N. 89 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 luglio 2006
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 10 luglio 2006 (della Regione Lazio) Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture - Competenze legislative di Stato e Regioni - Attribuzione alla potesta' normativa concorrente di «organizzazione amministrativa», «compiti e requisiti del responsabile del procedimento», «programmazione dei lavori pubblici», «approvazione dei progetti a fini urbanistici ed espropriativi» - Ricorso della Regione Lazio - Lamentata ingerenza nella sfera di autonomia delle regioni e degli enti pubblici in contrasto con il riparto costituzionale delle competenze, applicazione della norma agli appalti sotto la soglia comunitaria - Denunciata lesione della potesta' legislativa residuale delle regioni, violazione dei criteri contenuti nella legge di delega, violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita', leale collaborazione, imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. - D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 4, comma 2. - Costituzione, artt. 76, 97, 117 e 118. Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture - Competenze legislative di Stato e Regioni - Attribuzione alla potesta' normativa esclusiva dello Stato della disciplina relativa a qualificazione e selezione dei concorrenti, procedure di affidamento, criteri di aggiudicazione, subappalto, poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, attivita' di progettazione e piani di sicurezza, stipulazione ed esecuzione dei contratti, direzione dell'esecuzione, direzione dei lavori, contabilita' e collaudo, contenzioso - Ricorso della Regione Lazio - Lamentata ingerenza nella sfera di autonomia delle regioni e degli enti pubblici in contrasto con il riparto costituzionale delle competenze, applicazione della norma agli appalti sotto la soglia comunitaria - Denunciata lesione della potesta' legislativa e amministrativa delle regioni, lesione della potesta' regionale di immediata attuazione delle direttive comunitarie, violazione dei criteri contenuti nella legge di delega, violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita', leale collaborazione, imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. - D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 4, comma 3. - Costituzione, artt. 76, 97, 117 e 118. Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture - Previsione di regolamenti statali per la disciplina esecutiva e attuativa del codice in relazione agli aspetti di cui all'art. 4, comma 3 - Ricorso della Regione Lazio - Lamentata ingerenza, con normativa di dettaglio, vincolante e non cedevole, in ambiti materiali di competenza regionale, accentramento in capo allo Stato di ogni funzione normativa in tema di appalti pubblici stipulati da qualunque amministrazione, applicazione della norma agli appalti sotto la soglia comunitaria - Denunciata lesione delle attribuzioni delle regioni e particolarmente della potesta' regolamentare, violazione del principio di legalita', violazione dei criteri contenuti nella legge di delega. - D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 5. - Costituzione, artt. 76, 97, 117 e 118.(GU n.38 del 20-9-2006 )
Ricorso della Regione Lazio, in persona del Presidente della giunta regionale, dott. Pietro Marrazzo, che agisce in forza della delibera della giunta regionale n. 358 del 20 giugno 2006, rappresentata e difesa nel presente giudizio dal prof. avv. Vincenzo Cerulli Irelli, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Dora 1, giusta delega in margine al presente atto; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 3 e dell'art. 5 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 - «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2006, S.O. n. 107 - per violazione dell'art. 76, dell'art. 97, dell'art. 117 e dell'art. 118 della Costituzione nonche' dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni. F a t t o 1. - La legge di delega e il decreto legislativo. L'art. 25, comma 1, della legge 18 aprile 2005 n. 62 (legge comunitaria 2004) ha delegato il Governo a recepire nell'ordinamento nazionale le direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE del 31 marzo 2004, recanti rispettivamente il coordinamento delle «procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali» e il coordinamento «delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi». 1.1. - Con il decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 «codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE», (da ora, «Codice»), il Governo avrebbe dovuto attuare la predetta delega, muovendosi lungo le direttrici indicate dai principi e criteri direttivi in essa previsti: 1) compilazione di un «unico testo normativo» in materia di appalti pubblici, allo scopo di adeguare l'ordinamento nazionale non solo alla disciplina contenuta nelle direttive comunitarie citate (art. 25, comma 1, lett. a) legge 62 cit.) ma anche ai principi del diritto comunitario (art. 25, comma 1, lett. d); 2) semplificazione delle procedure nazionali di affidamento, per le parti non direttamente coperte dalla disciplina comunitaria, allo scopo di favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilita' degli strumenti giuridici (art. 25, comma 1, lett. b). Da questa breve descrizione dei principi della delega, non sembra, invero, che nelle intenzioni del legislatore nazionale vi fosse un Codice degli appalti che, oltre ad adeguare l'ordinamento nazionale agli sviluppi dell'ordinamento comunitario, rappresentasse lo strumento per un radicale ripensamento e per una complessiva riorganizzazione di tutto il quadro normativo dell'intero mercato degli appalti pubblici nazionali. Soprattutto, non sembra che l'intenzione del legislatore delegante fosse quella di autorizzare il Governo a procedere con propria legislazione verso un'operazione di copertura totale del settore degli appalti pubblici; non vi e' dubbio infatti che quella contenuta nel Codice sia l'unica disciplina dell'ordinamento nazionale in materia di forniture, servizi e lavori pubblici, applicabile a tutti gli enti della Repubblica, di qualunque livello territoriale (statale, regionale, locale). Quanto teste' detto ha ricadute dirette nel medesimo settore degli appalti pubblici, circa il tema del riparto di competenze normative tra lo Stato e le regioni; riparto di competenze che, come si avra' modo di approfondire in seguito, il Codice disciplina all'art. 4 («competenze legislative di Stato, regioni e, province autonome»), in modo non conforme al vigente testo costituzionale. 2. - Le norme del Codice impugnate. L'art. 4, comma 1 stabilisce che «le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potesta' normativa nelle materie oggetto del presente codice nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e delle disposizioni relative a materie di competenza esclusiva dello Stato». Ma quando si tratta di individuare quali siano, secondo la disciplina del Codice, gli ambiti materiali entro i quali e' riconosciuta la potesta' normativa alle regioni, ci si accorge che questo spazio e' ridotto oltremodo. L'art. 4, comma 2 del Codice stabilisce, infatti, che «relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le, regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potesta' normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro». 2.1. - Come si vede - e come si dira' meglio in seguito - il Codice, nel ridisegnare il quadro delle attribuzioni legislative nel settore degli appalti pubblici, attribuisce alle regioni potesta' normativa concorrente in materie che esulano indubbiamente da tale settore, e che piuttosto appartengono trasversalmente alla potesta' normativa di enti pubblici, anche diversi dalle regioni: la «organizzazione amministrativa» (ivi compresi, «i compiti e i requisiti del responsabile del procedimento») fa parte del corredo minimo di autonomia normativa attribuito a ciascun ente pubblico e rappresenta comunque una materia che rientra nella potesta' legislativa residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost.; la «programmazione dei lavori pubblici», individuando la normale attivita' di qualunque ente impegnato ad investire le proprie risorse nell'ambito di settori amministrativi di propria competenza, rinvia all'esercizio del potere amministrativo di tali enti, senza con questo indicare uno speciale ambito di potesta' legislativa regionale nel settore degli appalti pubblici; la «approvazione dei progetti a fini urbanistici ed espropriativi», in forza di una legislazione ormai quasi trentennale (legge 3 gennaio 1978 n. 1), rappresenta una funzione pacificamente ascrivibile alla potesta' di ogni amministrazione territoriale; la «sicurezza del lavoro» e' una materia gia' espressamente contemplata dall'art. 117, comma 3, come oggetto di potesta' legislativa concorrente delle regioni e dunque estranea rispetto al settore degli appalti pubblici. 2.2. - All'art. 4, comma 3 si ritrovano elencati gli ambiti piu' propriamente e direttamente costitutivi del settore degli appalti pubblici, la disciplina legislativa dei quali e' tuttavia attribuita in via esclusiva allo Stato: «le regioni, nel rispetto dell'articolo 117, comma secondo, della Costituzione, non possono prevedere una disciplina diversa da quella del presente codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei concorrenti; alle procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa; ai criteri di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; alle attivita' di progettazione e ai piani di sicurezza; alla stipulazione e all'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell'esecuzione, direzione dei lavori, contabilita' e collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e contabilita' amministrative; al contenzioso. Resta ferma la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni culturali i contratti nel settore della difesa, i contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza relativi a lavori, servizi forniture». Come si vede, tutta la disciplina degli appalti pubblici, in ogni aspetto piu' significativo (dalla qualificazione e selezione dei concorrenti, alle procedure di affidamento e ai criteri di aggiudicazione), e' attribuita dal Codice alla potesta' legislativa statale, in maniera analitica ed onnicomprensiva. 2.3. - Per di piu', ad accentuare la pervasivita' della disciplina normativa statale anche al versante degli appalti pubblici regionali, l'art. 5, del Codice stabilisce che «lo Stato detta con regolamento la disciplina esecutiva e attuativa in relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti statali e, limitatamente agli aspetti di cui all'articolo 4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra amministrazione o soggetto equiparato» (comma 1). Piu' in particolare, «il regolamento indica quali disposizioni, esecutive o attuative di disposizioni rientranti ai sensi dell'articolo 4, comma 3, in ambiti di legislazione statale esclusiva, siano applicabili anche alle regioni e province autonome» (comma 2). In sostanza, la disciplina statale contenuta nel Codice e nel futuro regolamento di attuazione finisce per rappresentare praticamente l'unica fonte normativa in tema di appalti pubblici stipulati da qualunque amministrazione; normativa di dettaglio, vincolante e non cedevole, anche nei confronti delle regioni, per la disciplina di appalti di interesse regionale, in ambiti materiali attribuiti alla competenza normativa regionale. 3. - Il parere (negativo) della Conferenza unificata. Sullo schema di decreto legislativo, preliminarmente approvato dal Consiglio dei ministri - e segnatamente sull'art. 4, commi 2 e 3 e sull'art. 5 - in data 9 febbraio 2006, le regioni hanno espresso parere negativo, in sede di Conferenza Unificata, di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997: parere del quale, tuttavia, il Governo non ha tenuto conto, quanto meno, in relazione alle norme in questa sede impugnate. In tale parere, in particolare, si rileva innanzi tutto che «sul piano del metodo sarebbe stato non solo opportuno ma anche doveroso, in ossequio alle indicazioni piu' volte espresse dalla Corte costituzionale ed in continuita' con la prassi partecipativa piu' volte sperimentata in occasione dell'emanazione di precedenti normative nazionali, avviare un percorso condiviso e concertato con le regioni, attesa la valenza e la portata di un provvedimento di questa importanza». In secondo luogo, nel suo parere, la Conferenza unificata lamenta il fatto che l'art. 5 dello schema «demanda ad un apposito regolamento la disciplina esecutiva ed attuativa del Codice nelle materie oggetto di competenza legislativa statale esclusiva (...). Secondo questa impostazione, pertanto, tutte le materie destinate (...) ad essere regolate nel dettaglio dal regolamento de quibus sarebbero per cio' stesso ascrivibili alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, in quanto l'art. 117, comma 6, della Costituzione, come e' noto circoscrive la potesta' regolamentare dello Stato alle sole materie di sua competenza esclusiva». Ne consegue, secondo le stesse regioni, che quelle di loro che non hanno ancora legiferato in tema di appalti pubblici, si vedranno preclusa in futuro la possibilita' di dettare norme di disciplina su aspetti pacificamente attribuiti alla loro competenza regolativa (ad es. la programmazione, il responsabile del procedimento, le procedure relative alle fasi della progettazione, della direzione lavori, del collaudo, ecc.). Inoltre, per quelle regioni che invece hanno gia' legiferato in tema di appalti pubblici, disciplinando oggetti che saranno successivamente regolati dal regolamento statale, si presenterebbe il rischio di una automatica caducazione a seguito dell'entrata in vigore del Codice (e del suo regolamento). Insomma, secondo il parere espresso in sede di Conferenza Unificata, l'art. 5 del Codice appare lesivo «delle competenze legislative regionali in relazione a tutti quei (cospicui e numerosi) aspetti dei lavori pubblici, e non solo, per i quali si fa rinvio al regolamento di attuazione e per i quali si ritiene che non rientrino nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato». Piu' in generale, l'adozione del Codice «contribuisce a determinare tra Stato e regioni un assetto delle competenze legislative e dei rispettivi ruoli ispirato al riconoscimento dello Stato quale unico soggetto titolato a normare il settore dei lavori dei servizi e delle forniture, in aperta contraddizione con una ormai consolidata interpretazione dell `art. 117 che riconosce anche alle Regioni potesta' legislativa nei settori in parola». 4. - Il parere dell'Adunanza generale del Consiglio di Stato. Sul medesimo schema di decreto legislativo ha espresso il proprio parere anche l'Adunanza generale del Consiglio di Stato, la quale, nella seduta del 6 febbraio 2006, ha formulato alcuni rilievi critici al testo esaminato, proponendo la riformulazione di taluni articoli. 4.1. - In primo luogo, il Consiglio di Stato ha richiamato l'attenzione del Governo, sulla particolare importanza del parere (negativo) della Conferenza unificata (del 9 febbraio 2006) in un settore come quello in esame nel quale particolarmente problematica si presenta la questione del riparto delle competenze tra Stato e regioni. Segnatamente su tale questione, a giudizio del Consiglio di Stato, il fatto che gli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture non siano espressamente individuati dal nuovo art. 117 della Costituzione, non autorizza a desumere che essi siano oggetto di potesta' legislativa residuale delle regioni; cio', sulla base di quanto rilevato dalla Corte costituzionale «si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualficano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero a potesta' legislative concorrenti» (Corte cost. n. 303/2003). Il Consiglio di Stato correttamente ritiene che nel nuovo quadro costituzionale la disciplina degli appalti pubblici abbia carattere trasversale e trovi una sua collocazione, sotto molteplici profili, in altre materie nominate nel nuovo art. 117 ed attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato o alla legislazione concorrente Stato - regioni; d'altra parte, altrettanto correttamente, il Consiglio di Stato ritiene necessario tenere opportunamente distinta l'area degli appalti statali da quella degli appalti di interesse meramente regionale. Per la prima area, non v'e' dubbio che il legislatore statale sia titolare di potesta' legislativa esclusiva in tema di pubblici lavori, forniture e servizi «statali»; per la seconda area, invece, occorre stabilire i limiti della competenza statale, con riguardo ad alcune materie individuate dall'art. 117, comma 2, della Costituzione: «tutela della concorrenza», «ordinamento civile», «giurisdizione e norme processuali» e «giustizia amministrativa». 4.2. - La tutela della concorrenza e' la materia che secondo il Consiglio di Stato pone i problemi piu' delicati. Ed infatti, come sottolineato dalla Corte, costituzionale (sentenze n. 272/2004 e n. 29/2006), la tutela della concorrenza costituisce una competenza trasversale, che coinvolge piu' ambiti materiali e legittima l'intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale - allo scopo di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica funzionali allo sviluppo dell'intero Paese e idonei ad incidere sull'equilibrio economico generale (cosi' avviene anche per alcuni aspetti relativi al settore degli appalti pubblici). Il Consiglio di Stato ritiene che il carattere trasversale della tutela della concorrenza consenta alla legge dello Stato di incidere nel settore degli appalti pubblici, ma senza tuttavia «consumarne, per definizione, tutto l'ambito, cosicche' rimangono di regola spazi non sensibili a tale problematica nei cui confronti resta fermo il normale riparto di competenze». In sostanza, gli effetti trasversali imposti dalla tutela della concorrenza non autorizza una lettura totalizzante della disciplina (di principio e di dettaglio) di tutti gli appalti pubblici (anche quelli di interesse meramente regionale) a favore della competenza legislativa esclusiva dello Stato. Nello stesso settore dei contratti pubblici, infatti, possono essere contemporaneamente coinvolti ed attivati: a) profili riguardanti la concorrenza; b) profili attinenti ad aspetti meramente organizzativi, procedurali, economici (tra i quali, la progettazione dei lavori, servizi e forniture, la direzione dei lavori servizi e forniture, il collaudo, i compiti e i requisiti del responsabile del procedimento). Occorre, dunque, opportunamente distinguere - secondo l'insegnamento della citata giurisprudenza costituzionale - nel medesimo settore degli appalti pubblici, gli aspetti sub a), da attribuire alla legislazione esclusiva statale e gli aspetti sub b) da ascrivere alla competenza concorrente ovvero residuale delle regioni. Nel primo caso (e solo in esso), la competenza normativa regionale rimane soggetta alla legislazione di principio e di dettaglio contenuta nel Codice; nel secondo, invece, fatta salva la rilevanza dei principi fondamentali espressi nel Codice (art. 2), la legislazione regionale puo' esprimersi senza i vincoli imposti dal Codice come disciplina di dettaglio. Sulla base di tale ricostruzione, il Consiglio di Stato individua, nel settore degli appalti pubblici, gli ambiti per i quali la tutela della concorrenza gioca un ruolo preponderante e rispetto ai quali dunque non residuano spazi per l'esercizio della potesta' normativa regionale: a) la qualificazione e selezione dei concorrenti; b) i criteri di aggiudicazione; c) il subappalto; d) la vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una autorita' indipendente. Per tutti gli altri aspetti, a giudizio del Consiglio di Stato «deve riconoscersi la sussistenza di una competenza normativa delle Regioni, (...) e cio' alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale secondo cui la norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell'autonomia regionale (Corte cost., n. 272/2004, relativa alle gare per i servizi pubblici locali)». 4.3. - Fin qui, la ricostruzione del Consiglio di Stato ha riguardato gli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria. Per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria (ai quali pure il Codice rivolge la sua disciplina), a giudizio del supremo organo di consulenza, compete allo Stato (nei confronti della potesta' normativa regionale, che in tale ambito non soggiace alla disciplina nazionale che recepisce le direttive comunitarie) la fissazione di generali principi, che assicurino trasparenza, parita' di trattamento e non discriminazione: in particolare, i principi che impongono la gara, che fissano l'ambito soggettivo ed oggettivo ditale obbligo, che limitano il ricorso alla trattativa privata e collegano alla violazione dell'obbligo sanzioni civili e forme di responsabilita' (cfr., Corte cost. n. 345/2004). 4.4. - La ricostruzione del Consiglio di Stato ha immediate conseguenze anche con riguardo all'esercizio dei poteri regolamentari e quindi con riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 5 del Codice. A giudizio del supremo organo di consulenza (e contrariamente all'impostazione del Codice), posto che, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, lo Stato ha conservato la potesta' regolamentare solo nelle materie attribuite alla sua legislazione esclusiva, «tale potesta' regolamentare puo' essere esercitata dallo Stato per dare esecuzione ed attuazione all'intero Codice con riferimento ai pubblici lavori servizi e forniture "statali", mentre con riferimento a quelli di interesse regionale essa puo' essere esercitata limitatamente a quei profili ricadenti nell'ambito della legislazione esclusiva dello Stato, gia' indicati in precedenza. Al contrario, l'elencazione degli aspetti da disciplinare tramite regolamento, contenuta [nell'art. 5] del Codice, puo' indurre a ritenere che il legislatore delegato abbia voluto rimettere alla potesta' regolamentare dello Stato quei profili gia' individuati, per i quali non risulta invece possibile incidere con regolamento sulle competenze regionali». Coerentemente con la sua ricostruzione, dunque, il Consiglio di Stato ha segnalato al Governo la necessita' di precisare proprio all'art. 5 che «il regolamento debba espressamente prevedere la sua applicabilita' ai lavori pubblici statali e l'indicazione delle disposizioni applicabili alle regioni, in quanto esecutive o attuative di disposizioni del Codice rientranti in materie di legislazione esclusiva dello Stato». Negli altri casi, ritiene il Consiglio di Stato che «l'applicabilita' del regolamento deve essere limitata, con riferimento alle regioni, ai casi di carenza della preesistente normativa regionale o perche' mai approvata o perche' abrogata per effetto del suo contrasto con i principi fondamentali recati dalla legge n. 109 del 1994 senza successivo adeguamento della normativa regionale». Il Governo, nell'adottare il Codice, non ha tenuto conto dei rilievi espressi dal Consiglio di Stato nel descritto parere; quanto meno con riguardo alle norme del Codice, in epigrafe indicate, che la regione ricorrente ritiene illegittime e lesive delle proprie attribuzioni e che pertanto impugna per i seguenti motivi D i r i t t o 1.- Prima di sviluppare analiticamente le singole censure, ci sia consentita una breve riflessione di inquadramento della vicenda in esame. Il Codice, ispirato alle finalita' di adeguare l'ordinamento nazionale all'ordinamento comunitario nonche' di semplificare e razionalizzare la disciplina interna nel settore degli appalti pubblici, si presenta come testo unico a carattere innovativo e onnicomprensivo. Gli e' che, tuttavia, come sottolineato sia dai citati pareri del Consiglio di Stato sia della Conferenza Unificata, nel Codice, non si fa alcuna opportuna distinzione tra appalti statali e appalti regionali, quanto alle fonti della loro rispettiva disciplina; o meglio, non si fanno le distinzioni che sarebbe stato lecito attendersi a fronte del quadro costituzionale ridisegnato dalla legge costituzionale n. 3/2001, per quanto riguarda il sistema delle competenze normative dello Stato e delle regioni. Le norme in questa sede impugnate - segnatamente l'art. 4, comma 3 - qualificano il Codice come la disciplina generale in materia di appalti pubblici, contenente norme di principio e di dettaglio che si impongono a tutte le amministrazioni, in primo luogo alle regioni. Attraverso la presente impugnazione, si intende ristabilire l'esatto quadro del riparto delle competenze normative tra lo Stato e le regioni, nel settore dei lavori pubblici, disegnato dalla Costituzione: a ristabilire cioe' l'esatto rapporto tra disciplina del Codice effettivamente vincolante per la normativa regionale (negli ambiti ascrivibili, senza forzature, alla tutela della concorrenza, dell'ordinamento civile, del contenzioso) e disciplina meramente cedevole (se non nella enunciazione dei principi) di fronte alla legislazione regionale (anche secondo quanto stabilito dall' art. 16 della legge 4 febbraio 2005 n. 11). Dal Codice emerge una preoccupante impostazione statocentrica, in cui il settore dei lavori, dei servizi e delle forniture pubbliche - in questa sede si discute degli appalti di interesse meramente regionale - e' consegnato in maniera pressoche' totale ed acritica alle cure della legge statale, salvo residuali e marginali competenze normative in sede concorrente, attribuite alle regioni, in ambiti, come si e' detto, poco conferenti con il settore degli appalti pubblici. 1.1. - Anticipando parte delle successive affermazioni, ci sia consentito riflettere sul fatto che il settore degli appalti rappresenta una rilevante manifestazione di amministrazione attiva di cura in concreto dell'interesse pubblico. Non vi e' dubbio che tale settore sia attraversato da esigenze di tutela di interessi (trasversali) di particolare rilievo per la comunita' nazionale e dunque attribuiti in esclusiva alla cura del legislatore statale; ma e' altrettanto indubbio che, una volta individuati e tutelati questi profili di «tutela della concorrenza», connessi alla disciplina dell'«ordinamento civile» ovvero della «giustizia amministrativa», al netto cioe' di questa area sensibile, il settore degli appalti pubblici resta quello che e': comune manifestazione di amministrazione attiva, che ciascun ente interessato organizza e gestisce secondo le proprie esigenze e necessita', al livello territoriale di propria competenza. Si vuole dire, in sostanza, che un appalto di lavori pubblici di interesse regionale, depurato dalle implicazioni poste a garanzia della concorrenzialita' del mercato, resta mero esercizio di attivita' amministrativa (attivita' di programmazione o procedurale, attivita' di diritto pubblico o privato). E negli aspetti in cui l'appalto pubblico e' manifestazione di attivita' amministrativa, la capacita' di fissarne la disciplina normativa non puo' che seguire il criterio della dimensione territoriale dell'interesse amministrato. 1.2. - Si ribadisce che attraverso gli art. 4, commi 2 e 3 e l'art. 5, il Codice pretende di rappresentare - a tutela soprattutto dei valori concorrenziali tra operatori del mercato - una generale disciplina di dettaglio per (quasi) tutti gli aspetti nei quali si articola il settore degli appalti pubblici; in cio' vincolando anche la competenza normativa delle regioni, con riguardo agli appalti di interesse meramente regionale. Nel Codice, il valore della tutela della concorrenza sembra assorbire e sacrificare ogni altro aspetto (in particolare, l'autonomia organizzativa e la valutazione del merito amministrativo da parte degli enti territoriali), come se il diritto degli appalti pubblici debba nel suo complesso trasfigurare in una disciplina antitrust, dettata dalla legislazione esclusiva dello Stato. Le norme statali contenute nel Codice, analitiche e di dettaglio, diventano cogenti nei confronti delle regioni anche nell'ambito della programmazione dei contratti da aggiudicare, della disciplina delle procedure di aggiudicazione, della direzione dei lavori, dei collaudi. L'esigenza di assicurare l'uniformita' delle regole di garanzia finisce di fatto per annullare l'esigenza di calibrare (nel rispetto delle regole) l'amministrazione alle esigenze dei rispettivi territori. Il diritto degli appalti, come disciplinato dal Codice, segna un formidabile esempio di riaccentramento normativo, nel quale la legge statale riacquista il suo primato sulle altre fonti di legislazione riconosciute dall'ordinamento repubblicano, in assoluta controtendenza rispetto al vigente quadro costituzionale. Si ricordino a tal riguardo le osservazioni espresse dalla Conferenza unificata nel parere (negativo) del 9 febbraio 2006: «[il Codice] contribuisce a determinare tra Stato e regioni un assetto delle competenze legislative e dei rispettivi ruoli ispirato al riconoscimento dello Stato quale unico soggetto titolato a normare il settore dei lavori, dei servizi e delle forniture pubblici, in contraddizione con una ormai consolidata interpretazione dell'art. 117 che riconosce anche alle regioni potesta' legislativa nei settori in parola». 1.3. - Ma v'e' di piu'. Il Codice recepisce la normativa comunitaria e attraverso la pervasivita' della sua disciplina (per effetto delle norme in questa sede impugnate) finisce per «imporre» il diritto comunitario ben oltre le intenzioni del legislatore delegante. In particolare, gli artt. 4 e 5 del Codice non distinguono tra appalti «di rilevanza comunitaria» e appalti «sotto soglia»: figure giuridiche, queste, che tradizionalmente, ai fini del riparto di competenze normative tra Stato e regioni, sono distinte (anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale) in relazione al differente grado di cogenza della normativa statale di recepimento del diritto comunitario; nonche' quanto alla diversa «invadenza» della potesta' legislativa dello Stato a tutela della concorrenza, in settori di competenza regionale (ad esempio, la disciplina dei procedimenti di gara). E cosi', per gli appalti di rilievo comunitario, lo Stato dovrebbe tutelare la concorrenza, imponendo alle regioni, entro limiti ragionevoli, la propria normativa di dettaglio con la quale ha recepito la direttiva comunitaria; negli appalti «sotto soglia», la tutela della concorrenza dovrebbe realizzarsi, invece, da parte statale, non mediante l'imposizione alle regioni di una normativa di dettaglio (come teorizzato dalle citate norme del Codice), bensi' attraverso l'imposizione di principi comuni (cd. norme di principio), a garanzia della trasparenza, parita' di trattamento e non discriminazione (Corte costituzionale n. 345/2004). Ne e' derivata sotto questo profilo, come subito si precisera', una palese violazione dei criteri contenuti nella legge delega; segnatamente quello della «semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilita' degli strumenti giuridici». A tal punto sono stati semplificati gli appalti sotto soglia, che per essi il Codice, attraverso gli artt. 4 e 5, ha imposto alle regioni (per gli appalti regionali) l'analitica normativa di dettaglio, con la quale sono state recepite le direttive comunitarie. Ma andiamo con ordine all'esame delle singole censure. 2. - Illegittimita' costituzionale, dell'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 163/2006, in relazione agli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione, nonche' per violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, proporzionalita' e leale collaborazione. 1.1 - L'art. 4, comma 2 del Codice prevede che, «relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potesta' normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro». In una prospettiva piu' generale, come gia' ricordato, la norma costituisce la prova evidente di come, nell'idea del legislatore delegato, la potesta' regionale nel settore degli appalti pubblici si riduca «a ben poca cosa» dopo l'entrata in vigore del Codice. Tale argomento verra' ripreso nel successivo motivo di diritto nel quale l'indebita estromissione della potesta' normativa regionale viene censurata con riguardo al comma 3 dell'art. 4, che, a sua volta, assolutizza l'estromissione del legislatore regionale dalla disciplina degli appalti da aggiudicare ed eseguire nel territorio della medesima regione. 2.2. - La norma in esame attribuisce alla competenza concorrente delle regioni - da esercitarsi «nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente codice» - ambiti materiali come la «organizzazione amministrativa», i «compiti e requisiti del responsabile del procedimento». Si contesta in questa sede che, tanto sull'organizzazione amministrativa, quanto sugli istituti attinenti alla disciplina del procedimento amministrativo, il Codice possa contenere norme di principio, in quanto trattasi di ambiti rientranti propriamente nei settori della organizzazione e della azione amministrativa (solo di riflesso connessi al tema degli appalti pubblici) ed ascrivibili alla competenza residuale delle regioni. Innanzi tutto, il dato letterale indica come tali ambiti non siano indicati dall'art. 117, comma 3, tra le materie attribuite alla competenza concorrente delle regioni. Ma v'e' di piu'. Laddove indica il profilo dell'organizzazione amministrativa, il Codice intende evidentemente l'insieme dei profili organizzativi connessi all'aggiudicazione ed all' esecuzione degli appalti pubblici di spettanza; vale a dire, gli aspetti connessi all'individuazione e al funzionamento delle strutture organiche necessarie allo svolgimento delle predette attivita' di amministrazione. Ebbene, l'art. 97 della Costituzione attribuisce, com'e' noto, alla legge il compito di organizzare i pubblici uffici in asse con i principi di imparzialita' e buon andamento. La legge statale e quella regionale possono dunque procedere alla disciplina generale degli organismi di propria spettanza, essendo del tutto irrilevante che detta organizzazione amministrativa inerisca al settore degli appalti pubblici; non si vede, d'altra parte, quali principi in materia di organizzazione amministrativa, oltre a quelli di imparzialita' e buon andamento fissati dalla Costituzione, possano essere contenuti nel Codice, cosi' da dequotare, in tale settore, la competenza regionale, da residuale a concorrente. 2.3. - Neppure con riguardo ai «compiti e ai requisiti del responsabile del procedimento», si deve ritenere che il Codice possa contenere principi generali da imporre alla competenza normativa delle regioni. Al riguardo, si ricorda che nella nostra Costituzione (a differenza di quanto disposto ad esempio nella Costituzione spagnola, art. 149, comma 1, n. 18), non e' prevista tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, quella relativa ai principi generali dell'azione amministrativa o del procedimento amministrativo (mentre tra queste materie e' compresa la «giustizia amministrativa»). Quindi la questione se la disciplina generale dell'azione amministrativa o del procedimento possa essere oggetto di legislazione regionale si trasforma tutt'al piu', in un problema di rapporti tra legislazione regionale e principi stabiliti (non da Codice, ma) dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, come modificata dalle novelle del 2005, nella parte in cui vengono espressamente riconosciuti come direttamente attuativi del sistema costituzionale. 2.4. - Quanto finora detto, deve ritenersi valido anche per la «programmazione di lavori pubblici» e per la «approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi» che rappresentano tipiche manifestazioni di esercizio di amministrazione attiva che, nei casi di appalti di interesse regionale, non si vede come possano attrarre la competenza statale a dettare (attraverso il Codice) norme di principio per la potesta' normativa regionale. Insomma, la norma teste' censurata rappresenta una palese violazione del vigente quadro costituzionale, con riguardo alla sfera di competenza normativa della regione ricorrente, con immediate e dirette conseguenze sulla sfera delle potesta' amministrative attribuite alla stessa regione. 2.5. - D'altra parte, la norma indicata rappresenta un assoluto fuor d'opera rispetto alla delega attribuita al Governo dalla legge n. 62/2005, la quale non contiene alcuna indicazione circa la possibilita' del Codice di incidere sul riparto delle competenze normative concorrenti di Stato e regioni (meno che mai, nei termini attuati dal Codice e fin qui descritti). 2.6. - La medesima norma si presenta altresi' come il frutto della violazione del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli del governo territoriale, che si attiva, in particolare, nei casi in cui, in un medesimo ambito di disciplina, si verificano cospicue interferenze e sovrapposizioni tra la competenza normativa dello Stato e delle regioni. Sull'argomento si ritornera' piu' specificamente al successivo 1/2 3.4. 3.-Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3 del d.lgs. n. 163/2006, in relazione agli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione, nonche' per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e leale collaborazione. 3.1. - L'art. 4, comma 3, del Codice stabilisce che «le regioni, nel rispetto dell'art. 117, comma secondo, della Costituzione, non possono prevedere una disciplina diversa da quella del presente codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei concorrenti; alle procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa; ai criteri di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; alle attivita' di progettazione e ai piani di sicurezza; alla stipulazione e all'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell'esecuzione, direzione dei lavori, contabilita' e collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e contabilita' amministrative; al contenzioso. Resta ferma la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni culturali, i contratti nel settore della difesa, i contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza relativi a lavori, servizi, forniture». Questa norma e' emblematica di come nel Codice sia stata costruita un'operazione di totale copertura del settore degli appalti pubblici a favore della competenza legislativa esclusiva dello Stato; copertura davvero esorbitante giacche' compressiva della sfera di attribuzione regionale in relazione ad aspetti, per lo piu', pacificamente ascrivibili alla disciplina di mere attivita' amministrative. 3.2. - Il problema del riparto di competenze normative tra Stato e regioni si pone, innanzi tutto perche' gli appalti pubblici non costituiscono tecnicamente una materia omogenea; una di quelle indicate all'art. 117 della Costituzione. E' bene ricordare che la Corte costituzionale, a proposito del riparto delle sfere di competenza legislativa nel settore degli appalti pubblici ha ritenuto che: «si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualjflcano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero a potesta' legislative concorrenti» (Corte costituzionale n. 303/2003). Ed e' anche opportuno ricordare le riflessioni espresse dall'Adunanza generale del Consiglio di Stato nel parere del 6 febbraio 2006 (v. retro): il settore degli appalti pubblici e' attraversato da esigenze connesse con la tutela della concorrenza, con la materia del contenzioso e dell'ordinamento civile; esigenze attribuite in esclusiva alla cura del legislatore statale ma che, tuttavia, pur nella loro rilevanza, non sono in grado di «consumarne, per definizione, tutto l'ambito, cosicche' rimangono di regola spazi non sensibili a tale problematica nei cui confronti resta fermo il normale riparto di competenze». A quest'ultimo riguardo - cioe', sui limiti entro i quali lo Stato ha possibilita' di legiferare, a tutela della concorrenza tra operatori del mercato degli appalti pubblici, coprendo anche ambiti materiali affidati alla competenza delle regioni (tema fondamentale nel presente giudizio di legittimita' costituzionale) - la Corte ostituzionale e' chiarissima: «la competenza prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione (secondo cui spetta allo Stato legiferare in via esclusiva in tema di tutela della concorrenza), costituisce una competenza trasversale, che coinvolge piu' ambiti materiali, si caratterizza per la natura funzionale (individuando, piu' che degli oggetti, delle finalita' in vista delle quali la potesta' legislativa statale deve essere esercitata) e vale a legittimare l'intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale». Ne consegue che la tutela della concorrenza da parte della competenza legislativa esclusiva dello Stato e' costituzionalmente legittima, in quanto posta «in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi» (sentenza n. 14/2004); come a dire che «l'intervento del legislatore statale in materia e' legittimo se contenuto entro i limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalita'. In particolare, la norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell `autonomia regionale» (sentenza n. 345/2004). La Corte costituzionale ha altresi' precisato che «una dilatazione massima di tale competenza che non presenta i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione esercitabile sui piu' diversi oggetti, rischierebbe di vanificare lo schema dell'art. 117 della Costituzione che vede attribuite alla potesta' legislativa residuale e concorrente delle regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico (...). L `intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale quadro e' mantenuta allo Stato la facolta' di adottare sia specifiche misure di rilevante entita' (...) purche' siano in ogni caso idonee, quanto ad accessibilita' a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull'equilibrio economico generale. Appartengono, invece, alla competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni gli interventi sintonizzati sulla realta' produttiva regionale tali comunque da non creare ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le regioni e da non limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale» (sentenza n. 14/2004). In sostanza, la disciplina degli appalti pubblici non e' assorbita interamente dalle esigenze di tutela della concorrenza (ovvero ordinamento civile e del contenzioso), essendo anche altro e principalmente esercizio di attivita' di amministrazione attiva, di cura in concreto di interessi pubblici, a cominciare dalle procedure di aggiudicazione, per finire alle attivita' di progettazione, alla direzione dei lavori ecc.; e in tali ambiti, va riconosciuta alle regioni - come la Costituzione in effetti riconosce - una incomprimibile competenza normativa. 3.3. - Si puo' concordare con il Consiglio di Stato che profili come la «qualificazione e selezione dei concorrenti», i «criteri di aggiudicazione», il «subappalto» e la «vigilanza sul mercato degli appalti» rappresentino ambiti particolarmente sensibili e collegati ad esigenze di tutela della concorrenza; e che per essi il Codice opportunamente abbia voluto evitare competenze normative decentrate. Ma, con lo stesso Consiglio di Stato conveniamo che per tutti gli altri aspetti, relativi a profili meramente organizzativi, procedurali, economici (si ribadisce, le procedure di affidamento, le attivita' di progettazione, la direzione dell'esecuzione e direzione dei lavori, il collaudo) «deve riconoscersi la sussistenza di una competenza normativa delle regioni, (...) e cio' alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale secondo cui la norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell'autonomia regionale». Insomma, la regola posta dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa e' che, al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi dello Stato occorre basarsi sul criterio di proporzionalita-adeguatezza di tali interventi. Ebbene, nell'art. 4, comma 3, invece, l'esigenza di tutela della concorrenza deborda di gran lunga oltre il ragionevole, assoggettando tutti gli appalti pubblici - anche quelli di interesse meramente regionale - alla normativa di dettaglio contenuta nel medesimo Codice, anche in relazione ad ambiti ascrivibili come detto all'esercizio di attivita' amministrative, attratti alla competenza esclusiva statale, in forza di un pregiudizio apodittico di complessiva inerenza alla materia della «concorrenza». Le forzature di tale impostazione si ricavano, peraltro, laddove lo stesso art. 4, comma 3 attribuisce in esclusiva alla legge statale i «piani di sicurezza», senza tenere conto che l'art. 117, comma 3, attribuisce alla legislazione concorrente la materia della «tutela e sicurezza del lavoro». 3.4. - Ma e' sull'oggetto «procedure di affidamento» che si consuma, forse, la forzatura costituzionale piu' evidente. Si tratta, infatti, della disciplina di veri e propri procedimenti amministrativi (e al riguardo il parere della Conferenza unificata e' chiaro: «le modalita' di svolgimento delle procedure (...) attengono piu' a profili organizzativi che di tutela della concorrenza»); anzi, le procedure di aggiudicazione rappresentano storicamente il paradigma dell'azione dell'amministrazione in forme procedimentalizzate. Nessun dubbio che in tali procedure si scarichino talune esigenze di tutela della concorrenza; ma restano pur sempre procedimenti amministrativi, la cui disciplina normativa e' attribuita ai pubblici poteri secondo il criterio di riparto indicato dall'art. 29, comma 2, della legge n. 241/1990, che sul punto applica fedelmente il nuovo impianto costituzionale, negando la competenza esclusiva dello Stato: «le regioni e gli enti locali, nell `ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell `azione amministrativa, cosi' come definite dai principi stabiliti dalla presente legge». 3.5. - L'art. 4, comma 3 appare costituzionalmente illegittimo anche per contrasto con l'art. 117, comma 5 della Costituzione, «secondo il quale «le regioni (...), nelle materie di loro competenza (...) provvedono all `attuazione e all'esecuzione (...) degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato (...)». L'art. 16 della legge 4 febbraio 2005 n. 11, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari», prevede che le regioni possono (autonomamente) dare immediata attuazione alle direttive comunitarie, salvo il rispetto: a) dei principi fondamentali non derogabili, stabiliti dalla legge nazionale (legge comunitaria) nelle materie di competenza concorrente; b) dei criteri e delle direttive contenute in leggi statali o in regolamenti attuativi della legge comunitaria, nelle materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato. Resta inteso che lo Stato puo' procedere all'attuazione delle direttive comunitarie in ambiti materiali di competenza residuale delle regioni, nel caso di inerzia regionale rispetto all'obbligo di attuazione; in questo caso, pero', la disciplina statale risulta cedevole, rispetto alla sopravvenuta disciplina regionale di attuazione (art. 11, comma 8, legge n. 11/2005 cit.). Tale complessiva impostazione sembra essere stata disattesa dal Codice. Di fronte alla possibile attuazione delle direttive comunitarie 17/2004/CE e 18/2004/CE da parte regionale, la legge statale non ha lasciato alle regioni, di fatto, alcun margine di autonomia normativa, coprendo con la propria legislazione vincolante e di dettaglio (anche per gli appalti «sotto soglia») ambiti materiali pacificamente attribuiti dalla Costituzione alla potesta' normativa regionale residuale e concorrente.. 3.6. - Anche sotto i profili evidenziati durante l'esame della presente censura emerge come il Governo abbia ecceduto rispetto alla delega assegnata. I principi della delega indicavano: a)la necessita' di compilare un unico testo normativo che recepisse le due direttive in materia di procedure di appalto, coordinando anche le altre vigenti disposizioni ai principi del diritto comunitario; b) la necessita' di semplificare le procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, a fini di contenimento dei tempi e di massima flessibilita' degli strumenti giuridici. Per quanto sub a), nelle intenzioni del legislatore delegante, il recepimento delle direttive doveva naturalmente seguire il descritto iter attuativo, previsto dall'ordinamento nazionale, senza alcuna forzatura del sistema di riparto delle competenze normative tra lo Stato e le regioni. Per quanto sub b), le finalita' di semplificazione, di flessibilita' giuridica e di accelerazione delle procedure appaiono contraddette dall'impostazione accentrativa del Codice, che ha trasformato, da cedevole, in vincolante, la propria disciplina di dettaglio anche in materie pacificamente attribuite in Costituzione alla competenza normativa delle regioni. 3.7. - Infine, ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale, con riguardo alla norma in esame, si pone sul piano della violazione del principio di leale collaborazione. Come sottolineato dalla Corte, costituziona1e «questioni di legittimita' costituzionale possono insorgere per le interferenze tra norme rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo Stato ed altre (...) alle regioni. In tali ipotesi puo' parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di sffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed e' quindi necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticita' consente di aver riguardo alle peculiarita' delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v. sentenza n. 370 del 2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre» (sentenza n. 50/2005). Anche il Consiglio di Stato, nel proprio parere del 6 febbraio 2005 aveva richiamato l'attenzione del Governo ªin questo «settore in cui il riparto di competenze tra Stato e regioni e' altamente problematico, sulla particolare importanza del parere della Conferenza unficata (...), reso in data 9 febbraio 2006». Come si ricordera', in tale parere la stessa Conferenza unificata esprimeva le sue forti perpiessita' sul sistema di riparto delle competenze tra Stato e regioni, disegnato dall'art. 4. Eppure il Governo, di fronte al circostanziato parere negativo della Conferenza (e ai rilievi critici sul medesimo punto espressi dal Consiglio di Stato) ha proceduto unilateralmente alla formulazione delle norme in questa sede impugnate. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.lgs. n. 163/2006, in relazione agli artt. 76. 97, 117 e 118 della Costituzione; violazione dei principi costituzionali relativi all'esercizio del potere regolamentare e del principio, di legalita'. 4.1. - Le considerazioni espresse nelle precedenti censure ridondano come motivo di illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del Codice che, al comma 1 stabilisce: «Lo Stato detta con regolamento la disciplina esecutiva e attuativa del presente codice in relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti statali e, limitatamente agli aspetti di cui all'art. 4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra amministrazione o soggetto equiparato»; ed al comma 2 prevede che: «il regolamento indica quali disposizioni, esecutive o attuative di disposizioni rientranti ai sensi dell'articolo 4, comma 3, in ambiti di legislazione statale esclusiva, siano applicabili anche alle regioni e province autonome». Va da se' che, in forza del parallelismo tra competenza legislativa e regolamentare, previsto dall'art. 117, comma 6 Cost. («la potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni. La potesta' regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia»), laddove l'art. 4, comma 3, ha ascritto alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato materie che invece debbono ritenersi non ricadenti nell'art. 117, comma 2 Cost. (procedure di affidamento, attivita' di progettazione, piani di sicurezza, direzione dell'esecuzione dei contratti, direzione dei lavori, contabilita' e collaudo), il Codice ha finito per attribuire allo Stato, in quelle materie, un'indebita potesta' regolamentare di attuazione delle norme del Codice, ampia e onnicomprensiva, vincolante (e non cedevole) anche per gli appalti pubblici di interesse regionale (per il principio in base al quale, i regolamenti governativi, compresi quelli delegati, non sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale, cfr. Corte costituzionale nn. 461/1991; 333/1995; 482/1995; 408/1998; 302/2003).
P. Q. M. Con riserva di produrre ulteriori deduzioni, si chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiari la illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 3 nonche' dell'art. 5 del decreto legislativo n. 163/2006. Roma, addi' 28 giugno 2006 Prof. Avv. Vincenzo Cerulli Irelli 06C0663