione o di quella «residuale», di cui all'art. 117, quarto comma, possano assumere tra i propri scopi anche finalita' di tutela ambientale (v. sentenza n. 307 del 2003, paragrafo 5 del Considerato in diritto, nonche' sentenze n. 407 del 2002, n. 222 del 2003 e n. 62 del 2005). D'altra parte, mentre non e' discutibile che i beni immobili di valore culturale caratterizzano e qualificano l'ambiente - specie dei centri storici cui la norma impugnata si riferisce - ha rilievo l'attribuzione della valorizzazione dei beni culturali alla competenza concorrente di Stato e regioni. Ai fini del discrimine delle competenze, ma anche del loro intreccio nella disciplina dei beni culturali, elementi di valutazione si traggono dalle norme del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e paesaggistici). Tale testo legislativo ribadisce l'esigenza dell'esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, comma 1) e, nel contempo, stabilisce, pero', che siano non soltanto lo Stato, ma anche le regioni, le citta' metropolitane, le province e i comuni ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, comma 3). Inoltre, a rendere evidente la connessione della tutela e valorizzazione dei beni culturali con la tutela dell'ambiente, sono le lettere f) e g) del comma 4 dell'art. 10 del suindicato codice, le quali elencano, tra i beni culturali, le ville, i parchi, i giardini, le vie, le piazze e in genere gli spazi aperti urbani di interesse artistico o storico. Con riguardo a tale ultimo rilievo e' anche sotto altro, piu' specifico, aspetto che viene in evidenza la competenza regionale. La materia del governo del territorio, comprensiva dell'urbanistica e dell'edilizia (v. sentenze n. 362 del 2003 e n. 196 del 2004), rientra tra quelle di competenza legislativa concorrente. Spetta percio' alle regioni, nell'ambito dei principi fondamentali determinati dallo Stato, stabilire la disciplina degli strumenti urbanistici. Ora, non v'e' dubbio che tra i valori che gli strumenti urbanistici devono tutelare abbiano rilevanza non secondaria quelli artistici, storici, documentari e comunque attinenti alla cultura nella polivalenza di sensi del termine» (cfr. Corte cost., sent. n. 232/2005). Di recente, la Corte costituzionale nella sentenza n. 182/2006 (avente ad oggetto la l.r. della Toscana n. 1/2005, in relazione al d.lgs. n. 42/2004, nella versione antecedente la riforma), ha chiarito che «La tutela tanto dell'ambiente quanto dei beni culturali e' riservata allo Stato (art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.), mentre la valorizzazione dei secondi e' di competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.): da un lato, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, e, dall'altro, le leggi regionali, emanate nell'esercizio di potesta' concorrenti, possono assumere tra i propri scopi anche finalita' di tutela ambientale, purche' siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato. Appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l'intervento normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell'interesse ambientale (sentenze n. 62, n. 232 e n. 336 del 2005)». Alla luce delle considerazioni sopra svolte, e' evidente che l'intervento del legislatore statale in materia di paesaggio deve svolgersi nel rispetto delle prerogative delle regioni costituzionalmente garantite, assicurando alle stesse un ruolo primario anche in considerazione del delicato intreccio tra diverse materie, di competenza statale e regionale. Il decreto in esame non sembra, invece, raccordarsi con il nuovo quadro costituzionale e, sotto molti aspetti, le competenze regionali risultano compresse (anche rispetto al quadro normativo di riferimento antecedente la riforma del Titolo V); tutto cio' in violazione degli articoli 76, 114, 117 e 118 Cost. ed in generale dei principi costituzionali di sussidiarieta', adeguatezza e di leale collaborazione. Le norme impugnate del decreto legislativo n. 157/2006 sono pertanto incostituzionali per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituziona1e dell'art. 12 che sostituisce l'art. 142, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 1 del novellato art. 142 in esame, nella parte in cui reintroduce l'illimitata vigenza del vincolo paesaggistico per le categorie di beni tutelati ai sensi della legge n. 431/1985, nonche' con particolare riferimento al comma 3 dello stesso art. 142, nella parte in cui preclude alle regioni di individuare con il piano paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista del paesaggio, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e per violazione del principio di leale collaborazione. Contrariamente a quanto previsto nell'originaria versione dell'art. 142, d.lgs. n. 42/2004, il novellato comma 1 dell'art. 142 in esame stabilisce ex lege la vigenza illimitata del vincolo paaggistico con riferimento alle categorie di beni individuate dalla legge n. 431/1985 (c.d. legge Galasso): e' stata pertanto eliminata la possibilita' per le regioni, attraverso il piano paesaggistico, di specificare e disciplinare tali beni sulla base di analisi puntuali dei contesti regionali e dei relativi elementi caratterizzanti. Ai sensi del successivo comma 3, e' inoltre precluso alle regioni la facolta' di individuare, d'ora in avanti, nell'ambito del piano paesaggistico i corsi d'acqua irrilevanti dal punto di vista del paesaggio, sulla base di una verifica dei casi concreti. In tal modo, le regioni vengono, di fatto, private del potere di accertare l'adeguatezza della tutela paesaggistica in relazione alle aree presenti sul proprio territorio, e quindi di verificare la perdurante effettivita' del vincolo paesaggistico. Cio' rappresenta un inammissibile passo indietro rispetto alle prerogative riconosciute alle regioni dal previgente d.lgs. n. 42/2004, il quale prescriveva ex lege la tutela paesaggistica dei beni in parola, solo in via transitoria, e cioe' fino all'approvazione e/o adeguamento del piano paesaggistico, con il quale le regioni dettano la disciplina d'uso e di tutela dei beni, sulla base delle specifiche esigenze di salvaguardia, attualizzando i vincoli posti in modo astratto ed a prescindere dalla reale consistenza dei beni. Non solo, la nuova previsione normativa ha l'effetto di vanificare tutta l'attivita' nel frattempo gia' posta in essere dalle regioni - proprio in attuazione del previgente d.lgs. n. n. 42/2004 - in vista della riconsiderazione delle categorie dei beni tutelati ex lege e della loro individuazione sul proprio territorio. Pertanto le disposizioni in esame incidono in maniera rilevante sullo svolgimento delle funzioni, attinenti al governo del territorio, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, riservate alla potesta' concorrente delle regioni, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. Inoltre le norme in questione sono incostituzionali anche per violazione dell'art. 118 Cost. e del principio della leale collaborazione. Essendo infatti indubbio che l'individuazione dei beni da tutelare ed il regime di tutela incidono sulle competenze regionali, i medesimi dovrebbero essere statuiti d'intesa con le regioni (in tal senso, Corte cost., sentenze n. 303 del 2003; n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005). Tanto e' vero che il previgente d.lgs. n. 42/2004 rimetteva al piano paesaggistico - elaborato dalle regioni d'intesa con lo Stato - la concreta individuazione delle aree da tutelare. Ora, invece, il legislatore statale ha previsto direttamente i beni da sottoporre a tutela e cio' in modo unilaterale: di qui i vizi eccepiti. Si eccepisce, inoltre, l'eccesso di delega, in quanto la legge delega cui il Governo, con il decreto n. 157 in parola, intende dare attuazione, prevede esclusivamente l'introduzione di limitate disposizioni correttive e/o integrative rispetto al testo normativo previgente, che risultino necessarie alla luce di un primo monitoraggio della sua applicazione (cfr. art. 10, comma 4, legge n. 137/2002): la modifica sopra evidenziata, invece, introduce - per i profili in esame - rilevanti innovazioni rispetto al sistema delineato con l'approvazione del d.lgs. n. 42/2004, cio' in violazione dell'art. 76 Cost. e, come gia' visto, la violazione eccepita incide conseguentemente sulle prerogative regionali in materia di governo del territorio e valorizzazione dei beni ambientali, ex artt. 117, terzo comma e art. 118 Cost. le quali risultano senz'altro compromesse dalla mancata previsione della possibilita' per le regioni di riconsiderare le categorie di beni tutelate ex lege, con specifico riferimento al proprio territorio. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, che sostituisce l'art. 143, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 4 del novellato art. 143 in esame, nella parte in cui prevede che il parere della Soprintendenza nel procedimento autorizzatorio sia oltre che obbligatorio anche vincolante, fino all'approvazione del piano paesaggistico elaborato di intesa; nonche' illegittimita' costituzionale dell'art. 16 che sostituisce l'art. 146, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento ai commi 3 e 8 del novellato art. 146 in esame: il comma 3, nella parte in cui prevede che il parere della Soprintendenza, ai fini autorizzatori, e' sempre vincolante, allorche' la regione abbia delegato le funzioni amministrative ai comuni; il comma 8, laddove prevede che, fino all'approvazione del piano paesaggistico elaborato di intesa, il parere della Soprintendenza, ai fini dell'autorizzazione, e' vincolante; per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e per violazione del principio di leale collaborazione. Gli articoli citati in epigrafe stabiliscono che il parere espresso dalla Soprintendenza, in sede di procedimento per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, non e' piu' solo obbligatorio, ma diventa anche vincolante. In particolare e' vincolante il parere, nelle ipotesi in cui: a) il piano paesaggistico non sia stato elaborato congiuntamente tra Stato e regione (art. 143, comma 4 e art. 146, comma 8, cosi' come sostituiti, rispettivamente, dall'art. 13 e dall'art. 16 del d.lgs. n. 157/2006), e cioe' secondo le forme di co-decisone previste dal novellato art. 143, comma 3 (ossia: stipula dell'intesa Stato-regione per l'elaborazione congiunta del Piano paesaggistico; accordo preliminare sul contenuto del Piano; approvazione del Piano elaborato congiuntamente da parte della regione; eventuale esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato in caso di inerzia della regione); b) la regione decida - in deroga a quanto stabilito dal Codice dei beni culturali e paesaggistici attualmente vigente - di affidare le funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica ai comuni e non alle province e/o comunque ad enti aventi ambito sovracomunale (art. 146, comma 3, cosi' come sostituito dall'art. 16 del d.lgs. n. 157/2006). Le previsioni in esame determinano un'illegittima ingerenza dello Stato nelle funzioni amministrative in materia di autorizzazioni paesaggistiche affidate, per espressa disposizione dello stesso Codice, alle regioni: ed infatti l'art. 146, comma 2, cosi' come sostituto dall'art. 16 del d.lgs. n. 157/2006 afferma che «I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione o all'ente locale al quale la regione ha delegato le funzioni i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, affinche' ne sia accertata la compatibilita' paesaggistica e sia rilasciata l'autorizzazione a realizzarli». Per contro, vincolare la decisione sull'autorizzazione paesaggistica alle determinazioni della Soprintendenza significa privare la regione, e/o l'ente da questa individuato, dell'effettivo esercizio della funzione autorizzatoria in parola. L'espressione di un parere vincolante da parte della Soprintendenza - di fatto - determina l'esclusiva competenza dello Stato in ordine alla valutazione di merito sulle autorizzazioni ambientali, relegando le regioni, e/o gli enti locali da queste individuati, ad un ruolo meramente esecutivo di determinazioni assunte dall'organo statale. A questo proposito, la Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 183/2006, ha ritenuto costituzionalmente legittimo il parere vincolante della Soprintendenza nei procedimenti di accertamento di conformita' paesaggistica degli abusi, solo perche' limitato ai profili penali; infatti nella sentenza e' chiarito che «gli effetti dell'accertamento di conformita' appaiono limitati alla punibilita' degli abusi, che non investe le sanzioni amministrative, ne' quelle edilizie, ma neppure quelle paesaggistiche. Ai fini del riparto delle competenze, dunque, la potesta' autorizzatoria regionale non appare scalfita». Contrariamente all'orientamento espresso dalla Corte costituzionale nella su richiamata sentenza, le disposizioni in esame, definiscono, in concreto, il potere decisionale in ordine alle autorizzazioni paesaggistiche in capo all'organo statale, non si verte quindi nell'ambito di rilevanza penale delle fattispecie, ed hanno pertanto peculiari ricadute anche in ambiti attribuiti alla competenza concorrente delle regioni, quali il governo del territorio (in particolare sotto i profili urbanistico ed edilizio) e la valorizzazione dei beni ambientali, oltre ad incidere pesantemente sulla potesta' autorizzatoria regionale, cosi' come confermata anche dal novellato Codice dei beni culturali e paesaggistici: e' quindi evidente il mancato rispetto da parte della disciplina in esame degli artt. 117 e 118 Cost. In particolare, l'intervento statale non puo' ritenersi giustificato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. s), in quanto - come gia' rilevato - la Corte costituzionale ha avuto piu' volte occasione di affermare, sia nell'ambito del previgente quadro costituzionale di riferimento, sia alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione operata con legge cost. n. 3/2001, che il paesaggio, cosi' come l'ambiente, va configurato come un «valore» costituzionalmente protetto, ossia come ambito materiale la cui tutela e' idonea a investire trasversalmente una pluralita' di materie, al cui perseguimento sono chiamati a contribuire, nell'ambito delle rispettive competenze, tutti livelli territoriali di governo (cfr. Corte cost. n. 407/2002; n. 96/2003; n. 259/2004; con riferimento alla giurisprudenza antecedente la riforma del Titolo V si vedano, tra le altre, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998) e, quindi, la competenza statale relativa alla tutela ambientale e paesaggistica non puo' intervenire in maniera cosi' incisiva - come e' nel caso di specie - nelle attribuzioni proprie delle regioni. Inoltre, subordinare il rilascio dell'autorizzazione al parere vincolante della Soprintendenza significa che l'autorita' preposta alla gestione del vincolo (regione o enti locali cui le regioni abbiano trasferito la funzione) non potra' discostarsi da quel parere: com'e' noto, infatti, e' affermato che i pareri vincolanti sono costitutivi del contenuto del provvedimento. Ne deriva che, nelle indicate fattispecie, chi decide in merito alla autorizzazione paesaggistica e' la Soprintendenza e che non vi e' possibilita' per la regione - ovvero per gli enti locali cui le regioni abbiano trasferito le funzioni - di far valere eventualmente diverse valutazioni in ordine alla compatibilita' dell'opera proposta. Attraverso la previsione del parere vincolante, in realta' la funzione di valutare detta compatibilita' viene allocata in capo allo Stato. Cio' contrasta, pero', con l'art. 118 della Costituzione, perche' tale allocazione non e' sorretta da esigenze di carattere unitario. In denegata ipotesi la norma resterebbe comunque incostituzionale per violazione dell'art. 118 della Costituzione perche' non sono previste adeguate procedure d'intesa con le regioni, invece imprescindibili, in caso di allocazione in capo allo Stato di funzioni che interferiscono con materie di competenza regionale. Non vi e' dubbio che nel caso in esame sussista detta interferenza, posto che la valutazione in ordine al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica incide anche, e in modo consistente, sull'assetto urbanistico ed edilizio e sulla pianificazione territoriale, di competenza regionale. In altri termini, un siffatto accentramento non puo' giustificarsi con il principio di sussidiarieta' (in senso ascendente), in quanto - come insegnato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 303/2003 - avrebbero dovuto essere comunque previste adeguate forme di concertazione, al fine di tutelare le istanze regionali costituzionalmente garantite, in un ambito che involge molteplici profili di competenza concorrente delle regioni. Al contrario, alla luce delle recenti modifiche al Codice, la mancanza di intesa tra Stato e regione nella redazione del piano, costituisce proprio uno dei presupposti per la allocazione del potere di autorizzazione in capo allo Stato, senza alcun coinvolgimento delle regioni. Per tutto quanto fin qui detto, si eccepisce la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione. Infine anche con riferimento alle norme in esame si eccepisce il vizio dell'eccesso di delega, in quanto dette disposizioni, apportando rilevanti innovazioni al previgente d.lgs. n. 42/2004, contrastano con i principi ed i criteri direttivi di cui all'art. 10, comma 4, legge n. 137/2002 (che - come gia' visto al punto 1 del presente ricorso - ammette solo interventi correttivi ed integrativi del d.lgs. n. 42/2004), in violazione dell'art. 76 Cost. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16 che sostituisce l'art. 146, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 3 del novellato art. 146 in esame, in quanto prevede che la regione deleghi le funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica alle province e/o a forme associative sovracomunali, per contrasto con gli artt. 76, 114, 117 e 118 Cost. La norma in esame vincola le regioni, che decidano di non esercitare direttamente la funzione autorizzatoria, individuando ex lege i possibili destinatari di tali competenze nelle province e/o nelle forme associative e di cooperazioni degli enti locali di livello sovracomunale. Si osserva che le funzioni amministrative concernenti la gestione del vincolo paesaggistico e, quindi, la competenza in ordine al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, sono state attribuite alle regioni gia' dall'art. 82 del d.P.R. n. 616/1977; detta competenza e' stata poi confermata dall'art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, anche nella versione modificata dal d.lgs. n. 157/2006 in esame (cfr. art. 146, comma 2, cosi' come sostituito dall'art. 16, d.lgs. n. 157/2006). La Regione Toscana, per parte sua, ha dapprima sub-delegato ai comuni le funzioni autorizzatorie in parola con l.r. n. 52/1979, ed ha quindi confermato la competenza dei comuni al rilascio delle autorizzazioni con la recente l.r. 1/2005 (artt. 87 e ss.). La norma lede l'autonomia delle regioni nell'organizzazione delle funzioni autorizzatorie, loro attribuite dallo stesso Codice dei beni culturali ed ambientali. Secondo l'insegnamento della Corte costituzionale nella gia' richiamata sentenza n. 303/2003, l'allocazione della funzione amministrativa «non puo' restare senza conseguenze sull'esercizio della funzione legislativa, giacche' il principio di legalita' impone che anche le funzioni assunte per sussidiarieta' siano organizzate e regolate dalla legge». Dunque la Corte costituzionale ha posto il principio per cui la titolarita' della funzione amministrativa abilita lo Stato o la regione, titolari della funzione stessa, anche ad organizzarla e regolarla, e cio' in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto. Nello stesso senso la Corte costituzionale ha affermato che «le funzioni amministrative, inizialmente conferite alle regioni, possano essere attribuite agll enti locali» (Corte cost. sent. 182/2006); inoltre «poiche' la competenza a rilasciare le autorizzazioni per lo svolgimento delle attivita' previste dalla legge impugnata spetta alla regione, la delega da quest'ultima alle province del relativo potere autorizzatorio non e' illegittima in quanto non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed, anzi, e' coerente con il principio di sussidiarieta» (sent. n. 259/2004; nello stesso senso anche sent. 214/2005). Per contro, la norma censurata, limitando la facolta' delle regioni - cui sono attribuite le competenze autorizzatorie e, in generale, la gestione dei vincoli paesaggistici - di individuare gli enti cui conferire le funzioni in parola, interviene illegittimamente nell'ambito di autonomia proprio delle regioni stesse per la disciplina e l'organizzazione di dette funzioni e cio' in violazione degli artt. 117 e 118 Cost., ed in particolare, in violazione dei principi di sussidiarieta' ed adeguatezza. Va inoltre sottolineato come l'art. 16, d.lgs. n. 157/2006, nel modificare il d.lgs. n. 42/2006, reintroduca il concetto di «delega» delle funzioni amministrative non piu' ammessa dall'art. 118 Cost. il quale prevede il pieno conferimento delle funzioni agli enti locali nel rispetto dell'art. 114 Cost. che sancisce la equi-ordinazione degli enti medesimi. Infine, anche con riferimento all'articolo in parola, che introduce senz'altro una norma innovativa al d.lgs. n. 42/2004, si eccepisce l'eccesso di delega e, quindi, la violazione dell'art. 76 Cost., per le considerazioni gia' esposte ai punti 1 e 2 del presente ricorso, cui si rinvia. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 25 che modifica l'art. 157, d.lgs. n. 42/2004, nella parte in cui inserisce al comma 1 del suddetto art. 157 la letter s), nella parte in cui stabilisce che conservano efficacia a tutti gli effetti i provvedimenti di imposizione dei vincoli paesaggistici, emanati in attuazione della legge n. 431/1985, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e per violazione del principio di leale collaborazione. La disposizione in esame reintroduce la validita' dei vincoli paesaggistici imposti in via transitoria, con i decreti ministeriali emanati ai sensi della legge Galasso. La norma in esame prevede infatti che «Fatta salva l'applicazione dell'articolo 143, comma 6, dell'articolo 144, comma 2 e dell'articolo 156, comma 4, conservano efficacia a tutti gli effetti: (...) f-bis) i provvedimenti emanati ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431» Tuttavia detti vincoli risultano, quanto meno con riferimento alla Regione Toscana, superati e/o ridefiniti attraverso la pianificazione paesaggistica. Ripristinare detti vincoli, anche in contrasto con i piani paesaggistici gia' predisposti dalle regioni, a prescindere da una concreta valutazione dell'effettiva esigenza di tutela dei beni in questione, determina evidentemente un'inammissibile ingerenza nelle funzioni regionali in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali e culturali. Anche sotto tale profilo, inoltre, si evidenzia la mancata previsione di forme di concertazione idonee con le regioni, nonostante che con la disposizione in esame si creino forti vincoli al potere delle regioni di pianificare e/o programmare il proprio territorio, sia da un punto di vista urbanistico che edilizio (cfr. in tal senso Corte cost., sentenze n. 303 del 2003; n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005, gia' citate). Cio' in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione. Infine, anche con riferimento all'articolo in parola, che introduce senz'altro una norma innovativa al d.lgs. n. 42/2004, si eccepisce l'eccesso di delega e, quindi, la violazione dell'art. 76 Cost., per le considerazioni gia' esposte ai punti 1 e 2 del presente ricorso, cui si rinvia. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 26 che sostituisce l'art. 159, d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento al comma 3 del novellato art. 159 in esame, in quanto estende il potere di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza, anche per motivi di merito, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e per violazione del principio di leale collaborazione. La disposizione in esame rafforza il potere della Soprintendenza nel rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, sino all'adeguamento del piano paesaggistico elaborato d'intesa dalla regione con lo Stato, in quanto introduce - diversamente da quanto previsto dall'originario d.lgs. n. 42/2004 - la possibilita' della Soprintendenza di intervenire per l'annullamento delle autorizzazioni rilasciate dall'ente competente, alla luce di valutazioni non piu' solo attinenti alla legittimita' dell'autorizzazione ma anche al merito del provvedimento autorizzatorio. Infatti la norma in esame dispone che «La soprintendenza, se ritiene l'autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio, dettate ai sensi del presente Titolo» puo' annullarla, con provvedimento motivato, entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa, completa documentazione. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 6, comma 6-bis, del decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali 13 giugno 1994, n. 495». Detta previsione, cosi' come le norme che introducono la vincolativita' del parere della Soprintendenza (cfr. punto 2 del presente ricorso), determinano un inammissibile accentramento delle funzioni in materia di autorizzazione paesaggistica, la cui effettiva gestione e' in definitiva individuata in capo allo Stato (per il tramite delle Soprintendenze). E' infatti evidente che la previsione di un cosi' penetrante potere di «vigilanza» statale, si risolve nell'esercizio unilaterale da parte dello Stato della funzione autorizzatoria, attraverso determinazioni aventi quindi rilevanti ricadute sull'assetto urbanistico ed edilizia del territorio, di competenza regionale, ma senza la garanzia di adeguati modelli concertativi aderenti al principio di leale collaborazione piu' volte richiamato dalla Corte costituzionale (cfr. Corte cost., sentenze n. 303 del 2003; n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005, gia' citate). Cio' in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. e con il principio di leale collaborazione. Infine, anche con riferimento all'articolo in parola, che introduce, senz'altro una norma innovativa al d.lgs. n. 42/2004, si eccepisce l'eccesso di delega e, quindi, la violazione dell'art. 76 Cost., per le considerazioni gia' esposte ai punti 1 e 2 del presente ricorso, cui si rinvia.
P. Q. M. Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni qui impugnate del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157, recante «Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio», per le ragioni e sotto i profili illustrati nel presente ricorso. Si depositano: 1) il verbale della Conferenza unificata del 26 gennaio 2006; 2) la delibera della giunta regionale n. 451 del 19 giugno 2006. Firenze-Roma, addi' 25 giugno 2006 Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni 06C0613