N. 228 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 dicembre 2005

Ordinanza emessa il 30 dicembre 2005 dal tribunale di sorveglianza di
Firenze sull'istanza proposta da Guazzerotti Fabrizio

Ordinamento  penitenziario  -  Concessione dei benefici ai recidivi -
  Modifiche  normative  -  Limite della pena detentiva da espiare non
  superiore a tre anni per l'accesso all'affidamento in prova in casi
  particolari - Prevista applicabilita' anche ai condannati, recidivi
  reiterati,  per  reati  commessi prima dell'entrata in vigore della
  novella  - Violazione del principio di irretroattivita' della legge
  penale.
- D.P.R.  9 ottobre 1990, n. 309, art. 94-bis, introdotto dall'art. 8
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione, art. 25, comma secondo.
(GU n.29 del 19-7-2006 )
                    IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA

    A   scioglimento   della   riserva   espressa   nell'udienza  del
20 dicembre 2005;
    Visti   ed   esaminati  gli  atti  relativi  al  procedimento  di
sorveglianza in materia di affidamento in prova al servizio sociale a
scopo  terapeutico  ai  sensi  dell'art. 94,  d.P.R. n. 309/1990 e di
detenzione  domiciliare  promosso  in  seguito ad istanza avanzata da
Guazzerotti  Fabrizio,  nato  a  Roma  il 30 maggio 1965, attualmente
domiciliato in Acilia (RM), via Pietro Ghepardi, 50;
    Rilevato  che  l'istanza e' relativa all'esecuzione della pena di
anni  3  e  mesi  4 di reclusione di cui alla sentenza emessa in data
13 gennaio   2005   da   G.u.p.  Tribunale  Grosseto,  definitiva  il
10 febbraio   2005,   ed  e'  stata  trasmessa  dalla  Procura  della
Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Grosseto  con riferimento alla
procedura esecutiva n. 42/2005 r.e.s.;
    Verificata  la regolarita' delle comunicazioni e notificazioni di
rito;

                            O s s e r v a

    1.   -   Guazzerotti   Fabrizio,   con  istanza  pervenuta  nella
cancelleria   di   questo  tribunale  il  7 marzo  2005,  ha  chiesto
l'applicazione  della misura alternativa dell'affidamento in prova al
servizio  sociale  a  scopo  terapeutico e, in via subordinata, della
detenzione domiciliare in relazione all'esecuzione della pena di anni
3 e mesi 4 di reclusione, sospesa ai sensi dell'art. 656 c. 5 c.p.p.,
inflittagli  per il reato di omicidio preterintenzionale, commesso il
27 agosto  2003,  con  la sentenza indicata in epigrafe. Si tratta di
sentenza  pronunciata  a  norma  dell'art. 444  c.p.p.;  nel  capo di
imputazione  e'  stata  contestata al prevenuto la recidiva reiterata
infraquinquennale,  non esclusa dal giudice della cognizione anche se
«soccombente»  rispetto alle prevalenti attenuanti (generiche e della
«provocazione»).
    Dall'esame degli atti acquisiti mediante l'istruttoria svolta sul
caso risulta che l'interessato e' soggetto tossicodipendente, seguito
dal  Ser.t.  dell'Azienda  sanitaria locale RM/D di Roma dal dicembre
2000,  che non ha mai fruito in precedenza di misure alternative alla
detenzione e che ha concordato con la comunita' «Magliana 80» di Roma
un  programma  terapeutico  diurno,  ritenuto e dichiarato idoneo dal
servizio  per  le  tossicodipendenze della predetta Azienda sanitaria
locale.
    Una  prima  udienza  di  trattazione dell'istanza si e' svolta il
28 luglio  2005;  la  trattazione  e' stata rinviata al-l'8 settembre
2005  e,  da  tale  data,  all'odierna  udienza  per  mancanza  della
relazione   dell'Ufficio   di  esecuzione  penale  esterna  di  Roma,
trasmessa a questo tribunale il 15 novembre 2005.
    2.  -  Nelle  more  del  presente procedimento e' stata approvata
definitivamente  la  legge 5 dicembre 2005, n. 251, entrata in vigore
in  data  8 dicembre  2005.  Com'e'  noto,  si  tratta  di  legge che
contiene,  tra  l'altro,  rilevanti  modifiche alla legge n. 354/1975
sull'ordinamento  penitenziario  e  che  introduce,  a  proposito  di
affidamento  in  prova  terapeutico per soggetti tossicodipendenti od
alcooldipendenti,  l'art. 94-bis  nel  testo  unico  di cui al d.P.R.
n. 309/1990,  rendendo  obiettivamente  piu' difficile l'accesso alle
misure  alternative  alla  detenzione  per  i condannati ai quali sia
stata  applicata la recidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, del
codice  penale (c.d. recidiva reiterata). Dispone, in particolare, il
nuovo  articolo  94-bis che la sospensione dell'esecuzione della pena
detentiva  e l'affidamento in prova in casi particolari nei confronti
di  persona  tossicodipendente  o  alcooldipendente,  cui  sia  stata
applicata  la  recidiva  prevista  dall'articolo 99, quarto comma del
codice penale, possono essere concessi una sola volta e sempre che la
pena  detentiva  inflitta o ancora da scontare non superi i tre anni.
Rispetto  ai  condannati non recidivi reiterati, per i quali continua
ad   applicarsi  l'articolo  94  del  d.P.R.  n. 309/1990,  la  nuova
disposizione   limita,   dunque   la   possibilita'   di  concessione
dell'affidamento  in  prova  in  casi  particolari operando sia sulla
soglia  della  pena (inflitta o residua) che consente l'ammissione al
«beneficio»  (tre  anni anziche' quattro) sia sul numero di volte che
permette  la  concessione  del  «beneficio»  stesso  (una  sola volta
anziche' due).
    In  applicazione  della nuova disposizione normativa, intervenuta
nel  momento  in  cui  la  presente  procedura  non  e'  stata ancora
definita,  il  tribunale non puo' accogliere l'istanza di affidamento
terapeutico  in  esame  (ammissibile  nel  momento  in  cui  e' stata
proposta  ma non nel momento della riserva di decisione) in quanto la
pena  detentiva da espiare supera i tre anni di reclusione. Non puo',
del  resto,  essere  applicata la misura alternativa della detenzione
domiciliare  ex art. 47-ter ord. pen. poiche', nella fattispecie, non
ricorre  alcuna  delle specifiche condizioni previste nel comma 1 ne'
si  discute  della  possibilita'  di  applicazione  di altre forme di
detenzione domiciliare.
    Occorre aggiungere, per doverosa completezza, che non puo' essere
condiviso  l'argomento  difensivo secondo il quale la nuova normativa
non  potrebbe  essere  applicata, retroattivamente, al condannato che
abbia commesso il reato in data anteriore all'entrata in vigore della
legge   n. 251/2005,  stante  il  richiamo,  contenuto  nell'art. 10,
comma 2 della stessa legge, all'art. 2 del codice penale: i primi due
commi  di tale articolo, infatti, fanno riferimento, rispettivamente,
alle  ipotesi  di  «nuova  incriminazione»  e  di  abolitio criminis,
diverse  dall'odierna  fattispecie, mentre il terzo comma, che regola
l'ipotesi   della   successione   di  leggi  modificative,  trova  lo
sbarramento   del   «giudicato»,   ossia   della   sentenza  divenuta
irrevocabile  prima  della  entrata  in vigore della successiva legge
modificativa  (come,  appunto, nel caso di specie). Nel sistema della
legge  n. 251/2005  le  disposizioni  che regolano l'esecuzione delle
pene   restano,   quindi,   soggette,   non  potendosi  proficuamente
utilizzare  il  riferimento  normativo  all'art. 2  c.p., alla regola
generale  tempus  regit  actum, alla stregua delle norme di carattere
processuale   (cio'   in   linea   con  l'orientamento  assolutamente
prevalente nella giurisprudenza di legittimita', su cui v. infra).
    Neppure  puo'  essere  condiviso l'argomento difensivo secondo il
quale,  nella  fattispecie,  la  recidiva  reiterata  e'  stata  solo
contestata  nel  capo di imputazione ma non applicata in sentenza. In
realta',  in  seguito a richiesta dell'interessato, su cui il p.m. ha
prestato  il  consenso, il giudice della cognizione ha applicato, nei
confronti  del  predetto,  la  pena  de qua «per il reato ascritto in
rubrica»,    ivi    compresa,   pertanto,   la   recidiva   reiterata
infranquinquennale,  che non e' stata affatto esclusa dal giudice. Il
fatto   che   siano   state  riconosciute  ed  applicate,  in  favore
dell'imputato,  le  circostanze attenuanti generiche e la circostanza
della  `provocazione' con grado di prevalenza rispetto all'aggravante
non  esclude,  come sostenuto nella memoria difensiva, la sussistenza
della  recidiva,  bensi' comporta, semplicemente, che viene annullato
il peso specifico della stessa nella determinazione della pena.
    3.   -   Il   collegio,   tuttavia,   dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 94-bis  del testo unico sugli stupefacenti,
introdotto  dall'art. 8  della  legge  n. 251/2005,  proprio perche',
letto  congiuntamente  con  l'art. 10,  comma 1  e  2 di quest'ultima
legge,  risulta  applicabile, retroattivamente, a tutti i condannati,
recidivi  reiterati,  per reati commessi prima dell'entrata in vigore
della legge de qua.
    La  rilevanza  della  questione nel presente procedimento emerge,
con  evidenza,  da quanto e' stato sopra esposto: in applicazione del
nuovo  dettato  normativo  l'istanza  proposta dall'interessato - per
quanto  ammissibile nel momento della sua proposizione - non e' lo e'
piu'  al  momento  della  decisione  per  effetto  del  mutato quadro
legislativo.
    La  non  manifesta  infondatezza  della questione di legittimita'
costituzionale  deriva,  ad avviso del collegio, dalla verifica della
compatibilita' della predetta disposizione normativa con il parametro
costituzionale  rappresentato  dall'articolo 25, secondo comma, della
Costituzione,  in  virtu' del quale nessuno puo' essere punito se non
in  forza  di  una  legge  che  sia entrata in vigore prima del fatto
commesso.
    Il   collegio   non   ignora   che  l'orientamento  assolutamente
prevalente  nella  giurisprudenza  di  legittimita'  e' nel senso che
l'applicazione  di sopravvenute disposizioni piu' restrittive in tema
di  benefici penitenziari non da' luogo alla violazione del principio
di  irretroattivita'  della  legge penale stabilito dall'articolo 25,
secondo   comma,   della   Costituzione,  atteso  che,  secondo  tale
orientamento,  il  suddetto  principio  si  riferisce unicamente alle
norme   penali   sostanziali,  ossia  alle  norme  che  delineano  le
fattispecie  astratte  di reato e le conseguenze sanzionatorie, e non
anche  a  quelle  inerenti  alle modalita' di esecuzione della pena e
all'applicazione  dei  predetti  benefici,  la  cui  disciplina resta
affidata  ai poteri discrezionali del legislatore ordinario (v. Cass.
pen.,  sezione  I,  17  dicembre  2004  -  24  gennaio 2005, n. 1975,
relativamente   a   modifiche   dell'articolo   4-bis   della   legge
sull'ordinamento penitenziario).
    Il  collegio,  tuttavia,  ritiene  che  debba  essere  rivisto  e
ridiscusso  proprio  il  presupposto  fondamentale su cui il predetto
orientamento   si   fonda   e   cioe'   che  il  principio  contenuto
nell'articolo  25,  secondo  comma,  della  Carta  costituzionale  si
riferisca  unicamente  alle  norme  incriminatrici  in  senso stretto
(norme  che  creano  nuovi  reati, o modificano in peius gli elementi
costitutivi  di  una  fattispecie  incriminatrice,  o  la specie e la
durata delle sanzioni edittali), escludendo tutte quelle che incidono
sulle modalita' di esecuzione delle pene e sulla quantita' e qualita'
della  pena  da  espiare  in concreto. Si ritiene, in particolare, da
parte  del  collegio,  che tutte le disposizioni che prevedono quelli
che  vengono  definiti  «benefici  penitenziari»  e  che, in realta',
descrivono  modalita'  di  esecuzione  delle  pene  alternative  alla
detenzione  carceraria, non siano estranee alla sfera di applicazione
dell'articolo   25,   comma   due,   della  Costituzione,  in  quanto
disposizioni  intrinseche  al  sistema  delle  norme penali intese in
senso  lato  (ossia  in  un  senso  che  comprende anche le norme che
regolano  l'esecuzione  delle pene e che configurano i presupposti di
ammissibilita'  delle  misure  alternative). Con l'approvazione della
legge   26   luglio   1975,   n. 354   (c.d.  legge  sull'ordinamento
penitenziario) e delle successive modifiche della stessa, infatti, il
panorama  delle  modalita'  di  espiazione delle pene detentive si e'
arricchito  prevedendosi istituti che, come l'affidamento in prova al
servizio sociale o la semiliberta', cercano di coniugare le finalita'
retributiva,  generalpreventiva e specialpreventiva della pena con il
principio   costituzionale  sancito  dall'articolo 27,  terzo  comma,
secondo  cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato;
oppure  istituti  che,  come  la  detenzione  domiciliare,  evitano o
interrompono  il  contatto con la realta' carceraria quando ricorrono
particolari  situazioni  di  rilievo  costituzionale  (si  pensi,  ad
esempio,  a  quelle  di  carattere  sanitario  o a quelle inerenti ai
rapporti  tra  madre  e  prole  di eta' inferiore ad anni dieci o tra
madre  e  figlio  affetto  da  una  gravissima forma di invalidita) o
quando  non  vi  sia  necessita'  della  restrizione  in  un istituto
penitenziario,  essendo  il  condannato  portatore  di  un  grado  di
pericolosita'   sociale  che  puo'  essere  agevolmente  fronteggiato
attraverso   misure  di  minor  gravita'.  In  altri  ordinamenti  le
«sanzioni»  alternative  alla  detenzione  sono  previste  dal codice
penale  ed  applicate  direttamente  dal giudice della cognizione (si
pensi,  ad esempio, al sistema delle peines correctionnelles previste
dal   codice  penale  francese  per  i  delitti,  reati  di  gravita'
intermedia tra i «crimini» e le «contravvenzioni»), mentre nel nostro
le   «misure»  alternative  (intese  come  modalita'  alternative  di
esecuzione  di  una  pena detentiva) sono contemplate in una legge ad
hoc  ed  applicate  dal  tribunale di sorveglianza (si e' parlato, in
proposito,  di  un processo «bifasico», in cui la prima fase e' volta
all'accertamento  del fatto e della responsabilita' e la seconda alla
determinazione   della  sanzione  da  espiare  in  concreto);  questa
differenza,  peraltro, non esclude che, anche nel nostro ordinamento,
le  misure alternative alla detenzione non possono ritenersi estranee
al   sistema  penale,  essendo  misure  che  prevedono  modalita'  di
espiazione  della  pena  sia  pure  «altre»  rispetto alla detenzione
carceraria,  ma  che  alla  detenzione  stessa riconducono in caso di
revoca  della  misura  determinata  dal  comportamento del condannato
contrario  alla  legge  o  alle  prescrizioni  dettate. Del resto, la
stessa  Corte  di  cassazione  ha  piu' volte affermato che le misure
alternative  alla detenzione «hanno natura di vere e proprie sanzioni
penali,  tant'e'  vero  che  la  Corte  costituzionale,  con  le note
sentenze  29 ottobre  1987,  n. 343,  e  25 maggio  1989,  n. 282, ha
dichiarato  illegittimi gli articoli 47, legge n. 354/1975 e 177 c.p.
nella  parte in cui non prevedevano che il tribunale di sorveglianza,
nel  revocare  l'affidamento  in prova o la liberazione condizionale,
potesse  determinare  la  residua  pena  detentiva da espiare, tenuto
conto  della  durata  delle  limitazioni  patite  e del comportamento
tenuto   dal  condannato  durante  il  periodo  trascorso  in  misura
alternativa»  (v.  Cass.  pen., 5 febbraio 1998, Cusani, in Foro It.,
1998, II, 513); in particolare, riguardo all'affidamento in prova, ha
chiaramente  affermato che tale misura «comportando per il condannato
l'osservanza  di  prescrizioni  restrittive  della  sua liberta' e la
soggezione  ai  costanti controlli del servizio sociale, nonche' alla
vigilanza  del  magistrato  o sorveglianza cui il servizio sociale e'
tenuto  a fornire periodicamente dettagliate notizie, costituisce non
una misura alternativa alla pena, ma una pena essa stessa alternativa
alla  detenzione,  nel  senso  che viene sostituito al trattamento in
istituto  quello fuori dell'istituto, perche' ritenuto piu' idoneo al
raggiungimento  delle  finalita'  di  emenda  proprie della pena» (v.
Cass. pen. , sez. I, 18 novembre 1992 - 13 gennaio 1993, n. 4747, Rv.
194495).
    Tutto  cio' vale, ovviamente, anche per l'affidamento in prova al
servizio  sociale  in  casi  particolari previsto dagli articoli 94 e
94-bis  del d.P.R. n. 309/1990, misura che si caratterizza per il suo
essenziale  contenuto  terapeutico  rispetto  alle esigenze di cura e
riabilitazione del condannato tossicodipendente od alcooldipendente.
    La  questione di cui si discute, in sostanza, puo' essere ridotta
ai seguenti termini: se i condannati a pene detentive abbiano diritto
a non vedere aggravato il regime penitenziario o di esecuzione penale
al quale siano sottoposti in conseguenza di una legge retroattiva. La
problematica   e'   gia'  stata  affrontata  una  volta  dalla  Corte
costituzionale,  in  occasione  della decisione adottata con sentenza
n. 273  del  5-20 luglio 2001 (pubblicata su Gazzetta Ufficiale n. 29
del  25 luglio  2001),  relativa  ad  una  questione  di legittimita'
costituzionale   dell'art. 2,   comma   1,   del   d.l.  n. 152/1991,
convertito,   con   modificazioni,   nella   legge   n. 203/1991,   e
dell'art. 4-bis,    primo   comma,   della   legge   sull'ordinamento
penitenziario  (come  modificato  dall'art. 15,  comma  1,  del  d.l.
n. 306/1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 356/1992),
sollevata  dal Tribunale di sorveglianza di Sassari con ordinanza del
15 giugno  2000  in  riferimento  all'art. 25,  secondo  comma, della
Costituzione.  In  particolare,  il  giudice  a  quo  dubitava  della
legittimita'  costituzionale delle disposizioni sopra richiamate, per
violazione  del  principio  di  irretroattivita'  della legge penale,
nella   parte  in  cui  escludono  dal  beneficio  della  liberazione
condizionale  i  soggetti  condannati  per  determinati  delitti  con
sentenza  passata  in  giudicato  prima  dell'entrata in vigore della
legge  di  modifica  dell'art. 4-bis,  che  non  collaborino  con  la
giustizia  a  norma dell'art. 58-ter dell'ordinaniento penitenziario.
In  tale  occasione, peraltro, la questione venne decisa in modo tale
da   lasciare   impregiudicata   la   scelta   tra   le  due  diverse
interpretazioni   dell'art. 25,  secondo  comma,  della  Costituzione
(quella  piu' restrittiva che ne limita la sfera di applicazione alle
norme  penali in senso stretto e quella piu' estensiva che propone di
ampliare  l'ambito  di operativita' del principio di irretroattivita'
della  legge  penale  sino ad abbracciare anche le norme che regolano
l'esecuzione   delle   pene   e  che  definiscono  i  presupposti  di
applicabilita'   delle   misure   alternative  alla  detenzione).  La
questione,  cioe',  rimase  res  integra, preferendosi «guardare a un
tempo  a  venire,  quando forse sarebbe potuta maturare una decisione
piu'  largamente  condivisa,  da assumere con maggiore tranquillita»,
come detto, in un recente saggio, da autorevole giurista, gia' membro
della  Corte  costituzionale1.  A  fronte  del  nuovo  intervento del
legislatore  in  materia di recidiva, il collegio ritiene necessario,
per i dubbi di legittimita' costituzionale precedentemente espressi e
per  la  natura  di  vere  e  proprie  sanzioni  penali  delle misure
alternative  alla  detenzione  di  cui si e' detto, riproporre ora la
questione  in  relazione  alla  disposizione normativa che rileva nel
caso di specie.
    Per   le   considerazioni  sopra  svolte,  pertanto,  si  ritiene
rilevante   ai   fini   della  decisione  da  assumere  nel  presente
procedimento   e   non   manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'   costituzionale   del   disposto   normativo   di   cui
all'art. 94-bis   del  d.P.R.  9  ottobre  1990,  n. 309,  introdotto
dall'art. 8  della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui,
letto  congiuntamente  con  il  disposto dell'art. 10, comma 1 e 2 di
quest'ultima  legge,  prevede  che  il limite della pena detentiva da
espiare   non   superiore   a   tre  anni,  stabilito  per  l'accesso
all'affidamento  in  prova  in casi particolari, si applichi anche ai
condannati, recidivi reiterati, per reati commessi prima dell'entrata
in  vigore  della  legge  n. 251/2005,  per  contrasto con l'art. 25,
secondo comma, della Costituzione.
    Il procedimento deve, pertanto, essere sospeso e gli atti inviati
alla Corte costituzionale.
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      1  Il  riferimento  e'  a  G. Zagrebelsky, Principi e voti - La
Corte costituzionale e la politica p. 18.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  articoli  23  e  seguenti  della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  94-bis,  d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 introdotto dall'art. 8
della  legge 5 dicembre 2005, n. 251, 10 della medesima legge e 666 e
678 c.p.p.
    Dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla
Corte  costituzionale  affinche' esamini la questione di legittimita'
costituzionale  della  disposizione di cui all'art. 94-bis del d.P.R.
n. 309/1990,  introdotto  dall'art. 8  della  legge  5 dicembre 2005,
n. 251,  alla  luce  del parametro di cui all'art. 25, secondo comma,
della Costituzione.
    Dispone  la sospensione del presente procedimento in attesa della
decisione della Corte medesima.
    Manda  alla  cancelleria  per  le  comunicazioni  di  legge e, in
particolare,  per  la  notifica  all'interessato,  al difensore dello
stesso,  alla  Procura  generale  della  Repubblica  di  Firenze,  al
Presidente  del  Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Firenze, addi' 20 dicembre 2005
                        Il Presidente: Sapere
Il magistrato estensore: Signorini
06C0625